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domenica 13 marzo 2011
Tesori d'arte sacra: la Pietà
Ritorna il nostro appuntamento mensile con i tesori d'arte sacra conservati nel Duomo, nel Museo e nel Santuario. Approfittando del tempo di Quaresima in cui ci troviamo, colgo l'occasione per presentare questa singolare Pietà in legno dorato risalente al XVIII secolo, conservata nel Duomo e detta anche Coffolon. Si tratta di un pezzo unico; il particolare che salta subito agli occhi è che in questa scena della Pietà, che normalmente dovrebbe raffigurare la Vergine Addolorata che sorregge il Corpo del Figlio appena deposto dalla Croce (si pensi per esempio alla famosa Pietà di Michelangelo custodita nella Basilica di San Pietro), è un Angelo a svolgere il ruolo proprio della Santa Vergine (le ali, nella foto, si scorgono appena). Il motivo di questa scelta particolare è spiegato immediatamente: se infatti si pensa allo stemma della città di Caorle (affrescato anche all'interno del Duomo stesso, nella controfacciata a destra del rosone centrale) esso raffigura proprio un Angelo che protegge la rocca raffigurante la città di Caorle. Certamente quell'Angelo raffigura il primo protettore della città, l'Arcangelo Michele; non dobbiamo infatti dimenticare che, come sembrano confermare studi archeologici del passato, la prima chiesa costruita a Caorle dopo la migrazione dei profughi della vicina Concordia fu proprio una chiesa dedicata all'Arcangelo Michele, e fu costruita nell'ultima propaggine di terra, che si protende verso il mare, perché l'Arcangelo difendesse la città dai pericoli del mare. Fu in quella chiesa (nel corso dei secoli ricostruita e restaurata) che, secondo la leggenda che ci è stata tramandata, i bambini trasportarono il simulacro della Vergine che alcuni pescatori rinvennero galleggiante sulle onde, e che, proprio per questo motivo, assunse il titolo di Madonna dell'Angelo. Dunque il fatto di rappresentare l'Angelo, simbolo di Caorle, a sorreggere il corpo di Gesù Cristo, morto e deposto dalla Croce, è il segno di come l'intera comunità caprulana fosse disposta ad accogliere il suo Redentore esanime e a lenirne le ferite con le proprie lacrime. Non per nulla, infatti, da tempo immemorabile, questa singolare opera d'arte è portata in processione per le vie del paese la notte del Venerdì Santo, in una delle devozioni più antiche che la nostra comunità ha conservato, e che ultimamente si è arricchita del segno folkloristico dei baraboi. La scena è contornata da una cornice dorata, che ha la forma di un nimbo, e che nella parte inferiore reca altre due teste di Angeli; l'oro assume la funzione iconografica che ebbe nell'arte bizantina, ovvero quella di immergere i soggetti in un'aura ultraterrena, nel Cielo divino, il Paradiso. Di fatto questo uso del cosiddetto "fondo oro" fu abbandonato già dalla scuola giottesca, per dare alle scene rappresentate un senso maggiore di realtà: anche questo recupero, dunque, in una realizzazione del pieno periodo barocco, rappresenta un ulteriore carattere di particolarità dell'opera in questione.
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