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martedì 31 gennaio 2012

Il saluto al patriarcato del nuovo Patriarca

A S. E. il Cardinale Marco Cè, Patriarca Emerito, A S. E. Mons. Beniamino Pizziol, Amministratore Apostolico, a tutti i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, fedeli laici, a tutti gli uomini e le donne, dimoranti nel territorio diocesano.

Carissimi amici, fin dal primo momento in cui sono stato informato che il Santo Padre mi aveva destinato alla sede patriarcale di Venezia, ho provato un forte sentimento di trepidazione, ma anche una grande fiducia nel Signore; di tale stato d’animo desidero, in primo luogo, farvi parte. Tutti, infatti, - pastore e fedeli - siamo coinvolti nella scelta di Benedetto XVI. Il servizio nel difficile compito della presidenza ecclesiale richiede doti tali di prudenza, di saggezza, di cuore e d’intelletto che nessuno può pensare di possedere; per questo mi rivolgo a Voi chiedendo, fin d’ora, preghiera e aiuto.
Per la Chiesa che è a Venezia e il suo nuovo pastore inizia un tempo in cui ciascuno - per la sua parte - è chiamato ad affidarsi, con più libertà e più fede al Signore e al Suo piano provvidenziale che va sempre oltre quanto gli uomini possono immaginare; è il tempo in cui ciascuno, facendo meno conto su di sé, é chiamato ad aprirsi maggiormente, nella sua vita, al senso della paternità di Dio. E’ il tempo - se vogliamo - della comunione a priori, in cui, pastore e fedeli sono invitati, nella fede, a innalzare lo sguardo all’unico Maestro e Signore.

Sono mandato a voi - nella successione apostolica - come vostro Vescovo; non conto su particolari doti e doni personali, non vengo a voi con ricchezza di scienza e intelligenza ma col desiderio e il fermo proposito d’essere il primo servitore della nostra Chiesa che è in Venezia. Faccio mie le parole dell’apostolo Paolo che, nella seconda lettera ai Corinzi, scrive: «non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi» (2 Cor 1, 24). Il Vescovo, infatti, non è chiamato, innanzitutto, a portare qualcosa di suo, ma qualcosa che va oltre le sue personali capacità e risorse; in altre parole, la pienezza del sacerdozio di Cristo che - sul piano ministeriale - costituisce la Chiesa.
Sono conscio d’essere mandato a una Chiesa viva, ben presente sul territorio, a una Chiesa che sa esprimere con una fede capace di farsi cultura ma, soprattutto, a una Chiesa che ha una lunga storia scandita dalla santità, anche ordinaria, di molti suoi figli e figlie; una santità confermata, anche recentemente, dalle figure di alcuni suoi grandi pastori come Giuseppe Melchiorre Sarto - San Pio X -, Angelo Giuseppe Roncalli - Beato Giovanni XXIII -, Albino Luciani - Servo di Dio Giovanni Paolo I -. Una Chiesa che, nei suoi membri, può contare su molteplici risorse per dire, oggi, la bellezza di Gesù risorto, il vivente. E tale testimonianza, nella così detta società “liquida” - in cui le situazioni mutano prima di consolidarsi in abitudini e procedure -, è oltremodo urgente.

Il Vescovo è chiamato a servire nella presidenza e, proprio per non venir meno in tale compito sa che, come prima cosa, deve amare la sua Chiesa, perché solo chi ama vede bene ed è in grado di cogliere tutto nella logica del Vangelo. Vengo col desiderio di ascoltare, per capire e conoscere quanto lo Spirito vuol dire a questa Chiesa, nella logica sinodale del comune cammino delle diocesi del Triveneto verso Aquileia 2. Si tratta di molteplici strade e di un comune percorso guardando, con occhi nuovi, alle realtà ecclesiali e socio-culturali, per una nuova evangelizzazione, in dialogo con le culture del tempo, avendo come meta il bene comune. Tale convenire delle Chiese del Nordest s’inserisce nel più ampio orizzonte degli orientamenti pastorali della Chiesa che è in Italia; così a cinquant’anni dall’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II, il più grande evento ecclesiale che ha segnato il XX secolo, siamo invitati a rinnovarci personalmente e comunitariamente in una fede capace di farsi cultura.
Il momento che stiamo vivendo deve caratterizzarsi per la comunione che nasce dalla fede nell’unico Signore; siamo chiamati a “narrare” - come Maria nel Magnificat - le grandi cose che Dio opera in noi.
Da quando sono stato messo a conoscenza della decisione del Santo Padre ho voluto idealmente aprire il mio cuore a tutta la città, all’intera diocesi, a ogni uomo e donna che il Signore mi vorrà fare incontrare nel servizio episcopale in mezzo a voi. Tutti porto nella preghiera e a tutti chiedo la carità della preghiera; in modo particolare la chiedo ai piccoli, ai malati, agli anziani, ai bambini, a coloro che Gesù, nel Vangelo, ci dice contano di più agli occhi del Padre celeste. Chiedo d’essere accolto come un fratello che, per un disegno della Provvidenza, è mandato a voi come padre, pur venendo da una regione lontana dalla vostra che ormai, però, avverto già come a me carissima.

A quanti, nelle differenti vocazioni e stati di vita, concorrono a formare il volto della Chiesa di Dio che è in Venezia, domando aiuto, collaborazione e assunzione di corresponsabilità; il Vescovo, infatti, che è garante dell’unità della Chiesa particolare - nella comunione col Vescovo di Roma - da solo non può fare nulla. Infine chiedo la collaborazione dei confratelli, insigniti del sacerdozio di secondo grado, che costituiscono il reale prolungamento del sacerdozio del Vescovo. Fra essi, in primis, mi rivolgo ai parroci, poi a quanti, a diverso titolo, esercitano il ministero nell’ambito della cultura - ricerca e insegnamento - e ai confratelli che, oggi, in un contesto sociale sempre più a rischio povertà, si misurano, quotidianamente, con tutte le tipologie dei bisogni dell’uomo. Conto anche sui diaconi e sul loro prezioso ministero: il servizio della carità che, sempre, nasce dall’altare e ad esso, sempre, ritorna. Ai consacrati e consacrate chiedo che, nella fedeltà al loro carisma specifico, esprimano il volto sinfonico della Chiesa, ne promuovano la crescita compiendone i lineamenti, in vista di una testimonianza pienamente evangelica, incarnata nell’oggi. Ai fedeli laici e alle aggregazioni laicali dico la mia fiducia e stima, guardo a loro come a una vera ricchezza per un’inculturazione della fede nel contesto di una vera e sana laicità, con particolare attenzione e promozione della realtà della famiglia, nella prospettiva del bene comune.

Nell’alveo e secondo la logica di una sana laicità guardo con attenzione allo Studium Generale Marcianum, polo pedagogico e accademico, strumento di formazione e di ricerca, affinché la nostra Chiesa sia in grado d’elaborare una proposta educativa radicata nell’impareggiabile e unica tradizione storica e civile di Venezia e, insieme, in dialogo costante con tutte le culture e gli uomini.
Ai carissimi giovani, con i quali sarebbe - fin d’ora - mio desiderio intrattenermi a lungo, mi limito a dire: voglio incontrarvi al più presto! Un pensiero di vicinanza amica e fraterna va a quanti appartengono alle differenti confessioni cristiane, alla comunità ebraica, ai credenti di altre religioni presenti nel territorio della diocesi. Infine il mio saluto rispettoso va agli uomini e alle donne non credenti, soprattutto a coloro che sono “in ricerca”, auspicando, per quanto possibile, un comune impegno per l’uomo; in una cultura sempre più individualista, profondamente segnata della tecno-scienza, appare discriminante la questione antropologica, vero “caso serio” per il presente e il futuro della nostra società.

Non posso chiudere questo saluto senza un ricordo del mio predecessore, il Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, del Cardinale Marco Cè, Patriarca Emerito; un grazie riconoscente e particolarissimo all’Amministratore Apostolico, Monsignor Beniamino Pizziol per quanto sta facendo, con grande generosità, a servizio della Chiesa che è a Venezia. Agli eccellentissimi Vescovi della sede metropolitana patriarcale e agli eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi della Conferenza Episcopale Triveneta dico - nell’attesa d’incontrarli di persona - il mio intenso, fraterno affetto collegiale.
Al Sindaco, al Presidente della Provincia, al Presidente della Regione e a tutte le cariche istituzionali rivolgo il mio deferente saluto e assicuro impegno per una collaborazione leale, nella distinzione dei ruoli.
L’intercessione di San Marco Evangelista, del Proto Patriarca San Lorenzo Giustiniani, soprattutto la materna intercessione della Vergine Nicopeia ci ottengano, da Dio, la grazia di rispondere a quanto Egli si attende da ciascuno di noi.
In attesa d’incontrarVi, tutti benedico con affetto.
La Spezia, 31 gennaio 2012

  + Francesco Moraglia
Patriarca eletto


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Mons. Francesco Moraglia è il nuovo Patriarca di Venezia

Oggi, 31 gennaio 2012, Papa Benedetto ha nominato il vescovo mons. Francesco Moraglia, finora vescovo di La Spezia, nuovo Patriarca di Venezia. Mons. Moraglia succede al cardinale Angelo Scola, nominato il 28 giugno dello scorso anno arcivescovo di Milano, venendo così a chiudere un periodo di sede vacante di sette mesi. Qui di seguito un curriculum sintetico del Patriarca eletto.

S. E. Mons. Francesco Moraglia é nato a Genova il 25 maggio 1953. E' stato ordinato presbitero del clero dell'Arcidiocesi di Genova il 29 giugno 1977 dal cardinale arcivescovo Giuseppe Siri. Dopo l’ordinazione presbiterale, nel biennio 1977-1979, ha svolto le funzioni di educatore e accompagnatore dei teologi (III-IV-V teologia), presso il Seminario Arcivescovile Maggiore. Conseguita la Licenza, ha iniziato, nel 1979, l’insegnamento di teologia dogmatica fondamentale, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sezione del Seminario Arcivescovile di Genova; in pari tempo (1979) veniva nominato vicario parrocchiale in una parrocchia del centro cittadino, incarico che ha conservato fino al 1988. Nel 1981 conseguiva il dottorato in teologia dogmatica; nel 1986 iniziava la docenza presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Ligure, dapprima come insegnante di teologia dogmatica fondamentale, in seguito anche come docente di teologia sacramentaria; dal 1994 al 2007 è stato preside del medesimo Istituto. Dall’anno accademico 1989, è docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sezione del Seminario di Genova, di cristologia, antropologia, sacramentaria (eucaristia, penitenza, ordine). Dal 1990 è assistente diocesano del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e dirige il Centro Studi Didascaleion (corsi annuali, monografici di filosofia, teologia e spiritualità, rivolti soprattutto ai laici). Terminato il ministero di viceparroco, svolge, dal 1990, quello di cappellano della Clinica Villa Serena, al servizio dei degenti e della Comunità delle suore impegnate in tale struttura; insieme a questo ministero, la domenica svolge quello di aiuto pastorale in una grande parrocchia del centro cittadino. Dal 1995 è presidente della Commissione Diocesana per i problemi pastorali
dei movimenti religiosi alternativi e delle sette.
Nel 1996 è stato nominato direttore dell’Ufficio Diocesano per la Cultura e l’Università e cooptato nel Consiglio Presbiterale Diocesano come membro di nomina arcivescovile. Nel 2001 è stato eletto nel Consiglio Presbiterale Diocesano come membro designato da tutti i rappresentanti del Presbiterio e, dall’Arcivescovo, è stato annoverato tra i Consultori Diocesani. Dal 2002 è docente di storia della teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sezione del Seminario di Genova.
Dal 2003 è Consultore della Congregazione Vaticana per il Clero. Nel 2004 è stato nominato canonico effettivo del Capitolo della Chiesa Metropolitana (Cattedrale di San Lorenzo).
Nel il 6 dicembre 2007 è stato eletto alla sede vescovile della Spezia-Sarzana-Brugnato; il 3 febbraio 2008 viene consacrato vescovo nella Cattedrale di Genova per le mani del cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco (co-consacranti mons. Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero, e mons. Bassano Staffieri, vescovo emerito della Spezia). Ha fatto il suo ingresso canonico nella diocesi spezzina il 1° marzo 2008.
Nel il 23 aprile 2010, è stato nominato, con decreto del presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione “Comunicazione e Cultura”.
Il 31 gennaio 2012 papa Benedetto XVI lo ha nominato 48° patriarca di Venezia.

Preghiamo per il Patriarca eletto Francesco: il Signore gli conceda salute e forza nel corpo e nello spirito, e lo aiuti nel nuovo compito che gli affida, cioè pascere il gregge della Chiesa di Venezia.
Fonte: Diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato.

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lunedì 30 gennaio 2012

La Croce al centro e la preghiera

Traggo dal blog messainlatino.it questa traduzione di un interessante articolo di padre Stefan Heid che spiega le ragioni del porre la Croce al centro dell'altare, un elemento che Papa Benedetto XVI ha voluto e continua a volere durante tutte le liturgie papali, e che anche nella nostra parrocchia abbiamo accolto con grande gioia. L'articolo continua poi con la storia di alcune gestualità della preghiera nel cristianesimo.

Nella basilica di San Pietro in Vaticano e nelle basiliche pontificie di Roma (un tempo chiamate "basiliche patriarcali"), è entrata recentemente in vigore la norma di installare una croce al centro di ogni altare maggiore o altare mobile. Non si specifica il tipo e la dimensione della croce. In genere, la norma è stata ben applicata: una grande croce con il Gesù crocifisso installata di fronte al celebrante, in modo che egli sia in grado di osservarlo. Tale norma, che regola una realtà che dovrebbe essere scontata, può invece sorprendere. Da molti anni infatti a Roma era invalsa la cattiva abitudine di spostare la croce all'angolo dell'altare, così da non "disturbare", facilitando una liturgia più "televisiva", soprattutto per le Messe papali. La croce è il punto focale della salvezza e dell'azione liturgica, deve armonizzarsi in stile e proporzione con l'altare e mai essere piccola. La croce deve disturbare! Il sacerdote non può guardarla "di sfuggita"! Talvolta si obietta che la croce crea una barriera tra il clero e il popolo, qualcosa di simile a una iconostasis (quella parete di icone nelle chiese di rito orientale che separa la navata dal presbiterio). Ma è un argomento specioso, visto che neanche l'enorme croce nella Basilica di San Pietro impedisce di vedere l'altare. Dopo tutto, sono pochissime quelle chiese in cui i fedeli stanno immediatamente dinanzi all'altare; è più comune che vedano l'altare da una prospettiva laterale, guardando il celebrante al di là della croce. Inoltre, più in alto sta la croce, meno probabile sarà che ostacoli la vista alla gente, divenendo per tutti un forte richiamo spirituale (se è veramente posta in alto). Infine, si obietta ancora che una croce d'altare crea un raddoppio di crocifissi, nel caso in cui una croce sia già sospesa sopra l'altare o dietro all'altare. Ma la croce sull'altare con Gesù crocifisso sta davanti al sacerdote, mentre i fedeli guardano la croce sopra l'altare. Non c'è dubbio che ci saranno dei contrasti nelle commissioni liturgiche quando i parroci, scegliendo di seguire la tradizione romana, cominceranno a tirar fuori dagli armadi le croci d'altare. Prevedendo reazioni affrettate nelle future polemiche, vorremmo definire il contesto più ampio del dibattito. Ci sono diverse pratiche liturgiche che sono scomparse da secoli, ma se non si studiano attentamente quei rituali, potrebbe benissimo succedere che perfino la più bella delle direttive liturgiche si ridurrebbe a formalismo insignificante. L'azione sacrificale dell'Eucaristia ha luogo sull'altare all'interno di una continua corrente di preghiera: dalla orazione sui doni, attraverso la Preghiera Eucaristica, fino al Padre Nostro. A questo riguardo, l'azione eucaristica è notevolmente diversa dalla Liturgia della Parola che la precede. L'ambone, di per sé, non è un luogo di preghiera; l'orazione d'ingresso è più appropriata alla sede del celebrante. Nell'usus antiquior, il sacerdote sta sempre in piedi all'altare e quasi sempre in preghiera! Le preghiere silenziose non sono né private né semplici riempitivi (horror vacui= paura del vuoto), piuttosto fanno dell'altare un luogo di incessante preghiera. Una volta riconosciuto questo aspetto, si comprende che il sacerdote assume sull'altare un atteggiamento o forma mentis ben diversi da ogni altro evento quotidiano. Qui sta, innanzitutto, come uno che prega. Tutti i cristiani riconoscono questa postura orante ben distinta, nella quale il sacerdote alza le mani e gli occhi. Alzare gli occhi e le mani al cielo sono gesti che risalgono alla primitiva preghiera cristiana, la stessa che praticava Gesù nella tradizione ebraica. Anche lo stare in piedi fa parte di tale tradizione, è la postura fondamentale per pregare; come pure il levare gli occhi e le mani stando in ginocchio, si ritrova nella primitiva cristianità. Fin dal Medio Evo però, questa postura per l'orazione, con mani e occhi levati in alto, si è alquanto affievolita. Attualmente, soltanto il sacerdote alza le mani (e gli occhi solo per brevissimi attimi) in quanto legge le preghiere. Guarda verso l'alto, ad esempio, nel Canone Romano al momento della consacrazione, pronunciando le parole: "et elevatis oculis in coelum". Pertanto, Gesù inaugura l'Eucaristia "alzando gli occhi al cielo". Anche nell'ordo novus, la rubrica a questo punto recita: "Il celebrante alza gli occhi". Ma dove esattamente il sacerdote deve guardare, al soffitto della chiesa? Per cui, quando il celebrante, a quel punto della preghiera, ha il dovere di guardare verso l'alto, invece che fissare uno spazio vuoto, lo rivolge al punto focale più naturale: la grande croce sull'altare maggiore. Ovviamente, la croce sull'altare dinanzi al sacerdote non serve solo per isolati momenti, ma ha uno scopo più generale: egli sta in piedi all'altare in incessante preghiera verso Dio, guardando fisso il Figlio di Dio, attraverso il quale indirizza ogni sua invocazione e ogni sua parola di lode. Per il fatto che Dio è creatore, il mondo non è caotico, ma un universo divinamente plasmato e provvidenzialmente ordinato. Esiste un "lassù" e un "quaggiù", o in termini scritturistici, il cielo è il suo trono e la terra sgabello ai suoi piedi. Già i primi Padri della Chiesa osservavano che i cristiani stanno eretti nel pregare da libere creature di Dio, tenendo alta la testa e guardando in alto verso Colui che guarda in basso verso di loro dal suo trono celeste. Pregare è conversare con Dio. Non è educato non guardare la persona con cui stiamo dialogando. L'atto di guardare in alto quando preghiamo è, perciò, espressione dell'intera teologia della creazione sia del Vecchio che del Nuovo Testamento. L'uomo peccatore tenta di nascondersi da Dio, come Adamo ed Eva si nascondevano dietro ai cespugli. L'uomo redento, invece, non abbassa più la testa per la vergogna, libero e felice egli può guardare Dio in faccia, e osare dire: "Padre Nostro, che sei nei cieli". Egli osa perché Gesù Cristo è veramente Dio in sostanza, lui solo può dire "Padre", mentre noi, mediante la grazia, possiamo godere della stessa relazione, invitati così a questo atto di filiale fiducia. Noi siamo solo creature, ma i battezzati sono creature privilegiate perché, uomini e donne, siamo in Cristo gli amati figli e figlie dello stesso Padre celeste. Era proprio questo che la Chiesa primitiva voleva manifestare con la postura orante che aveva adottato. Quando parliamo con Dio nella preghiera, abbracciamo la nostra identità filiale. Ma dal momento che nello spazio fisico della chiesa, lo sguardo verso il trono di Dio era bloccato dalle pareti, si fece di tutto per aprire una via virtuale di visione del cielo. L'abside venne spesso dipinta o arricchita di mosaici, riservando una zona del dipinto al cielo stellato. Ciò spalancò il soffitto della chiesa verso il cielo. I sacerdoti e i fedeli, pregando, potevano così alzare lo sguardo verso l'abside e vedere il cielo, per così dire. Lo sguardo dei fedeli non era più incentrato sull'altare e sul celebrante, ma al di sopra di essi. L'edificio stesso della chiesa doveva sempre essere "orientato" ad oriente a questa arte celeste così luminosamente dipinta. L'orientamento geografico verso oriente, in quanto tale, era di secondaria importanza. Fu chiaro fin dall'inizio che la preghiera cristiana non era diretta solo verso Dio, ma al Padre celeste attraverso Gesù Cristo. E' precisamente in questo contesto che la croce diventa il punto focale. Perciò, nella Chiesa primitiva non soltanto il cielo ma anche la croce veniva dipinta sull'abside, o per lo meno collocata in un punto elevato dell'abside. Nessuno quindi, pregando, poteva fare a meno di guardare la croce. L'esempio più eloquente di tale disposizione lo abbiamo nell'abside della chiesa di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna, risalente al VI secolo. La consuetudine della Chiesa di porre sull'altare una croce elevata, cosa normale fino a qualche decennio fa, era ben fondata sia liturgicamente che teologicamente. Anche dopo il Concilio Vaticano II, non vi era alcuna buona ragione di relegare i crocifissi agli altari laterali usati sempre più raramente. L'altare è il luogo della preghiera: la croce ne fa parte, tanto più quando è all'altare maggiore. E' il luogo in cui si alzano le mani, la mente e gli occhi per "guardare colui che hanno trafitto". Lì, il cielo si aprì allorquando le tenebre coprirono la terra: il Sole di Giustizia sulla croce fu innalzato al centro della terra, trasformando le nostre tenebre in luce. Nella miriade di pubblicazioni sulla postura della preghiera, raramente si trovano riferimenti alle mani alzate. Gli autori ritengono sempre che la prima postura dei "normali" credenti, quando pregano, sia quella di congiungere le mani. In effetti, tenere le mani giunte è una pratica antica di parecchi secoli. Eppure, si tace sempre che la "vera" postura di preghiera (ancor oggi) è quella del sacerdote quando celebra la Messa. Ogni volta che egli dice: "Preghiamo", alza le braccia appena inizia a recitare l'orazione. Nella Chiesa primitiva e in quella medievale, quando il sacerdote annunciava: "Preghiamo", l'assemblea si alzava in piedi e levava in alto le braccia. Nei tempi moderni, invece, le posture di preghiera di celebrante e fedeli divergono; infatti, essi si inginocchiano o rimangono in piedi congiungendo le mani. Così la primitiva postura cristiana di preghiera, mani e occhi rivolti al cielo, è stata completamente dimenticata, e non la si capisce nemmeno più come gesto di preghiera, anzi la si considera un rituale di origine oscura riservato ai sacerdoti . Tale grande divergenza e discontinuità della pratica non aiuta i fedeli a capire il significato delle mani alzate del sacerdote e cosa ha a che fare questo con la preghiera, soprattutto quando l'assemblea non usa tale postura. Gli stessi sacerdoti sembrano non avere alcuna idea del perché fanno quello che fanno, dal momento che ognuno lo fa in modo diverso. Attualmente, non c'è una pratica concorde sulla postura di preghiera. A me pare che qui manchi qualcosa. Dopo tutto, la fede cristiana, a motivo dell'Incarnazione, ha un rapporto molto più stretto e più consapevole con il corpo di qualsiasi altra religione. La preghiera non è mera interiorità, ma si deve incarnare in particolari posture. La cosa più importante a tale riguardo è quella che abbiamo trattato a proposito dell'alzare lo sguardo. I primi cristiani sottolineavano in modo esplicito che l'uomo non è come gli animali che camminano a quattro zampe; l'uomo sta in posizione eretta e, in un certo senso, si avvicina al cielo con la struttura del proprio corpo. L'uomo può riconoscere Dio e parlargli, ecco perché sta eretto, alza le braccia e gli occhi al cielo. Chiunque prega dovrebbe adottare questa postura, non solo il prete. I cristiani assunsero quella comune postura di preghiera dalla tarda antichità, rimarcando ancora più fortemente la sua continuità. Anche per essi Dio era in cielo. Naturalmente, per loro c'era un solo Dio che ha creato il cielo e la terra. Ma l'accettazione dei cristiani di tale postura di preghiera, che era comune sia agli ebrei che ai pagani, è stata assoluta. Per essi era importante alzare gli occhi e le mani, perché Dio ha il suo trono in cielo. Ancora più importante è un'altra pratica che i cristiani adottarono dall'antichità: la purificazione delle mani. Lavare le mani e il viso prima del rituale di preghiera, non è un'invenzione dei musulmani. I credenti islamici la adottarono nel VII secolo basandosi sulle pratiche degli oranti cristiani. I cristiani infatti si lavavano almeno le mani prima di pregare. Sul sagrato delle chiese c'era una fontana d'acqua proprio per tale scopo. Nell'atrio di San Pietro a Roma, c'era la famosa fontana di pietra a forma di pino. Su un sarcofago ravennate è raffigurato il catino per l'acqua delle abluzioni: un cantharus (catino profondo) adornato di pavoni. Il lavacro determinava un atteggiamento di purità ed integrità nella preghiera. Le mani dovevano essere pure proprio perché venivano alzate al cielo durante l'orazione. Il credente voleva essere visto da Dio, per cui chi pregava, mostrava le sue mani monde come segno che non erano macchiate di sangue. Per i cristiani, le mani monde erano l'espressione che si entrava alla presenza di Dio con una coscienza pura. "Chi ha mani innocenti e cuore puro" (Salmo 24,4) può salire la montagna del Signore, recitava un salmo cantato da coloro che si recavano pellegrini al tempio di Gerusalemme. Ciò spiega questa postura di preghiera nella Chiesa primitiva: si tenevano le mani relativamente vicine al volto con le palme verso l'esterno, come è ancora in uso oggi nel rito domenicano. Era come dire: "Ecco, o Dio, guarda le mie mani! Non vi sono tracce di sangue né d'ingiustizia su di esse. E solo così, io oso pregare e levare la mia voce fino a Te". San Giovanni Crisostomo diceva ai suoi fedeli che non era sufficiente alzare mani pure verso Dio, perché le mani devono essere anche rese sante con le opere di carità. Ecco perché sul sagrato della chiesa, non solo si andava alla fontana per lavarsi le mani, ma si coglieva l'occasione per fare l'elemosina ai poveri che stazionavano sul sagrato. Il rituale dell'abluzione delle mani, un tempo praticato da tutti i fedeli, oggi lo compie soltanto il sacerdote prima della Preghiera Eucaristica. I fedeli laici non si lavano più le mani perché non le alzano più quando pregano. In sostituzione, si benedicono con l'acqua santa entrando in chiesa, facendo così memoria del proprio battesimo. I rituali del passato mantengono il loro significato anche oggi. La preghiera cristiana presuppone "mani pure". Chi pecca contro il prossimo pecca anche contro Dio, e se rifiuta di riconciliarsi, non deve accostarsi all'altare di Dio. L'atto di fede non cancella automaticamente tutti i peccati passati e futuri. Le nostre azioni e comportamenti peccaminosi creano degli ostacoli sul nostro cammino verso Dio, e indeboliscono l'efficacia della nostra preghiera.
Il sacerdote fa memoria della propria inadeguatezza ogni volta che alza le mani. Questo gesto rituale deve provocare nel suo spirito un serio esame di coscienza: tu solo puoi alzare le mani in preghiera; ne sei degno? Hai fatto tutto ciò che è in tuo potere, con mani pure e trasparenza di spirito, per arrivare davanti a Dio e portargli i doni e le preghiere del popolo?


Fonte: messainlatino.it.

Nella foto in alto: Papa Benedetto XVI mentre celebra la Santa Messa in parco San Giuliano, davanti alla Croce d'altare del nostro Duomo, prestata in occasione della Visita del Papa.

giovedì 26 gennaio 2012

Marcia-Veglia per la pace a Mestre

Consueto appuntamento organizzato dalla Pastorale Giovanile del Patriarcato di Venezia. Si snoderà dalla chiesa di Carpenedo fino al Duomo di Mestre, in Piazza Ferretto, la marcia - veglia diocesana per la pace in programma la sera di sabato 28 gennaio ed incentrata sui contenuti del messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace celebrata il 1° gennaio scorso intorno al tema «Educare i giovani alla giustizia e alla pace». La marcia-veglia sarà guidata quest’anno dall’arcivescovo vicentino Agostino Marchetto, per quasi dieci anni (fino al 2010) segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti.
L’appuntamento per tutti è fissato alle ore 19.30 nella chiesa parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio: qui interverranno e porteranno la loro singolare testimonianza alcuni giovani cristiani provenienti dalla Giordania e legati al Sermig di Torino (il Servizio Missionario Giovani nato da un’intuizione di Ernesto Olivero). Da Carpenedo partirà poi la tradizionale marcia silenziosa lungo viale Garibaldi e verso piazza Ferretto e il Duomo dove si svolgerà il vero e proprio momento di veglia accompagnato da una riflessione di mons. Marchetto; la conclusione è, infine, prevista intorno alle 21.30.
Confermato anche l’appuntamento che, da qualche anno, anticipa e prepara la marcia-veglia: il “pomeriggio di educazione alla pace” rivolto soprattutto ai ragazzi delle scuole superiori e che si svolgerà dalle 15.30 alle 18.30 - nel patronato parrocchiale di Carpenedo - con varie testimonianze, alcuni momenti di laboratorio, alcuni stands, un’esperienza di scrittura collettiva e una “festa” finale.

Fonte: patriarcatovenezia.it.

mercoledì 25 gennaio 2012

Unità dei cristiani: omelia del Papa

Omelia tenuta da Sua Santità Papa Benedetto XVI in occasione dei Vespri della festa della Conversione di San Paolo, celebrati mercoledì 25 gennaio 2012 nella Basilica di San Paolo fuori le mura a conclusione della settimana di preghiera per l'Unità dei cristiani.

Cari fratelli e sorelle!

È con grande gioia che rivolgo il mio caloroso saluto a tutti voi che vi siete radunati in questa Basilica nella Festa liturgica della Conversione di San Paolo, per concludere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, in quest’anno nel quale celebreremo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, che il beato Giovanni XXIII annunciò proprio in questa Basilica il 25 gennaio 1959. Il tema offerto alla nostra meditazione nella Settimana di preghiera che oggi concludiamo, è: “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58).

Il significato di questa misteriosa trasformazione, di cui ci parla la seconda lettura breve di questa sera, è mirabilmente mostrato nella vicenda personale di san Paolo. In seguito all’evento straordinario accaduto lungo la via di Damasco, Saulo, che si distingueva per lo zelo con cui perseguitava la Chiesa nascente, fu trasformato in un infaticabile apostolo del Vangelo di Gesù Cristo. Nella vicenda di questo straordinario evangelizzatore appare chiaro che tale trasformazione non è il risultato di una lunga riflessione interiore e nemmeno il frutto di uno sforzo personale. Essa è innanzitutto opera della grazia di Dio che ha agito secondo le sue imperscrutabili vie. È per questo che Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto alcuni anni dopo la sua conversione, afferma, come abbiamo ascoltato nel primo brano di questi Vespri: “Per grazia di Dio ... sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1 Cor 15,10). Inoltre, considerando con attenzione la vicenda di san Paolo, si comprende come la trasformazione che egli ha sperimentato nella sua esistenza non si limita al piano etico – come conversione dalla immoralità alla moralità –, né al piano intellettuale – come cambiamento del proprio modo di comprendere la realtà –, ma si tratta piuttosto di un radicale rinnovamento del proprio essere, simile per molti aspetti ad una rinascita. Una tale trasformazione trova il suo fondamento nella partecipazione al mistero della Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e si delinea come un graduale cammino di conformazione a Lui. Alla luce di questa consapevolezza, san Paolo, quando in seguito sarà chiamato a difendere la legittimità della sua vocazione apostolica e del Vangelo da lui annunziato, dirà: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).

L’esperienza personale vissuta da san Paolo gli permette di attendere con fondata speranza il compimento di questo mistero di trasformazione, che riguarderà tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo ed anche tutta l’umanità ed il creato intero. Nella seconda lettura breve che è stata proclamata questa sera, san Paolo, dopo avere sviluppato una lunga argomentazione destinata a rafforzare nei fedeli la speranza della risurrezione, utilizzando le immagini tradizionali della letteratura apocalittica a lui contemporanea, descrive in poche righe il grande giorno del giudizio finale, in cui si compie il destino dell’umanità: “In un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba ... i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati” (1 Cor 15,52). In quel giorno, tutti i credenti saranno resi conformi a Cristo e tutto ciò che è corruttibile sarà trasformato dalla sua gloria: “È necessario infatti - dice san Paolo - che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità” (v. 15,53). Allora il trionfo di Cristo sarà finalmente completo, perché, ci dice ancora san Paolo mostrando come le antiche profezie delle Scritture si realizzano, la morte sarà vinta definitivamente e, con essa, il peccato che l’ha fatta entrare nel mondo e la Legge che fissa il peccato senza dare la forza di vincerlo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. / Dov’è, o morte, la tua vittoria? / Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? / Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge” (vv. 54-56). San Paolo ci dice, dunque, che ogni uomo, mediante il battesimo nella morte e risurrezione di Cristo, partecipa alla vittoria di Colui che per primo ha sconfitto la morte, cominciando un cammino di trasformazione che si manifesta sin da ora in una novità di vita e che raggiungerà la sua pienezza alla fine dei tempi.

È molto significativo che il brano si concluda con un ringraziamento: “Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!” (v. 57). Il canto di vittoria sulla morte si tramuta in canto di gratitudine innalzato al Vincitore. Anche noi questa sera, celebrando le lodi serali di Dio, vogliamo unire le nostre voci, le nostre menti e i nostri cuori a questo inno di ringraziamento per ciò che la grazia divina ha operato nell’Apostolo delle genti e per il mirabile disegno salvifico che Dio Padre compie in noi per mezzo del Signore Gesù Cristo. Mentre eleviamo la nostra preghiera, siamo fiduciosi di essere trasformati anche noi e conformati ad immagine di Cristo. Questo è particolarmente vero nella preghiera per l’unità dei cristiani. Quando infatti imploriamo il dono dell’unità dei discepoli di Cristo, facciamo nostro il desiderio espresso da Gesù Cristo alla vigilia della sua passione e morte nella preghiera rivolta al Padre: “perché tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21). Per questo motivo, la preghiera per l’unità dei cristiani non è altro che partecipazione alla realizzazione del progetto divino per la Chiesa, e l’impegno operoso per il ristabilimento dell’unità è un dovere e una grande responsabilità per tutti.

Pur sperimentando ai nostri giorni la situazione dolorosa della divisione, noi cristiani possiamo e dobbiamo guardare al futuro con speranza, in quanto la vittoria di Cristo significa il superamento di tutto ciò che ci trattiene dal condividere la pienezza di vita con Lui e con gli altri. La risurrezione di Gesù Cristo conferma che la bontà di Dio vince il male, l’amore supera la morte. Egli ci accompagna nella lotta contro la forza distruttiva del peccato che danneggia l’umanità e l’intera creazione di Dio. La presenza di Cristo risorto chiama tutti noi cristiani ad agire insieme nella causa del bene. Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione, che è quella di portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione. Le nostre divisioni rendono meno luminosa la nostra testimonianza a Cristo. Il traguardo della piena unità, che attendiamo in operosa speranza e per la quale con fiducia preghiamo, è una vittoria non secondaria, ma importante per il bene della famiglia umana.

Nella cultura oggi dominante, l’idea di vittoria è spesso associata ad un successo immediato. Nell’ottica cristiana, invece, la vittoria è un lungo e, agli occhi di noi uomini, non sempre lineare processo di trasformazione e di crescita nel bene. Essa avviene secondo i tempi di Dio, non i nostri, e richiede da noi profonda fede e paziente perseveranza. Sebbene il Regno di Dio irrompa definitivamente nella storia con la risurrezione di Gesù, esso non è ancora pienamente realizzato. La vittoria finale avverrà solo con la seconda venuta del Signore, che noi attendiamo con paziente speranza. Anche la nostra attesa per l’unità visibile della Chiesa deve essere paziente e fiduciosa. Solo in tale disposizione trovano il loro pieno significato la nostra preghiera ed il nostro impegno quotidiani per l’unità dei cristiani. L’atteggiamento di attesa paziente non significa passività o rassegnazione, ma risposta pronta e attenta ad ogni possibilità di comunione e fratellanza, che il Signore ci dona.

In questo clima spirituale, vorrei rivolgere alcuni saluti particolari, in primo luogo al Cardinale Monterisi, Arciprete di questa Basilica, all’Abate e alla Comunità dei monaci benedettini che ci ospitano. Saluto il Cardinale Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e tutti i collaboratori di questo Dicastero. Rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, ed al Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti questa sera. Inoltre, mi è particolarmente gradito salutare alcuni membri del Gruppo di lavoro composto da esponenti di diverse Chiese e Comunità ecclesiali presenti in Polonia, che hanno preparato i sussidi per la Settimana di Preghiera di quest’anno, ai quali vorrei esprimere la mia gratitudine e il mio augurio di proseguire sulla via della riconciliazione e della fruttuosa collaborazione, come pure i membri del Global Christian Forum che in questi giorni sono a Roma per riflettere sull’allargamento della partecipazione al movimento ecumenico di nuovi soggetti. E saluto anche il gruppo di studenti dell’Istituto Ecumenico di Bossey del Consiglio Ecumenico delle Chiese.

All’intercessione di san Paolo desidero affidare tutti coloro che, con la loro preghiera e il loro impegno, si adoperano per la causa dell’unità dei cristiani. Anche se a volte si può avere l’impressione che la strada verso il pieno ristabilimento della comunione sia ancora molto lunga e piena di ostacoli, invito tutti a rinnovare la propria determinazione a perseguire, con coraggio e generosità, l’unità che è volontà di Dio, seguendo l’esempio di san Paolo, il quale di fronte a difficoltà di ogni tipo ha conservato sempre ferma la fiducia in Dio che porta a compimento la sua opera. Del resto, in questo cammino, non mancano i segni positivi di una ritrovata fraternità e di un condiviso senso di responsabilità di fronte alle grandi problematiche che affliggono il nostro mondo. Tutto ciò è motivo di gioia e di grande speranza e deve incoraggiarci a proseguire il nostro impegno per giungere tutti insieme al traguardo finale, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore (cfr 1 Cor 15,58). Amen.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

Fonte: vatican.va.

martedì 24 gennaio 2012

Coroncina di riparazione al Volto Santo

Atto di dolore. Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore
dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più: perché ho offeso Te, infinitamente Buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo, col Tuo santo aiuto, di non offenderti mai più e di fuggire alle occasioni prossime di peccato.
Signore misericordia, perdonami.

Padre nostro, che sei nei Cieli, sia santificato il Tuo Nome, venga il Tuo Regno, sia fatta la Tua Volontà come in Cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.

Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con Te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del Tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.

Io credo in Dio Padre onnipotente,
Creatore del Cielo e della terra,
e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio,
Nostro Signore,
il quale fu concepito da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto,
discese agli inferi,
il terzo giorno risuscitò da morte,
salì al Cielo, siede alla destra di Dio
Padre onnipotente:
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la Santa Chiesa cattolica,
la Comunione dei Santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna. Amen.

Preghiera introduttiva

Gesù mio perdono e misericordia, per i meriti del tuo Santo Volto, che si è impresso sul velo della pia Veronica!
Abbi pietà di noi per la croce che portavi, per gli oltraggi, gli sputi, gli insulti, gli schiaffi che ti sono stati rivolti.
Contempliamo le amare lacrime sparse lungo la Via del Calvario, le spine che ti procurarono dolorosissime sofferenze, quel sudore e quel Sangue che scendevano a rivoli dal tuo Santo Volto. Il tuo Sangue scorra in ogni anima e in ogni cuore. Lava le nostre colpe; monda, purifica e santifica le nostre anime. Per i patimenti della tua arsura di sete, per gli angosciosi e affannosi sospiri, abbi misericordia di noi. Salva le nostre anime e quelle del mondo intero.
Ti adoro, o Gesù, mentre imprimi il tuo Volto adorabile sul bianco lino della pia Veronica.
Degnati di imprimere il tuo Volto divino anche nelle anime nostre.

Si usa la corona del Santo Rosario. Sui grani grossi si recita la seguente preghiera:

O Eterno Padre, Ti offro i meriti e le sofferenze del Santo Volto del tuo Figlio Gesù.
Versa il suo Sangue prezioso in ogni anima e in ogni cuore. Sia Esso balsamo e olio di consolazione: per lenire e risanare le ferite da ogni infermità nelle anime e nei corpi.
O Eterno Padre, abbi misericordia di tutte le anime.

Sui grani piccoli si recita la seguente preghiera:

Divino Santo Volto di Gesù, sofferente e umiliato, grondante sudore e Sangue per i nostri peccati, nel Tuo amore misericordioso, lavami da ogni colpa e purificami da ogni macchia. O mio buon Gesù, abbi misericordia; salva le nostre anime e quelle del mondo intero.

Giaculatorie che si possono intercalare:

  • O Gesù, invadi la mia anima dello splendore della tua Luce divina. Fa’ che io sia un riflesso del Tuo amore per attirare tutte le anime a Te.
  • O Gesù, ogni palpito ed ogni respiro dei nostri cuori, siano mille atti d’amore, di lode e di riparazione al tuo Santo Volto.
  • O Gesù , Santo, Santo, Santo! Benedici e santifica tutte le anime che Ti onoreranno e Ti glorificheranno. Uniscimi a tutte le persone che, in spirito di riparazione anche con questa Coroncina leniscono le Tue sofferenze.


Litanie del volto santo

Signore, pietà.
Cristo, pietà.
Signore, pietà.
Cristo, ascoltaci.
Cristo, esaudiscici.

O Volto Adorabile, compiacenza perfetta dell'Eterno Padre, pietà di noi.
O Volto Adorabile, opera divina dello Spirito Santo, pietà di noi.

O Volto Adorabile, splendore del paradiso, pietà di noi.

O Volto Adorabile, gioia e letizia degli Angeli, pietà di noi.

O Volto Adorabile, soave ristoro dei Santi, pietà di noi.

O Volto Adorabile, dolce riposo dei tribolati, pietà di noi.

O Volto Adorabile, consolante rifugio dei peccatori, pietà di noi.

O Volto Adorabile, speranza e conforto dei moribondi, pietà di noi.

O Volto Adorabile, vittorioso sul maligno, pietà di noi.

O Volto Adorabile, rivelatore della misericordia del Padre, pietà di noi.

O Volto Adorabile, creatore benedetto della legge d'amore, pietà di noi.

O Volto Adorabile, assertore potente della carità fraterna, pietà di noi.

O Volto Adorabile, assetato della salvezza degli uomini, pietà di noi.

O Volto Adorabile, bagnato di lacrime d'amore, pietà di noi.

O Volto Adorabile, ricoperto di fango e di sputi per noi, pietà di noi.

O Volto Adorabile, intriso di sudore e di sangue, pietà di noi.

O Volto Adorabile, insultato, schernito e schiaffeggiato, pietà di noi.

O Volto Adorabile, trattato da vilissimo schiavo, pietà di noi.

O Volto Adorabile, motteggiato nell'atroce agonia, pietà di noi.

O Volto Adorabile, pregante per i tuoi uccisori, pietà di noi.

O Volto Adorabile, abbandonato anche dal Padre, pietà di noi.

O Volto Adorabile, velato dal pallore dei morenti, pietà di noi.

O Volto Adorabile, pianto dalla Madre del dolore, pietà di noi.

O Volto Adorabile, deposto velato nella tomba, pietà di noi.

O Volto Adorabile, impresso nella Santa Sindone, pietà di noi.

O Volto Adorabile, splendido e trionfante nella mattina di Pasqua, pietà di noi.

O Volto Adorabile, circonfuso di bontà nel manifestarti risuscitato agli Apostoli, pietà di noi.

O Volto Adorabile, lucente e glorioso nell'Ascensione al cielo, pietà di noi.

O Volto Adorabile, velato di profondissima umiltà nel mistero eucaristico, pietà di noi.

O Volto Adorabile, rivestito di infinita grandezza nel giudizio finale, pietà di noi.

O Volto Adorabile, invitante alla gloria gli eletti per tutta l'eternità, pietà di noi.

O Volto Adorabile, letizia sempiterna dei Santi, pietà di noi.

O Volto Adorabile, immagine perfetta della sostanza del Padre, pietà di noi.

Angelo di Dio, che togli i peccati del mondo, perdonaci, o Signore!

Agnello di Dio, cbe togli i peccati del mondo, esaudiscici, o Signore!

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, pietà di noi, o Signore!

Preghiera

Ti salutiamo, Ti adoriamo, Ti amiamo Gesù Salvatore che prendi su di Te il peccato del mondo. Offriamo per mezzo del cuore della divina Madre Maria, come incenso e profumo di gratissimo odore, gli omaggi degli Angeli e di tutti i Santi, supplicandoti umilmente per la virtù del Tuo Santo Volto, di riparare e ristabilire in noi e in tutti gli uomini del mondo, la Tua immagine sfigurata dai peccati. Amen.

Preghiera conclusiva
O Signore Gesù, converti i peccatori, gli empi e i bestemmiatori.
Salva i moribondi. Vieni in aiuto ai bisogni della santa Madre Chiesa e libera le anime del Purgatorio. Amen.

lunedì 23 gennaio 2012

La pratica sregolata della musica sacra

Riprendo un articolo pubblicato sul blog Cantuale Antonianum alla fine dello scorso dicembre a proposito della musica sacra, in cui è riportata una parte della conferenza conclusiva del centenario del PIMS (Pontificio Istituto di Musica Sacra) tenuta dal preside, mons. Valentin Miserachs Grau. In essa si parla della crisi che la musica sacra sta affrontando da ormai quarant'anni, malgrado la Chiesa abbia cercato di regolamentarla in documenti magisteriali che sembrano restare inascoltati.


Implicazioni di un centenario
Di Mons. Valentin Miserachs Grau

Il Pontificio Istituto di Musica Sacra è stato fondato da San Pio X nel 1911; il breve pontificio Expleverunt di approvazione e lode della Scuola reca la data del 14 novembre 1911, ma le attività avevano già avuto inizio il 5 gennaio dello stesso anno con la celebrazione di una Santa Messa di impetrazione di grazie. I corsi veri e propri iniziarono il 9 gennaio. L’intero anno accademico 2010-2011 è stato dedicato alla commemorazione del centenario di fondazione di quella che si chiamò inizialmente “Scuola Superiore di Musica Sacra”, ma che sotto il pontificato di Pio XI fu annoverata tra gli atenei e le università ecclesiastiche romane, prendendo definitivamente il nome di “Pontificio Istituto di Musica Sacra.
....
Vorrei sottolineare che il Santo Padre Benedetto XVI si è fatto presente alle feste centenarie tramite una sua lettera indirizzata al nostro Gran Cancelliere, Card. Zenon Grocholewski, in cui ha ricordato le benemerenze dell’Istituto in cento anni di storia, e ci ha ricordato come sia importante anche per il futuro continuare ad operare nel solco della grande tradizione, condizione indispensabile per un aggiornamento che abbia tutte le garanzie che la Chiesa ha sempre richiesto come connotati essenziali della musica sacra liturgica: santità, bontà di forme (arte vera) e universalità, nel senso che la musica liturgica sia a tutti proponibile, senza chiudersi in forme astruse o elitarie, e tanto meno ripiegare su imitazioni di banali prodotti di consumo.

Questo è un tasto dolente, il dilagare cioè nelle nostre chiese di un’ondata di pseudo musiche liturgiche veramente improponibili, sia nel testo che nella musica. Eppure la volontà della Chiesa appare chiaramente dalle parole del Santo Padre or ora ricordate. Con simili espressioni si era a noi rivolto nel discorso che tenne in occasione della visita al PIMS del 13 ottobre 2007. È ancora fresco nella nostra memoria il chirografo sulla musica sacra che il Beato Papa Giovanni Paolo II scrisse in data 22 novembre 2003 in commemorazione del centenario del “motu proprio” Inter sollicitudines di San Pio X (22 novembre 1903), assumendo “in totum” i principi più importanti di questo capitale documento, senza dimenticare quanto il Concilio Vaticano II aveva chiaramente espresso nel capitolo VI della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, seguendo praticamente le orme di quel Santo Pontefice che volle che il suo “motu proprio” avesse il valore di “codice giuridico della musica sacra”. Viene da domandarsi: se la volontà della Chiesa viene dichiarata a chiare lettere anche ai tempi nostri, come mai la prassi musicale nelle nostre chiese si discosta in modo così evidente dalla sana dottrina?

Alla radice ci sarebbero vari problemi da considerare. Per esempio, il problema del repertorio. Abbiamo accennato ad una doppia dimensione: il pericolo cioè di chiudersi in una cerchia che vorrebbe sperimentare nella liturgia nuove composizioni ritenute di elevata qualità. Occorre dire che l’evoluzione del linguaggio musicale verso incerti orizzonti fa sì che il divario fra la musica “seria” e la sensibilità del popolo diventi via via più profondo. La musica liturgica deve essere “universale”, cioè proponibile a ogni tipo di “pubblico”. È difficile che oggi si scriva buona musica che rechi questo connotato essenziale. Non discuto sul valore di certe produzioni, anche sacre, contemporanee, ma sull’opportunità del loro inserimento nella liturgia; non si può trasformare “l’oratorio” in “laboratorio” di sperimentazioni.

Il secondo aspetto del problema deriva da una falsa interpretazione della dottrina conciliare relativa alla musica sacra. Sta di fatto che il “rinnovamento” liturgico postconciliare, compresa la mancanza quasi totale di una normativa vincolante ad alto livello, ha consentito un progressivo degrado della musica liturgica, fino a diventare per lo più musica di consumo, sui parametri della più sciatta musica leggera. Questa triste prassi determina talvolta atteggiamenti di uno stizzoso rifiuto nei confronti della vera musica sacra, di ieri e di oggi, sia pur semplice ma scritta a regola d’arte. Solo un ravvedimento e una decisa volontà “riformatrice”, che sembra purtroppo di là da venire, potrebbe riportare in chiesa la buona prassi musicale, e con la musica la serietà delle celebrazioni, che non mancherebbero di attirare, attraverso la bellezza, tanta gente, specie giovani, allontanati invece dalla imperante prassi dilettantistica, falsamente popolare, che è stata erroneamente ritenuta, magari in buona fede, efficace strumento di avvicinamento.

Sulla capacità di coinvolgimento di cui è capace la buona musica liturgica vorrei aggiungere soltanto quella che è la mia esperienza personale. Io ho la fortuna di operare, ormai da quasi quarant’anni, come maestro di cappella della romana basilica di Santa Maria Maggiore, ove tutte le domeniche e feste viene celebrata la S. Messa Capitolare in latino, in canto gregoriano e in polifonia, con l’intervento dell’organo e, nelle maggiori solennità, di un sestetto di ottoni. Posso assicurare che i fedeli gremiscono le navate della basilica, e che non mancano mai persone che vengono a ringraziare, commosse fino al pianto, e che addirittura, specie al canto finale dell’Inno alla Madonna “Salus Populi Romani”, battono le mani non potendo contenere l’emozione. La gente è assetata di buona musica! Essa va direttamente al cuore ed è capace di operare persino clamorose conversioni.

Un altro punto cardinale della buona musica liturgica, sempre ricordato dal magistero della Chiesa, riguarda il primato dell’organo a canne. L’organo è stato sempre ritenuto lo strumento principe della liturgia romana e, quindi, tenuto in grande onore e considerazione. Sappiamo bene che altri riti usano altri strumenti, oppure il solo canto senza sorta di accompagnamento strumentale. Ma la Chiesa romana – e anche le chiese nate dopo la riforma luterana – vedono nell’organo lo strumento privilegiato. In modo direi esclusivo nei paesi latini, mentre nei paesi di tradizione anglosassone è frequente nella liturgia anche l’intervento dell’orchestra. Ciò non è dovuto al capriccio o al puro caso: l’organo ha radici molto antiche ed è stato collaudato per lunghi secoli nel suo cammino di perfezionamento. La qualità oggettiva del suo suono prodotto e sostenuto dall’aria insufflata nelle canne, omologabile a quello emesso dalla voce umana, e la ricchezza fonica che gli è propria e che lo rende un mondo a sé – non si tratta infatti di un surrogato dell’orchestra! – giustificano la predilezione che la Chiesa nutre nei suoi confronti. Non per nulla anche il Concilio Vaticano II dedica ispirate parole all’organo quando dice che “il suo suono ha la capacità di aggiungere notevole splendore al culto e di elevare possentemente gli animi a Dio e alle cose celesti”, rievocando così la dottrina precedente, sia di San Pio X, che di Pio XII, specie nella splendida enciclica Musicae sacrae disciplina. Vorrei ricordare a questo proposito che una delle pubblicazioni del PIMS che ha avuto più largo successo è l’opuscolo Iucunde laudemus, che raccoglie i documenti più importanti del magistero della Chiesa relativi alla musica sacra. Proprio in questi giorni, visto che la precedente edizione era completamente esaurita, stiamo dando alle stampe una nuova edizione, aggiornata con ulteriori documenti, sia del magistero precedente che di quello dell’attuale Pontefice.

In questo sia pur rapido sguardo sui punti principali che sono alla base di una buona prassi musicale liturgica, arriva per ultimo quello che dovrebbe essere il primo ad essere considerato, cioè il “canto gregoriano”. Il canto gregoriano è il canto ufficiale della Chiesa romana, come ribadisce il Vaticano II. Il suo repertorio comprende migliaia di pezzi, antichi, meno antichi e addirittura moderni. Certamente il maggior fascino si trova nei brani più antichi, risalenti ai secoli X-XI. Anche in questo caso si tratta di un valore oggettivo, in quanto il canto gregoriano rappresenta una sintesi del canto europeo e mediterraneo, imparentato con il vero e autentico canto popolare, anche delle regioni più lontane del mondo. È un canto profondamente umano, essenziale, nella ricchezza e varietà dei modi, nella libertà ritmica sempre al servizio della parola, nella diversità e vario grado di difficoltà dei singoli brani, a seconda del soggetto a cui è affidata l’esecuzione, etc. È un canto che ha trovato nella Chiesa il suo “humus” più consentaneo, e che costituisce un tesoro unico, di inestimabile valore, anche sotto il punto di vista semplicemente culturale.

Perciò la riscoperta del canto gregoriano è condizione indispensabile per ridare dignità al canto liturgico. E non soltanto come repertorio valido in se stesso, ma anche come esempio e sorgente di ispirazione per le nuove composizioni, come nel caso dei grandi polifonisti del periodo rinascimentale che, seguendo i postulati del concilio tridentino, fecero della tematica gregoriana la struttura portante delle loro meravigliose composizioni. Se nel canto gregoriano abbiamo la strada maestra, perché non seguirla e ostinarci invece a battere sentieri che, in tanti casi, conducono al nulla? Ma per tentare questo lavoro occorre avere persone ben dotate e ben preparate. Tale è lo scopo del Pontificio Istituto di Musica Sacra. Per questi nobili ideali si è battuto durante cento anni, e continuerà a farlo anche nel futuro, convinto di rendere un servizio indispensabile alla Chiesa universale in un campo di primaria importanza qual è la musica sacra liturgica. Ne era talmente convinto San Pio X, che non esitò a scrivere nell’introduzione del suo “motu proprio” queste auree parole: Tra le sollecitudini dell’officio pastorale, non solamente di questa Suprema Cattedra, che per inscrutabile disposizione della Provvidenza, sebbene indegni, occupiamo, ma di ogni Chiesa particolare, senza dubbio è precipua quella di mantenere e promuovere il decoro della Casa di Dio, dove gli augusti misteri della religione si celebrano e dove il popolo cristiano si raduna, onde ricevere la grazia dei Sacramenti, assistere al santo Sacrificio dell’Altare, adorare l’augustissimo Sacramento del Corpo del Signore ed unirsi alla preghiera comune della Chiesa nella pubblica e solenne officiatura liturgica.(…) È però di moto proprio e certa scienza pubblichiamo la presente Nostra Istruzione, alla quale, quasi a codice giuridico della musica sacra, vogliamo dalla pienezza della Nostra Autorità Apostolica sia data forza di legge, imponendone a tutti col presente Nostro Chirografo la più scrupolosa osservanza. Sarebbe veramente da augurarsi che il coraggio di San Pio X trovasse un qualche riscontro anche nella Chiesa dei nostri giorni.

Roma, 2011
Mº Mons. Valentino Miserachs Grau
Preside del PIMS


Fonte: cantualeantonianum.com.

mercoledì 18 gennaio 2012

Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

Comincia oggi la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Nei prossimi otto giorni, che ci conducono verso la festa della Conversione di San Paolo Apostolo il 25 gennaio, la Chiesa cattolica ci chiama a pregare, da soli ed insieme ai cristiani che si sono allontanati nei secoli dalla Chiesa cattolica, affinché i cristiani tornino ad essere uniti. Il Signore Gesù Cristo stesso pregava per l'unità del suo Corpo mistico, cioè la Chiesa, proprio prima del compiersi della sua gloriosa Passione: «Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17, 9. 15-23). Nello spirito della sequela di Cristo, dunque, ogni cristiano prega per l'unità della Chiesa.
Durante questo periodo sono molte le iniziative, promosse da Chiese particolari ed associazioni, di preghiera comune fra cristiani cattolici e cristiani di diversa confessione; pregare per l'unità dei cristiani significa amare tutti i fratelli che credono in Cristo dello stesso Amore che il Signore ha dimostrato morendo sulla Croce. E la dimostrazione di questo Amore l'abbiamo pregando per il ritorno di tutti i cristiani verso l'unica Chiesa che Cristo ha fondato e stabilito sul fondamento degli apostoli, sotto la guida del Papa, ossia la Santa Chiesa cattolica.
Con l'espressione "Unità dei cristiani" spesso dimentichiamo che, ancor prima dei cristiani delle confessioni diverse dall'unica e vera confessione cattolica, si intende anche l'unità dei cattolici, troppo spesso minacciata da divisioni interne in nome di rivendicazioni che vengono dalle cose del mondo e non da Dio. Tramite queste divisioni il nostro nemico, il diavolo, punta a dividerci, illudendoci di poter trovare la verità fuori dalla Chiesa di Cristo. Per scongiurare questo pericolo, in questa settimana dobbiamo dunque pregare anche per l'unità della Chiesa cattolica, dei fedeli con i preti loro pastori, dei preti con i vescovi e dei vescovi con il Papa, successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra.
Infine non dimentichiamo di pregare anche per i non cristiani, affinché anch'essi si convertano a Cristo Gesù unico Salvatore degli uomini; impegniamoci a testimoniare il Vangelo nella nostra vita quotidiana, senza vergognarci di fronte al mondo; facciamolo per amore e sull'esempio dei molti martiri cristiani che ancora oggi soffrono nel proprio corpo a causa della fede, in diverse parti del mondo, arrivando fino a dare la propria vita.

lunedì 16 gennaio 2012

Aborto: notizie preoccupanti dal Brasile

Ricevo e divulgo questa preoccupante email a firma di Alberto R. S. Monteiro a proposito della recente situazione riguardante la legalizzazione dell'aborto in Brasile. Nel nostro Paese e nel nostro continente europeo la legalizzazione dell'aborto è così drammaticamente normale da non fare ormai più notizia; ma alcuni fatti descritti in questa lettera credo possano aiutare anche noi italiani ed europei a far luce su cosa ci sia dietro questa strana guerra delle nostre democrazie volta all'annientamento della vita innocente dei bambini non nati. Particolarmente interessante a questo proposito mi sembra questa affermazione della mail in questione, che ci fa capire come funziona la democrazia su temi scomodi come questo: «Siamo tutti purtroppo vittime dello stesso male, però, al contrario dell'Europa, la riprovazione all'aborto in Latino America cresce anno dopo anno, in un modo impressionante, in tutto il continente. In Brasile l'approvazione all'aborto è diminuita dal 60% nel 1994 ad appena 3% nel 2005, e da allora continua a diminuire; però non si fanno quasi più indagini di opinione pubblica, giacché vengono pagate dalle organizzazioni che promuovono l'aborto». Segue il testo della mail (alcune correzioni mie).

Urgente: l'aborto potrebbe essere legalizzato in tutta l'America Latina
Di Alberto R. S. Monteiro

A tutti quelli che comprendono il valore della vita umana.

Sono un italo brasiliano che chiede scusa per qualsiasi sbaglio d'italiano. Scrivo questo messaggio perché il vostro indirizzo di posta elettronica mi è stato dato come appartenente a una persona profondamente interessata nella difesa della dignità della vita umana.

La situazione è gravissima: siamo nell'imminenza della legalizzazione dell'aborto in tutto il nostro continente. In Europa già si soffre l'imposizione totalitaria dell'aborto, promossa dall'ONU e da decine di grandi Fondazioni Internazionali. Anche l'America Latina è invasa da queste politiche distruttive dell'essere umano e dei fondamenti della democrazia.

Questo messaggio chiede agli italiani che sono a favore della vita di aiutarci a impedire l'imminente legalizzazione dell'aborto nel nostro continente.

Siamo tutti purtroppo vittime dello stesso male; però, al contrario dell'Europa, la riprovazione all'aborto in America Latina cresce anno dopo anno, in un modo impressionante, in tutto il continente. In Brasile l'approvazione all'aborto è diminuita dal 60% nel 1994 ad appena 3% nel 2005, e da allora continua a diminuire; però non si fanno quasi più indagini di opinione pubblica, giacché vengono pagate dalle proprie organizzazioni che promuovono l'aborto.

In Uruguai l'approvazione all'aborto era del 68% nel 2005 ed è diminuita al 49% nel 2008, e dopo da allora anche lì hanno smesso, come in Brasile, di promuovere nuove indagini di opinione. Tuttavia, nel dicembre del 2011, un programma televisivo uruguaiano che favoriva l'aborto intentò un'indagine in diretta con 2000 persone e trovò il 67% di riprovazione alla legalizzazione dell'aborto. Sorpresi dal risultato, la settimana seguente tentarono una nuova indagine, con diverse parole, e questa volta risultò una riprovazione del 78% all'aborto. La terza settimana arrivò
l'annuncio, può essere coincidenza o no, che avevano perduto il patrocinatore e non avrebbero più trasmesso nel 2012.

Similmente accade in altre nazioni del continente. Un'altra differenza tra America Latina ed Europa consiste nel fatto che, oltre alla riprovazione all'aborto, tutta l'America Latina, con l'eccezione di Cuba e della Guiana, è sottoscritta al Trattato
Interamericano dei Diritti Umani, un trattato che Riconosce la personalità giuridica e il diritto alla vita dal momento del concepimento, un trattato che è incluso in tutte le nostre costituzioni, motivo per il quale in nessun Parlamento si potrebbe nemmeno presentare un progetto di legge per legalizzare l'aborto senza prima revocare la ratifica del Trattato Interamericano dei Diritti Umani. I comitati interni di controllo di costituzionalità dei parlamenti, che
esistono in tutti i parlamenti per potere bene avviare il processo legislativo, dovrebbero perciò bocciare questi progetti, per incostituzionalità, proprio nel momento della loro presentazione.

Nonostante tutto ciò, in Uruguay, il Partito di sinistra Frente Amplio, approfittando del fatto di avere la maggioranza dei voti in Senato, ha convocato una seduta straordinaria il 27 dicembre 2011, tra il Natale e il Capodanno, per approvare una legge che liberalizza praticamente l'aborto durante tutti i nove mesi della gravidanza. Il marzo 2012 la stessa legge sarà votata dalla Camera dei Deputati e, nonostante la sua incostituzionalità e l'opinione pubblica contraria, potrà trasformarsi in legge e in seguito essere copiata in tutta l'America Latina.

Un mese prima, il 29 novembre 2011, la Conferenza Episcopale dell'Uruguay presentò in Senato un rapporto dettagliato sugli interessi internazionali che promuovono l'aborto in tutta America. Si crede che fu questa denuncia che fece precipitare la votazione di Natale, prima che il pubblico venisse a piena conoscenza del contenuto del rapporto. Fu la prima volta che una Conferenza Episcopale presentò una denuncia sulla difesa della vita così completa e fondata.

Il messaggio seguente chiede a tutti di conoscere i fatti che stanno accadendo, di divulgarli e di prepararsi per aiutarci alla battaglia per la vita che avverrà a marzo. Nel frattempo, chiediamo a tutti di scrivere un messaggio di appoggio ai Vescovi dell'Uruguai, perché possano a marzo dimostrare lo stesso coraggio nel difendere la vita come lo hanno fatto in novembre e dicembre. La posta elettronica dei vescovi dell'Uruguay è a fine messaggio.

Questo messaggio è lungo ma, per favore, non ti importare di questo. Studia con pazienza il messaggio, commentalo e divulgalo a tutto i tuoi contatti. Insisti con i tuoi amici perché facciano lo stesso.

La Cultura della Morte che pretende installarsi nel nostro continente, come base di una nuova forma di dittatura, non usa la forza per imporsi, ma l'ideologia e il controllo dell'informazione.

Per vincere questa battaglia contro la vita non abbiamo bisogno del tuo sangue, nemmeno del tuo denaro. Abbiamo bisogno solo che tu lo sappia e della tua iniziativa per diffonderlo. Non c'è altra maniera di difendere la democrazia moderna.

Il tuo contributo, in conoscenza e diffusione, è assolutamente indispensabile per impedire questo genocidio.

Fu esattamente in questo modo che, negli ultimi anni, si sono vinte diverse altre battaglie per la vita. E, ogni volta che ciò accade, tutti capiscono più profondamente cosa veramente succede e la democrazia si rafforza.

Cercherò nelle prossime settimane di mantenere informati tutti coloro che sono in questa lista sullo sviluppo dei fatti.

Ringrazio tutti per l'immenso bene che stanno aiutando a promuovere. Il problema trascende le frontiere di qualsiasi nazione, giacché fà parte di una strategia d'insieme pesantemente finanziata da organizzazioni internazionali che investono nella promozione dell'aborto in tutto il mondo.

Non vi immaginate come queste cose, che sembrano piccole e insignificanti, facciano la differenza e portino alla vittoria della vita. È per causa di queste cose che l'approvazione all'aborto è in scesa in America Latina, l'aborto ancora non si è imposto e speriamo che mai s'imponga. Ed è anche per questo che tentano di approvarlo nella settimana di Natale. Temono, e con ragione, che se non lo fanno in questo modo, non lo faranno più, e ogni giorno gli risulterà sempre più e più difficile farlo, fino a che tutto il continente diventerà apertamente a favore della vita, come già praticamente è.

Siate sicuri che la partecipazione di ognuno è veramente insostituibile e, insieme, si ottiene la differenza.

Con immensa gratitudine,

ALBERTO R. S. MONTEIRO


A questo indirizzo potrete trovare il messaggio completo, con gli indirizzi di tutti i vescovi della Conferenza Episcopale Uruguaiana, che il signor Alberto Monteiro ci chiede cortesemente di leggere e divulgare a tutti i nostri contatti e amici; anche se un po' lungo credo non sarà un peso leggerlo per tutti coloro che hanno a cuore le problematiche della vita dei più deboli e innocenti. Un applauso va ai vescovi della Conferenza Episcopale Uruguaiana, ai quali siamo vicini in questa lotta, e un grazie al signor Monteiro, per aver scritto in italiano un messaggio così completo ed accorato (malgrado qualche comprensibile errore si capisce benissimo).

Clicca qui per leggere il messaggio completo.

sabato 14 gennaio 2012

Tesori d'arte sacra: le due nicchie della navata sinistra

Per l'appuntamento con l'arte sacra custodita nel Duomo continuiamo oggi, dopo la parentesi di dicembre dedicata all'affresco di Santa Lucia, con la navata sinistra, e arriviamo alle due nicchie, ricavate sulla parete. Esse custodiscono due statue, dedicate rispettivamente al Sacro Cuore di Gesù e della Madonna delle Grazie, risalenti agli anni Settanta del secolo scorso. In particolare, la statua della Madonna delle Grazie è particolarmente venerata in occasione della festa annuale della seconda settimana di settembre, detta della "Madonna dei Fagotti"; questa ricorrenza deriva dall'uso dei pescatori di un tempo di lasciare le loro case, proprio intorno all'inizio di settembre, per trasferirsi presso i casoni, e qui trascorrere, facendo fronte al freddo dell'inverno, il periodo della fraima. Così, prima di partire, essi si radunavano presso il porticciolo, che anticamente si trovava nel cuore del centro storico, in quella che oggi è piazza Papa Giovanni XXIII, carichi del loro fagotto, ed affidavano la loro vita e quella delle loro famiglie alla Madonna, in onore della quale era stata eretta una chiesetta proprio lì vicino, l'attuale chiesa della Madonna di Pompei. Con l'avvento della tecnologia e dei motopescherecci, i pescatori non ebbero più bisogno di trascorrere l'inverno lontani da casa; tuttavia la tradizione continuò, fino ai nostri giorni, con una solenne processione vespertina con la statua della Madonna delle Grazie, fatta realizzare per l'occasione, da scultori della Val Gardena, dall'allora arciprete mons. Felice Marchesan.
Il basamento di entrambe le nicchie è ornato con fregi marmorei di arte bizantina, ritrovati durante i restauri del Duomo effettuati negli anni '50: si tratta di antichi resti lapidei certamente appartenuti all'antica basilica paleocristiana sui resti della quale fu costruito l'attuale edificio, risalente almeno al VII secolo, anno di fondazione della diocesi a Caorle. Particolarmente suggestivo è il fregio che orna la nicchia del Sacro Cuore, che raffigura due draghi ed una scia di fuoco (vedi la foto in basso).
Tra le due statue è stata posta la lapide commemorativa del rifacimento delle fondamenta del palazzo vescovile, commissionato dal vescovo Pietro Carlo (1470-1513), famoso per aver retto il patriarcato di Aquileia in un periodo di sede vacante, durante il quale visitò i territori della Carinzia, consacrando diverse chiese; fu anche insignito, da papa Alessandro VI e da papa Giulio II, di diverse onorificenze, tra le quali il canonicato della patriarcale Basilica di Santa Maria Assunta di Aquileia. Nella lapide affissa alla parete sinistra, lo stemma del vescovo, il giglio bottonato sormontato da una mitria preziosa, è seguito dall'iscrizione che recita (tradotta dal latino): «Pietro Carlo Veneto // Vescovo di Caorle a Nicolò // suo fratello e a futuro decoro // eresse questi muri // dalle fondamenta // 1 ottobre // 1490». Ai lati di questa lapide sono posti due medaglioni rotondi in pietra, probabilmente più antichi del VII secolo, sui quali sono rappresentati un'aquila che attacca una lepre. L'aquila è simbolo dell'acume, della sapienza, ma anche della risurrezione di Cristo: la lepre, invece, è da intendersi nella sua accezione vetero-testamentaria di animale impuro. Questo simbolo rappresenta dunque la lotta del bene contro il male, della risurrezione contro la morte, di Cristo contro il diavolo; la forma circolare di questi medaglioni, e quindi anche degli animali che contengono, sono segno del continuo perpetuarsi di questa lotta nella storia del mondo.
Infine, sopra la nicchia della Madonna delle Grazie è riportata una lapide, un tempo posta esternamente sopra il portone principale d'ingresso, posta al tempo del vescovo Pietro Martire Rusca (1656-1674), che commemora la consacrazione del Duomo il 30 agosto 1665; poiché non vi era notizia dell'antica consacrazione alla costruzione dell'edificio, nel 1038, fu deciso di riconsacrarlo nel XVII secolo, apponendo dodici croci in cotto poste attorno alla chiesa, sulle pareti interne. L'iscrizione, tradotta dal latino, recita così: «A Dio, Ottimo, Massimo // e al diacono Stefano Protomartire // Fra' Pietro Martire Rusca vescovo consacrò // quando era pretore Marino Pizzamano il 30 agosto 1665».

Le due nicchie della navata sinistra
Statua del Sacro CuoreStatua della Madonna delle GrazieFregio Sacro Cuore
Fregio Madonna delle GrazieLapide vescovo Pietro CarloMedaglioneLapide riconsacrazione

mercoledì 11 gennaio 2012

Il vero volto degli anti-omofobi

Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo sulla sconcia rappresentazione in programma a Milano del regista Romeo Castellucci; una vicenda che ci fa interrogare sulla discriminazione in atto contro i cristiani, ed in particolare contro i cattolici, tanto che alcuni osservatori non hanno esitato a descriverla con il nome di cristiano-fobia.
Ebbene tale nome, non proprio semanticamente corretto (la parola fobia, infatti, indica piuttosto paura verso qualcosa, mentre si vorrebbe intendere qualcosa di più, come discriminazione ed odio), deriva in qualche modo dall'altro atteggiamento di cui i cristiani, ultimamente, sono ritenuti colpevoli: l'omofobia, il cavallo di battaglia delle associazioni omosessualiste. In realtà nel termine "omofobia" oggi si tende a far entrare anche comportamenti che nulla hanno di discriminatorio, ma che riguardano la libertà di pensiero, nella fattispecie la libertà dei cristiani di dissentire dall'omosessualità. Per fare degli esempi: non assumere o licenziare un commesso perché omosessuale è un atto di ingiusta discriminazione, che la Chiesa stessa condanna (CCC 2358), poiché va nella direzione di negare un diritto fondamentale della persona (il lavoro) in ragione dell'orientamento sessuale, che con quel lavoro non ha nulla a che fare; criticare ed opporsi all'adozione di bambini da parte di coppie di omosessuali, al contrario, non può essere considerato un atto discriminatorio, né offensivo, perché i figli non sono in alcun modo considerabili un "diritto" dei genitori (siano essi naturali o adottivi), ed anche perché è a beneficio e nell'interesse del bambino che la sua famiglia sia costituita da un padre e da una madre (come molti studi scientifici stanno, silenziosamente, dimostrando). Quando si tenta di combattere questo atteggiamento per nulla discriminatorio, ma che rientra per lo meno nella libertà di pensiero e di espressione che tutte le persone dovrebbero avere garantito, si rischia di cadere in un massimalismo tipico di vere e proprie dittature.
E' il caso di Adrian Smith, un funzionario inglese di una compagnia di housing, che per aver espresso nel suo profilo facebook delle legittime opinioni di critica nei confronti di certe idee espresse dai movimenti omosessualisti, è stato accusato di omofobia, declassato nel suo lavoro e, praticamente, multato nel suo stipendio con una ammenda di 14000 sterline all'anno. Le frasi del misfatto riguardano la pretesa di alcune coppie omosessuali di sposarsi in chiesa, cosa, secondo Smith, assurda; un'opinione del tutto legittima, che viene erroneamente (e forse in malafede) considerata discriminatoria. Riprendendo l'esempio del commesso che ho fatto sopra, qui sembra di assistere alla stessa cosa: il commesso viene licenziato (in questo caso multato e retrocesso) per aver espresso la sua opinione, in un campo che non riguarda assolutamente il suo lavoro. Ma nessuno sembra curarsene, anzi, sembra addirittura che la si consideri una punizione giusta. Paradossalmente una voce sola si è levata, in Inghilterra, a difesa di Smith, ed è quella di un attivista gay noto in Gran Bretagna, Peter Tatchell, che ha avuto modo di dichiarare: «Se un dipendente gay fosse stato trattato così duramente da un’organizzazione cristiana per aver scritto commenti in favore degli omosessuali sulla propria pagina personale di facebook, avremmo assistito ad una sollevazione generale ed all’inevitabile accusa di omofobia». Un'altra prova, dunque, dell'inestricabile intreccio tra l'anti-omofobia e la cristianofobia.
Di seguito cito l'articolo, a firma di Gianfranco Amato, apparso lunedì sul blog Corrispondenza Romana.

Dagli all'omofobo
Di Gianfranco Amato

Per rendersi conto di quanto siano pericolosi gli interventi legislativi in materia di omofobia, basta attraversare la Manica. In Gran Bretagna aleggia un clima da terreur jacobin, che alimenta la preoccupante escalation di quella che è diventata una vera e propria caccia alle streghe contro chiunque possa anche vagamente apparire in odore di omofobia.

Scrivevo un anno fa del rischio di un nuovo maccartismo delle lobby gay, prendendo lo spunto dal titolo di un intelligente articolo della nota giornalista conservatrice britannica Melanie Phillips apparso sul Daily Mail del 24 gennaio 2011 (Yes, gays have often been the victims of prejudice. But they now risk becoming the new McCarthyites). Le cose da allora sono solo peggiorate. L’ultimo episodio di questa assurda caccia all’omofobo rende assai bene l’idea. Stavolta di mira è stato preso Adrian Smith un funzionario della Trafford Housing Trust (THT), una housing company con sede nei pressi di Manchester, il quale, a seguito di un procedimento disciplinare, è stato retrocesso ad una mansione inferiore, ed ha subito una decurtazione del 40% del proprio stipendio, passando da 35.000 a 21.000 sterline.

Praticamente una multa di 14.000 sterline applicata ogni anno. L’accusa è quella di “gross misconduct”, indisciplina talmente grave (come furto o violenza) da giustificare persino il licenziamento in tronco di un dipendente. Smith è stato “graziato” da questa sanzione estrema solo per il suo ottimo curriculum e per il suo impeccabile comportamento tenuto in diciotto anni di onorato lavoro.

Questi i fatti che hanno portato i dirigenti della THT ad assumere un così severo provvedimento disciplinare. Adrian Smith avrebbe rilasciato presunti commenti “omofobici” nella propria pagina di facebook personale. I commenti consistevano, in realtà, nell’obiezione alla pretesa di celebrare i matrimoni omosessuali in chiesa. «Io non capisco», ha scritto Smith, «perché persone che non hanno fede e non credono in Gesù Cristo devono sposarsi in chiesa; le Sacre Scritture sono assolutamente chiare sul fatto che il matrimonio sia l’unione di un uomo e di una donna». Aggiunge persino questa affermazione: «Se lo Stato intende riconoscere il matrimonio civile tra omosessuali, può benissimo farlo, ma non può imporre le proprie regole nei luoghi destinati alla fede ed alla coscienza».

L’errore commesso da Smith, secondo la THT, è quello di aver specificato la propria posizione lavorativa nel suo profilo facebook, e quindi di aver leso gravemente l’immagine dell’organizzazione, associandola a quelle espressioni ritenute di contenuto omofobico. Tra l’altro, il comportamento di Smith sarebbe anche andato contro la policy aziendale della THT ispirata ai concetti di «inclusione e tolleranza» (sic!).

In questa vicenda, però, qualcosa non torna.

Primo, Adrian Smith ha espresso i suoi commenti fuori dall’orario di lavoro, utilizzando la propria pagina personale di facebook, che non è pubblica e non può, quindi, essere vista da chiunque. Secondo, Adrian Smith si è limitato ad esprimere un’opinione, in maniera pacata, non offensiva, e senza ingiuriare nessuno. Terzo, Adrian Smith non ha minacciato o intimidito chicchessia. Quarto, Adrian Smith non ha neppure espresso un giudizio negativo contro l’omosessualità di per sé, dichiarandosi persino non contrario al matrimonio civile tra gay.

La sua colpa è quella di aver criticato l’eventualità di imporre con una legge i matrimoni in chiesa tra persone dello stesso sesso. Poiché la questione è oggetto di ampio e acceso pubblico in Gran Bretagna, allora dovrebbe essere considerata omofoba tutta quella larga fetta dell’opinione pubblica britannica che condivide le perplessità di Smith. Anzi, per essere precisi, insieme a lui dovrebbero essere bollati come omofobi, il Primo Ministro, il Ministro per le Pari Opportunità, e tutta l’alta gerarchia della Chiesa Anglicana. Se è omofobo Adrian Smith, allora sono omofobi anche tutti loro.

Il provvedimento adottato dal THT non è solo illegittimo ma anche odioso. E a renderlo ancora più odioso è stato il tripudio con cui è stato accolto dalla comunità LGBT. Con una meritoria eccezione di riguardo, però. Si tratta di Peter Tatchell, noto attivista gay che si batte per i diritti degli omosessuali.

Tatchell è l’unico che non solo ha criticato pubblicamente l’operato della THT, ma che ha addirittura preso le difese di Smith. Ha, infatti, scritto sul prestigioso blog statunitense Huffinghton Post: «In una società democratica tutti, compreso Adrian Smith hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni anche quando possono apparire ad altri fuorvianti ed errate; la libertà di espressione dovrebbe essere limitata solo in casi estremi, come, ad esempio, quando si concretizza nell’incitazione esplicita alla violenza».

E poi ha sollevato una provocazione che gli fa onore: «Se un dipendente gay fosse stato trattato così duramente da un’organizzazione cristiana per aver scritto commenti in favore degli omosessuali sulla propria pagina personale di facebook, avremmo assistito ad una sollevazione generale ed all’inevitabile accusa di omofobia».

Quando Peter Tatchell ha saputo dell’intenzione di Smith di opporsi alle sanzioni inflittegli rivolgendosi al giudice del lavoro, si è dichiarato pronto a testimoniare in suo favore. Ciò dimostra che il punto non è tanto l’orientamento sessuale di una persona, quanto l’uso ideologico e distorto che di esso se ne fa. E come tutti i frutti velenosi delle degenerazioni ideologiche, anche questa isteria collettiva che tende ad identificare gli omofobi come gli untori manzoniani del XXI secolo, finisce inevitabilmente per tradursi in deprecabili atteggiamenti di intolleranza. E’ così che è sempre accaduto nella Storia ogni volta che i discriminati si sono trasformati in discriminatori.


Fonte: www.corrispondenzaromana.it

lunedì 9 gennaio 2012

Lo spettacolo blasfemo

In questi giorni stiamo assistendo ad una nuova ondata di quella che alcuni osservatori chiamano cristiano-fobia, secondo una moda invalsa tra i più: dal Pakistan continuano ad arrivare notizie su Asia Bibi, la donna cristiana incarcerata e condannata a morte per blasfemia, di cui la quasi totalità dei media italiani sembra essersi dimenticata; oppure la terribile situazione dei cristiani in Nigeria, perseguitati e uccisi dai fondamentalisti islamici, che hanno intimato ai superstiti di lasciare le loro case per poter dare vita ad uno stato totalmente islamico. Ma finché questi gesti razzisti riguardano terre lontane, non ci toccano direttamente, restano fatti di cronaca, semplici titoli che, forse per una qualche casualità, abbiamo letto sui quotidiani o ascoltato al telegiornale.
In verità c'è un altro gesto cristianofobo che sta avvenendo proprio nel cuore della civilissima, democraticissima e liberissima Italia: si tratta di una rappresentazione teatrale di un certo Romeo Castellucci, dal titolo "Sul concetto di Volto del figlio di Dio". Questa, molto in sintesi, la trama: un anziano guarda la televisione in una stanza bianca; ma l'anziano è incontinente, ed è soggetto a frequenti attacchi di dissenteria. Tocca al figlio pulire la stanza ed accudire il padre, ma puntualmente un nuovo attacco di dissenteria inquina il bianco della scenografia non appena il figlio ha terminato le pulizie. Alla fine il povero figlio, forse esasperato, prende i liquami e gli escrementi depositati sul palcoscenico e li scaglia contro il fondo della scenografia.
Viene da chiedersi cosa c'entri il "Volto del figlio di Dio" in tutto questo; ebbene, anche se non se ne capisce il motivo (ma non credo sia l'unica cosa priva di spiegazione in tutta questa faccenda, a cominciare dall'affinità di questa cosa col teatro), durante tutto lo svolgimento campeggia sullo sfondo una gigantografia del Volto di Gesù Cristo, nella rappresentazione del Salvator Mundi di Antonello da Messina. Quindi la chiosa del lavoro di Castellucci non è semplicemente il figlio che lancia via gli escrementi per esasperazione; lancia quegli escrementi all'indirizzo del Volto di Gesù Cristo. E per fugare ogni dubbio (magari qualcuno può pensare che si tratti di casualità), il quadro si squarcia, lasciando leggere la frase "You are not my shepherd" (Tu non sei il mio pastore).
Non ci vuole molto, soltanto un minimo di onestà intellettuale, per capire che questo orrendo spettacolo non è semplicemente una provocazione, satira o qualcos'altro di lecito o innocente, ma un chiaro attacco, volutamente blasfemo, contro Gesù Cristo e contro i cristiani. Da parte sua il regista ci tiene a far sapere (in una lettera pubblicata sul blog messainlatino.it) che il suo spettacolo è «spirituale e cristico; portatore, cioè, dell’immagine del Cristo», e che «è completamente falso che si lordi il volto del Cristo con gli escrementi; chi ha visto lo spettacolo ha potuto vedere la finale colatura di un velo di inchiostro nero scendere sul dipinto come un sudario notturno». Il tutto dando, a chi abbia pensato che lo spettacolo potesse essere offensivo di Gesù Cristo e della religione cristiana, degli emeriti ignoranti. Ci perdoni, dunque, l'ignoranza il regista, se gli facciamo notare che, secondo il suo ragionamento, anche il regime nazista poteva essere definito filo-ebraico, anzi, il maggiore diffusore dell'ebraismo nella Germania degli anni '30, giacché aveva "gentilmente proposto" a tutti gli ebrei di portare in bella vista la Stella di David, un simbolo ebraico; oppure che l'allora ministro Calderoli era un fervente musulmano, giacché aveva deciso di indossare lui stesso la famosa maglietta con le vignette islamiche, un gesto sicuramente maomettistico. Ironia a parte, dal basso della nostra ignoranza ci sentiamo di suggerire al Castellucci che non basta esporre l'immagine di Cristo per definire "cristico" il suo spettacolo; dipende dalla destinazione che ha quell'immagine. E, per rispondere alla seconda obiezione qui riportata, quella cioè secondo cui l'immagine non sarebbe insozzata di escrementi nel finale dell'opera, ci limitiamo a riportare il link a un'immagine che rappresenta la scenografia a rappresentazione conclusa in un teatro francese.
Chiaramente non è un argomento allettante per i grandi quotidiani italiani, fatta eccezione per un articolo di Paola d'Amico a pagina 55 del Corriere di sabato scorso. In compenso in molti quotidiani compare oggi la notizia del comportamento omofobo di un politico pdl nei confronti del governatore della Puglia; allora viene da chiedersi: perché l'omofobia sì e la cristianofobia no? Se fa notizia l'omofobia perché non dovrebbe far notizia la discriminazione nei confronti dei cristiani? La notizia compare soltanto sulle pagine del web, nei siti e nei blog cattolici come Corrispondenza Romana e Fides et Forma, oltre al già citato Messa in Latino; su questi siti internet si sta diffondendo la notizia di una manifestazione di protesta pacifica a cui tutti i cattolici sono invitati che si dovrebbe tenere martedì 24 gennaio alle 19:30 e sabato 28 gennaio alle 20:00 (giorni in cui è prevista la messa in scena della suddetta rappresentazione) davanti al Teatro Parenti a Milano. Ci si può chiedere se vi sia effettivamente l'opportunità di manifestare, come qualcuno si è anche chiesto se vi sia l'opportunità di denunciare fatti di questo tipo; ha provato a dare una risposta il prof. Roberto de Mattei, in un video pubblicato a questo link, che invito per lo meno ad ascoltare. Di certo non vi è l'opportunità di rappresentare questo spettacolo blasfemo proprio mentre una donna cristiana viene, lei sì ingiustamente, accusata di blasfemia e minacciata di morte in Pakistan, e mentre migliaia di cristiani in Nigeria sono costretti a vivere nel terrore di essere trucidati, come già successo, a causa della loro fede cattolica.
Io personalmente inviterei ancora una volta a giudicare con onestà intellettuale quelli che sono i fatti, e che cita anche de Mattei: nel nostro stato non si può criticare il presidente della repubblica perché si rischia di essere accusati del reato di vilipendio, non si può obiettare allo stile di vita degli omosessuali perché si viene accusati di omofobia, non si possono criticare i musulmani perché si rischierebbero le ritorsioni (anche violente) di alcuni e quelle verbali di musulmani e non; Gesù Cristo, invece, può essere liberamente insozzato, offeso, sbeffeggiato e oltraggiato, non esistono leggi che tutelino la libertà di pensiero e di espressione dei cattolici. Se nemmeno protestiamo per questi eventi sconfortanti ed offensivi rischiamo sul serio di far rimanere soltanto la loro bestemmia. Ed invito anche, senza retorica o demagogia, a gettare uno sguardo sulla storia, su quella che è stata l'origine del razzismo più bieco del nostro continente, quello contro gli ebrei, gli omosessuali e i disabili nella Germania nazista e nella Russia comunista, e come esso si sia potuto diffondere senza freno anche grazie alla incolpevole docilità degli stessi discriminati che, ignari di quello a cui erano stati destinati, sopportavano in silenzio le assurde leggi e gli insulti da parte dei regimi nazista e comunista. Studiare la storia può servire anche per non commettere oggi gli stessi errori del passato.
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