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venerdì 26 ottobre 2012

Il Purgatorio. II-I novissimi

Nel post precedente ho accennato ai Novissimi, cioè le cose ultime dell'uomo. In questo post vorrei presentare la dottrina della Chiesa sui Novissimi così come appare nel Catechismo Maggiore di San Pio X e nell'ultima edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Essa, nella conoscenza di quanto ci aspetta e di quanto il Signore ci ha promesso, ci sprona a vivere la nostra vita proiettata non più tra le preoccupazioni di questo mondo ma nell'altro, e ci dà motivo di pregare per i nostri fratelli defunti che si trovano nel Purgatorio, affinché giungano al più presto nella gloria del Cielo .

Dal Catechsimo Maggiore:

968. Che cosa intendete per Novissimi?
Novissimi sono chiamate nei Libri santi le cose ultime che accadranno all’uomo.
969. Quanti sono i Novissimi, o cose ultime dell’ uomo?
I Novissimi, o cose ultime dell’uomo, sono quattro:
Morte,
Giudizio,
Inferno,
Paradiso.
970. Perché i Novissimi si dicono cose ultime dell’uomo?
I Novissimi si dicono cose ultime dell’uomo, perché la Morte è l’ultima cosa che ci accade in questo mondo; il Giudizio di Dio è l’ultimo fra i giudizi che dobbiamo sostenere; l’Inferno è l’estremo male che avranno i cattivi; il Paradiso il sommo bene che avranno i buoni.
971. Quando dobbiamo noi pensare ai Novissimi?
È bene pensare ai Novissimi ogni giorno, e massimamente nel fare orazione alla mattina subito svegliati, alla sera prima di andare a riposo e tutte le volte che siamo tentati a far male, perché questo pensiero è validissimo a farci evitare il peccato.

Dal Catechsimo della Chiesa Cattolica:

1020 Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l'ultima volta, le parole di perdono dell'assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l'ha segnato, per l'ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:

« Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno ». [604]

I. Il giudizio particolare

1021 La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [605]. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [606] e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [607] così come altri testi del Nuovo Testamento [608] parlano di una sorte ultima dell'anima [609] che può essere diversa per le une e per le altre.

1022 Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione [610], o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, [611] oppure si dannerà immediatamente per sempre [612].

« Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore ». [613]

II. Il cielo

1023 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono « così come egli è » (1 Gv 3,2), « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12) [614]:

« Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo [...] e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c'era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate, [...] anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale — e questo dopo l'ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo — sono state, sono e saranno in cielo, associate al regno dei cieli e al paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l'essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura ». [615]

1024 Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata « il cielo ». Il cielo è il fine ultimo dell'uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.

1025 Vivere in cielo è « essere con Cristo » [616]. Gli eletti vivono « in lui », ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome [617]:

« Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi Regnum – La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c'è Cristo, là c'è la vita, là c'è il Regno ». [618]

1026 Con la sua morte e la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha « aperto » il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui.

1027 Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: « Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano » (1 Cor 2,9).

1028 A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo mistero alla contemplazione immediata dell'uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa « la visione beatifica »:

« Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l'onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, [...] godere nel regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell'immortalità raggiunta ». [619]

1029 Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all'intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui « regneranno nei secoli dei secoli » (Ap 22,5). [620]

III. La purificazione finale o purgatorio

1030 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo.

1031 La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze [621] e di Trento. [622] La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, [623] parla di un fuoco purificatore:

« Per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c'è, prima del giudizio, un fuoco purificatore; infatti colui che è la Verità afferma che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro (Mt 12,32). Da questa affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro ». [624]

1032 Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: « Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato » (2 Mac 12,45). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, [625] affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti:

« Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, [626] perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? [...] Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere ». [627]

IV. L'inferno

1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: « Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna » (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. [628] Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola « inferno ».

1034 Gesù parla ripetutamente della « geenna », del « fuoco inestinguibile », [629] che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo. [630] Gesù annunzia con parole severe: « Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente » (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,41).

1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, « il fuoco eterno ». [631] La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.

1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: « Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! » (Mt 7,13-14).

« Siccome non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti ». [632]

1037 Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; [633] questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole « che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi » (2 Pt 3,9):

« Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti ». [634]

V. Il giudizio finale

1038 La risurrezione di tutti i morti, « dei giusti e degli ingiusti » (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà « l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell'uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna » (Gv 5,28-29). Allora Cristo « verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli [...]. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [...] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna » (Mt 25,31-33.46).

1039 Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. [635] Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena:

« Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà (Sal 50,3) [...] egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me ». [636]

1040 Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l'ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l'opera della creazione e di tutta l'Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte. [637]

1041 Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini « il momento favorevole, il giorno della salvezza » (2 Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la « beata speranza » (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale « verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto » (2 Ts 1,10).

VI. La speranza dei cieli nuovi e della terra nuova

1042 Alla fine dei tempi, il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato:

Allora la Chiesa « avrà il suo compimento [...] nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l'uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo ». [638]

1043 Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l'umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l'espressione: « i nuovi cieli e una terra nuova » (2 Pt 3,13). [639] Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di « ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef 1,10).

1044 In questo nuovo universo, [640] la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. Egli « tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate » (Ap 21,4). [641]

1045 Per l'uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell'unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è « come sacramento ». [642] Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la « Città santa » di Dio (Ap 21,2), « la Sposa dell'Agnello » (Ap 21,9). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, [643] dall'amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione.

1046 Quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il mondo materiale e l'uomo:

« La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio [...] e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione [...]. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo » (Rm 8,19-23).

1047 Anche l'universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato, « affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti », [644] partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto.

1048 « Ignoriamo il tempo in cui saranno portate a compimento la terra e l'umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini ». [645]

1049 « Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza ». [646]

1050 « Infatti i beni della dignità dell'uomo, della comunione fraterna e della libertà, cioè tutti questi buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale ». [647] Dio allora sarà « tutto in tutti » (1 Cor 15,28), nella vita eterna:

« La vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre, che attraverso il Figlio nello Spirito Santo riversa come fonte su tutti noi i suoi doni celesti. E per la sua bontà promette veramente anche a noi uomini i beni divini della vita eterna ». [648]

In sintesi

1051 Ogni uomo riceve nella sua anima immortale la propria retribuzione eterna fin dalla sua morte, in un giudizio particolare ad opera di Cristo, giudice dei vivi e dei morti.

1052 « Noi crediamo che le anime di tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo [...] costituiscono il popolo di Dio nell'al di là della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi ». [649]

1053 « Noi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite attorno a Gesù e a Maria in paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com'è e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi e aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine ». [650]

1054 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma imperfettamente purificati, benché sicuri della loro salvezza eterna, vengono sottoposti, dopo la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia di Dio.

1055 In virtù della « comunione dei santi », la Chiesa raccomanda i defunti alla misericordia di Dio e per loro offre suffragi, in particolare il santo sacrificio eucaristico.

1056 Seguendo l'esempio di Cristo, la Chiesa avverte i fedeli della triste e penosa realtà della morte eterna, [651] chiamata anche « inferno ».

1057 La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio; in Dio soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.

1058 La Chiesa prega perché nessuno si perda: « Signore, [...] non permettere che sia mai separato da te ». [652] Se è vero che nessuno può salvarsi da se stesso, è anche vero che Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati » (1 Tm 2,4) e che per lui « tutto è possibile » (Mt 19,26).

1059 « La santissima Chiesa romana crede e confessa fermamente che nel [...] giorno del giudizio tutti gli uomini compariranno col loro corpo davanti al tribunale di Cristo per rendere conto delle loro azioni ». [653]

1060 Alla fine dei tempi, il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Allora i giusti regneranno con Cristo per sempre, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo materiale sarà trasformato. Dio allora sarà « tutto in tutti » (1 Cor 15,28), nella vita eterna.

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(604) Sacramento dell'Unzione e cura pastorale degli infermi, Raccomandazione dei moribondi, 236-237 (Libreria Editrice Vaticana 1984) p. 111-112.

(605) Cf 2 Tm 1,9-10.

(606) Cf Lc 16,22.

(607) Cf Lc 23,43.

(608) Cf 2 Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23.

(609) Cf Mt 16,26.

(610) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 856; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1304; Concilio di Trento, Sess. 25a, Decretum de purgatorio: DS 1820.

(611) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 857; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: DS 991; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1000-1001; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1305.

(612) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 858; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1002; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1306.

(613) San Giovanni della Croce, Avisos y sentencias, 57: Biblioteca Mística Carmelitana, v. 13 (Burgos 1931) p. 238.

(614) Cf Ap 22,4.

(615) Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1000; cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 49: AAS 57 (1965) 54.

(616) Cf Gv 14,3; Fil 1,23; 1 Ts 4,17.

(617) Cf Ap 2,17.

(618) Sant'Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 10, 121: CCL 14, 379 (PL 15, 1927).

(619) San Cipriano di Cartagine, Epistula 58, 10: CSEL 32, 665 (56, 10: PL 4, 367-368).

(620) Cf Mt 25,21.23.

(621) Cf Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1304.

(622) Cf Concilio di Trento, Sess. 25a, Decretum de purgatorio: DS 1820; Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 30: DS 1580.

(623) Per esempio, 1 Cor 3,15; 1 Pt 1,7.

(624) San Gregorio Magno, Dialogi, 4, 41, 3: SC 265, 148 (4, 39: PL 77, 396).

(625) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 856.

(626) Cf Gb 1,5.

(627) San Giovanni Crisostomo, In epistulam I ad Corinthios, homilia 41, 5: PG 61, 361.

(628) Cf Mt 25,31-46.

(629) Cf Mt 5,22.29; 13,42.50; Mc 9,43-48.

(630) Cf Mt 10,28.

(631) Cf Simbolo Quicumque: DS 76; Sinodo di Costantinopoli (anno 543), Anathematismi contra Origenem, 7: DS 409; Ibid., 9: DS 411; Concilio Lateranense IV, Cap. 1, De fide catholica: DS 801; Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 858; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1002; Concilio di Firenze, Decretum pro Iacobitis: DS 1351; Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 25: DS 1575; Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 12: AAS 60 (1968) 438.

(632) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48: AAS 57 (1965) 54.

(633) Cf Concilio di Orange II, Conclusio: DS 397; Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 17: DS 1567.

(634) Preghiera eucaristica I o Canone Romano: Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 386.

(635) Cf Gv 12,48.

(636) Sant'Agostino, Sermo 18, 4, 4: CCL 41, 247-249 (PL 38, 130-131).

(637) Cf Ct 8,6.

(638) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48: AAS 57 (1965) 53.

(639) Cf Ap 21,1.

(640) Cf Ap 21,5.

(641) Cf Ap 21,27.

(642) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1: AAS 57 (1965) 5.

(643) Cf Ap 21,27.

(644) Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 1: SC 153, 398 (PG 7, 1210).

(645) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 39: AAS 58 (1966) 1056-1057.

(646) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 39: AAS 58 (1966) 1057.

(647) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 39: AAS 58 (1966) 1057; cf Id., Cost. dogm. Lumen gentium, 2: AAS 57 (1965) 5-6.

(648) San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses illuminandorum, 18, 29: Opera, v. 2, ed. J. Rupp (Monaco 1870) p. 332 (PG 33, 1049).

(649) Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 28: AAS 60 (1968) 444.

(650) Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 29: AAS 60 (1968) 444.

(651) Cf Congregazione per il Clero, Direttorio catechistico generale, 69: AAS 64 (1972) 141.

(652) Preghiera prima della Comunione: Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 421.

(653) Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 859; cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 16: DS 1549.

giovedì 25 ottobre 2012

Il Purgatorio. I-La morte nel mondo di oggi

In questi giorni che anticipano e in quelli che seguiranno i due giorni di Ognissanti e della Commemorazione di tutti i fedeli defunti desidero scrivere una serie di post dedicati alla dottrina della Chiesa cattolica sul Purgatorio, al fine di far convergere la preghiera e la meditazione sul Mistero del Purgatorio e sulle anime dei defunti ivi imprigionate. In questo primo post faccio una personale analisi sull'interpretazione della morte e della vita dopo la morte che oggi sembra essere più diffusa tra i credenti e i non credenti.
Nel nostro mondo sempre più secolarizzato, anche la morte e la vita dopo la morte stanno subendo un processo di progressiva scristianizzazione anche da parte di chi si professa cristiano. Una conseguenza particolarmente curiosa di questo processo è il fatto che oggi credere in una vita dopo la morte non è più il tratto che contraddistingue un credente da un ateo. Infatti fino a pochi anni fa, ma c'è chi continua ad asserirlo ancora, moltissimi pensatori atei accusavano i credenti per il fatto che la loro fede sarebbe debole proprio perché essi non si accontenterebbero della morte come fine della vita, ma, a motivo di consolazione illusoria (questo è quello che gli atei affermano), credono che la vita continui nell'aldilà. In realtà oggi sembra che siano più gli atei, seguiti purtroppo anche da una buona fetta di coloro che si dicono cristiani, a credere ad una certa vita dopo la morte, che però nulla ha a che vedere con quella vera; essa sembra fatta apposta per consolare quelli che restano qui sulla terra, piuttosto che per coloro che effettivamente entrano nell'aldilà.
Queste le caratteristiche dello stravagante "aldilà", che molto (troppo) sembra avere in comune con l'aldiqua: innanzitutto tutti coloro che ci lasciano diventerebbero angeli, senza alcuna coscienza di cosa effettivamente gli Angeli siano. Questa metamorfosi angelica sembra essere poi legata all'età ed alle circostanze che hanno portato alla morte: in generale più il defunto è giovane e più sarebbe facile che diventi un angelo, così come accade quanto più improvvisa è la morte. In questa vita futura essi continuerebbero a svolgere le attività che svolgevano da "vivi", o meglio, continuerebbero a fare soltanto quello che a loro piaceva fare da vivi (fosse stato anche andare a donne); guarderebbero ai loro congiunti rimasti sulla terra con uno sguardo non buono, ma buonista, evitando ogni possibile rimprovero, ma piuttosto incoraggiando ogni azione che i vivi credono buona per loro. Questo genere di convinzione sembra rafforzarsi quando nei funerali cristiani, specialmente di giovani morti improvvisamente, si lascia ai loro amici ricoprire la bara con magliette della squadra del cuore, portare, in chiesa o fuori, motociclette, automobili, strumenti musicali che il defunto apprezzava in vita, richiedere ai musicisti di parrocchia "canzoni allegre" perché il defunto era una persona allegra. Infine, in alcuni casi sempre più frequenti, si richiede la cremazione del corpo per tenerselo in casa o per spargerne le ceneri in mare, sulla terra o addirittura nello spazio; è assai raro, infatti, vedere giovani recarsi in un cimitero per pregare sulla tomba di un loro amico defunto.
Grande assente in questo tipo di cerimonie funebri è proprio la preghiera; l'unica parvenza di preghiera è quella per gli astanti, dal momento che è diffusa la convinzione che per il morto non serva pregare, se davvero è "un angelo" che felice saltella per i prati di un paradiso molto simile alla nostra terra. C'è da dire che molto spesso ci si mettono anche i preti, che durante i funerali pronunciano, più che omelie, vere e proprie "agiografie" del defunto, sempre per la convinzione che in un funerale non si debba pregare per il defunto ma serva molto più preoccuparsi di quello che vuole sentirsi dire l'"Assemblea". Come conseguenza alcuni di questi sacerdoti consentono, specialmente dopo la Comunione, ricordi funebri da parte di parenti e amici sullo stile hollywoodiano che vediamo al cinema o in tv, oppure smettono le vesti nere, il colore proprio del rito funebre, per indossare quelle viola (che forse, credono, sia di un impatto meno negativo sull'"Assemblea") o peggio quelle bianche (perché il defunto è già puro e santo); alcuni arrivano addirittura ad insegnare che il funerale è un matrimonio, il matrimonio dell'anima del defunto con Dio, e pertanto, durante la funzione, cercano, magari in buona fede, di strappare un sorriso sulle facce dei poveri congiunti.
Questo tipo di cerimonie forse potrà consolare parenti e amici, anche se dubito che si possa essere pienamente consolati allo stesso modo di come si fa coi bambini, magari dicendo cose false. Se davvero fosse questo l'aldilà avrebbero ragione gli atei che accusano i credenti di crearsi il paradiso che vogliono o che si immaginano, perché è proprio questa la verità: questo è un paradiso inventato. Cosa ne è della pietà per il defunto? Se il defunto avesse bisogno di preghiere per la sua anima, chi le eleverà al suo posto, se parenti e amici sono convinti della sua salvezza?
In tutto questo ragionamento manca un appiglio fondamentale per un cattolico, la dottrina cristiana; accanto al Paradiso (alla cui esclusiva presenza molti sembrano ridurre l'aldilà) mancano l'Inferno e il Purgatorio; mancano il Giudizio particolare ed il Giudizio universale; mancano, in altre parole, i Novissimi, le cose ultime, che un tempo la Chiesa insegnava ma che ora sono viste come qualcosa di sorpassato.
Nei prossimi post dedicati al Purgatorio approfondiremo più dettagliatamente la dottrina della Chiesa a proposito della vita dopo la morte, come essa richieda da parte dei vivi non astrazione sullo stato dei propri defunti, ma innanzitutto preghiera e speranza e come la conoscenza della verità sulla morte cristiana diventi uno sprone non solo per gli istanti ultimi della propria vita, ma per tutta la durata della nostra vita e di quella degli altri.

domenica 21 ottobre 2012

Ritorna il Fanone nelle cerimonie papali

Il ritorno del Fanone! Benedetto XVI indica: "il Papa sono io"
Da cantualeantonianum.com

Sbalordito da ciò che sto vedendo in TV: confesso che non ho seguito nulla delle preparazioni delle celebrazioni pontificie questa settimana, perché ero in pellegrinaggio in Terra Santa (sono ben scusato...)!
Vedo il Papa portare il FANONE quella specie di mozzetta a righe rosse, oro e bianche che avevamo visto per l'ultima volta indossata da Giovanni Paolo II nel 1984.
E' un paramento papale che si usa nelle più solenni celebrazioni, come oggi la canonizzazione dei santi. Il suo nome pare derivare da pannus, cioè panno, stoffa. Proviene dall'amitto e in antico aveva la stessa funzione e ne teneva il posto. Il fanone è già citato dall'Ordo Romanus dell'VIII sec, e all'inizio non era di uso esclusivo dei Papi. L'utilizzo del fanone però è rimasto dal XII sec. prerogativa dei soli sommi Pontefici (per decisione di Innocenzo III) e ha preso significati simbolici peculiari, in riferimento ai paramenti dei sacerdoti biblici. L'attuale forma circolare con le strisce di determinati colori pare risalire però solo al XVI sec., precedentemente era quadrangolare.
Innocenzo III spiega che il fanone, chiamato allora "orale" rappresenta l'antico Efod del Sommo Sacerdote ebraico:

"Romanus Pontifex post albam et cingulum assumit orale [fanon], quod circa caput involvit et replicat super humeros, legalis pontificis ordinem sequens, qui post lineam strictam et zonam induerunt ephod id est super-humerale" Innocentius III, De Myst. Missæ, I, c. 53.

Altri significati di sapore ecumenico, per quanto interessanti, non sono attestati dalla tradizione antica.
Il fanone fa anche parte dei paramenti con cui il Papa è rivestito, una volta defunto, per essere esposto all'estremo saluto dei fedeli.

Alcune foto di recenti papi con indosso il fanone:

Papa San Pio X
Papa Benedetto XV
Papa Venerabile Pio XII
Papa Beato Giovanni XXIII
Papa Servo di Dio Paolo VI
Papa Beato Giovanni Paolo II

Fonte: cantualeantonianum.com, foto tratte dalla rete.

venerdì 12 ottobre 2012

Fiaccolata in Piazza San Pietro - Discorso del Papa

Cari fratelli e sorelle: buonasera a tutti voi e grazie per essere venuti! Grazie anche all'Azione Cattolica Italiana che ha organizzato questa fiaccolata!
Cinquant'anni fa, in questo giorno, anch'io sono stato qui in piazza con lo sguardo verso questa finestra, dove si è affacciato il Buon Papa, il beato Papa Giovanni, e ha parlato a noi con parole indimenticabili, parole piene di poesia, di bontà: parole del cuore. Eravamo felici, direi pieni di entusiasmo: il grande concilio ecumenico era inaugurato, eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa, una nuova Pentecoste, una nuova presenza forte della Grazia liberatrice del Vangelo.
Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant'anni abbiamo imparato e esperito che il peccato originale esiste e si traduce sempre di nuovo in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c'è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: "Il Signore dorme e ci ha dimenticato".
Questa è una parte delle esperienze fatte in questi cinquant'anni; ma abbiamo anche avuto una nuova esperienza della presenza del Signore, della Sua bontà, della Sua forza: il fuoco dello Spirito Santo, il fuoco di Cristo, non è un fuoco divoratore, distruttivo, è un fuoco silenzioso, è una piccola fiamma di bontà e di verità, che trasforma, dà luce e calore. Abbiamo visto che il Signore non ci dimentica: anche oggi, col suo modo umile, il Signore è presente e dà calore ai cuori, mostra vita, crea carismi di bontà, di carità, che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio. Sì, Cristo vive, è con noi anche oggi e possiamo essere felici anche oggi, perché la Sua bontà non si spegne, è forte anche oggi.
Alla fine oso fare mie le parole indimenticabili di Papa Giovanni: andate a casa, date un bacio ai bambini e dite che è del Papa. In questo senso di tutto cuore vi imparto la mia benedizione.

giovedì 11 ottobre 2012

Apertura dell'Anno della Fede

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede. Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, in particolare a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e a Sua Grazia Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. Un pensiero speciale ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali. Per fare memoria del Concilio, che alcuni di noi qui presenti – che saluto con particolare affetto - hanno avuto la grazia di vivere in prima persona, questa celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, che farò al termine, prima della Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano ad entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso. E questo senso è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.

L’Anno della fede che oggi inauguriamo è legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull’ansia apostolica di annunciarlo al mondo. Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2).

Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell’evangelizzazione. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E’ un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).

Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI nel '67.

Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito ed insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni nell'inaugurazione del Concilio.

Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.

Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.

Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono.

Venerati e cari Fratelli, l’11 ottobre 1962 si celebrava la festa di Maria Santissima Madre di Dio. A Lei affidiamo l’Anno della fede, come ho fatto una settimana fa recandomi pellegrino a Loreto. La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Paolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre» (Col 3,16-17). Amen.

Fonte: vatican.va

Indulgenza per l'Anno della Fede

Città del Vaticano, 5 ottobre 2012 (VIS). Il Santo Padre Benedetto XVI concederà ai fedeli l'indulgenza plenaria nell'Anno della Fede che sarà valida dalla data di apertura (11 ottobre 2012 fino alla data di chiusura, il 24 novembre 2013), come si legge in un decreto reso pubblico oggi, a firma del Cardinale Manuel Monteiro de Castro, Penitenziere Maggiore e del Vescovo Krzysztof Nykiel, Reggente della Penitenziera Apostolica.

"Nel giorno del cinquantesimo anniversario dalla solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II - si legge nel Decreto - il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha stabilito l’inizio di un Anno particolarmente dedicato alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione, con la lettura, o meglio, la pia meditazione degli Atti del Concilio e degli Articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica".

"Poiché si tratta anzitutto di sviluppare in sommo grado – per quanto è possibile su questa terra – la santità di vita e di ottenere, quindi, nel grado più alto la purezza dell’anima, sarà molto utile il grande dono delle Indulgenze, che la Chiesa, in virtù del potere conferitole da Cristo, offre a tutti coloro che con le dovute disposizioni adempiono le speciali prescrizioni per conseguirle".

"Durante tutto l’arco dell’Anno della fede, indetto dall’11 Ottobre 2012 fino all’intero 24 Novembre 2013, potranno acquisire l’Indulgenza plenaria della pena temporale per i propri peccati impartita per la misericordia di Dio, applicabile in suffragio alle anime dei fedeli defunti, tutti i singoli fedeli veramente pentiti, debitamente confessati, comunicati sacramentalmente, e che preghino secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

a.- Ogniqualvolta parteciperanno ad almeno tre momenti di predicazione durante le Sacre Missioni, oppure ad almeno tre lezioni sugli Atti del Concilio Vaticano II e sugli Articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica, in qualsiasi chiesa o luogo idoneo;

b.- Ogniqualvolta visiteranno in forma di pellegrinaggio una Basilica Papale, una catacomba cristiana, una Chiesa Cattedrale, un luogo sacro designato dall’Ordinario del luogo per l’Anno della fede (ad es. tra le Basiliche Minori ed i Santuari dedicati alla Beata Vergine Maria, ai Santi Apostoli ed ai Santi Patroni) e lì parteciperanno a qualche sacra funzione o almeno si soffermeranno per un congruo tempo di raccoglimento con pie meditazioni, concludendo con la recita del Padre Nostro, la Professione di Fede in qualsiasi forma legittima, le invocazioni alla Beata Vergine Maria e, secondo il caso, ai Santi Apostoli o Patroni;

c.- Ogniqualvolta, nei giorni determinati dall’Ordinario del luogo per l’Anno della fede (ad es. nelle solennità del Signore, della Beata Vergine Maria, nelle feste dei Santi Apostoli e Patroni, nella Cattedra di San Pietro), in qualunque luogo sacro parteciperanno ad una solenne celebrazione eucaristica o alla liturgia delle ore, aggiungendo la Professione di Fede in qualsiasi forma legittima;

d.- un giorno liberamente scelto, durante l’Anno della fede, per la pia visita del battistero o altro luogo, nel quale ricevettero il sacramento del Battesimo, se rinnoveranno le promesse battesimali in qualsiasi formula legittima.

I Vescovi Diocesani o Eparchiali, e coloro che nel diritto sono ad essi equiparati, nel giorno più opportuno di questo tempo, in occasione della principale celebrazione (ad es. il 24 Novembre 2013, nella solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo, con la quale si chiuderà l’Anno della fede) potranno impartire la Benedizione Papale con l’Indulgenza plenaria, lucrabile da parte di tutti fedeli che riceveranno tale Benedizione devotamente.

Il Decreto si conclude ricordando che tutti i fedeli che "per malattia o gravi motivi" non possono uscire di casa, potranno ottenere l'indulgenza plenaria "se, uniti con lo spirito e con il pensiero ai fedeli presenti, particolarmente nei momenti in cui le Parole del Sommo Pontefice o dei Vescovi Diocesani verranno trasmesse per televisione e radio, reciteranno nella propria casa o là dove l’impedimento li trattiene il Padre Nostro, la Professione di Fede in qualsiasi forma legittima, e altre preghiere conformi alle finalità dell’Anno della fede, offrendo le loro sofferenze o i disagi della propria vita.

Fonte: annusfidei.va
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