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lunedì 23 gennaio 2012

La pratica sregolata della musica sacra

Riprendo un articolo pubblicato sul blog Cantuale Antonianum alla fine dello scorso dicembre a proposito della musica sacra, in cui è riportata una parte della conferenza conclusiva del centenario del PIMS (Pontificio Istituto di Musica Sacra) tenuta dal preside, mons. Valentin Miserachs Grau. In essa si parla della crisi che la musica sacra sta affrontando da ormai quarant'anni, malgrado la Chiesa abbia cercato di regolamentarla in documenti magisteriali che sembrano restare inascoltati.


Implicazioni di un centenario
Di Mons. Valentin Miserachs Grau

Il Pontificio Istituto di Musica Sacra è stato fondato da San Pio X nel 1911; il breve pontificio Expleverunt di approvazione e lode della Scuola reca la data del 14 novembre 1911, ma le attività avevano già avuto inizio il 5 gennaio dello stesso anno con la celebrazione di una Santa Messa di impetrazione di grazie. I corsi veri e propri iniziarono il 9 gennaio. L’intero anno accademico 2010-2011 è stato dedicato alla commemorazione del centenario di fondazione di quella che si chiamò inizialmente “Scuola Superiore di Musica Sacra”, ma che sotto il pontificato di Pio XI fu annoverata tra gli atenei e le università ecclesiastiche romane, prendendo definitivamente il nome di “Pontificio Istituto di Musica Sacra.
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Vorrei sottolineare che il Santo Padre Benedetto XVI si è fatto presente alle feste centenarie tramite una sua lettera indirizzata al nostro Gran Cancelliere, Card. Zenon Grocholewski, in cui ha ricordato le benemerenze dell’Istituto in cento anni di storia, e ci ha ricordato come sia importante anche per il futuro continuare ad operare nel solco della grande tradizione, condizione indispensabile per un aggiornamento che abbia tutte le garanzie che la Chiesa ha sempre richiesto come connotati essenziali della musica sacra liturgica: santità, bontà di forme (arte vera) e universalità, nel senso che la musica liturgica sia a tutti proponibile, senza chiudersi in forme astruse o elitarie, e tanto meno ripiegare su imitazioni di banali prodotti di consumo.

Questo è un tasto dolente, il dilagare cioè nelle nostre chiese di un’ondata di pseudo musiche liturgiche veramente improponibili, sia nel testo che nella musica. Eppure la volontà della Chiesa appare chiaramente dalle parole del Santo Padre or ora ricordate. Con simili espressioni si era a noi rivolto nel discorso che tenne in occasione della visita al PIMS del 13 ottobre 2007. È ancora fresco nella nostra memoria il chirografo sulla musica sacra che il Beato Papa Giovanni Paolo II scrisse in data 22 novembre 2003 in commemorazione del centenario del “motu proprio” Inter sollicitudines di San Pio X (22 novembre 1903), assumendo “in totum” i principi più importanti di questo capitale documento, senza dimenticare quanto il Concilio Vaticano II aveva chiaramente espresso nel capitolo VI della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, seguendo praticamente le orme di quel Santo Pontefice che volle che il suo “motu proprio” avesse il valore di “codice giuridico della musica sacra”. Viene da domandarsi: se la volontà della Chiesa viene dichiarata a chiare lettere anche ai tempi nostri, come mai la prassi musicale nelle nostre chiese si discosta in modo così evidente dalla sana dottrina?

Alla radice ci sarebbero vari problemi da considerare. Per esempio, il problema del repertorio. Abbiamo accennato ad una doppia dimensione: il pericolo cioè di chiudersi in una cerchia che vorrebbe sperimentare nella liturgia nuove composizioni ritenute di elevata qualità. Occorre dire che l’evoluzione del linguaggio musicale verso incerti orizzonti fa sì che il divario fra la musica “seria” e la sensibilità del popolo diventi via via più profondo. La musica liturgica deve essere “universale”, cioè proponibile a ogni tipo di “pubblico”. È difficile che oggi si scriva buona musica che rechi questo connotato essenziale. Non discuto sul valore di certe produzioni, anche sacre, contemporanee, ma sull’opportunità del loro inserimento nella liturgia; non si può trasformare “l’oratorio” in “laboratorio” di sperimentazioni.

Il secondo aspetto del problema deriva da una falsa interpretazione della dottrina conciliare relativa alla musica sacra. Sta di fatto che il “rinnovamento” liturgico postconciliare, compresa la mancanza quasi totale di una normativa vincolante ad alto livello, ha consentito un progressivo degrado della musica liturgica, fino a diventare per lo più musica di consumo, sui parametri della più sciatta musica leggera. Questa triste prassi determina talvolta atteggiamenti di uno stizzoso rifiuto nei confronti della vera musica sacra, di ieri e di oggi, sia pur semplice ma scritta a regola d’arte. Solo un ravvedimento e una decisa volontà “riformatrice”, che sembra purtroppo di là da venire, potrebbe riportare in chiesa la buona prassi musicale, e con la musica la serietà delle celebrazioni, che non mancherebbero di attirare, attraverso la bellezza, tanta gente, specie giovani, allontanati invece dalla imperante prassi dilettantistica, falsamente popolare, che è stata erroneamente ritenuta, magari in buona fede, efficace strumento di avvicinamento.

Sulla capacità di coinvolgimento di cui è capace la buona musica liturgica vorrei aggiungere soltanto quella che è la mia esperienza personale. Io ho la fortuna di operare, ormai da quasi quarant’anni, come maestro di cappella della romana basilica di Santa Maria Maggiore, ove tutte le domeniche e feste viene celebrata la S. Messa Capitolare in latino, in canto gregoriano e in polifonia, con l’intervento dell’organo e, nelle maggiori solennità, di un sestetto di ottoni. Posso assicurare che i fedeli gremiscono le navate della basilica, e che non mancano mai persone che vengono a ringraziare, commosse fino al pianto, e che addirittura, specie al canto finale dell’Inno alla Madonna “Salus Populi Romani”, battono le mani non potendo contenere l’emozione. La gente è assetata di buona musica! Essa va direttamente al cuore ed è capace di operare persino clamorose conversioni.

Un altro punto cardinale della buona musica liturgica, sempre ricordato dal magistero della Chiesa, riguarda il primato dell’organo a canne. L’organo è stato sempre ritenuto lo strumento principe della liturgia romana e, quindi, tenuto in grande onore e considerazione. Sappiamo bene che altri riti usano altri strumenti, oppure il solo canto senza sorta di accompagnamento strumentale. Ma la Chiesa romana – e anche le chiese nate dopo la riforma luterana – vedono nell’organo lo strumento privilegiato. In modo direi esclusivo nei paesi latini, mentre nei paesi di tradizione anglosassone è frequente nella liturgia anche l’intervento dell’orchestra. Ciò non è dovuto al capriccio o al puro caso: l’organo ha radici molto antiche ed è stato collaudato per lunghi secoli nel suo cammino di perfezionamento. La qualità oggettiva del suo suono prodotto e sostenuto dall’aria insufflata nelle canne, omologabile a quello emesso dalla voce umana, e la ricchezza fonica che gli è propria e che lo rende un mondo a sé – non si tratta infatti di un surrogato dell’orchestra! – giustificano la predilezione che la Chiesa nutre nei suoi confronti. Non per nulla anche il Concilio Vaticano II dedica ispirate parole all’organo quando dice che “il suo suono ha la capacità di aggiungere notevole splendore al culto e di elevare possentemente gli animi a Dio e alle cose celesti”, rievocando così la dottrina precedente, sia di San Pio X, che di Pio XII, specie nella splendida enciclica Musicae sacrae disciplina. Vorrei ricordare a questo proposito che una delle pubblicazioni del PIMS che ha avuto più largo successo è l’opuscolo Iucunde laudemus, che raccoglie i documenti più importanti del magistero della Chiesa relativi alla musica sacra. Proprio in questi giorni, visto che la precedente edizione era completamente esaurita, stiamo dando alle stampe una nuova edizione, aggiornata con ulteriori documenti, sia del magistero precedente che di quello dell’attuale Pontefice.

In questo sia pur rapido sguardo sui punti principali che sono alla base di una buona prassi musicale liturgica, arriva per ultimo quello che dovrebbe essere il primo ad essere considerato, cioè il “canto gregoriano”. Il canto gregoriano è il canto ufficiale della Chiesa romana, come ribadisce il Vaticano II. Il suo repertorio comprende migliaia di pezzi, antichi, meno antichi e addirittura moderni. Certamente il maggior fascino si trova nei brani più antichi, risalenti ai secoli X-XI. Anche in questo caso si tratta di un valore oggettivo, in quanto il canto gregoriano rappresenta una sintesi del canto europeo e mediterraneo, imparentato con il vero e autentico canto popolare, anche delle regioni più lontane del mondo. È un canto profondamente umano, essenziale, nella ricchezza e varietà dei modi, nella libertà ritmica sempre al servizio della parola, nella diversità e vario grado di difficoltà dei singoli brani, a seconda del soggetto a cui è affidata l’esecuzione, etc. È un canto che ha trovato nella Chiesa il suo “humus” più consentaneo, e che costituisce un tesoro unico, di inestimabile valore, anche sotto il punto di vista semplicemente culturale.

Perciò la riscoperta del canto gregoriano è condizione indispensabile per ridare dignità al canto liturgico. E non soltanto come repertorio valido in se stesso, ma anche come esempio e sorgente di ispirazione per le nuove composizioni, come nel caso dei grandi polifonisti del periodo rinascimentale che, seguendo i postulati del concilio tridentino, fecero della tematica gregoriana la struttura portante delle loro meravigliose composizioni. Se nel canto gregoriano abbiamo la strada maestra, perché non seguirla e ostinarci invece a battere sentieri che, in tanti casi, conducono al nulla? Ma per tentare questo lavoro occorre avere persone ben dotate e ben preparate. Tale è lo scopo del Pontificio Istituto di Musica Sacra. Per questi nobili ideali si è battuto durante cento anni, e continuerà a farlo anche nel futuro, convinto di rendere un servizio indispensabile alla Chiesa universale in un campo di primaria importanza qual è la musica sacra liturgica. Ne era talmente convinto San Pio X, che non esitò a scrivere nell’introduzione del suo “motu proprio” queste auree parole: Tra le sollecitudini dell’officio pastorale, non solamente di questa Suprema Cattedra, che per inscrutabile disposizione della Provvidenza, sebbene indegni, occupiamo, ma di ogni Chiesa particolare, senza dubbio è precipua quella di mantenere e promuovere il decoro della Casa di Dio, dove gli augusti misteri della religione si celebrano e dove il popolo cristiano si raduna, onde ricevere la grazia dei Sacramenti, assistere al santo Sacrificio dell’Altare, adorare l’augustissimo Sacramento del Corpo del Signore ed unirsi alla preghiera comune della Chiesa nella pubblica e solenne officiatura liturgica.(…) È però di moto proprio e certa scienza pubblichiamo la presente Nostra Istruzione, alla quale, quasi a codice giuridico della musica sacra, vogliamo dalla pienezza della Nostra Autorità Apostolica sia data forza di legge, imponendone a tutti col presente Nostro Chirografo la più scrupolosa osservanza. Sarebbe veramente da augurarsi che il coraggio di San Pio X trovasse un qualche riscontro anche nella Chiesa dei nostri giorni.

Roma, 2011
Mº Mons. Valentino Miserachs Grau
Preside del PIMS


Fonte: cantualeantonianum.com.

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