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giovedì 30 giugno 2011

Scola a Milano: il commento di un lettore

Ho ricevuto la richiesta, da parte di un lettore, di pubblicare un commento all'articolo di due giorni fa, in cui davo l'annuncio dell'avvenuta nomina del nostro patriarca Angelo Scola ad arcivescovo di Milano. A causa dell'estensione dell'intervento, e per una maggiore fruibilità di lettura, questo intervento non può essere scritto nella sezione dei commenti, così lo pubblico volentieri in questo nuovo articolo.

«È difficile nascondere che alla notizia della nomina del card. Angelo Scola ad arcivescovo di Milano noi Veneziani siamo stati colti da profondo sgomento: a nemmeno due mesi dal trasferimento di mons. Beniamino, la diocesi è stata provata ulteriormente dalla revoca della sua guida pastorale, e ciò ci sembra tanto più difficile da accettare anche a motivo della familiarità e del legame che in quasi 10 anni si è instaurato con il nostro Patriarca, una relazione che da sempre i veneziani sentono in modo speciale ma che, in questo caso, si era stabilita in modo ancor più solido e per certi aspetti inedito. Angelo Scola non è stato per Venezia soltanto un pastore, ma un vero attore, un protagonista della società civile: ne è prova l'eredità che ci lascia: un'istituzione universitaria d'eccellenza qual è il Marcianum, la fondazione Oasis, l'importante lascito culturale e intellettuale che ad essi, e non solo, è seguito, oltre all'instancabile azione pastorale volta a sanare i conflitti sociali, anche al di là dell'appartenenza alla comune fede cristiana.

Recentemente l'evento della visita pastorale del Papa nel Nordest ha rappresentato in modo assai chiaro che la missione spirituale e sociale non solo dei soggetti legati alle realtà ecclesiali ma, in modo esteso, di tutta quella popolazione è la continuazione di ciò che l'antico Patriarcato di Aquileia ha significato, una missione che si traduce nel vivere una vita buona corroborata dalla comune fede religiosa professata, che sia anche il riflesso della creatività e dell'operosità che ne hanno garantito l'esistenza allargandosi anche oltre i confini nazionali e delle singole civiltà: questo impulso certamente non si è esaurito, anche nel travaglio della società odierna. Dunque una vita buona e la professione di una fede comune che avevano ed hanno sicuramente più di un riferimento stabile, ma che riconoscono specialmente, almeno riguardo all'ambito religioso, nella persona del Patriarca una direzione da seguire, in ragione, come si diceva, di una storia religiosa e civile le cui radici sono le stesse. Di qui discende il prestigio della sede patriarcale, la cui continuità storica tra ieri e oggi è stata chiaramete significata dal pellegrinare del Papa da Aquleia a Venezia.

È risaputo che Venezia, unica sede Patriarcale nell'Occidente, insieme a Lisbona, è stata la sola che nel secolo scorso ha dato alla Chiesa ben tre papi, per questo e non solo il trasferimento a Milano ci appare inedito, e, poiché inaspettato, certamente più doloroso. Infatti non esistono precedenti a riguardo, dovendo relegare i casi di Gianalberto Badoer (Badoaro) (trasferito a Brescia nel 1706) e di Ján Pyrker (trasferito a Eger nel 1827) a debite eccezioni di natura essenzialmente politica: bisogna ricordare che la storia della Chiesa di quegli anni si è intrecciata sovente proprio con i meccanismi della politica, basti pensare che il ministero del cardinalato, benché concesso dalla sede apostolica, veniva richiesto dagli esercizi temporali, dagli stati sovrani come la Repubblica della Serenissima, che di fatto è la vera autorità temporale e spirituale agente in quel tempo, con potere di nomina e revoca dei proprio vescovi (per esempio i vescovi di Brescia di quegli anni erano tutti veneziani, essendo Brescia stata annessa da 300 anni alla Serenissima). Più tardi, negli anni del declino, Venezia subisce dapprima la spoliazione napoleonica e successivamente l'annessione all'Austria, perdendo di fatto ogni autorità sia in campo civile che religioso.

Occorre allora domandarsi: perché il Papa ha voluto il Patriarca alla guida della diocesi di Milano? Se da una parte - per le ragioni sopra esposte - questo inevitabilmente ha determinato il declassamento della diocesi Veneziana e in un certo senso la perdita dell'antico prestigio, per cui tanti fedeli ne sono rimasti amareggiati, occorre anche spiegare, senza nascondersi, che la ragione di fondo risiede nella crisi in cui versa da tempo la diocesi ambrosiana, apparsa tanto grave che per risolverla il Papa ha ritenuto di inviare la medicina più efficace, la migliore secondo lui, stante il fattore dell'età rappresentasse un detraente. Non sto qui a dilungarmi sulle ragioni e sui sintomi di questa crisi, mi basti citare alcuni casi eclatanti quali la controversa redazione del nuovo lezionario ambrosiano, la mancata recezione ed anzi l'avversione al motu proprio "Summorum Pontificum", il consistente calo delle vocazioni sacerdotali e le voci di dissenso che sovente si sono levate da molte personalità di prim'ordine di cui l'arcivescovo emerito si è circondato, come mons. Manganini. A questo si accompagna un fattore ancora più stringente, che molti autorevoli vaticanisti non hanno mancato di sottolineare, vale a dire le accuse e i veleni che per più di un anno hanno attraversato l'Istituto Toniolo, vera "cassaforte culturale ed economica dell'Università Cattolica", al centro di conflitti su nomine e gestione, tanto da creare un vero e proprio caso diplomatico (recentemente Tettamanzi è stato convocato in Vaticano a colloquio con il Papa e il Segretario di Stato). Una delle chiavi della nomina sta proprio in questo, cioè nell'incapacità dell'arcivescovo di gestire queste tensioni, e certamente il nuovo arcivescovo non potrà fare a meno di confrontarsi fin dall'inizio con una realtà tanto delicata, potendo però avvalersi del suo bagaglio di amministratore capace maturato a Venezia, oltre che di procacciatore di risorse, come gli anni da Patriarca hanno dimostrato.

Resta a questo punto la questione dolorosa della successione: e qui si tratta di interpretare il ruolo che Venezia ha ed avrà nel prossimo futuro, considerando anche il fatto che il quadro del tessuto sociale del veneziano e dell'intero Nordest è ben lontano dall'apparire di semplice gestione, con i suoi flussi turistici da primato nazionale che incidono in modo non indolore sulla demografia di queste terre ed anche sulle relazioni inter-personali (il caso di Venezia e del suo litorale sono un esempio illuminante). Un quadro, dunque, di tensioni sociali che ancora faticano a trovare soluzione, inserito in un contesto di crisi economica, e più in generale di crisi dei valori, che mette in discussione istituti che nella società civile di oggi appaiono sempre più come inattuali e superati.
C'è da dire anche che dopo Angelo Scola Venezia non sarà più la stessa di prima e di questo la nomina del successore dovrà tener presente: se sarà uno dei nomi vagliati e scartati per Milano, ebbene questa, inevitabilmente, rappresenterà un'involuzione e sarebbe davvero difficile da accettare. Se da una parte è vero che occorre pregare lo Spirito Santo, dall'altra parte, come in tutte le cose e come è stato per la evidente forzatura che ha rappresentato il caso di Milano, si rende necessaria, una certa dose di pragmatismo, unita naturalmente alla lungimiranza pastorale; viene da chiedersi: chi prenderà in mano i tanti capitoli lasciati incompiuti dalla partenza di Scola, primo fra tutti il neo costituito polo accademico? Chi riannoderà i fili e gli spunti dei tanti discorsi del Papa in visita a Venezia, anche in vista del Convegno inter-diocesano di Aquileia 2? Chi sarà capace di continuare il dialogo interreligioso con le confessioni non cristiane e chi potrà affacciarsi con autorevolezza alla finestra dell'Oriente, cui Venezia è consustanziale? Certamente non potrà essere qualcuno improvvisato, e mi risulta difficile credere che un diplomatico o un vescovo cha abbia come credenziale una semplice affinità di tipo geografico possa fare al caso.

Personalmente un'idea ce l'avrei, e francamente, sic stantibus rebus, mi sembra francamente l'unica via praticabile: non serve andare troppo lontano, se si ricorda che Scola era nato a Malgrate, basterebbe spostarsi solo un di un poco più a sud, per arrivare in Brianza, in un paese che si chiama Merate, e che alla fine non ci suonerebbe nemmeno così estraneo».

Lettera firmata

1 commento:

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