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mercoledì 30 marzo 2011

Mons. Mario Oliveri su motu proprio e riforma liturgica

Dal blog messainlatino.it traggo questa interessantissima lettera scritta da mons. Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia nonché membro della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, sulla liturgia. Egli parla molto brevemente del motu proprio Summorum Pontificum col quale papa Benedetto XVI ha liberalizzato l'utilizzo del Messale antico, riformato da papa Giovanni XXIII nel 1962. Il presule però non si sofferma sulla liturgia antica, come se il motu proprio del papa fosse un atto magisteriale rivolto esclusivamente ai cattolici tradizionalisti; egli vede l'importanza di questo atto magisteriale per tutta la Chiesa, in accordo con le intenzioni del pontefice (così come le espresse nella lettera accompagnatoria e nel motu proprio stessi), e l'opportunità per il rito ordinario, quello riformato dopo il Concilio Vaticano II, sia di arricchirsi dal rito antico che, soprattutto, di correggere quegli aspetti che si riconoscono essere "non in continuità con la Liturgia antica", ovvero gli abusi liturgici che, purtroppo, spesso sono tollerati anziché chiaramente corretti.Leggiamo dunque la lettera in questione, associandoci nella preghiera al Signore per il vescovo mons. Oliveri e per le sue intenzioni:

Rev.do e Caro Padre Nuara,

La Sua calorosa proposta, presentatami anche per iscritto, di un mio intervento al III Convegno sul Motu Proprio “Summorum Pontificum”, che avesse come argomento i contenuti teologici della Liturgia antica, non ha lasciato il mio animo indifferente, ma non ho – con mio grande rincrescimento – trovato la forza di superare una grossa difficoltà che proviene dalle condizioni di salute di un mio fratello, grande invalido, al quale mi lega un primario dovere di fraterna assistenza.

Poiché dovrò assentarmi da mio fratello dal 23 al 27 Maggio, per partecipare questa volta imperativamente all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (per le ragioni familiari menzionate, sono già stato assente dall’Assemblea Generale Straordinaria dello Scorso Novembre), creerebbe grave ed insuperabile disagio la mia lontananza da casa anche nei giorni 13-15 Maggio.

Con tutta sincerità, posso dire che avrei partecipato molto volentieri al III Convegno sul “ Motu Proprio”, poiché sarebbe stata per me la felice – e credo feconda – occasione per esprimere ad un pubblico qualificato, ed avendo una “audience” molto ampia, le profonde convinzioni del mio animo di Vescovo circa la straordinaria importanza per la vita della Chiesa dell’atto magisteriale e di supremo governo compiuto dal Papa Benedetto XVI con detto “Motu Proprio”. Avrei potuto esporre le ragioni che hanno generato e generano in me tale convinzione. Voglia permettermi, caro Padre, di formularle brevemente con questo scritto, e quindi – se lo riterrà opportuno – farle risuonare in qualche momento del Convegno.

In tutto ciò che tocca la vera essenza della Chiesa è di vitale importanza mostrare in ogni tempo, ma ancor più nei momenti storici in cui si è data l’idea che tutto sia in perenne cambiamento, che non sono possibili mutamenti radicali che intacchino la sostanza degli elementi costitutivi della Chiesa stessa, e cioè la sua Fede, la sua realtà soprannaturale e dunque i suoi Sacramenti e quindi la sua Liturgia, il suo sacro ministero di governo (cioè la sua capacità soprannaturale di trasmettere tutti i doni da Cristo dati alla sua Chiesa per mezzo dei suoi Apostoli e perpetuati mediante la Successione Apostolica).

Il Motu Proprio “Summorum Pontificum”, dichiarando che la Liturgia può essere celebrata nella sua forma antica, cioè nella forma in cui è stata celebrata per secoli sino alla “riforma” messa in atto dopo il Concilio Vaticano II, ha in maniera solenne sancito:

a) L’immutabilità del contenuto della Divina Liturgia, e che quindi i cambiamenti che in qualche suo esteriore elemento o forma possono introdursi non possono mai essere tali da mutare la Fede della Chiesa che la Liturgia esprime, o da mutare il suo contenuto divino-sacramentale, il suo contenuto di grazia soprannaturale. Per portare un esempio: le variazioni esteriori nel Rito della Santa Messa, o della Divina Eucaristia, non possono indurre o spingere ad avere un’altra concezione di fede circa il contenuto di Essa, né possono legittimamente indurre a pensare che nella sua celebrazione diventi superfluo o non necessario il ruolo celebrativo che compete soltanto a chi ha ricevuto sacramentalmente la capacità soprannaturale di agire “in persona Christi”; non possono soprattutto offuscare il carattere sacrificale della Santa Messa;

b) Che la “riforma” post-conciliare non può legittimamente interpretarsi come una mutazione “in substantialibus”: se così è stato ritenuto, se qui o là si celebra nella forma che il Motu Proprio chiama “ordinaria” in modo da poter indurre in errore circa il vero contenuto della Divina Liturgia, in modo da offuscare anche minimamente la vera fede nel vero contenuto della Santa Messa o di altri Sacramenti, è necessario che avvengano delle correzioni, è quanto mai urgente addivenire ad una “riforma della riforma”,studiando accuratamente quali elementi della “riforma”post-comciliare siano tali da potersi interpretare non in continuità con la Liturgia antica, quali possono facilitare – se non indurre – celebrazioni non corrette; nell’immediato è necessaria una catechesi liturgica che dissipi ogni nebbia; è necessario che tutti gli abusi nella celebrazione non siano tollerati ma chiaramente corretti.

c) È divenuto particolarmente imperativo rispettare chiarissimamente il legame inscindibile tra Fede e Liturgia, tra Liturgia e Fede; l’offuscamento della fede genera devastazione liturgica, devastazione nella “lex orandi”, e questa devastazione corrompe la fede, o almeno la offusca, la rende incerta.

Queste considerazioni avrebbero potuto essere in concreto mostrate da uno studio comparativo tra l’antica e la nuova forma del conferimento dell’Ordine Sacro, del Sacramento dell’Ordine, ma sono certo che ben saranno esposte e sviluppate con saggezza e competenza dagli Em.mi ed Ecc.mi Relatori del Convegno. Ad essi mi unisco con tutto l’animo e ad Essi dico la mia profonda comunione spirituale.

Invoco l’assistenza dello Spirito Santo sullo svolgimento del Convegno ed auspico che esso sia apportatore di molto bene alla Chiesa, a noi Vescovi ed a tutti i suoi ministri che debbono operare avendo ben presente che culmine e fonte di tutta la vita e missione della Chiesa è la Divina Liturgia, la Celebrazione dei Divini Misteri.

A Lei, caro Padre, la mia distinta e devota stima.

Albenga, 8 Febbraio 2011

Suo aff.mo in Domino

+ Mario Oliveri
Vescovo di Albenga-Imperia
Membro della Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti

domenica 27 marzo 2011

Benedetto XVI e l'Ars celebrandi

«L'ars celebrandi è la migliore condizione per l'actuosa participatio. L'ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa.»

Continuiamo l'approfondimento del Magistero del papa in ambito di liturgia in vista della sua visita ad Aquileia e Venezia ormai vicina. Come si può evincere dal trafiletto riportato in apertura di questo articolo, tratto dall'esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, vorrei approfondire gli aspetti che Benedetto XVI chiama Ars celebrandi (che letteralmente si traduce "arte del celebrare") e dell'Actuosa participatio (ovvero della "partecipazione attiva"). Il primo aspetto trova una definizione completa anche in questa esortazione apostolica, dove si legge che l'Ars celebrandi è "l'arte di celebrare rettamente" (Sacramentum Caritatis n. 38). Al giorno d'oggi pare quasi un controsenso l'accostamento della parola "arte" ad un aggettivo che ne connota una fisionomia in qualche modo oggettiva come "retto", giusto, corretto; bisogna dire che nell'arte, specialmente in quella moderna, sembra essere sparita l'oggettività, anche qui si è fatto largo fino a dominare il relativismo. Invece il papa ci fa capire che esiste un criterio oggettivo, qualcosa che ci consente di dire quando la liturgia è celebrata rettamente, e quindi diventa essa stessa "arte"; e il criterio è il seguente: «L'ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza». Forse non tutti i lettori sanno che ogni liturgia (a partire dalla Santa Messa, ma poi anche l'Adorazione Eucaristica, la Liturgia delle Ore etc.) è regolata da principi e norme, contenuti nel breviario o nell'introduzione al Messale, e stabilite anche dagli atti Magisteriali del papa e della Chiesa (come le già molte volte citate Sacrosanctum Concilium, Redemptionis Sacramentum...). Perché, viene da chiedersi, c'è bisogno di dare una normativa alla liturgia? Non si rischia forse di inquadrare la preghiera in fredde leggi e rubriche? La giusta chiave di lettura ci giunge dal numero 40 dell'esortazione che stiamo approfondendo:

«La celebrazione eucaristica trova giovamento là dove i sacerdoti e i responsabili della pastorale liturgica si impegnano a fare conoscere i vigenti libri liturgici e le relative norme [...]. Sono testi in cui sono contenute ricchezze che custodiscono ed esprimono la fede e il cammino del Popolo di Dio lungo i due millenni della sua storia.»

Quindi, in primo luogo, questi principi e norme non sono dei burocratici codici che raccolgono articoli e commi, ma contengono la ricchezza della liturgia, e sono il mezzo con il quale esprimere la Fede in continuità con tutti i duemila anni di storia del Popolo di Dio. D'altra parte, quale essere umano, laico o sacerdote, può avanzare la pretesa di decidere da sè a proposito della liturgia, nella quale Nostro Signore Gesù Cristo torna a vivere in maniera incruenta il suo Supremo Sacrificio? Non da solo l'uomo può celebrare il Signore facendo cosa a Lui gradita, ma solo con il Suo aiuto può riuscirci; ecco perché è la Chiesa, con il suo Magistero, a promulgare le norme che rendono valida, vera ed autentica la litrugia. E, se noi siamo cattolici, sappiamo che la Chiesa, pur costituita di uomini peccatori, è Santa (lo troviamo nel Credo tutte le domeniche), e che a Pietro e ai suoi successori lo stesso Signore Nostro Gesù Cristo ha dato il potere di sciogliere e legare ogni cosa. Quindi seguire le norme contenute nei libri liturgici non è una forma di controllo quasi "politico" che la Chiesa esercita sui fedeli, ma è un atto d'amore e d'obbedienza nei confronti di Colui che ci ha amati per primo. E solo essendo obbedienti ai comandi del Signore, che Egli vuole trasmetterci tramite il Magistero, capiamo anche che la liturgia non è una cosa nostra, che possiamo manipolare, tagliare o allungare come più ci aggrada, quasi a costringere Gesù Cristo a venire a noi alle nostre condizioni.
Già in queste cose si capisce come dall'Ars celebrandi discenda quella che già dal Concilio Vaticano II è chiamata Actuosa participatio, cioè viva, attiva partecipazione dei fedeli. Già in altre occasioni abbiamo avuto modo di vedere come si siano date diverse interpretazioni, talvolta errate, della parola "partecipazione" riferita alla Santa Messa; alcuni dicono che ciò sia colpa del Concilio, i cui testi non sarebbero chiari a sufficienza, e non è da escludere che in parte sia dovuto anche a quello, ma io credo che sia principalmente dovuto al fatto che il post-Concilio si è trovato a svilupparsi in un'epoca di fermento sociale e morale (la famosa Contestazione). Così, secondo alcuni, "partecipazione attiva" dei fedeli significa che essi devono svolgere una "parte" durante la Santa Messa, come gli attori durante una commedia, percui la ritualità della celebrazione deve in qualche senso piegarsi al particolare tipo di pubblico che il prete ha di fronte; l'assemblea deve cantare tutto, poiché se accade che uno o più canti siano proposti dalla sola schola cantorum, questo significherebbe privare l'assemblea della possibilità di partecipare. Si pensa, cioè, che i fedeli siano tanto più motivati alla frequenza della Santa Messa quanto più abbiano un ruolo importante; ma questo va inevitabilmente nella direzione di appiattire le differenze tra il prete e l'assemblea, che diventano entrambi attori, con pari dignità, in questo grande "spettacolo" che diventa la Messa. Ci accorgiamo, quindi, di correre il rischio, denunciato anche da papa Giovanni Paolo II, di una clericalizzazione dei laici e laicizzazione del clero. Da questo ci mettono in guardia il papa e i vescovi nella Sacramentum Caritatis, dove ai numeri 52 e 53 leggiamo:

«Non dobbiamo nasconderci il fatto che a volte si è manifestata qualche incomprensione precisamente circa il senso di questa partecipazione. Conviene pertanto mettere in chiaro che con tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l'attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l'esistenza quotidiana.[...] È utile ricordare che la partecipazione attiva ad essa non coincide di per sé con lo svolgimento di un ministero particolare. Soprattutto non giova alla causa della partecipazione attiva dei fedeli una confusione che venisse ingenerata dalla incapacità di distinguere, nella comunione ecclesiale, i diversi compiti spettanti a ciascuno. In particolare, è necessario che vi sia chiarezza riguardo ai compiti specifici del sacerdote. Egli è in modo insostituibile, come attesta la tradizione della Chiesa, colui che presiede l'intera Celebrazione eucaristica, dal saluto iniziale alla benedizione finale. In forza dell'Ordine sacro ricevuto, egli rappresenta Gesù Cristo, capo della Chiesa e, nel modo suo proprio, anche la Chiesa stessa.»

Dunque "partecipazione" non significa svolgere una "parte", ma piuttosto "prendere parte"; e se, come dice l'esortazione apostolica, siamo consapevoli del mistero che viene celebrato, ossia il Sacrificio di Nostro Signore sulla Croce, ci rendiamo conto di quanto sia profonda ed esigente la partecipazione actuosa che ci è richiesta: ci è chiesto di prendere anche noi parte al Sacrificio di Cristo, come san Giovanni e la Vergine Santa ai piedi della Croce. Così, se si ha la fortuna di assistere ad una Santa Messa dove la schola cantorum canta (bene) alcune parti ad essa proprie, il fedele, ascoltando, potrà partecipare molto più attivamente che se si trovasse a battere o agitare le mani, a inneggiare con il canto a non si sa bene quale pace prima dell'Agnello di Dio (distraendosi, quindi, da quello che sta avvenendo sull'altare) o a pronunciare direttamente parti della Messa che per natura spettano solo al sacerdote. Qui, per concludere, si apre la consueta parentesi sulla dignità del canto litrugico; quale forma d'arte, la musica ha un ruolo predominante nel contribuire all'Ars celebrandi. Al numero 42 dell'esortazione troviamo il chiaro desiderio del papa in merito al canto sacro:

«Davvero, in liturgia non possiamo dire che un canto vale l'altro. A tale proposito, occorre evitare la generica improvvisazione o l'introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia. In quanto elemento liturgico, il canto deve integrarsi nella forma propria della celebrazione. Di conseguenza tutto – nel testo, nella melodia, nell'esecuzione – deve corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici. Infine, pur tenendo conto dei diversi orientamenti e delle differenti tradizioni assai lodevoli, desidero, come è stato chiesto dai Padri sinodali, che venga adeguatamente valorizzato il canto gregoriano, in quanto canto proprio della liturgia romana.»


Di seguito il link all'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis da cui ho preso alcuni stralci per questo articolo:
Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis

giovedì 24 marzo 2011

Annunciazione del Signore

Domani, 25 marzo, la Chiesa celebrerà la solennità dell'Annunciazione del Signore; ricorderemo l'Annuncio dell'Arcangelo Gabriele alla Beata Vergine Maria del Concepimento di Gesù Cristo Salvatore nel suo grembo verginale. La scelta di porre questa ricorrenza il 25 marzo si spiega facilmente: oggi infatti sono nove mesi esatti prima del Natale del Signore, il 25 dicembre, ed è dunque la data più adeguata ad accogliere questa festa. Qualcuno mette in dubbio la Fede stessa dei cristiani e dei cattolici in particolare proprio per la singolare conincidenza di queste ricorrenze religiose; tutti noi, infatti, avremo sentito quelli che dicono che il Natale è posto in inverno al posto di una festa pagana del sole, e l'Annunciazione coincide con la primavera astronomica. Questi argomenti, tuttavia, non minano affatto la veridicità delle Scritture, che tacciono sul giorno e sul mese in cui questi fatti sono accaduti: per i primi cristiani, infatti, era importante celebrare non tanto la nascita terrena, quanto la nascita al cielo, ovvero il giorno della morte. Coerentemente a questo, i primi cristiani ricordavano piuttosto la morte di Cristo in Croce, insieme alla Risurrezione. Ma ben presto si sentì il bisogno di celebrare anche il giorno della Nascita del Signore; scrive infatti san Giovanni Crisostomo: «Se Cristo non fosse nato secondo la carne, non sarebbe stato battezzato, che è l'Epifania. Non sarebbe stato crocifisso, che è la Pasqua. Non avrebbe mandato lo Spirito, che è la Pentecoste». La tesi della scelta del 25 dicembre in sostituzione della ricorrenza pagana del sol invictus risalirebbe al XII secolo, e il motivo sarebbe quello di voler in qualche modo battezzare, purificare da ogni culto pagano, il calendario. Tuttavia, in tempi molto recenti, si è fatta avanti un'altra teoria, grazie agli studi degli storici sulla Bibbia e sui famosi rotoli del mar morto ritrovati a Qumran intorno alla metà del secolo scorso, secondo la quale queste date non sarebbero stabilite per una scelta dei cristiani, ma riflettano effettivamente una verità storica. Nei rotoli è stato rinvenuto il calendario delle classi sacerdotali ebraiche; sapendo che Zaccaria, il padre del Battista, era della classe di Abia (Lc 1,5) e che quando l'Arcangelo Gabriele annunciò alla Vergine il Concepimento di Cristo Elisabetta era al sesto mese di gravidanza (Lc 1,36), è stato possibile ricostruire una possibile data per l'annuncio dell'Angelo a Zaccaria (Lc 1,11-22) attorno alla fine di settembre (a conferma di ciò le Chiese orientali ricordano il concepimento del Battista il 23 settembre), e quindi l'annuncio dell'Angelo a Maria sei mesi dopo, a fine marzo.
Al di là delle considerazioni sulla data, con questa ricorrenza (tanto importante da essere celebrata dalla Chiesa come solennità) ricordiamo il grande mistero dell'Incarnazione di Nostro Signore, che si è degnato di spogliare se stesso ed assumere la nostra condizione servile, diventando simile a noi in tutto fuorché nel peccato, e pertanto ricordiamo anche l'«Ecce ancilla Domini» della Beata Vergine alle parole dell'Angelo, Lei che era stata preservata da ogni macchia di peccato per i meriti della Redenzione del suo Figlio Gesù Cristo. Quel «sì» che si è rinnovato in ogni momento della vita della Madonna al fianco del suo Figlio, in particolare quando, alla Presentazione al Tempio, Simeone Le predisse che una spada le avrebbe trafitto l'anima, e ancor più sotto la Croce. Una solennità del Signore, dunque, ed anche della Madonna, che non stupisce possa cadere sempre tra la Quaresima e la Pasqua; in particolare quest'anno il 25 marzo è addirittura venerdì di Quaresima, giorno in cui tradizionalmente le comunità cristiane meditano la Passione di Cristo mediante la Via Crucis. Tra queste stazioni della pietà popolare si ricorda come la Madre di Gesù lo abbia accompagnato per tutta la salita al Calvario, e lo abbia accolto tra le sue braccia quando fu deposto dalla Croce, come fece nel suo grembo verginale quando l'Arcangelo venne a Lei.
Un motivo in più ci spinge a celebrare con fervore questa festa; infatti, per benigna concessione del Santo Padre Benedetto XVI, i fedeli che devotamente visiteranno durante tutta la giornata di domani il Santuario della Madonna dell'Angelo potranno ricevere l'Indulgenza Plenaria alle consuete condizioni stabilite dalla Chiesa. Domani ci troveremo in Santuario (come da consuetudine reintrodotta proprio quest'anno) a meditare la Via Crucis alle ore 15:00, portando nel cuore anche queste particolari considerazioni sul mistero dell'Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo dal quale, riprendendo san Giovanni Crisostomo, «nascono molti fiumi, che sono le feste che celebriamo».

Cliccando sul link di seguito potrete rileggere il decreto di concessione dell'Indulgenza Plenaria, con le condizioni per riceverla:
Decreto della Penitenzieria Apostolica sulla concessione dell'Indulgenza Plenaria ai fedeli che visitano il Santuario della Madonna dell'Angelo.

mercoledì 23 marzo 2011

Sul celibato sacerdotale

Dal blog Messa in latino traggo questo contributo, apparso nell'edizione odierna dell'Osservatore Romano, del cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero; in esso il porporato affronta lo spinoso problema (in un mondo secolarizzato come il nostro) del celibato sacerdotale, spiegando perché esso non è un retaggio del passato da abbandonare ma è, al contrario, utile e necessario anche oggi. Questo articolo è una risposta a coloro che, specialmente all'interno della gerarchia del clero, spingono verso l'abolizione di quella che, per loro, è una semplice legge ecclesiastica, portando a supporto della loro richiesta l'odierna carenza vocazionale, e proponendo, dunque, l'abolizione del celibato come medicina. Leggeremo, inoltre, in questo articolo altre conseguenze di una "scorretta ermeneutica" dei testi del Concilio, che porta ad una posizione, secondo il cardinal Piacenza, "errata storicamente, teologicamente e dottrinalmente, anche dannosa sotto il profilo spirituale, pastorale, missionario e vocazionale".

Questione di radicalità evangelica
Card. Mauro Piacenza

Residuo preconciliare e mera legge ecclesiastica. Sono queste, in definitiva, le principali e più dannose obiezioni che riaffiorano nel periodico riaccendersi del dibattito sul celibato sacerdotale. Eppure, niente di questo ha reale fondamento, sia che si guardi ai documenti del concilio Vaticano II, sia che ci si soffermi sul magistero pontificio. Il celibato è un dono del Signore che il sacerdote è chiamato liberamente ad accogliere e a vivere in pienezza.
Se infatti si esaminano i testi, si nota innanzitutto la radicale continuità tra il magistero che ha preceduto il concilio e quello successivo. Pur con accenti talora sensibilmente differenti, l'insegnamento papale degli ultimi decenni, da Pio XI a Benedetto XVI, è concorde nel fondare il celibato sulla realtà teologica del sacerdozio ministeriale, sulla configurazione ontologica e sacramentale al Signore, sulla partecipazione al suo unico sacerdozio e sulla imitatio Christi che esso implica. Solo, dunque, una scorretta ermeneutica dei testi del Vaticano II - a cominciare dalla Presbyterorum ordinis - potrebbe condurre a vedere nel celibato un residuo del passato di cui liberarsi. E una tale posizione, oltre che errata storicamente, teologicamente e dottrinalmente, è anche dannosa sotto il profilo spirituale, pastorale, missionario e vocazionale.
Alla luce del magistero pontificio bisogna anche superare la riduzione, in taluni ambienti molto diffusa, del celibato a mera legge ecclesiastica. Esso, infatti, è una legge solo perché è un'esigenza intrinseca del sacerdozio e della configurazione a Cristo che il sacramento dell'Ordine determina. In tale senso la formazione al celibato, oltre ogni altro aspetto umano e spirituale, deve includere una solida dimensione dottrinale, poiché non si può vivere ciò di cui non si comprende la ragione.
In ogni caso, il dibattito sul celibato, che periodicamente nei secoli si è riacceso, certamente non favorisce la serenità delle giovani generazioni nel comprendere un dato così determinante della vita sacerdotale.
Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis (n. 29), riportando il voto dell'assemblea sinodale, afferma: "Il Sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente di tutti sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'Ordinazione sacerdotale nel Rito latino. Il Sinodo sollecita che il celibato sia presentato e spiegato nella sua piena ricchezza biblica, teologica e spirituale, come dono prezioso dato da Dio alla sua Chiesa e come segno del Regno che non è di questo mondo, segno dell'amore di Dio verso questo mondo nonché dell'amore indiviso del sacerdote verso Dio e il Popolo di Dio".
Il celibato è questione di radicalismo evangelico. Povertà, castità e obbedienza non sono consigli riservati in modo esclusivo ai religiosi. Sono virtù da vivere con intensa passione missionaria. Non possiamo abbassare il livello della formazione e, di fatto, della proposta di fede. Non possiamo deludere il popolo santo di Dio, che attende pastori santi come il curato d'Ars. Dobbiamo essere radicali nella sequela Christi senza temere il calo del numero dei chierici. Infatti, tale numero decresce quando si abbassa la temperatura della fede, perché le vocazioni sono "affare" divino e non umano. Esse seguono la logica divina che è stoltezza agli occhi umani.
Mi rendo conto, ovviamente, che in un mondo secolarizzato è sempre più difficile comprendere le ragioni del celibato. Ma dobbiamo avere il coraggio, come Chiesa, di domandarci se intendiamo rassegnarci a una tale situazione, accettando come ineluttabile la progressiva secolarizzazione delle società e delle culture, o se siamo pronti a un'opera di profonda e reale nuova evangelizzazione, al servizio del Vangelo e, perciò, della verità sull'uomo. Ritengo, in tal senso, che il motivato sostegno al celibato e la sua adeguata valorizzazione nella Chiesa e nel mondo possano rappresentare alcune tra le vie più efficaci per superare la secolarizzazione.
La radice teologica del celibato, dunque, è da rintracciare nella nuova identità che viene donata a colui che è insignito del sacramento dell'Ordine. La centralità della dimensione ontologica e sacramentale e la conseguente strutturale dimensione eucaristica del sacerdozio rappresentano gli ambiti di comprensione, sviluppo e fedeltà esistenziale al celibato. La questione, allora, riguarda la qualità della fede. Una comunità che non avesse in grande stima il celibato, quale attesa del Regno o quale tensione eucaristica potrebbe vivere?
Non dobbiamo allora lasciarci condizionare o intimidire da chi non comprende il celibato e vorrebbe modificare la disciplina ecclesiastica, almeno aprendo delle fessure. Al contrario, dobbiamo recuperare la motivata consapevolezza che il nostro celibato sfida la mentalità del mondo, mettendo in crisi il suo secolarismo e il suo agnosticismo e gridando, nei secoli, che Dio c'è ed è presente.

martedì 22 marzo 2011

Il papa e il latino nella liturgia

Abbiamo in altre occasioni approfondito l'aspetto dell'uso della lingua latina nella liturgia, cercando di far capire il motivo di questa scelta. Oggi continuiamo in questo approfondimento, ma orientati verso la visita del papa ad Aquileia e Venezia. Nel sito internet dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, diretto dal Maestro delle celebrazioni, mons. Guido Marini, troviamo interessanti informazioni in merito.
Innanzitutto c'è da dire questo: quando si parla di Messa in Latino si pensa a qualcosa che riguarda il passato, per diversi ordini di motivi: principalmente perché fino alla riforma liturgica la Santa Messa era celebrata solo in lingua latina. Tuttavia un conto è dire che il latino appartiene al passato, un conto è dire che è superato. La prima affermazione può essere in un certo senso condivisa: si legge nel sito dell'Ufficio delle Celebrazioni: «Il latino è senza dubbio la lingua più longeva della liturgia romana: la si utilizza infatti da più di sedici secoli, ossia da quando si perfezionò a Roma, sotto Papa Damaso († 384) il passaggio ad essa dal greco». Ciò non significa che, appartenendo al passato, non possa appartenere anche al presente e al futuro; continua infatti il testo: «I libri liturgici ufficiali del Rito Romano vengono pertanto a tutt’oggi pubblicati in latino (editio typica)». Al contrario, chi pensa che il latino sia una cosa superata, ritiene che esso non debba più essere parte della liturgia, in quanto il suo utilizzo sarebbe un anacronistico ritorno ad una realtà che, probabilmente, si ritiene negativa. Ritornano qui, nella questione dell'uso del latino nella liturgia, le due ermeneutiche della storia della Chiesa: da una parte la continuità (il latino è nato nel passato, ma vive e prolifica nel presente) e dall'altra la rottura (oggi sì che si sta bene, che abbiamo abolito questa noia del latino).
Come nel post dedicato alle ermeneutiche del Concilio, ci rendiamo conto che chi promuove la rottura in nome del Concilio lo fa, in realtà, a titolo esclusivamente personale, giacché il Concilio ha affermato cose ben diverse:

«L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.
Sacrosanctum Concilium, n.36»

Anche nel caso della lingua vernacolare, il Concilio ed il Codice di Diritto Canonico sono molto chiari: «La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra»; quindi anche nel caso delle lingue nazionali non si tratta di un'altra Messa, scritta appositamente in un linguaggio "moderno", si tratta della stessa Messa, tradotta dal latino. La lingua latina, dunque, al primo posto; ma allora perché oggi il latino è quasi completamente accantonato in molte realtà ecclesiali? Non abbiamo una risposta soddisfacente; se non quella che arriva dal Sommo Pontefice, il quale sta cercando di riportare questi comportamenti, che vanno contro il Magistero della Chiesa e gli insegnamenti del Concilio, sul giusto binario. E a coloro che si affrettano a bollare il Magistero di Benedetto XVI come controcorrente rispetto al suo predecessore, Giovanni Paolo II, l'Ufficio delle Celebrazioni ricorda queste parole del futuro beato papa polacco:

«La Chiesa romana ha particolari obblighi verso il latino, la splendida lingua dell’antica Roma e deve manifestarli ogniqualvolta se ne presenti l’occasione»
Dominicae Cenae, n. 10

Così gli insegnamenti che il Santo Padre Benedetto XVI impartisce durante le liturgie papali sono in continuità con quanto affermato da Giovanni Paolo II:

«Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.»
Sacramentum Caritatis, n.62

Ecco qui un altro aspetto, quello del canto liturgico, principalmente gregoriano. Il papa fornisce la ricetta da usare affinché il popolo di Dio ritorni a pregare con questo incommensurabile strumento, capace di elevare gli animi al Signore. Molti, infatti, obiettano alla reintroduzione del latino e del gregoriano che la gente non sa il latino, e che il gregoriano è difficile. Tuttavia dobbiamo ricordare che latino e gregoriano (come già visto) non sono mai stati aboliti, e quindi non devono essere reintrodotti, ma semmai dobbiamo tirarli fuori dalle cantine polverose in cui spesso sono stati relegati dagli araldi del postconcilio; ed il fatto che il gregoriano sia difficile è un mito ormai sfatato, il gregoriano non è più difficile di molti altri canti che si usano in svariate realtà ecclesiali. Quello che è più importante, però, è che lo stesso Benedetto XVI invita i preti a tornare ad insegnare il latino e il gregoriano alla gente; quindi non dobbiamo buttare nel cestino i libri usuales perché la gente non sa il gregoriano, ma dobbiamo semmai educare, aiutare il popolo a cantare. E' quello che tentiamo di fare nella nostra parrocchia (almeno alla Messa delle 10:45 e durante i Vespri domenicali); e molti fedeli, specialmente turisti, vengono a dirci di come rimangono estasiati a riascoltare il canto che forse nelle loro terre è purtroppo andato perduto, malgrado per secoli abbia condotto i cuori dei cristiani verso Dio, e che tutt'oggi non ha perso questo suo incredibile potere.
Quando, dunque, al parco san Giuliano sentiremo il papa celebrare in latino e saremo invitati a rispondere nell'ordinario della Messa con il gregoriano, penseremo a queste cose e, spero, potremmo essere lieti di seguire il papa in questo suo insegnamento.

Qui di seguito la pagina dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice dedicata all'uso del latino nella liturgia:
L'uso della lingua latina.

sabato 19 marzo 2011

Christus vincit!

Ieri, tra l'altro venerdì di Quaresima, la Grande Camera della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo con sede a Strasburgo ha definitivamente assolto l'Italia dall'accusa di violazione dei diritti umani a causa dell'esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche. La sentenza, attesa da molto tempo e per la quale bisogna riconoscere l'impegno dell'attuale governo italiano, arriva nell'ambito del cosiddetto caso "Lautsi contro Italia"; la signora Soile Lautsi è la mamma di origini finlandesi che, con l'aiuto dell'UAAR (Unione Atei Agnostici e Razionalisti) aveva portato alla ribalta il caso dei Crocifissi nelle aule scolastiche, chiedendo alla scuola Vittorio da Feltre di Abano Terme (PD) di rimuoverli, in quanto, secondo lei, costituivano una violazione del suo diritto di educare i propri figli (di 11 e 13 anni nel 2001) secondo i "principi laici" (sarebbe più corretto chiamarli principi atei). Vedendosi rispondere negativamente dall'istituto scolastico, ed addirittura subendo la direttiva del Ministero dell'Istruzione italiano, che sanciva l'esposizione obbligatoria dei Crocifissi nelle aule, fece ricorso al TAR del Veneto, il quale, dopo un rapido passaggio alla Corte Costituzionale, sentenziò che "la croce è diventata uno dei valori secolari della Costituzione italiana e rappresenta i valori della vita civile". Di qui la decisione della signora Lautsi di rivolgersi alla Corte Europea di Strasburgo, nel 2006, che si pronunciò a suo favore, ordinando la rimozione dei Crocifissi dalle aule scolastiche e un risarcimento dello stato nei confronti della ricorrente per danni morali di 5000 euro: «La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, che avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione. Tutto questo, potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose, o che sono atei. La Corte non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana. L'esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione in luoghi che sono utilizzati dalle autorità pubbliche, e specialmente in classe, limita il diritto dei genitori di educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni e il diritto dei bambini di credere o non credere».
La sentenza fu accolta in maniera sostanzialmente positiva dalle Comunità ebraiche italiane, che la definirono "Una chiara lezione dalla Corte europea", dalle confessioni cristiane evangeliche, valdesi, luterane e battiste italiane, che la leggevano in un'ottica di netta separazione fra stato e chiesa, e dalle unioni degli atei, che la definirono come un grande successo per la laicità. Le comunità musulmane non espressero un parere esplicito, anche se tra esse si possono enumerare i pareri simili a quelli dell'ormai famoso Abel Smith, secondo il quale l'Italia vieterebbe agli uomini di professare una religione diversa dal cristianesimo con l'esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici.
Il mondo politico espresse parere contrario alla sentenza della Corte Europea e alle sue motivazioni quasi all'unanimità, fatta eccezione per i gruppi dei Radicali, Sinistra e Libertà e Sinistra alternativa e Verdi, i quali espressero parere favorevole. Il governo italiano ricorse immediatamente contro la sentenza di primo grado, trovando successivamente il sostegno esterno di altri paesi membri del Consiglio d'Europa: Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Principato di Monaco, Romania, Russia e San Marino.
Di ieri la sentenza di appello che assolve l'Italia: con 15 voti favorevoli e 2 contrari, i giudici hanno smentito la sentenza di primo grado, riconoscendo che non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocefisso nella aule scolastiche. Il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco giudica il pronunciamento della corte europea «una sentenza importante, di grande buon senso e di grande rispetto per quelle che sono le argomentazioni che sono state presentate dal governo italiano insieme ad un numero significativo di paesi europei che hanno condiviso questa posizione».
Immediate anche le reazioni degli esponenti del governo, che tale ricorso avevano inoltrato; il ministro dell'Istruzione Gelmini ha espresso «profonda soddisfazione per la sentenza della Corte di Strasburgo, un pronunciamento nel quale si riconosce la gran parte del popolo italiano. Si tratta di una grande vittoria per la difesa di un simbolo irrinunciabile della storia e dell’identità culturale del nostro Paese». Anche il ministro degli Esteri Frattini è intervenuto sul caso, dichiarando: «Oggi ha vinto il sentimento popolare dell'Europa. Perchè la decisione interpreta soprattutto la voce dei cittadini in difesa dei propri valori e della propria identità. Mi auguro che dopo questo verdetto l'Europa torni ad affrontare con lo stesso coraggio il tema della tolleranza e della libertà religiosa».
Inutile dire che l'UAAR dichiara invece "profonda delusione" per la sentenza di assoluzione; la famiglia ricorrente, fa sapere il sito dell'UAAR, ritiene che il cambiamento dell'opinione della Corte sia dovuta alle "enormi pressioni messe in campo dalla Chiesa cattolica", e che "sostenere che mancano elementi che provino la discriminazione subita è puerile".
Qualche giorno fa, inoltre, la Corte di Cassazione italiana aveva deposto le motivazioni della sentenza contro il giudice Luigi Tosti, rimosso dall'ordine giudiziario, il quale si rifiutava di lavorare in qualsiasi aula di tribunale finché non fossero stati rimossi i Crocifissi da tutte le aule italiane oppure ad essi venissero affiancati simboli di altre religioni; in queste motivazioni si legge che il Crocifisso può e deve essere esposto nelle aule di tribunale italiane, e ad esso non può essere affiancato alcun altro simbolo.
Da parte nostra, come di tutti i cristiani cattolici (ed anche ortodossi) del mondo non possiamo che essere soddisfatti di questa sentenza, e ringraziare il Signore; affermiamo e cantiamo con tutta la nostra voce: "Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!".

venerdì 18 marzo 2011

Inno gregoriano: "Audi benigne Conditor"

Siamo alle soglie della seconda domenica di Quaresima; vorrei proporvi, dunque, questo inno, "Audi benigne Conditor", che significa "Ascolta benigno Creatore"; si tratta dell'inno che viene recitato o cantato durante i vespri di tutti i giorni del tempo di Quaresima fino alla Domenica delle Palme, e che già domenica scorsa abbiamo cominciato a riproporre durante i vespri nel nostro Duomo. Il genere poetico-musicale dell'inno, nella liturgia, è l'unico rimasto praticamente intatto dopo la riforma attuata dal papa san Pio V durante il Concilio di Trento, con la quale furono aboliti, sia per gli ordini monastici che in quelli secolari, i tropi e le sequenze (di queste ultime ne sono sopravvissute solo cinque, che tutt'ora si dovrebbero cantare in tutte le chiese di rito romano in determinate ricorrenze liturgiche); al contrario, appunto, gli inni gregoriani si sono conservati, e la loro divulgazione (ve ne sono di particolari per il tempo di Avvento, di Natale, di Quaresima e di Pasqua, nonché per le varie solennità dell'anno liturgico) è stata così capillare nella Tradizione della Chiesa da renderli una sorta di segno di riconoscimento della particolare ricorrenza che in chiesa si celebra, facili da ricordare e difficili da dimenticare. Infatti nella nostra parrocchia inni come quello di Avvento o quello delle solennità mariane (l'Ave Maris Stella, che costituisce per la nostra parrocchia l'unico esempio sopravvissuto di melodia patriarchina) sono talmente conosciuti da non poter essere sostituiti con altre versioni (le quali causerebbero solo confusione nei fedeli). Ma, con mia non piccola sorpresa, anche inni che furono per molti anni abbandonati a causa del tumulto del periodo post-conciliare che viviamo in una certa misura ancora oggi (e che ha portato di fatto all'abolizione del latino e del gregoriano, contrariamente a quanto prescritto dal Concilio Vaticano II), non sono stati dimenticati; è il caso dell'inno quaresimale in questione, per cui è sufficiente rinfrescare la memoria per far sì che tutto il popolo si unisca col canto nelle parti che ad esso spettano. Ma non solo coloro che lo impararono ai tempi di mons. Felice Marchesan possono cantarlo facilmente; anche i "neofiti" del canto gregoriano si cimentano con gioia e profitto, data la semplicità della melodia e la forma poetico-musicale stessa dell'inno, che si ripete uguale ad ogni strofa. Ci si rende conto, dunque, che il canto gregoriano, per sua natura, si presta naturalmente ad arricchire la liturgia: esso è semplice, quasi che quella musica sia generata dal testo stesso (che è sempre biblico o di biblica ispirazione), e malgrado questa semplicità è ricco, non della ricchezza del mondo ma di chi accumula, come comanda Nostro Signore, i suoi tesori in Cielo; è anche casto, ossia non intaccato dalla mentalità del mondo, adatto alla sola liturgia e di essa parte integrante; ed è inoltre obbediente, poiché osserva i precetti che la Chiesa in duemila anni di storia ha raccomandato di seguire nella liturgia, e che derivano direttamente dal comando del Signore: "non moltiplicate discorsi superbi". Non a caso, infatti, in tutta la storia della Chiesa, prima e dopo il Concilio Tridentino e prima e dopo il Concilio Vaticano II, esso ci è additato come «il canto proprio della liturgia romana», quello a cui deve essere riservato il primo posto. Lasciamo dunque la parola e la voce al gregoriano, con l'inno "Audi benigne Conditor":

Audi, benigne Conditor,
Nostras preces cum fletibus,
In hoc sacro jejunio
Fusas quadragenario.

Scrutator alme cordium,
Infirma tu scis virium:
Ad te reversis exhibe
Remissionis gratiam.

Multum quidem peccavimus,
Sed parce confitentibus:
Ad nominis laudem tui,
Confer medelam languidis.

Concede nostrum conteri
Corpus per abstinentiam,
Culpae ut relinquant pabulum
Jejuna corda criminum.

Praesta beata Trinitas,
Concede simplex Unitas:
Ut fructuosa sint tuis
Jejuniorum munera. Amen.
Ascolta, benigno Creatore,
le nostre preghiere e le lacrime
in questo sacro digiuno
quaresimale effuse.

O benefico Scrutatore dei cuori
Tu conosci le infermità degli uomini:
concedi a chi a Te si converte
la grazia del perdono.

Di certo molto abbiamo peccato,
ma confidiamo parchi:
a lode del Tuo Nome
porta a noi ammalati la medicina.

Concedi che siano consumati i nostri
corpi dall'astinenza,
perché abbandonino il nutrimento
della colpa i cuori digiuni dei crimini.

Ascolta, o beata Trinità
concedi, o semplice Unità,
che i tuoi traggano i fruttuosi
doni dei digiuni. Amen.

Possiamo notare, grazie alla traduzione quasi letterale, la bellezza e la poesia del testo latino che cantiamo; è innegabile che molto spesso, nella traduzione in italiano, i contenuti si perdano, così come la poesia (come già detto altrove in questo blog); da qui, ancora una volta, vediamo non solo l'importanza, ma anche la necessità di cantare in latino (magari tenendo la traduzione sott'occhio le prime volte): infatti, se sappiamo di poter cantare una preghiera così profonda, perché dovremmo rivolgere al Signore della gloria e della misericordia un testo più banale e di inferiore bellezza?
Come al solito in questi contributi, possiamo ascoltare una versione gregoriana dell'inno e, di seguito, una versione polifonica (del compositore fiammingo Guillaume Dufay, vissuto a cavallo tra XIV e XV secolo): il Concilio Vaticano II, infatti, pone la polifonia subito dopo il gregoriano per dignità, sempre ammesso che essa si conformi al gregoriano come intenzioni e come arte (come dissero i papi Giovanni Paolo II e Pio X).


giovedì 17 marzo 2011

La Via Crucis al Santuario

Una delle devozioni più importanti e diffuse nel tempo di Quaresima, è la Via Crucis, attraverso la quale si commemora e si medita la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo nella sua salita al Calvario. Si ritiene che il pio esercizio della Via Crucis abbia avuto origine con san Francesco d'Assisi, o comunque in ambito francescano, anche se alcune tradizioni lo farebbero risalire addirittura alla Beata Vergine Maria, quando a Gerusalemme ripercorse i luoghi della sofferenza del suo Divin Figlio.
La suddivisione in stazioni è dovuta al frate domenicano Rinaldo di Monte Crucis, che nel racconto della sua ascesa al Santo Sepolcro suddivise il cammino in stationes, in seguito stabilizzatesi nei quattordici tradizionali momenti che vanno dalla Condanna a morte di Gesù alla sua Sepoltura. Inizialmente per vivere la Via Crucis era, dunque, necessario recarsi proprio in Terra Santa, e ripercorrere fisicamente lo stesso percorso compiuto dal Redentore. Ma ben presto, sia per la devozione dei pellegrini che ritornavano dalla Palestina, sia per la sollecitudine verso quei fratelli che non potevano muoversi per un viaggio tanto lungo, i francescani cominciarono a diffondere la Via Crucis anche nelle chiese, come se il recarsi nella Casa di Dio rappresentasse per questi fedeli un ideale muoversi verso Gerusalemme. Nel 1731 Clemente XII concesse ufficialmente la libertà dell'istituzione della Via Crucis nelle chiese, riservandone però il privilegio del rito di istituzione ai soli membri dell'ordine francescano. Uno dei principali divulgatori della pia pratica della Via Crucis fu, infatti, il francescano san Leonardo di Porto Maurizio. A causa del fermento devozionale, tuttavia, tale pratica divenne incontrollata in molte città; fu così che papa Benedetto XIV decise di concedere l'istituzione di una sola Via Crucis per ogni parrocchia. Per la parrocchia della cattedrale di Caorle, il 20 maggio del 1768, con Breve apostolico del papa Pio VI, fu eretta la Via Crucis nel Santuario della Madonna dell'Angelo, con l'intervento del vescovo Francesco Trevisan Suarez (sepolto ai piedi della Madonna dell'Angelo), del clero e di tutto il popolo. Fin da allora, il corretto espletamento della pia pratica devozionale consentiva di acquistare le stesse indulgenze che si potevano lucrare visitando i luoghi della Terra Santa in Gerusalemme. Esse consistono nell'Indulgenza plenaria, alle solite condizioni stabilite dalla Chiesa, da ottenersi pregando davanti ad ogni stazione e meditando il mistero della Passione.
Per questo motivo, e mossi dal desiderio di pregare in modo completo e corretto il pio esercizio della Via Crucis, da domani, venerdì 18 marzo, della prima settimana di Quaresima, e per tutti i venerdì di Quaresima, sarà recitata la Via Crucis al Santuario della Madonna dell'Angelo. Per tutti coloro che lo desiderano, il ritrovo è al Santuario alle ore 15 di ogni venerdì di Quaresima, a partire da domani.

mercoledì 16 marzo 2011

Alcune importanti indicazioni sulla visita del papa

Dalla Conferenza Episcopale Triveneta giungono le prime indicazioni per i fedeli sulla Santa Messa che il papa celebrerà il prossimo 8 maggio in parco san Giuliano a Mestre.

NORDEST – È stata dedicata in gran parte alla preparazione e alla verifica dei vari aspetti organizzativi legati alla prossima visita del Papa del 7 e 8 maggio 2011 ad Aquileia e Venezia l’odierna riunione della Conferenza Episcopale Triveneto a Zelarino (Venezia).

I Vescovi del Nordest hanno nuovamente sottolineato come la visita del Papa rappresenti una grande occasione offerta alle comunità ecclesiali e civili di queste regioni in cammino verso il secondo Convegno ecclesiale di Aquileia (aprile 2012): “Nell’incontro diretto con Benedetto XVI ci è data l’opportunità di ridestare e ravvivare il dono più bello. Ci parlerà di Gesù, vera speranza del mondo. Ci aiuterà a riscoprire che Egli è vivo, vicino e contemporaneo a noi, tocca e interessa le corde più profonde e quotidiane della nostra esistenza”.

Il momento culminante per tutti della visita pastorale del Santo Padre al Nordest sarà la grande messa della mattina di domenica 8 maggio al Parco di S. Giuliano di Mestre. Per questo, i Vescovi hanno espresso l’auspicio che da parrocchie, associazioni, movimenti ecclesiali ecc. si converga in gran numero e raccomandano di fornire al più presto l’adesione (secondo le modalità indicate nel sito www.ilpapaanordest.it o telefonando allo 041/5464417). Tale adesione – che permette di ottenere il pass d’ingresso – è un semplice gesto per favorire un migliore e ordinato afflusso dei fedeli all’area del Parco.

Alcune note tecnico-logistiche
Mentre il Comitato organizzatore sta definendo – con i diversi interlocutori istituzionali e tecnici – la complessa logistica di tale momento per consentire a tutti di vivere una celebrazione bella e ordinata, emergono alcune prime concrete indicazioni per i fedeli che parteciperanno alla messa a S. Giuliano:

· L’assistenza e il supporto di oltre mille volontari garantirà a tutti la possibilità di partecipare pienamente e in modo ordinato al gesto eucaristico.

· L’area del Parco sarà opportunamente allestita con un numero adeguato di punti di ristoro e soccorso (con ambulanze e servizio medico), servizi igienici e maxischermi.

· Alle diocesi e alle persone più lontane l’invito è quello di valutare l’opportunità di raggiungere Mestre in treno, anche attraverso l’organizzazione di appositi treni speciali; è garantita, infatti, la presenza di navette che, a ciclo continuo e dal primo mattino, collegheranno la stazione ferroviaria al Parco.

· Per chi arriverà invece a Mestre con l’auto o con i pullman saranno presto indicati dalla segreteria organizzativa i parcheggi scambiatori di riferimento (previsti entro un raggio di un massimo di 4 km di distanza dal Parco) e da cui partiranno, in continuazione, le navette per S. Giuliano.

· Nei pressi del Parco sarà predisposta, inoltre, un’area di parcheggio per le biciclette per chi sceglierà (come hanno già fatto in molti) questo mezzo che si configura come particolarmente adeguato alla circostanza.

· Il Parco di S. Giuliano – e l’accesso ai settori dell’area liturgica – sarà aperto già a partire dalle ore 6.00 e fino alle ore 9.00, orario per il quale tutto dovrà essere pronto per la celebrazione con il Papa. I fedeli sono invitati, perciò, ad arrivare con buon anticipo nell’area e a considerare con molta attenzione i tempi di spostamento necessari dai parcheggi scambiatori o dalla stazione ferroviaria per il Parco. Il tragitto a piedi dei pellegrini all’interno del Parco non sarà, prevedibilmente, superiore al quarto d’ora.

· All’area liturgica del Parco i fedeli accederanno progressivamente al momento del loro arrivo.

· Solo tre settori avranno una destinazione particolare: uno per i malati e diversamente abili, uno per seminaristi e chierichetti ed un altro ancora per le rappresentanze civili ed ecclesiali.

· Malati e diversamente abili potranno accedere al settore con, al massimo, un accompagnatore ciascuno; per favorire l’organizzazione gli interessati sono invitati a dare la loro adesione già entro il 1° aprile p.v. (sempre attraverso il sito www.ilpapaanordest.it o telefonando allo 041/5464417).

· Tale scadenza del 1° aprile vale anche per seminaristi e chierichetti che dovranno dare la loro adesione tramite i referenti diocesani e parrocchiali.

· Il deflusso dal Parco di S. Giuliano alla stazione ferroviaria e ai parcheggi scambiatori sarà garantito dal momento della fine della messa a circa metà pomeriggio (l’orario esatto sarà presto definito e comunicato).

· Ferma restando l’opportunità di preannunciare la presenza alla messa attraverso lo strumento delle “adesioni” per favorire una buona organizzazione, rimane in ogni caso aperta la possibilità per tutti – fino ad un’ora prima della messa – di accedere all’area liturgica del Parco.

Il coinvolgimento della società civile
Con il progredire dell’organizzazione dell’evento si registra un crescente coinvolgimento di varie realtà ed espressioni della società civile che desiderano esprimere il loro particolare benvenuto al Papa.

Ad esempio, molto bello e suggestivo si preannuncia l’arrivo del Papa al molo di S. Marco nella serata di sabato 7 maggio: Benedetto XVI, al suo giungere nel Bacino di S. Marco, riceverà una speciale accoglienza da uno schieramento di barche delle associazioni di “Vela al terzo” (le tipiche imbarcazioni con vela quadrata di vari colori).

La mattina di domenica 8 maggio, per il trasferimento dal Parco di San Giuliano a S. Marco, si formerà un corteo acqueo allestito dalle società remiere veneziane che accompagnerà il Papa, al suo arrivo dal Rio di Cannaregio e a partire al suo ingresso in Canal Grande (all’altezza della chiesa dei Ss. Geremia e Lucia), fino a S. Marco.

Mentre si stanno completando le collette straordinarie nelle varie diocesi (a Udine e Treviso sono fissate per domenica 27 marzo), continua la raccolta di offerte e donazioni – in particolare attraverso il c/c postale e bancario – secondo le modalità indicate sul sito e che sta documentando, sin dai primi riscontri, il generoso desiderio di molti fedeli di contribuire concretamente alla preparazione dell’evento, ciascuno secondo le sue possibilità.

Fonte: http://angeloscola.it/

martedì 15 marzo 2011

Pagine YouTube e Facebook su Giovanni Paolo II

Un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede ci informa oggi dell'apertura di una pagina Facebook in preparazione alla beatificazione di papa Giovanni Paolo II il prossimo 1° maggio; inoltre il canale YouTube già aperto sul papa polacco sarà aggiornato periodicamente con contenuti nuovi provenienti dall'archivio della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano. Di seguito il comunicato stampa e tutti gli indirizzi.

"In vista della Beatificazione di Giovanni Paolo II (1 maggio 2011), la Radio Vaticana e il Centro Televisivo Vaticano (CTV) presentano alcune iniziative e mettono a disposizione un'ampia varietà di materiale di documentazione".

"Su Youtube è attiva una nuova pagina dedicata a Giovanni Paolo II in vista della beatificazione. La pagina è raggiungibile all'indirizzo http://www.youtube.com/giovannipaoloii. Vi vengono inseriti, poco per volta, ogni giorno, i seguenti tipi di video: videoclip sul Pontificato anno per anno; videoclip con la voce del Papa, in diverse lingue e in diverse situazioni (viaggi e in Vaticano).

"Si tratta degli audio forniti e selezionati dai Programmi Linguistici della Radio Vaticana ai quali dal CTV è stato realizzato il montaggio video. L'audio del Papa sarà nella lingua originale in cui è stato pronunciato mentre in sovraimpressione, in inglese, viene indicato il luogo (il Paese), il giorno, mese ed anno dell'evento".

"La pagina dedicata su Youtube e il canale normale già presente da tempo in 4 lingue www.youtube.com/vatican verranno poi alimentati dalle videoclip di attualità ed informazione dei giorni della Beatificazione".

"Su Facebook - questa è la novità - è attiva una pagina dedicata a Giovanni Paolo II in vista della Beatificazione. La pagina è raggiungibile all'indirizzo: www.facebook.com/vatican.johnpaul2. In questa pagina vengono inserite contemporaneamente tutte le videoclip che vengono inserite sul canale di Youtube".

"L'obiettivo è di diversificare gli strumenti per dare il massimo risalto possibile e la massima diffusione a questa iniziativa. A differenza di altre iniziative già presenti su Internet in varie forme e riconducibili a privati e comunque non alla Santa Sede, questa porta la firma congiunta di Radio Vaticana e Centro Televisivo Vaticano, è stata concordata con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ed è naturalmente aperta a tutti gli utilizzatori di Facebook".

"L'obiettivo generale è di accompagnare il percorso verso la Beatificazione utilizzando gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione e valorizzando le risorse che abbiamo ed almeno in parte il vasto patrimonio documentale in possesso della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano".

OP/ VIS 20110315 (360)

lunedì 14 marzo 2011

Don Bosco ai giovani: La Messa è Sacrificio

Vorrei riproporre oggi un pensiero di san Giovanni Bosco, dal libello "Il giovane provveduto per la pratica de' suoi doveri negli esercizi di cristiana pietà". Nella premessa leggiamo lo scopo che con questo componimento don Bosco si prefiggeva:

«Due sono gl'inganni principali, con cui il demonio suole allontanare i giovani dalla virtù. Il primo è far loro venire in mente, che il servire al Signore consista in una vita malinconica e lontana da ogni divertimento e piacere. Non è così, cari giovani. Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiana, che vi possa nel tempo stesso rendere allegri e contenti, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri, talché voi possiate dire col santo profeta Davide: serviamo al Signore in santa allegria: servite Domino in laetitia. Tale appunto è lo scopo di questo libretto, servire al Signore e stare allegri.»

A giudizio del santo piemontese, uno dei motivi per cui i giovani del suo tempo si tenevano lontani da una vita virtuosa è che essa è spesso dipinta (dal diavolo) come una sorta di investimento in perdita, che priva dai divertimenti e dalla letizia; a ben guardare, però, questo modo di vedere le cose non si è affatto modificato dai tempi di san Giovanni Bosco, ed ancora oggi è "uno dei principali inganni che allontanano i giovani dalla virtù". Tuttavia il santo sacerdote non illude il giovane sul fatto che è possibile divertirsi dei divertimenti del mondo servendo Dio: egli, infatti, precisa che vi sono "veri divertimenti" e "veri piaceri". A mio modo di vedere questo insegnamento di don Bosco non è ancora sufficientemente recepito; è inutile negare che molto spesso si crea (a volte anche in buona fede) questa illusione. Col pretesto, cioè, di "attirare" il giovane alla Messa o alla vita di parrocchia e di non farlo allontanare, si contrattano le verità di fede: ad esempio tacendo su quelle parti del Catechismo (significato del peccato e del peccato mortale, etica e morale sessuale, matrimonio etc.) più scomode per i giovani, perché costringono ad una revisione della propria condotta di vita e a delle rinunce (a volte faticose), oppure, addirittura, dicendo che queste cose, pur presenti nel Catechismo, non sono più valide oggi, ma piuttosto retaggio di un passato della Chiesa fatto di superstizioni e spesso legato al periodo preconciliare. San Giovanni Bosco non sembra essere dello stesso avviso; intende insegnare "un metodo di vita cristiana che possa rendere allegri e contenti", ma della vera letizia cristiana, che a differenza della gioia e del divertimento mondani, dona pace allo spirito, e non al corpo. Infatti, collegato a questo inganno, ve n'è un altro:

«L'altro inganno è la speranza di una lunga vita colla comodità di convertirvi nella vecchiaia od in punto di morte. Badate bene, miei figliuoli, che molti furono in simile guisa ingannati. Chi ci assicura di venir vecchi? Uopo sarebbe patteggiare colla morte che ci aspetti fino a quel tempo: ma vita e morte sono nelle mani del Signore, il quale può disporne come a lui piace.»

Non che il santo piemontese indichi intrinsecamente malvagio sperare in una lunga vita, ma l'errore sta nel confidare che essa si protragga per lasciarci il tempo di sfogarci coi nostri divertimenti, e poterci comodamente convertire alla fine, quando ormai non ci resta più nulla da fare. In questo è in gioco la nostra responsabilità, poiché, se conosciamo di essere in peccato dobbiamo desiderare convertirci, sia quella degli educatori, poiché da loro, in qualche modo, dipende la salvezza delle anime dei propri discenti.
Una delle sezioni di questa importante e nobile opera di don Bosco è, dunque, dedicata alla Santa Messa. Alla luce di quanto espresso nella premessa, io penso che abbiamo qui una lezione valida ancora, e soprattutto, oggi, quando, per dirla con le parole del card. Burke, "il modo della riforma del rito della Messa ha abbastanza oscurato l'azione divina nella Santa Messa [...] e ha indotto alcuni nell'errore che la Santa Liturgia è una nostra attività". Scrive infatti san Giovanni Bosco:

«Avvertimento: la Messa è l'offerta ed il sacrificio del Corpo e del Sangue di Nostro Signor G. C. che viene offerto e distribuito sotto le specie del pane e del vino consacrato; capite bene, o figliuoli, che nell'assistere alla santa Messa fa lo stesso come se voi vedeste il Divin Salvatore uscir di Gerusalemme e portare la croce sul monte Calvario, dove giunto viene, fra' più barbari tormenti, crocifisso spargendo fino all'ultima goccia il proprio sangue. Questo medesimo sacrificio rinnova il sacerdote mentre celebra la santa Messa, con questa sola distinzione che il sacrifizio del Calvario Gesù Cristo lo fece collo spargimento di sangue, quello della Messa è incruento, cioè senza spargimento di sangue.»

Questo era il tenore degli insegnamenti di don Bosco ai suoi giovani; egli non temeva, parlando in questi termini, di correre il rischio che i ragazzi si allontanassero dalla Messa. Anzi, avendo più premura della salvezza delle loro anime, li esorta, li ammonisce e li rimprovera in questo modo:

«Siccome non si può immaginare cosa più santa, più preziosa quanto il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità di Gesù Cristo, così voi, quando andate alla santa Messa, voglio siate persuasi che fate un'azione la più grande, la più santa, la più gloriosa a Dio, e la più utile all'anima propria. Gesù Cristo viene Egli stesso in persona ad applicare a ciascuno in particolare i meriti di quel sangue adorabilissimo, il quale sparse per noi sul Calvario in croce. Ciò deve inspirarci una grande idea della santa Messa e farci desiderare di assistervi bene. Ma il vedere tanti figliuoli con volontà deliberata distratti starvi irriverentemente senza modestia, senza attenzione, senza rispetto, rimanendosi in piedi, guardando qua e là, ah! costoro rinnovano più volte i patimenti del Calvario con grave scandalo de' compagni e disonore della religione! Per evitar un male così grande entrate con disposizioni di vero cristiano nello spirito di Gesù Cristo, e supponete di vederlo cominciare la sua dolorosa passione, esposto a' più barbari trattamenti per nostra salvezza.»

Se guardiamo queste parole con gli occhi del mondo, viene subito da chiedersi: dove sarebbe l'allegria e la contentezza? Sembra piuttosto che vivere la Messa, secondo don Bosco, sia quanto di più lontano dalla gioia, dalla festa e dal divertimento. Allora capiamo ancora di più il significato di quelle espressioni, "veri divertimenti" e "veri piaceri" che il cristiano, come insegna san Giovanni Bosco, deve perseguire nella sua vita: il cristiano trova letizia nel rivivere l'incruento sacrificio di Nostro Signore durante la Santa Messa per riceverne ogni beneficio spirituale. Al contempo il santo mette in guardia dalle distrazioni, dagli atti blasfemi e dalle mancanze di rispetto: di fronte al Signore che non solo si fa presente nella Santa Messa, ma ricompie il sacrificio tramite il quale ci ha redenti, non possiamo permettere di distraci, dobbiamo prepararci con ogni cura a questo mistico incontro con il Salvatore. Per questo è importante avere in somma considerazione la liturgia: anche i canti e gli atteggiamenti devono essere tutti diretti verso Cristo, e capiamo, dunque, come esistano musiche ed atteggiamenti del corpo adatti a varcare la soglia della chiesa ed altri che è bene, per rispetto e per il santo Timor di Dio, restino fuori.
San Giovanni Bosco conclude questa sezione del suo libello con una sorta di guida per "assistere con frutto alla Santa Messa"; sono indicazioni forgiate a misura della Messa antica, la quale per sua natura è tutta improntata a Cristo e al suo Sacrificio, ma che è bene applicare anche a quella riformata, per recuperarne la direzione corretta verso Nostro Signore e la sua dimensione sacrificale, nonché la differenza (che è necessario tener ben presente) tra la gioia del mondo e la letizia che promana dalla liturgia.

In principio della Messa

Signor mio Gesù Cristo, io vi offerisco questo santo sacrifizio a vostra maggior gloria ed a bonte spirituale dell'anima mia, fatemi la grazia che il mio cuore e la mia mente ad altro più non pensino che a voi. Anima mia, scaccia ogni altro pensiero e preparati ad assistere a questa santa Messa col massimo raccoglimento.

Al Confiteor

Io confesso a Dio onnipotente, alla Beata sempre Vergine Maria, al Beato Michele Arcangelo, al Beato Giovanni Battista, a' santi apostoli Pietro e Paolo e a tutti i Santi, che molto peccai con pensieri, parole ed opere per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Perciò prego la Beata Vergine Maria, il Beato Michele Arcangelo, il B. Giovanni Battista, i Ss. Apostoli Pietro e Paolo e tutti i santi ad intercedere per me appresso il Signor nostro Iddio.

Il Sacerdote ascende all'altare

Tutta la terra vi adori, o Signore, e canti lode al vostro santo nome. Sia gloria al Padre, al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Così sia.

Al Kyrie eleison

Signor mio G. C, abbiate misericordia di questa povera anima mia.

Al Gloria

Sia gloria a Dio nel più alto de' cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà, perchè solo Iddio è degno di essere lodato e glorificato per tutti i secoli.

All'Oremus

Ricevete, o Signore, le preghiere che da questo sacerdote vi sono indirizzate per me. Concedetemi la grazia di vivere.e morire da buon cristiano nel grembo della santa Madre Chiesa.

All'Epistola

Infiammate, o Signore, il cuor mio del vostro santo amore, acciocchè io vi ami e vi serva tutti i giorni della mia vita.

Al Vangelo

Io sono pronto, o Signore, a confessare la fede del Vangelo a costo della mia vita, professando le grandi verità, che ivi sono contenute. Datemi grazia e fortezza per fare la vostra Divina volontà, e fuggire tutte le occasioni di peccare.

Al Credo

Io credo fermamente tutte le verità che voi, mio Dio, rivelaste alla vostra Chiesa, perchè siete verità infallibile. Accrescete perciò in me lo spirito di viva fede, di ferma speranza, e d'infiammata carità.

All'Offertorio

Vi offerisco, o mio Dio, per le mani del Sacerdote quel pane e quel vino che debbono essere cangiati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Vi offro nel medesimo tempo il mio cuore, la lingua mia, affinchè per l'avvenire altro non desideri nè di altra cosa io parli, se non di quello che riguarda al vostro santo servizio.

All'Orate Fratres

Ricevete, Signore, questo sagrifizio per onore e gloria del vostro santo nome, per mio vantaggio, e per quello di tutta la vostra Santa Chiesa.

Al Praefatio

Mio cuore, alzati a Dio e pensa alla passione di G. C., che egli rinnova pe' tuoi peccati.

Al Sanctus

Anima mia, unisci ogni tuo affetto al coro degli Angeli, e canta con essi un inno di gloria dicendo: Santo, Santo, Santo è il Signore, il Dio degli eserciti. Sia glorificato e benedetto per tutti i secoli.

Al Memento dei vivi

Vi prego, o Gesù mio, di ricordarvi de' miei genitori, degli altri parenti, de' miei benefattori, degli amici miei, ed anche de' miei nemici: ricordatevi altresì del Sommo Pontefice e di tutta la Chiesa, e di ogni autorità spirituale e temporale, a cui tutti sia pace, concordia e benedizione.

All’elevazione dell'Ostia

Con tutta umiltà prostrato vi adoro, o Signore, e credo fermamente che voi esistete in questa Ostia sacra. Oh gran mistero, un Dio viene dal cielo in terra per la mia salute! Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo e divinissimo sacramento. (100 giorni d'indulgenza ogni volta).

All’Elevazione del calice

Signor mio Gesù Cristo, io adoro quel sangue che voi spargeste per salvare l'anima mia. Io ve l'offerisco in memoria della vostra passione, morte, risurrezione e ascensione al cielo; ricevetelo in isconto de' miei peccati, e pei bisogni di santa Chiesa.

Al memento dei morti

Ricordatevi, Signore, delle anime del Purgatorio e specialmente di quelle de' miei parenti, benefattori spirituali e temporali. Liberatele da quelle pene e date a tutte la gloria del paradiso.

Al Pater noster

Vi ringrazio, Gesù mio, di questo eccellente modello di preghiera che mi deste: fatemi la grazia che io la possa recitare colla divozione e coll'attenzione che si merita. Concedetemi quanto in essa vi domanda per me quel sacerdote, e soprattutto che io non cada in mortale peccato, unico e sommo male che può farmi perdere eternamente. Dite il Pater noster, etc.

All'Agnus Dei

Gesù, agnello immacolato, vi supplico ad usare misericordia a me e a tutti gli uomini del mondo affinchè tutti si convertano a voi, per godere quella vera pace che provano coloro che sono in grazia vostra.

Al Domine non sum dignus

O Signore, per la moltitudine de' miei peccati io non son degno che voi veniate ad abitare nell'anima mia, ma dite solamente una parola, e mi sarà rimesso ogni peccato. Oh quanto mi spiace di avervi offeso, fatemi la grazia, che non vi offenda mai più per l'avvenire.

Alla Comunione

Se non potete comunicarvi sacramentalmente fate almeno la comunione spirituale, che consiste in un ardente desiderio di ricevere Gesù nel vostro cuore, dicendo: Mio caro e buon Gesù, poichè questa mattina io non posso ricevere l'Ostia santa, venite nondimeno a prendere possesso di me colla vostra grazia, onde io viva sempre nel vostro santo amore. La grazia che singolarmente vi domando è di potere star lontano dalle cattive compagnie, che pur troppo sono stato occasione delle mie cadute nel peccato.

Alle ultime orazioni

Vi ringrazio, o mio Dio, di esservi sacrificato per me. Fate che sin da questo momento tutto io mi possa sacrificare a Voi. Dispiaceri, fatiche, caldo, freddo, fame, sete ed anche la morte tutto accetterò volentieri dalle vostre mani, pronto ad offerire tutto e perdere tutto, purchè io possa adempiere quello che prescrive la vostra santa legge.

Alla Benedizione

Benedite, Signore, queste sante risoluzioni, beneditemi per la mano del vostro ministro, e fate che gli effetti di questa benedizione siano eternamente sopra di me. Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Così sia.

All’ultimo Vangelo

Verbo eterno, fatto carne per salvare l'anima mia, io vi adoro col più profondo rispetto, e vi ringrazio di quanto patiste per me. Concedetemi la grazia di conservare i frutti di questa santa Messa; perdonatemi, se non vi ho assistito colla debita attenzione, e fate che uscendo io di questa chiesa abbiano gli occhi, la lingua e tutti i sensi miei in sommo orrore ogni cosa che si opponga alle verità del vostro santo Vangelo. Dite una Salve alla B. V. Immacolata ed un Pater a S. Giuseppe, affinchè vi aiutino a mantenere i proponimenti fatti, e soprattutto ad evitare lo occasioni del peccato.

domenica 13 marzo 2011

Tesori d'arte sacra: la Pietà

Ritorna il nostro appuntamento mensile con i tesori d'arte sacra conservati nel Duomo, nel Museo e nel Santuario. Approfittando del tempo di Quaresima in cui ci troviamo, colgo l'occasione per presentare questa singolare Pietà in legno dorato risalente al XVIII secolo, conservata nel Duomo e detta anche Coffolon. Si tratta di un pezzo unico; il particolare che salta subito agli occhi è che in questa scena della Pietà, che normalmente dovrebbe raffigurare la Vergine Addolorata che sorregge il Corpo del Figlio appena deposto dalla Croce (si pensi per esempio alla famosa Pietà di Michelangelo custodita nella Basilica di San Pietro), è un Angelo a svolgere il ruolo proprio della Santa Vergine (le ali, nella foto, si scorgono appena). Il motivo di questa scelta particolare è spiegato immediatamente: se infatti si pensa allo stemma della città di Caorle (affrescato anche all'interno del Duomo stesso, nella controfacciata a destra del rosone centrale) esso raffigura proprio un Angelo che protegge la rocca raffigurante la città di Caorle. Certamente quell'Angelo raffigura il primo protettore della città, l'Arcangelo Michele; non dobbiamo infatti dimenticare che, come sembrano confermare studi archeologici del passato, la prima chiesa costruita a Caorle dopo la migrazione dei profughi della vicina Concordia fu proprio una chiesa dedicata all'Arcangelo Michele, e fu costruita nell'ultima propaggine di terra, che si protende verso il mare, perché l'Arcangelo difendesse la città dai pericoli del mare. Fu in quella chiesa (nel corso dei secoli ricostruita e restaurata) che, secondo la leggenda che ci è stata tramandata, i bambini trasportarono il simulacro della Vergine che alcuni pescatori rinvennero galleggiante sulle onde, e che, proprio per questo motivo, assunse il titolo di Madonna dell'Angelo. Dunque il fatto di rappresentare l'Angelo, simbolo di Caorle, a sorreggere il corpo di Gesù Cristo, morto e deposto dalla Croce, è il segno di come l'intera comunità caprulana fosse disposta ad accogliere il suo Redentore esanime e a lenirne le ferite con le proprie lacrime. Non per nulla, infatti, da tempo immemorabile, questa singolare opera d'arte è portata in processione per le vie del paese la notte del Venerdì Santo, in una delle devozioni più antiche che la nostra comunità ha conservato, e che ultimamente si è arricchita del segno folkloristico dei baraboi. La scena è contornata da una cornice dorata, che ha la forma di un nimbo, e che nella parte inferiore reca altre due teste di Angeli; l'oro assume la funzione iconografica che ebbe nell'arte bizantina, ovvero quella di immergere i soggetti in un'aura ultraterrena, nel Cielo divino, il Paradiso. Di fatto questo uso del cosiddetto "fondo oro" fu abbandonato già dalla scuola giottesca, per dare alle scene rappresentate un senso maggiore di realtà: anche questo recupero, dunque, in una realizzazione del pieno periodo barocco, rappresenta un ulteriore carattere di particolarità dell'opera in questione.

sabato 12 marzo 2011

I costi della visita del papa - Parte II

Ricorderete che qualche tempo fa ho dedicato un post alle polemiche sui costi della visita del papa ad Aquileia e Venezia prevista per i prossimi 7 e 8 maggio. Ebbene credo che quel post abbia sortito, anche se in minima parte (ma d'altra parte non ho pretese), l'effetto sperato. Facendo una ricerca sul web ho trovato la pagina di un forum di telefonia mobile dove i partecipanti, partendo dalla notizia di un giornale locale, commentano a modo loro il fatto che la visita del papa costerebbe due milioni di euro. Vi spiego subito qual è l'effetto sperato: come da copione, in questo forum si moltiplicano le critiche, del tipo "Non ho parole", "il vaticano è ciò che rende i paesi cattolici civilmente inferiori rispetto a quelli protestanti", "nella storia hanno fatto di ben peggio" e molte altre che potete leggere all'indirizzo segnalato. Alcuni dei partecipanti, però, hanno eroicamente provato ad opporsi a questa marea di critiche e pregiudizi, servendosi anche del post citato in precedenza. Sono lieto, dunque, che questo post abbia contribuito alla causa della difesa del papa; infatti spesso i giornali danno solo le verità che interessano, e propongono le cifre che si sentono dire in giro (tutte da confermare, tra l'altro), ma la verità dei fatti preferiscono tenerla nascosta, non venderebbero più. A onor del vero l'articolo citato all'inizio dal forum è comunque aderente alla realtà, ma i lettori evidentemente ne traggono conclusioni diverse. Anche dopo la lettura del nostro post, la discussione è andata avanti, e vi sono state alcune critiche alle quali vorrei rispondere qui. La prima critica è la seguente:

«allora, a mio avviso paragonare un concerto ad una messa del Papa mi pare fuorviante...
la quantità di gente che lavora per un concerto è impressionante, senza considerare che gli artisti vengono pagati...non vanno mica gratis.
quei 5 milioni di euro spesi per l'organizzazione devono rientrare nelle tasche degli organizzatori, con un guadagno, tramite la vendita dei biglietti...
qui invece parliamo di una manifestazione pubblica-religiosa.
è pur vero che in tempi di crisi anche le parrocchie chiedono l'elemosina (l'hanno sempre fatto comunque) ma non vedo per quale motivo qualcuno dovrebbe donare dei soldi per organizzare qualcosa che il Vaticano potrebbe pagarsela...
non dico che il fedele non possa donare, come durante l'offertorio, per esempio, ma perchè la Santa Sede non finanzia?
»

Prima di tutto: perché il paragone dovrebbe apparire fuorviante? Forse le manifestazioni hanno più ragione d'essere a seconda del numero di persone che vi partecipano? E poi siamo proprio sicuri che il numero di partecipanti sia così dissimile tra la visita del papa ed il concerto rock? Ma il nostro commentatore si mette un po' nei guai da solo, quando dice "gli artisti vengono pagati...non vanno mica gratis": il papa, caro commentatore, non si fa pagare, viene gratis. I soldi di cui tanto si sta parlando servono per la costruzione del palco, per l'organizzazione del servizio di sicurezza, per comprare i kit... e di certo i soldi del palco non vanno al papa, e nemmeno al Vaticano, andranno, come è giusto, agli operai che quel palco lo devono realizzare, idem per le altre spese. Una parte di questi soldi va alla cosiddetta "carità del papa", con cui si indicano i fondi che la Chiesa, nella persona del pontefice, destina ai vari paesi e alle varie popolazioni in difficoltà. Solo che il papa non fa la pubblicità per televisione (tipo "Dona due euro con un sms..."); allora, dato che non lo dice la tv, la carità del papa non esiste. Ultima critica a questo intervento; il commentatore dice: "il Vaticano potrebbe pagarsela...perché la Santa Sede non finanzia?". Innanzitutto vorrei far presente al commentatore che quando si invita una persona a cena a casa propria, solitamente gli si fa trovare pronto in tavola da mangiare, non ci si aspetta che le vivande le porti l'ospite, altrimenti si farebbe a meno di invitarlo. Questo per dire che non ha senso dire "paghi la Santa Sede" se il papa è stato invitato dalle Chiese a cui farà visita. Semmai ha senso dire "paghino le diocesi"; ed è proprio quello che succederà. Forse il commentatore ha letto troppo di fretta il nostro post, e gli è sfuggito che le diocesi si sono assunte tutti gli oneri economici della visita, senza chiedere un solo centesimo agli enti pubblici (e quindi ai contribuenti): se non ci si crede si legga anche qui. Al contrario per il concerto rock paga il comune: il commentatore mi obietterà che in questo caso, col prezzo dei biglietti, ci si guadagna (anche se sul fatto che ci guadagni il comune ho i miei dubbi); ma allora facciamo solo quello che porta guadagno? Se fosse così non dovremmo nemmeno organizzare mostre d'arte, libri, concerti di musica (vera musica), la stessa beneficenza, perché queste cose i guadagni non li portano... Ma forse è già questa la filosofia, sono io ad essere un po' nostalgico.
Passiamo ora ad un altro commento interessante:

«I conti del vaticano sono si in rosso ma parliamo di qualche milione di euro (l'anno scorso intorno ai 4 milioni), dunque non stiamo parlando di cifre esorbitanti, anche perchè per spianare questo debito basterebbero meno "lussi" che a mio modesto parere non servono a nulla e sono nettamente in contrasto con quello che predicava Cristo.
Con questo non è mia intenzione fare polemica, ma una cosa che proprio non mi va giu è l'indifferenza totale di questa notizia da parte dei media. Provate a chiedere per esempio ad un alluvionato Veneto che ha perso la casa se preferisce vedere il Papa o ricevere qualche libera offerta.
»

Non voglio sindacare sulle opinioni personali e su quello che si intende per "lusso"; siccome, però, sento sempre parlare della solita polemica di stampo radicale, del tipo "se il papa vendesse uno dei suoi anelli sfamerebbe l'intera Africa", vorrei chiedere a questo commentatore quali sono i lussi del papa; va forse in giro con la limousine? Quanti anelli ha il papa? Senza contare che le croci pettorali, e le suppellettili sacre che gli si vede utilizzare o sono parte del Tesoro di San Pietro (cosa facciamo, vendiamo la Basilica di San Pietro ad uno sceicco?) o sono doni che vengono fatti dai fedeli alla Santa Sede. In ogni caso, quello che mi preme di più sottolineare di questo intervento è questo: "l'indifferenza totale di questa notizia da parte dei media", nonché il tirare in ballo gli alluvionati del Veneto. Ci vuole un bel coraggio a dire che i media sono indifferenti alla notizia quando l'intera discussione di questo forum è scaturita da un articolo di giornale (e tra i più letti, tra l'altro, della stampa locale)! E, per quanto riguarda gli alluvionati, si è informato questo commentatore di quello che hanno fatto le Chiese, locali e non, per l'alluvione in Veneto? Basterebbe una blanda ricerca sulla rete per vedere come si sono attivate le varie Caritas di zona, e trovare articoli di giornali sulle collette in chiesa. E a questo punto viene da porre una domanda che sorge spontanea: se si critica tanto la Chiesa negli aiuti ai più bisognosi, si può dire di se stessi di fare quello che fa la Chiesa, o addirittura di più, nell'aiuto dei poveri?
Non dimentichiamo che i famosi due milioni di euro non sono i soldi che ci si aspetta dalla colletta: i soldi in gran parte le diocesi li hanno già da parte. Certo (anche se la gente non ci crede) le "casse" delle diocesi non sono così grandi da poter sostenere indenni, oltre al clero e al popolo diocesano, anche una visita del papa; per questo è stata pensata una colletta. E, si badi bene, si chiama "colletta", e non tassa, perché è volontaria, se uno non desidera contribuire non lo fa, e a meno che non lo vada a dire in giro, nessuno saprà che costui si è rifiutato; inoltre il non versamento della colletta non pregiudica affatto la partecipazione all'evento, come invece succederebbe ad un concerto rock (appunto, tornando a prima, perchè gli "artisti" si fanno pagare e il papa no).
Vorrei in conclusione ricordare che ho citato il concerto rock proprio perché questo si tiene nello stesso luogo della visita del papa, ma avrei potuto citare un qualsiasi altro evento pubblico; la sostanza non sarebbe cambiata, perché la visita del papa è finanziata totalmente dalla Chiesa (anche coloro che hanno contribuito con la colletta volontaria fanno e si sentono parte della Chiesa), gli eventi pubblici necessitano, invece, dei denari dei contribuenti, che possono essere comunali, provinciali, regionali o anche statali. Inoltre vorrei che mi si rispondesse a questo: i poveri esistono solo quando si muove il papa per venire a Venezia, oppure ci sono poveri che necessitano di denaro anche quando viene Vasco Rossi? Perché allora criticare il papa e non Vasco Rossi? Non per incitare a criticare Vasco Rossi (sia chiaro), ma se uno critica il papa ed è coerente con quello che dice, allora critichi anche Vasco Rossi. La verità, come ho già detto altrove, è che, a mio modo di vedere, queste critiche sui soldi sono soltanto un pretesto, per mettere a tacere un'opinione indesiderata; l'uguaglianza, la libertà di pensiero e la democrazia vanno bene con tutti, tranne che con il papa, il quale non può andare alla Sapienza, non può dire la sua sull'aborto o sull'eutanasia, e non può venire a Venezia. E, non trovando ragioni plausibili per dire no alla visita del papa, ci si attacca a quello che la gente, con le difficoltà odierne, sente di più, il denaro, giocando sull'ideologia e sulla pelle dei poveri, che intanto non dicono mai niente.

venerdì 11 marzo 2011

La fiaccolata contro le dipendenze

Oggi, primo venerdì di Quaresima, il nostro parroco, mons. Giuseppe Manzato, ha voluto riproporre l'idea di una fiaccolata per sensibilizzare tutti i cittadini sui problemi che causano le dipendenze. La nostra città, se pur piccola, è purtroppo ai primi posti nelle classifiche venete per la diffusione ed il consumo di droga, ed il fenomeno pare inarrestabile. Sui giornali locali leggiamo sempre più spesso di arresti compiuti dalle forze dell'ordine per spaccio di droga; e quelli che pensavamo fossero delinquenti che venivano da fuori città a rovinare i nostri ragazzi, sono sempre più spesso parte della stessa gioventù caorlotta. Per non parlare degli adulti: anch'essi, infatti, sono esposti al pericolo della droga, ed anch'essi vi cadono, spinti dal desiderio di sballo e di divertimento, o dall'illusione d'onnipotenza che l'assenza di Dio crea nell'uomo. E non solo la droga, ma anche l'alcol rappresenta una grande piaga, non solo del nostro paese ma di tutta Italia; i giovani cominciano a bere alcolici fin da giovanissimi, spesso riescono ad entrare in possesso di bevande alcoliche anche se la legge vieta di vendere alcolici al di sotto dei 16 anni, e non si accontentano di bere un bicchiere in compagnia, cominciano la serata con la precisa intenzione di uscirne completamente ubriachi. Ma le dipendenze che affliggono la nostra (e le altre) comunità non si esauriscono tra le sostanze che si possono assumere con il corpo: abbiamo ancora il gioco d'azzardo, l'abuso del sesso, e tutte le altre dipendenze che soggiogano la mente umana ad una vita che di umano finisce per avere ben poco.
A cosa serve, dunque, una fiaccolata? Innanzitutto, come per la precedente edizione di questa iniziativa, ad aprire gli occhi sui problemi della nostra gente; viviamo purtroppo in una società che punta ad essere perfetta sotto tutti i punti di vista, e data anche la vocazione turistica del nostro territorio, preferisce nascondere i problemi sotto lo zerbino piuttosto che riconoscerli, affrontarli e risolverli. Questo lascia spesso nel più tremendo isolamento molte famiglie che dalle dipendenze sono rovinate; pensiamo alle famiglie dei ragazzi che sono caduti nella trappola della droga, o di uomini e donne presi ormai in maniera ossessiva dal gioco d'azzardo tanto da dilapidare interi patrimoni familiari. Un secondo scopo è quello di manifestare, dunque, la nostra vicinanza a queste famiglie, a questi uomini e donne e a questi ragazzi; anche qui si rischia di puntare il dito contro chi ha sbagliato, pensando che se una persona è caduta debba trovare da sola la forza per rialzarsi. Questo può essere giusto in altre situazioni della vita, ma non dimentichiamo che le dipendenze patologiche sono una malattia ben più subdola, che il più delle volte non possono essere superate soltanto con il buon proposito personale; c'è bisogno dell'aiuto di qualcuno che, come il buon Samaritano nei confronti dell'uomo moribondo, si prenda cura di queste persone, ne fasci le ferite e le affidi a qualche "albergatore" fino a che non si siano completamente rimesse. Vogliamo ricordare a questi ragazzi e adulti che droga e alcol sono veleni, che distruggono il sistema nervoso e gli organi vitali del corpo umano, oltre che le relazioni personali e familiari.
Ed arriviamo quindi ad una terza finalità di questa iniziativa, ma prima in ordine di importanza: l'amore. Siamo nel tempo di Quaresima, e abbiamo letto, nel messaggio del papa per la Quaresima, nell'omelia per la Messa delle Ceneri e nell'omelia del patriarca, che la mortificazione che ci viene richiesta è nulla senza amore. La nostra fiaccolata di stasera non vuole essere semplicemente un atto pubblico, una ostentazione di buoni propositi, ma è una preghiera. Riconosciamo che noi stessi, in primo luogo, siamo incapaci di risolvere da soli questi problemi, ed abbiamo bisogno di un aiuto dall'Alto. Ci recheremo quindi al Santuario della Madonna dell'Angelo, recitando il Santo Rosario, nell'atteggiamento degli invitati alle nozze di Cana: confidiamo nell'aiuto della Vergine Santa che, quando venne a mancare il vino per la festa di nozze, si recò Ella stessa dal suo Divin Figlio a supplicarLo: "Non hanno più vino". E, come i servi del banchetto, anche noi sentiamo risuonare nei nostri cuori la voce della Madonna che ci dice: "Fate quello che vi dirà".
Queste dunque le istruzioni, questa la strada che ci è mostrata per aiutare i nostri fratelli nel bisogno, ed aprire gli occhi il cuore di tante famiglie della nostra città che si illudono di non aver bisogno di Dio; e la mancanza di Dio si fa sentire. Preghiamo, come i nostri antenati hanno fatto più volte, ai piedi della Madonnina del mare, perché anche costoro ritrovino la strada per tornare verso casa come il figliol prodigo: anche nella miseria della condizione umana, il Padre è pronto ad accoglierci tutti e ad ammazzare il vitello grasso, pur di vederci tornare a Lui con il cuore contrito e lo spirito umiliato. Da parte nostra, esortiamoci l'un l'altro a fare festa per ognuno di questi fratelli che ritornerà a casa.
Che Nostro Signore Gesù Cristo guardi dall'alto la nostra miseria e ci aiuti, nel suo nome, in questo impegnativo ed importante obiettivo.
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