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mercoledì 11 gennaio 2012

Il vero volto degli anti-omofobi

Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo sulla sconcia rappresentazione in programma a Milano del regista Romeo Castellucci; una vicenda che ci fa interrogare sulla discriminazione in atto contro i cristiani, ed in particolare contro i cattolici, tanto che alcuni osservatori non hanno esitato a descriverla con il nome di cristiano-fobia.
Ebbene tale nome, non proprio semanticamente corretto (la parola fobia, infatti, indica piuttosto paura verso qualcosa, mentre si vorrebbe intendere qualcosa di più, come discriminazione ed odio), deriva in qualche modo dall'altro atteggiamento di cui i cristiani, ultimamente, sono ritenuti colpevoli: l'omofobia, il cavallo di battaglia delle associazioni omosessualiste. In realtà nel termine "omofobia" oggi si tende a far entrare anche comportamenti che nulla hanno di discriminatorio, ma che riguardano la libertà di pensiero, nella fattispecie la libertà dei cristiani di dissentire dall'omosessualità. Per fare degli esempi: non assumere o licenziare un commesso perché omosessuale è un atto di ingiusta discriminazione, che la Chiesa stessa condanna (CCC 2358), poiché va nella direzione di negare un diritto fondamentale della persona (il lavoro) in ragione dell'orientamento sessuale, che con quel lavoro non ha nulla a che fare; criticare ed opporsi all'adozione di bambini da parte di coppie di omosessuali, al contrario, non può essere considerato un atto discriminatorio, né offensivo, perché i figli non sono in alcun modo considerabili un "diritto" dei genitori (siano essi naturali o adottivi), ed anche perché è a beneficio e nell'interesse del bambino che la sua famiglia sia costituita da un padre e da una madre (come molti studi scientifici stanno, silenziosamente, dimostrando). Quando si tenta di combattere questo atteggiamento per nulla discriminatorio, ma che rientra per lo meno nella libertà di pensiero e di espressione che tutte le persone dovrebbero avere garantito, si rischia di cadere in un massimalismo tipico di vere e proprie dittature.
E' il caso di Adrian Smith, un funzionario inglese di una compagnia di housing, che per aver espresso nel suo profilo facebook delle legittime opinioni di critica nei confronti di certe idee espresse dai movimenti omosessualisti, è stato accusato di omofobia, declassato nel suo lavoro e, praticamente, multato nel suo stipendio con una ammenda di 14000 sterline all'anno. Le frasi del misfatto riguardano la pretesa di alcune coppie omosessuali di sposarsi in chiesa, cosa, secondo Smith, assurda; un'opinione del tutto legittima, che viene erroneamente (e forse in malafede) considerata discriminatoria. Riprendendo l'esempio del commesso che ho fatto sopra, qui sembra di assistere alla stessa cosa: il commesso viene licenziato (in questo caso multato e retrocesso) per aver espresso la sua opinione, in un campo che non riguarda assolutamente il suo lavoro. Ma nessuno sembra curarsene, anzi, sembra addirittura che la si consideri una punizione giusta. Paradossalmente una voce sola si è levata, in Inghilterra, a difesa di Smith, ed è quella di un attivista gay noto in Gran Bretagna, Peter Tatchell, che ha avuto modo di dichiarare: «Se un dipendente gay fosse stato trattato così duramente da un’organizzazione cristiana per aver scritto commenti in favore degli omosessuali sulla propria pagina personale di facebook, avremmo assistito ad una sollevazione generale ed all’inevitabile accusa di omofobia». Un'altra prova, dunque, dell'inestricabile intreccio tra l'anti-omofobia e la cristianofobia.
Di seguito cito l'articolo, a firma di Gianfranco Amato, apparso lunedì sul blog Corrispondenza Romana.

Dagli all'omofobo
Di Gianfranco Amato

Per rendersi conto di quanto siano pericolosi gli interventi legislativi in materia di omofobia, basta attraversare la Manica. In Gran Bretagna aleggia un clima da terreur jacobin, che alimenta la preoccupante escalation di quella che è diventata una vera e propria caccia alle streghe contro chiunque possa anche vagamente apparire in odore di omofobia.

Scrivevo un anno fa del rischio di un nuovo maccartismo delle lobby gay, prendendo lo spunto dal titolo di un intelligente articolo della nota giornalista conservatrice britannica Melanie Phillips apparso sul Daily Mail del 24 gennaio 2011 (Yes, gays have often been the victims of prejudice. But they now risk becoming the new McCarthyites). Le cose da allora sono solo peggiorate. L’ultimo episodio di questa assurda caccia all’omofobo rende assai bene l’idea. Stavolta di mira è stato preso Adrian Smith un funzionario della Trafford Housing Trust (THT), una housing company con sede nei pressi di Manchester, il quale, a seguito di un procedimento disciplinare, è stato retrocesso ad una mansione inferiore, ed ha subito una decurtazione del 40% del proprio stipendio, passando da 35.000 a 21.000 sterline.

Praticamente una multa di 14.000 sterline applicata ogni anno. L’accusa è quella di “gross misconduct”, indisciplina talmente grave (come furto o violenza) da giustificare persino il licenziamento in tronco di un dipendente. Smith è stato “graziato” da questa sanzione estrema solo per il suo ottimo curriculum e per il suo impeccabile comportamento tenuto in diciotto anni di onorato lavoro.

Questi i fatti che hanno portato i dirigenti della THT ad assumere un così severo provvedimento disciplinare. Adrian Smith avrebbe rilasciato presunti commenti “omofobici” nella propria pagina di facebook personale. I commenti consistevano, in realtà, nell’obiezione alla pretesa di celebrare i matrimoni omosessuali in chiesa. «Io non capisco», ha scritto Smith, «perché persone che non hanno fede e non credono in Gesù Cristo devono sposarsi in chiesa; le Sacre Scritture sono assolutamente chiare sul fatto che il matrimonio sia l’unione di un uomo e di una donna». Aggiunge persino questa affermazione: «Se lo Stato intende riconoscere il matrimonio civile tra omosessuali, può benissimo farlo, ma non può imporre le proprie regole nei luoghi destinati alla fede ed alla coscienza».

L’errore commesso da Smith, secondo la THT, è quello di aver specificato la propria posizione lavorativa nel suo profilo facebook, e quindi di aver leso gravemente l’immagine dell’organizzazione, associandola a quelle espressioni ritenute di contenuto omofobico. Tra l’altro, il comportamento di Smith sarebbe anche andato contro la policy aziendale della THT ispirata ai concetti di «inclusione e tolleranza» (sic!).

In questa vicenda, però, qualcosa non torna.

Primo, Adrian Smith ha espresso i suoi commenti fuori dall’orario di lavoro, utilizzando la propria pagina personale di facebook, che non è pubblica e non può, quindi, essere vista da chiunque. Secondo, Adrian Smith si è limitato ad esprimere un’opinione, in maniera pacata, non offensiva, e senza ingiuriare nessuno. Terzo, Adrian Smith non ha minacciato o intimidito chicchessia. Quarto, Adrian Smith non ha neppure espresso un giudizio negativo contro l’omosessualità di per sé, dichiarandosi persino non contrario al matrimonio civile tra gay.

La sua colpa è quella di aver criticato l’eventualità di imporre con una legge i matrimoni in chiesa tra persone dello stesso sesso. Poiché la questione è oggetto di ampio e acceso pubblico in Gran Bretagna, allora dovrebbe essere considerata omofoba tutta quella larga fetta dell’opinione pubblica britannica che condivide le perplessità di Smith. Anzi, per essere precisi, insieme a lui dovrebbero essere bollati come omofobi, il Primo Ministro, il Ministro per le Pari Opportunità, e tutta l’alta gerarchia della Chiesa Anglicana. Se è omofobo Adrian Smith, allora sono omofobi anche tutti loro.

Il provvedimento adottato dal THT non è solo illegittimo ma anche odioso. E a renderlo ancora più odioso è stato il tripudio con cui è stato accolto dalla comunità LGBT. Con una meritoria eccezione di riguardo, però. Si tratta di Peter Tatchell, noto attivista gay che si batte per i diritti degli omosessuali.

Tatchell è l’unico che non solo ha criticato pubblicamente l’operato della THT, ma che ha addirittura preso le difese di Smith. Ha, infatti, scritto sul prestigioso blog statunitense Huffinghton Post: «In una società democratica tutti, compreso Adrian Smith hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni anche quando possono apparire ad altri fuorvianti ed errate; la libertà di espressione dovrebbe essere limitata solo in casi estremi, come, ad esempio, quando si concretizza nell’incitazione esplicita alla violenza».

E poi ha sollevato una provocazione che gli fa onore: «Se un dipendente gay fosse stato trattato così duramente da un’organizzazione cristiana per aver scritto commenti in favore degli omosessuali sulla propria pagina personale di facebook, avremmo assistito ad una sollevazione generale ed all’inevitabile accusa di omofobia».

Quando Peter Tatchell ha saputo dell’intenzione di Smith di opporsi alle sanzioni inflittegli rivolgendosi al giudice del lavoro, si è dichiarato pronto a testimoniare in suo favore. Ciò dimostra che il punto non è tanto l’orientamento sessuale di una persona, quanto l’uso ideologico e distorto che di esso se ne fa. E come tutti i frutti velenosi delle degenerazioni ideologiche, anche questa isteria collettiva che tende ad identificare gli omofobi come gli untori manzoniani del XXI secolo, finisce inevitabilmente per tradursi in deprecabili atteggiamenti di intolleranza. E’ così che è sempre accaduto nella Storia ogni volta che i discriminati si sono trasformati in discriminatori.


Fonte: www.corrispondenzaromana.it

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