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martedì 30 novembre 2010

Antifona "Alma Redemptoris Mater"

Il tempo di Avvento è caratterizzato da una connaturata devozione a Maria Vergine e Madre del Nostro Salvatore; malgrado la prima parte dell'Avvento sia dedicata, nella liturgia, all'attesa dell'ultima venuta di Gesù Cristo sulla terra nella gloria, già dall'antifona al Magnificat dei Secondi Vespri della prima domenica si guarda all'Annunciazione dell'Angelo Gabriele alla Beata Vergine. E dall'inizio dell'Avvento fino addirittura al 2 febbraio (festa della presentazione al tempio di Nostro Signore) ci accompagna una delle quattro antifone maggiori dedicate alla Madonna: "Alma Redemptoris Mater", che significa Santa Madre del Redentore; in essa troviamo condensati molti aspetti importanti del mistero dell'Incarnazione e del parto verginale di Maria. Innanzitutto ci si rivolge a Maria come Alma, che in latino significa Santa, ma che deriva anche dall'ebraico, dove l'Almah era la ragazza non ancora sposata ma in età di matrimonio; il fatto quindi di accostare l'aggettivo Alma al titolo di "Redemptoris Mater" (Madre del Redentore) è un modo di presentare la verginità intatta di Maria, che pur non conoscendo uomo, ha concepito per opera dello Spirito Santo. Infatti più avanti nel testo si trovano le parole "Virgo prius ac posterius Gabrielis ab ore" (Vergine prima e dopo l'annuncio di Gabriele), a conferma del mistero accennato all'inizio. L'antifona è comunque una preghiera, nella quale si invoca colei che è accessibile porta del cielo e guida come la stella i naviganti (quae pervia caeli porta manes et stella maris) perché soccorra il popolo che, pur soggetto alla caducità e alla morte, anela a risorgere (succurre cadenti surgere qui curat populo); lei che (splendida espressione) ha generato il suo Genitore mentre la natura contemplava stupefatta (Tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem) abbia pietà di noi peccatori e preghi per noi.
E' interessante notare come la musica segua l'andamento del testo; alle parole "surgere qui curat populo", ad esempio, anche le note si innalzano; una conferma di come il canto gregoriano sia l'essenza della musica sacra, come afferma il Magistero della Chiesa fin dai tempi di Pio X e conferma il Concilio Vaticano II. Nel canto gregoriano, che ha il pregio di possedere sempre un testo di chiara ispirazione biblica, vediamo come non basti il solo testo per l'autentica musica sacra (altrimenti non avremmo a che fare con "musica sacra" ma con testi sacri); la musica deve fondersi intimamente col testo, come a formare un tutt'uno. Nel contempo la musica gregoriana è, come è stata definita dai padri, povera, casta e obbediente; mai è invadente, non ha la pretesa di sostituire il testo e nemmeno di farlo passare in secondo piano, obbedisce rigorosamente e totalmente alla buona liturgia e sancisce una separazione fra quello che è vano e profano (e che pertanto non deve, e mai dovrebbe, varcare le soglie del tempio sacro, come ribadisce Giovanni Paolo II). Da qui si comprende la legge riconosciuta da papa Pio X e fatta propria anche dal venerabile Giovanni Paolo II: «tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme».
A seguire ecco l'antifona cantata in gregoriano nel tono semplice e una sua riproposizione in chiave polifonica, composta dal grande Giovanni Pierluigi da Palestrina (ricordiamo che la polifonia romana è l'unico genere musicale, insieme al gregoriano, che i documenti magisteriali del Concilio e dei papi indicano esplicitamente come esempi esistenti di vera musica sacra):



sabato 27 novembre 2010

Omelia del papa all'inizio dell'Avvento

Alle 18:00 nella Basilica di San Pietro in Vaticano, papa Benedetto XVI ha celebrato i Primi Vespri della Prima Domenica di Avvento, con cui ha inizio un nuovo anno liturgico.
Nell'omelia il papa si è soffermato innanzitutto sul mistero dell'Avvento, del Dio che si fa uno di noi; mentre i nostri cuori si orientano alla nascita di Cristo, la liturgia ci mostra l'arrivo ultimo della nostra storia, che è la Venuta Ultima di Dio fra noi, come anche ricordiamo in tutte le Sante Messe: "Nell'attesa della Tua venuta".
Ha poi spostato l'attenzione sull'altro evento che, quest'oggi, ha preceduto i Vespri: la Veglia per la vita nascente. Dio che si è fatto bambino ha salvato la vita umana totalmente, in pienezza; l'Incarnazione ci rivela con intensa luce e in modo sorprendente che la vita umana ha una dignità altissima, incomparabile, al di sopra di tutti gli altri esseri viventi, poiché l'uomo vive contemporaneamente e inscindibilmente la realtà spirituale e quella corporea.
L'uomo, dice il papa, è spirito, anima e corpo: legato alle possibilità e alle difficoltà di questo mondo, ma anche legato a Dio, per poterne discernere l'amore e la bellezza. Per questo abbiamo una grande responsabilità nei confronti della vita umana di chiunque.
Credere in Gesù Cristo vuol dire avere uno sguardo nuovo sull'uomo, uno sguardo di fiducia e di speranza; infatti anche la retta ragione conferma che l'uomo è un essere libero e con la propria ragione, che merita il diritto di essere trattato non come un oggetto da possedere o di cui si possa disporre a proprio piacimento, ma la persona è un bene in se stessa; occorre curare il suo sviluppo integrale.
Su questo binario si pone la dottrina della Chiesa nei confronti della vita nascente, la più esposta al pericolo dell'egoismo dell'uomo e all'oscuramento delle coscenze. Riguardo all'embrione, la scienza stessa ne mette in evidenza l'autonomia di essere umano, non un agglomerato inerte di materia cellulare; non c'è alcuna ragione per non considerarlo persona fin dal concepimento. Così è stato anche Gesù Cristo nel grembo della Vergine.
Purtroppo anche dopo la nascita, osserva il pontefice, la vita dei bambini è costantemente messa in pericolo dall'egoismo, dalla violenza e dallo sfruttamento. Per questo il papa ha chiesto a tutti coloro che hanno autorità politica di promuovere leggi che vadano in difesa della vita e che in questa direzione facciano ogni sforzo possibile.
Alla fine della celebrazione dei vespri, davanti al Santissimo Sacramento, il papa ha recitato in nome di tutti la preghiera appositamente scritta per l'occasione:


Signore Gesù,
che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza
la Chiesa e la storia degli uomini;
che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue
ci rendi partecipi della Vita divina
e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna;
noi ti adoriamo e ti benediciamo.
Prostráti dinanzi a Te, sorgente e amante della vita
realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo.
Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente,
rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno
la mirabile opera del Creatore,
disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino
che si affaccia alla vita.
Benedici le famiglie,
santifica l'unione degli sposi,
rendi fecondo il loro amore.
Accompagna con la luce del tuo Spirito
le scelte delle assemblee legislative,
perché i popoli e le nazioni riconoscano e rispettino
la sacralità della vita, di ogni vita umana.
Guida l'opera degli scienziati e dei medici,
perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona
e nessuno patisca soppressione e ingiustizia.
Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti,
perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti
affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi
alla nascita di nuovi figli.
Consola le coppie di sposi che soffrono
a causa dell'impossibilità ad avere figli,
e nella tua bontà provvedi.
Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati,
perché possano sperimentare il calore della tua Carità,
la consolazione del tuo Cuore divino.
Con Maria tua Madre, la grande credente,
nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana,
attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore,
la forza di amare e servire la vita,
in attesa di vivere sempre in Te,
nella Comunione della Trinità Beata.
Amen.


Il testo per intero dell'omelia del papa è disponibile cliccando qui.

domenica 21 novembre 2010

Lettera pastorale del patriarca

Oggi, solennità di Cristo Re e festa della Madonna della Salute per il nostro patriarcato, il patriarca ha voluto diffondere la sua prima lettera pastorale, per annunciare la visita del papa i prossimi 7 e 8 maggio ad Aquileia e Venezia. In essa il patriarca spiega le motivazioni della visita del papa ed il suo significato nell'ambito più ampio della Chiesa di Venezia e di tutto il nordest. In chiusura il nostro vescovo suggerisce una preghiera, da recitare quanto più possibile comunitariamente e anche personalmente, proprio per la futura visita del Santo Padre.

Carissime/i,
sabato 7 e domenica 8 maggio 2011 il Santo Padre sarà tra noi. Visiterà Aquileia e Venezia.
Avrò modo di ritornare con i fratelli vescovi della Conferenza Episcopale Triveneta sui gesti che si svolgeranno in occasione di questo straordinario avvenimento.
Con questo breve scritto, vorrei rivolgermi a tutti voi per condividere la gioia suscitata dall’annuncio della visita papale e renderci così conto del prezioso dono che il Papa ci fa. Questo, infatti, è il primo modo per prepararci ad accoglierlo degnamente.

1. Perché il Santo Padre viene a farci visita?

C’è una ragione profonda della venuta di Benedetto XVI tra noi. È di gran lunga la più importante perché esprime la missione specifica del successore di Pietro. Essa si radica nel compito che Gesù stesso affidò al Capo degli Apostoli quando gli disse: «Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32).
Che cosa significa questa espressione «conferma i tuoi fratelli»? Di quale conferma abbiamo bisogno?
Il desiderio che arde nel nostro cuore è di essere confermati nella certezza che Gesù Cristo è vivo ed è a noi contemporaneo. AmarLo e seguirLo ci rende pienamente uomini. La fede, nutrita dalla preghiera liturgica e personale, dall’amore di carità e dal pensiero di Cristo, è “conveniente” per gli uomini e le donne di oggi, perché investe in ogni istante affetti, lavoro e riposo. Nulla resta fuori. Benedetto XVI lo sta documentando con la sua preghiera, con la sua testimonianza, con il suo insegnamento e coi suoi viaggi. Qui sta la sostanza del dono che il Papa intende fare, visitandole, alle Chiese e alle popolazioni del Nordest.
Le occasioni concrete a cui si lega la sua venuta - la solenne Eucaristia nel parco di San Giuliano a Mestre, l’avvio del cammino interdiocesano verso il Secondo Convegno Ecclesiale ad Aquileia, la conclusione nella Basilica Cattedrale di San Marco della Visita
Pastorale del nostro Patriarcato, l’inaugurazione del restauro della Cappella della Trinità del Seminario Patriarcale, l’apertura della nuova biblioteca moderna dello Studium Generale Marcianum - sono la “carne” di questo dono.
Da quando Dio è entrato nella storia e ha voluto farsi in tutto simile a noi, tranne che nel peccato per renderci partecipi della sua stessa vita, ogni circostanza ed ogni rapporto di cui è intessuta l’umana esistenza sono occasione di incontro personale con Lui: è il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Quale occasione di verità e di bellezza poter vivere questi gesti con il Santo Padre!

2. Una passione per tutto l’umano

Seguire Cristo consente di vivere in pienezza. Questo – ognuno di noi lo intuisce molto bene – non coincide automaticamente con il superamento delle nostre contraddizioni o incoerenze, né tantomeno significa che i cristiani siano migliori di coloro che pensano o dicono di non credere. Vuol dire unicamente che per grazia di Dio abbiamo ricevuto questa possibilità che vogliamo condividere con tutti. Infatti, per ogni uomo ed ogni donna è naturale comunicare ogni giorno spontaneamente, in tutti gli ambienti che frequenta, ciò a cui uno tiene più di ogni altra cosa.
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8) scrive l’Apostolo. Questo dinamismo è inscritto nel DNA del cristiano. Appartenere al Signore nella sua Chiesa genera un’inarrestabile passione per l’umano – anzitutto per quello che riscopriamo in noi – che si traduce nella ricerca di un’apertura al confronto con tutti.
La venuta del Santo Padre ad Aquileia e a Venezia è destinata a tutti gli abitanti di queste nostre terre che, ne sono certo, sapranno trarne profitto come avvenne per la visita di Paolo VI (1972) e di Giovanni Paolo II (1985). Come non ricordare in proposito il singolare legame tra Pietro e Marco che così profondamente ha segnato la nostra straordinaria storia? E come tacere, per limitarci ai tempi recenti, l’approfondirsi del solido legame delle nostre genti con il Papa grazie a San Pio X, al Beato Giovanni XXIII, al Servo di Dio Giovanni Paolo I, patriarchi divenuti papi, ma soprattutto santi, cioè uomini riusciti?
«Gli uomini - è lo stesso Benedetto XVI a ricordarcelo - avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che ci si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale, per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere presenti e rendere efficaci i criteri della vera umanità… Dio vive, e ha bisogno di uomini che esistono per Lui e che Lo portano agli altri» (Benedetto XVI, Lettera ai seminaristi, 18 ottobre 2010). Desideriamo che un po’di questo gusto per la bellezza della fede e per la passione di comunicarla raggiunga anche noi. Per questo, con umiltà ma anche con decisione, vogliamo mettere a disposizione della persona e della missione del Papa, in questa straordinaria occasione, energie e creatività, affinché Cristo sia conosciuto ed amato.

3. Come prepararci

Per prepararci a vivere fino in fondo l’incontro con il Papa ci vogliamo dare tempi e modalità.

a. Anzitutto i tempi
Mi sembra opportuno dividere il periodo di attesa in due grandi momenti. Il primo andrà dalla Festa della Madonna della Salute, che quest’anno coincide con la solennità di Cristo Re, fino all’inizio della Quaresima. Il secondo dalla Quaresima fino al 7-8 maggio.

b. Modalità
Dopo aver interpellato vari organismi sinodali del Patriarcato propongo di concentrarci per la prima fase su due aspetti: la preghiera assidua e l’approfondimento del magistero di Benedetto XVI.
Questa scelta presenta un duplice vantaggio.
Anzitutto ci aiuta ad assimilare in profondità il valore del gesto papale. Il suo scopo, abbiamo detto, è quello di confermare la nostra fede affinché la nostra vita fin d’ora sia più bella, più buona e più vera. Facciamo nostra la domanda degli Apostoli: «Accresci la nostra fede» (Lc 17,6).
In secondo luogo la nostra preparazione, così intesa, non richiederà impegni straordinari da assumere personalmente, in famiglia, nelle nostre aggregazioni, parrocchie, vicariati e diocesi. Si tratterà piuttosto di imprimere al nostro cammino ordinario un preciso orientamento verso l’evento di grazia che la visita del Santo Padre rappresenta per trarne tutto il frutto possibile.

* La preghiera
Mi limito a suggerire qualche indicazione che chiede di essere personalizzata e tradotta nelle forme più adeguate da parte di ogni comunità e di ogni fedele. Tutti gli abituali atti liturgici (la celebrazione dell’Eucaristia, della Riconciliazione e di tutti i Sacramenti, Liturgia della Parola di Dio, Liturgia della Ore, ecc. ) ed ogni forma di preghiera comunitaria (adorazione comunitaria, santo rosario, feste della Madonna e dei santi, ecc.) abbiano come intenzione esplicitamente espressa la preparazione del popolo di Dio all’evento di grazia rappresentato dalla Visita del Santo Padre. Domando, per la medesima intenzione, l’intensificarsi della preghiera in famiglia e della preghiera personale (preghiere del mattino e della sera, prima e dopo i pasti, ecc.). Gente Veneta e gli altri mezzi di comunicazione proporranno settimanalmente dei suggerimenti in proposito.
Vi invito inoltre a recitare sovente, comunitariamente e personalmente, la preghiera seguente appositamente preparata per la venuta del Papa.

Preghiera in preparazione
della Visita pastorale di Benedetto XVI
ad Aquileia e a Venezia 7-8 maggio 2011

Dio Padre, sorgente di ogni paternità,
che hai creato il mondo e quanti vi abitano,
Dio Figlio che, per salvarci, ti sei fatto
uomo e hai condiviso la nostra condizione
umana fino alla morte e alla morte di croce,
Dio Spirito Santo che facendoci partecipi
della comunione divina rinnovi
ogni nostra relazione,
ti ringraziamo per il dono di Papa Benedetto in mezzo a noi.
Egli viene a confermare i fratelli,
concedici di accoglierlo con amore filiale
per imitarne la fede indomita,
la speranza certa e la carità ardente.

Signore Gesù, tu hai detto a Pietro:
«Su questa pietra edificherò la mia Chiesa»,
rendici figli degni di questa santa Dimora,
docili al suo Successore.
Signore Gesù, tu hai detto:
«Sono venuto perché abbiano la vita
e l’abbiano in abbondanza»,
donaci di farne ogni giorno esperienza
negli affetti, nel lavoro e nel riposo,
rinnova il coraggio che ha spinto i nostri padri fino agli estremi confini del mondo,
perché possiamo comunicare
a tutti gli uomini il gusto della vita cristiana.

Vergine amata, tu che nei momenti
della prova hai custodito i tuoi figli,
proteggi le nostre terre con tutti coloro
che vi abitano e le visitano.
A Te, Madre del bell’amore,
affidiamo in modo speciale noi stessi,
tutti i nostri cari, le nostre famiglie,
i bambini, i giovani, gli ammalati,
gli anziani, i più poveri e bisognosi, tutti i perseguitati per la fede e per giusti ideali,
in modo speciale i nostri fratelli cristiani.
Tu, Causa della nostra letizia,
ascolta ed intercedi.
Amen.


* L’approfondimento del magistero papale
Ogni settimana verrà fornito, sempre attraverso Gente Veneta e gli altri mezzi di comunicazione, un breve testo tratto dall’insegnamento papale perché possa divenire oggetto di riflessione e di meditazione. Una speciale Commissione è già all’opera per costruire, in modo semplice ma organico, questa antologia. Il suo scopo è quello di accompagnarci nel quotidiano, illuminando con le parole del Papa i principali misteri della nostra fede in se stessi e nelle loro implicazioni con la nostra vita di uomini e di donne, di fanciulli/e, di ragazzi/e, di giovani, di adulti e di anziani.
Questi testi dovranno essere oggetto di una attenta lettura sia personale che comunitaria. Una lettura che può nascere solo da un ascolto profondo, libero da ogni pregiudizio, che cerchi un confronto a 360 gradi non solo con i battezzati ma con tutti i nostri fratelli uomini.

Carissimi,
la visita del Santo Padre è un dono che, come ogni dono, suscita una risposta grata. Una risposta che chiede responsabilità. Al senso di responsabilità di ciascuno singolarmente preso, di tutte le comunità cristiane, di tutte le associazioni ecclesiali e civili, di tutte le istituzioni mi affido perché questa straordinaria occasione sia preparata fin nei minimi particolari. Il Papa ci trova in cammino e, ne sono certo, ci lascerà in eredità nuove possibilità di crescita personale, ecclesiale civile.
Di cuore porgo a tutti la mia benedizione ed il mio affettuoso saluto.

S.E. card. Angelo Scola
Patriarca

venerdì 19 novembre 2010

Il martirio dei cristiani di oggi

Quando parliamo dei martiri cristiani siamo forse abituati a pensare alle icone o agli affreschi che abbiamo visto nei musei o (sempre meno spesso, purtroppo) nelle nostre chiese; il pensiero va alle gesta eroiche e lontane di quei primi cristiani, perseguitati dagli imperatori romani, che per difendere la propria fede erano costretti a rifugiarsi nelle catacombe. Ma la realtà è un'altra, una realtà che non conosciamo perché lontana da noi, troppo lontana dalle logiche e dagli interessi politici perché i giornali ne parlino, come magari parlano delle carceri americane, o troppo poco avvincenti perché i programmi di "approfondimento" se ne occupino.
Parlare di martirio in un mondo come il nostro, così benpensante che vuole cacciare il sacrificio persino dalla Messa per sostituirlo con le feste da discoteca, è troppo scomodo: ma è anche questo nostro atteggiamento che contribuisce a scavare le catacombe nei paesi di quei cristiani che sono costretti in vario modo ad abiurare la fede in Nostro Signore. Parlano i numeri: in meno di un secolo coloro che professavano la fede cristiana in Iraq sono passati dal 20% (all'inizio del 1900) al 2% dei giorni nostri, con una notevole accelerazione negli ultimi anni.
Ma una vicenda in particolare è in questi giorni assunta a simbolo del martirio dei cristiani in quelle terre mediorientali: è il caso di Asia Bibi, donna pakistana di 37 anni, madre di due bambini. L'anno scorso, durante il suo lavoro nei campi del Punjab, ebbe una discussione con le sue colleghe di lavoro islamiche, le quali volevano convincerla ad abbandonare il cristianesimo e convertirsi all'Islam. La donna ha difeso la sua fede in Cristo crocifisso per lei, additandolo come esempio alle sue colleghe e invitandole a pensare cosa Maometto avesse fatto per loro. A questa frase Asia è stata picchiata e rinchiusa in carcere, mentre la gente insultava lei e i suoi figli. Denunciata per blasfemia è stata recentemente condannata a morte. Non dimentichiamo che il Pakistan si è reso protagonista ultimamente della promulgazione di una legge che condanni la blasfemia contro l'Islam, e possiamo ben immaginare che tipo di utilizzo se ne possa fare, anche alla luce della vicenda toccata ad Asia Bibi.
Prima dell'esecuzione della sentenza di morte dovrà pronunciarsi l'alta corte pakistana; per questo in tutto l'orbe cattolico e non solo si sta organizzando una grande mobilitazione, che ha visto in prima linea il Santo Padre, Benedetto XVI, lanciare un appello dopo l'Angelus della scorsa domenica; lo stato italiano, con il ministro degli esteri Franco Frattini, che proprio in queste ore ha annunciato che forse il caso sarà riesaminato dalle autorità pakistane, con le quali il ministro assicura di usare tutti i mezzi diplomatici a sua disposizione per convincerle a mettere mano alla pericolosa legge sulla blasfemia; anche la televisione della CEI, TV2000 ha organizzato una campagna di solidarietà, di cui potete leggere i dettagli cliccando qui.
Anche a noi spetta di non lasciar soli questi cristiani, che non hanno nulla da invidiare a quelli che sono dipinti negli affreschi, sulle tele e nelle icone dei nostri musei e delle nostre chiese. Preghiamo il Signore per loro e, cosa egualmente importante, non vergognamoci della nostra fede; per rispetto di Nostro Signore, che non si è vergognato di noi, fino al punto di farsi da noi uccidere, e per rispetto anche di coloro che per amor suo rischiano la loro stessa vita. Non temiamo di professarci cristiani; prepariamoci ad affrontare l'insulto e la derisione, pena ben più leggera delle torture fisiche e della morte che i nostri fratelli patiscono in altre parti del mondo, ma che tuttavia conduce alla stessa sorte nel Regno di Cristo: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12).

giovedì 18 novembre 2010

Cristo Re e Madonna della Salute

Domenica prossima, 21 novembre, la nostra diocesi di Venezia celebra la festa liturgica della Madonna della Salute; tale festa nasce dal voto solenne emesso dalla comunità cittadina e religiosa di Venezia il 20 ottobre 1631 col quale si supplicava l'intercessione della Beata Vergine Maria perché cessasse l'epidemia di peste che in quel periodo aveva portato alla morte centinaia di migliaia di persone in tutto il dogado (nel quale era compresa anche Caorle). Con tale voto il doge si impegnava a costruire un sontuoso tempio in onore della Vergine Maria una volta cessata l'epidemia; nel giro di un mese il diffondersi della peste cessò e la situazione ritornò lentamente ma inesorabilmente alla normalità. Così fu preparata la costruzione della chiesa promessa, scegliendo come luogo la punta della dogana, dove erano stati distrutti alcuni abitati in seguito ai numerosi bandi emessi dai governanti per arginare l'infezione. La gara d'ingegni fu vinta dall'architetto Baldassarre Longhena, che realizzò uno splendido esempio di architettura barocca (nella foto è riprodotto l'altar maggiore), in una Venezia che ben presto sarebbe divenuta uno dei centri principali di questa nuova corrente artistica. La consacrazione del tempio avvenne il 21 novembre 1687, data in cui si commemora la Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio e che coincideva con la consacrazione della basilica di Santa Maria Nova in Gerusalemme. Da quel momento ogni anno la Chiesa di Venezia e tutte le chiese del Veneto celebrano con devozione la festa della Madonna della Salute.
Quest'anno il 21 novembre è anche l'ultima domenica del tempo ordinario, giorno che, dalla riforma liturgica post-conciliare, è stato scelto per la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo; poiché le solennità liturgiche hanno la precedenza rispetto alle feste, la liturgia di domenica prossima seguirà i testi della solennità di Cristo Re. Tale ricorrenza fu istituita da papa Pio XI l'11 dicembre 1925; basandosi sull'affermazione di Gesù che leggiamo nel Vangelo di Giovanni: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù.» (Gv 18,36), il papa affermava che il Regno di Cristo è un dominio sulle cose spirituali, ma «d'altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall'esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano.»
A Venezia, già da una settimana, sono state organizzate diverse iniziative, disponibili sul programma diffuso tramite anche il sito parrocchiale www.caorleduomo.altervista.org. Sono da segnalare in particolare il tradizionale pellegrinaggio dei giovani del patriarcato sabato 20 novembre, a partire dalle ore 20, accompagnato dal vescovo ausiliare mons. Beniamino Pizziol (durante il quale sarà letto un messaggio del patriarca, card. Angelo Scola, impegnato quest'anno a Roma per il concistoro indetto da papa Benedetto XVI) e la Messa pontificale, presieduta sempre dal vescovo ausiliare, alle ore 10 di domenica 21 in basilica.
Anche nella nostra parrocchia faremo memoria della Madonna della Salute, che ormai quasi 400 anni fa ha salvato anche i nostri antenati dalla peste; per la benevola concessione del papa, chi si recherà in visita al Santuario della Madonna dell'Angelo nel giorno di domenica 21 novembre, alle consuete condizioni (che si possono trovare anche nel decreto di concessione), potrà lucrare l'Indulgenza plenaria per sé e per i propri defunti.

venerdì 12 novembre 2010

Appello del papa sulla Liturgia

In questi giorni si sta tenendo ad Assisi l'assemblea generale dei vescovi italiani; tra gli altri argomenti, all'ordine del giorno vi sarà l'analisi da parte della commissione liturgica della nuova traduzione del Messale Romano, molto attesa negli ultimi anni, secondo la terza edizione tipica. A questo proposito ha fatto un certo scalpore il messaggio che papa Benedetto XVI ha inviato ai vescovi riuniti, nel quale la liturgia ha un ruolo assolutamente predominante; vi si trovano espressioni molto eloquenti:

«La santità dell’Eucaristia esige che si celebri e si adori questo mistero consapevoli della sua grandezza, importanza ed efficacia per la vita cristiana, ma esige anche purezza, coerenza e santità di vita da ciascuno di noi, per essere testimoni viventi dell’unico sacrificio di amore di Cristo.»

E anche:

«Ogni vero riformatore, infatti, è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra.»

L'intero messaggio è incentrato sulla figura di san Francesco (proprio ad Assisi si svolge questa assise episcopale); ed il papa indica proprio nel frate poverello il modello da seguire. A tal proposito voglio citare questo intervento molto bello e completo del blog Cantuale Antonianum (che ringrazio per la gentile concessione); in esso l'autore (frate conventuale e sacerdote, quindi profondo conoscitore della regola dei frati minori) spiega bene il senso di questa analogia: «San Francesco, proprio perchè non sacerdote, ha sempre avuto stima altissima del culto pubblico della Chiesa e ha preteso assoluta fedeltà dei suoi frati sacerdoti alla liturgia della Chiesa Romana. [...] Per questo è triste vedere come invece tanti francescani, delle varie obbedienze, diano più retta allo spirito dei tempi e alle loro idee personali, che non all'insegnamento del Papa e a mettere in pratica i libri liturgici , così come sono scritti, sine glossa (direbbe san Francesco)». Ma vi lascio alla lettura completa dell'intervento:

L'appello accorato del Papa: nella liturgia ispiratevi a San Francesco!

Davvero è un appello accorato quello del Papa ai vescovi riuniti ad Assisi per esaminare (anche) la nuova traduzione del Messale Romano (secondo la III edizione tipica), esame che si concluderà nel maggio del 2011. Vi riporto, in fondo al post, la parte principale del messaggio papale, la sezione che si riferisce alla riforma della liturgia.
Il comunicato finale dell'assemblea dei vescovi recita con sussiego: "Proprio l’ambito liturgico, posto al centro dei lavori, ha visto l’esame e l’approvazione della prima parte dei testi della terza edizione italiana del Messale Romano. La liturgia è stata anche il filo conduttore del messaggio del Santo Padre che, nell’esprimere ai Vescovi affettuosa vicinanza e fraterno incoraggiamento, ha sottolineato come ogni celebrazione abbia il suo fulcro nella presenza, nel primato e nell’opera di Dio"
Che il Santo Padre debba ricordare ai vescovi che al centro della celebrazione liturgica c'è la presenza, il primato e l'opera di Dio, non mi sembra un segnale rassicurante. Capirei che lo ricordi ai giovani della GMG, ma si presume che i vescovi lo sappiano e non abbiano bisogno dei fondamentali del catechismo.
Aggiunge il comunicato: "Al cuore dei loro lavori, i Vescovi, dopo aver affrontato alcune questioni puntuali, hanno approvato la prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano. Nella prossima Assemblea Generale (maggio 2011) saranno analizzati i restanti testi, prima dell’approvazione generale e della loro trasmissione alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, a cui spetterà autorizzare la pubblicazione della nuova versione italiana del Messale Romano".
Andiamo al dunque: vedremo mai, come è successo per la traduzione inglese, almeno qualche saggio dei testi ora approvati, prima che siano mandati a Roma e pubblicati a stampa in modo definitivo? Io ne dubito, perchè la segretezza con cui la commissione per la liturgia lavora (e la CEI approva) è indice che non si vuole esser troppo disturbati, si ha un certo sacro orrore dell'aperto dibattito teologico, che potrebbe portare a correzioni non volute dai pochi che hanno "le mani in pasta". Basterebbe che gli italiani imparassero ad usare internet come lo ha utilizzato la commissione per la traduzione in inglese (ICEL), non si chiede niente di più. Ma in nostri esperti - forse - preferiscono che i "sacri misteri" rimangano celati al volgo? Il Papa lo sa, eppure mette le mani avanti, come vediamo chiaramente nel testo del suo appello cristallino.
Papa Benedetto, ben consapevole delle resistenze di vescovi e sacerdoti italici al suo magistero liturgico e al suo esempio personale, rompe gli indugi e mostra la via da percorrere per rinnovare la liturgia italiana, che non è - in realtà - tanto piena d'abusi come in certe parti d'Europa, ma è stantia, si è fermata ai primi anni '70, come mostra il tenore delle traduzioni-invenzioni che affliggono in gran misura i testi del proprio del tempo e dei santi dell'attuale Messale in italiano.
Ma Bendetto XVI ha fatto molto di più che inviare una semplice esortazione, come si può leggere nelle righe del suo intervento. Ha indicato espressamente la via francescana al culto divino! "Ma come?" - si chiederà l'ingenuo conoscitore del santo patrono d'Italia - "Il Poverello non è forse quel fantasioso fraticello che seguiva le sue ispirazioni, e come giullare di Dio adorava l'eterno saltellando tra i campi in fiore e gli uccellini? Cosa c'entra con la liturgia?".
Chi conosce la Regola dei Frati minori, gli altri scritti di san Francesco e la storia dei primi secoli dell'Ordine, non ha invece dubbi: il Papa ha centrato il bersaglio e ha proposto il modello giusto. San Francesco, proprio perchè non sacerdote, ha sempre avuto stima altissima del culto pubblico della Chiesa e ha preteso assoluta fedeltà dei suoi frati sacerdoti alla liturgia della Chiesa Romana e non ad altra. In un tempo in cui pullulavano le interpretazioni personali della fede, della presenza di Cristo nell'Eucaristia, ed erano molteplici le forme liturgiche, Francesco scelse per i suoi frati la forma della Chiesa Romana e l'obbedienza in tutto al romano Pontefice. Per questo è triste vedere come invece tanti francescani, delle varie obbedienze, diano più retta allo spirito dei tempi e alle loro idee personali, che non all'insegnamento e del Papa e a mettere in pratica i libri liturgici , così come sono scritti, sine glossa (direbbe san Francesco).

Ecco le parole di Sua Santità, che mi permetto di commentare in rosso:

Dal messaggio di Benedetto XVI ai vescovi italiani riuniti in assemblea generale

[...] 1. In questi giorni siete riuniti ad Assisi, la città nella quale “nacque al mondo un sole” (Dante, Paradiso, Canto XI), proclamato dal venerabile Pio XII patrono d’Italia: san Francesco, che conserva intatte la sua freschezza e la sua attualità – i santi non tramontano mai! – dovute al suo essersi conformato totalmente a Cristo, di cui fu icona viva.

Come il nostro, anche il tempo in cui visse san Francesco era segnato da profonde trasformazioni culturali, favorite dalla nascita delle università, dallo sviluppo dei comuni e dal diffondersi di nuove esperienze religiose. [l'eresia abbondava ai tempi di Francesco, il Papa lo sa bene, e per questo avvicina certe "esperienze religiose" di secoli così distanti...]

Proprio in quella stagione, grazie all’opera di papa Innocenzo III – lo stesso dal quale il Poverello di Assisi ottenne il primo riconoscimento canonico – la Chiesa avviò una profonda riforma liturgica. [Leggi: il concilio Lateranense IV è l'omologo medievale del Vaticano II, per quanto riguarda il rinnovamento - anche liturgico - della Chiesa]

Ne è espressione eminente il Concilio Lateranense IV (1215), che annovera tra i suoi frutti il “Breviario”. Questo libro di preghiera accoglieva in se la ricchezza della riflessione teologica e del vissuto orante del millennio precedente. Adottandolo, san Francesco e i suoi frati fecero propria la preghiera liturgica del sommo pontefice [implicito un rimbrotto papale, come se dicesse: Cari francescani, perchè oggi non fate altrettanto, secondo la volontà del vostro fondatore, e non solo per il breviario ma anche per il messale e lo stile celebrativo?]: in questo modo il santo ascoltava e meditava assiduamente la Parola di Dio, fino a farla sua e a trasporla poi nelle preghiere di cui è autore, come in generale in tutti i suoi scritti.

Lo stesso Concilio Lateranense IV, considerando con particolare attenzione il sacramento dell’altare, inserì nella professione di fede il termine “transustanziazione”, per affermare la presenza reale di Cristo nel sacrificio eucaristico: “Il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo e il vino nel sangue per divino potere” (DS, 802).

Dall’assistere alla santa messa e dal ricevere con devozione la santa comunione sgorga la vita evangelica di san Francesco e la sua vocazione a ripercorrere il cammino di Cristo Crocifisso: “Il Signore – leggiamo nel Testamento del 1226 – mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo” (Fonti Francescane, n. 111). [E' triste constatare che sugli altari di molte chiese francescane delle varie obbedienze, anche in certe basiliche papali, la croce - tanto amata da Francesco - e tanto richiamata da papa Benedetto, non è ancora ricomparsa al centro degli altari. Speriamo che questo richiamo papale serva, finalmente, a smuovere le acque stantie, non solo nelle chiese serafiche, ma in quelle cattoliche italiane in genere]

In questa esperienza trova origine anche la grande deferenza che portava ai sacerdoti e la consegna ai frati di rispettarli sempre e comunque, “perché dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente in questo mondo, se non il Santissimo Corpo e il Sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri” (Fonti Francescane, n. 113).

Davanti a tale dono, cari fratelli, quale responsabilità di vita ne consegue per ognuno di noi! “Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti – raccomandava ancora Francesco – e siate santi perché egli è santo” (Lettera al Capitolo Generale e a tutti i frati, in Fonti Francescane, n. 220)! Sì, la santità dell’eucaristia esige che si celebri e si adori questo mistero consapevoli della sua grandezza, importanza ed efficacia per la vita cristiana, ma esige anche purezza, coerenza e santità di vita da ciascuno di noi, per essere testimoni viventi dell’unico sacrificio di amore di Cristo. [Il punto che Benedetto XVI non smette di ricordare. I preti del tempo di Francesco non avevano il problema pedofilia, ma certo non erano affatto moralmente più in salute o considerati dal popolo dei preti dei nostri giorni, che anzi, nella maggioranza dei casi, sono molto più santi di quello che i giornali mostrano.]

Il santo di Assisi non smetteva di contemplare come “il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umìli da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane” (ibid., n. 221), e con veemenza chiedeva ai suoi frati: “Vi prego, più che se lo facessi per me stesso, che quando conviene e lo vedrete necessario, supplichiate umilmente i sacerdoti perchè venerino sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo” (Lettera a tutti i custodi, in Fonti Francescane, n. 241). [San Francesco parla del Messale: le parole di Dio scritte che consacrano il corpo del Signore! Sono parole da venerare, non da cambiare a proprio gusto, parole da conservare intatte, anche in traduzione.]

2. L’autentico credente, in ogni tempo, sperimenta nella liturgia la presenza, il primato e l’opera di Dio. Essa è “veritatis splendor” (Sacramentum caritatis, 35), avvenimento nuziale, pregustazione della città nuova e definitiva e partecipazione ad essa; è legame di creazione e di redenzione, cielo aperto sulla terra degli uomini, passaggio dal mondo a Dio; è Pasqua, nella croce e nella risurrezione di Gesù Cristo; è l’anima della vita cristiana, chiamata alla sequela, riconciliazione che muove a carità fraterna.

Cari fratelli nell’episcopato, il vostro convenire pone al centro dei lavori assembleari l’esame della traduzione italiana della terza edizione tipica del Messale Romano [Dopo più di 10 anni era ora!]. La corrispondenza della preghiera della Chiesa (lex orandi) con la regola della fede (lex credendi) plasma il pensiero e i sentimenti della comunità cristiana, dando forma alla Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito [I liturgisti vorrebbero, a ragione, che la lex orandi stabilisca la lex credendi, il Papa si ostina da sempre a dire il contrario, come mai? Perchè se i testi liturgici sono un punto fisso di riferimento, non sottoposto a continue mutazioni, è certo normale, come dicevano i santi Padri, che ad essi ci si rivolga per conoscere ciò che si deve credere. Ma se, come nel secolo che è appena trascorso e all'inizio di questo, la liturgia diventa quanto di più (teologicamente) instabile ci sia, vero campo di battaglia ideologico, è necessario che la legge del credere intervenga per ripristinare la corretta legge del pregare]. Ogni parola umana non può prescindere dal tempo, anche quando, come nel caso della liturgia, costituisce una finestra che si apre oltre il tempo. Dare voce a una realtà perennemente valida esige pertanto il sapiente equilibrio di continuità e novità, di tradizione e attualizzazione. [la crescita e il progresso organico della liturgia non è affatto escluso, ma che sia organico e dove necessario per il bene dei fedeli, non per seguire le idee degli "esperti"].

Il Messale stesso si pone all’interno di questo processo. Ogni vero riformatore [ci possono dunque essere "falsi riformatori"], infatti, è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra. [più chiaro di così! No all'arbitrarietà, alla discrezionalità, al ritenersi "padroni del rito". Anche i vescovi sono solo custodi e amministratori del tesoro che appartiene alla Chiesa tutta, a cui va assicurata l'autenticità, la verità di ciò che si celebra]

Dal Vaticano, 4 novembre 2010
Benedetto XVI


Testo tratto da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/11/lappello-accorato-del-papa-nella_9285.html#ixzz154qfTqpW.

Come l'autore dell'intervento di Cantuale Antonianum anch'io voglio suggerire la lettura (abbastanza pungente e dura, direi) che dell'evento fa Sandro Magister, famoso vaticanista dell'Espresso e gestore del sito www.chiesa: Il papa scuote i vescovi: "Imparate da san Francesco".

giovedì 11 novembre 2010

L'esortazione postsinodale Verbum Domini

E' stata pubblicata oggi l'esortazione apostolica Verbum Domini, scritta da papa Benedetto XVI, dopo il sinodo dei vescovi tenutosi in Vaticano dal 5 al 26 ottobre del 2008, attraverso la quale, in accoglimento dell'auspicio dei padri sinodali, il pontefice rende nota a tutto il Popolo di Dio «la ricchezza emersa nell’assise vaticana e le indicazioni espresse dal lavoro comune». L'intera esortazione ha come cardine la Parola di Dio nella Scrittura e la sua importanza in tutti gli ambiti della vita ecclesiale; riprendendo un'espressione dell'Instrumentum laboris del sinodo, il papa scrive, nell'introduzione dell'esortazione apostolica: «la Chiesa si fonda sulla Parola di Dio, nasce e vive di essa»; riconosce, poi, che l'importanza della Scrittura è stata più volte ribadita come in un crescendo a partire da papa Leone XIII fino alla costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II, che ha dato grande impulso alla «riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa». Sempre nell'introduzione leggiamo un breve riassunto del lavoro dei padri sinodali che, ascoltando, celebrando la Parola di Dio e raccontandosi vicendevolmente quanto il Signore sta operando nel suo popolo, hanno riscoperto ciò che nel quotidiano rischiamo di dare per scontato: «il fatto che Dio parli e risponda alle nostre domande»; inoltre il papa sottolinea la presenza di delegati ecumenici quali il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e, per la prima volta, un rabbino.
L'intero svolgersi dell'esortazione pontificia, in tre parti, si richiama al prologo del Vangelo di Giovanni, «nel quale ci è comunicato il fondamento della nostra vita: il Verbo, che dal principio è presso Dio, si è fatto carne ed ha posto la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)». Nella prima parte, Verbum Dei, si pone l'accento sul dono della Parola di Dio come di un dialogo che Dio stesso ha con noi, a cui l'uomo è chiamato a rispondere entrando nella sua Alleanza; in questo panorama si comprende il peccato come «non ascolto della parola», cioè il rifiuto, in piena libertà, dell'uomo ad entrare nell'Alleanza con Dio. Un aspetto particolare di questo dialogo di Dio con l'uomo è sottolineato nella figura della Madonna, passo ripreso anche dal prefetto della Congregazione per i vescovi, card. Marc Ouellet, nella presentazione dell'esortazione oggi in Vaticano. Sempre questa prima parte si snoda nell'ermeneutica, cioè nella chiave di lettura, della Sacra Scrittura nella Chiesa, ove trova spazio un analisi del rapporto fra fede e ragione; in questa sezione si mette in guardia da un'«interpretazione soggettivistica ed arbitraria» che scaturisce dall'approccio fondamentalista alla Sacra Scrittura, il quale, dice il papa, «rappresenta un tradimento sia del senso letterale che spirituale, aprendo la strada a strumentalizzazioni di varia natura, diffondendo, ad esempio, interpretazioni antiecclesiali delle Scritture stesse».
La seconda parte, Verbum in Ecclesia, enfatizza il rapporto che ha e deve avere la Chiesa con la Sacra Scrittura; il corpo fondamentale di questa sezione è intitolato: Liturgia, luogo privilegiato della Parola di Dio. In esso il papa e i padri sinodali dicono chiaramente che la vita della Chiesa deve mantenere il suo perno nella Liturgia, la quale, dal canto suo, è intrisa in ogni sua parte della Sacra Scrittura. Riprendendo la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium il Santo Padre scrive: «Nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell’omelia e i salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici»; così comincia una attenta analisi delle caratteristiche della Liturgia in tutte le sue parti (Celebrazione Eucaristica, Liturgia delle Ore, Sacramenti, Benedizioni, gesti di devozione popolare), e delle problematiche che oggi la affliggono. Troviamo dunque un'esortazione a solennizzare, specialmente nei momenti culminanti del calendario liturgico, la proclamazione della Parola con il canto del salmo e del Vangelo, fino all'invito di ripristinare l'uso dell'Evangeliario da portare processionalmente prima all'altare e poi al pulpito; l'invito ai laici, ai quali nel rito romano spetta la proclamazione della prima e della seconda lettura e del salmo, ad una preparazione tecnica e spirituale; la raccomandazione a tutti i vescovi e sacerdoti che l'omelia sia tenuta da persone che, in forza della Sacra Ordinazione, hanno il compito magisteriale, ossia esclusivamente da vescovi, preti e diaconi; agli stessi il papa raccomanda, riprendendo la precedente esortazione postsinodale Sacramentum Caritatis, di «evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico; deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia». Una particolare attenzione è posta sulla Liturgia delle Ore, della quale vescovi, preti e diaconi hanno ricevuto il mandato; i padri sinodali hanno espresso il vivo desiderio che questa forma di preghiera, almeno nelle Lodi e nei Vespri, si diffonda maggiormente nel Popolo di Dio e, specialmente nelle solennità e nelle domeniche, se ne favorisca la partecipazione del popolo. Nell'ascolto liturgico della Parola di Dio, il papa e il sinodo pongono l'accento sul silenzio: «la parola può essere pronunciata e udita solamente nel silenzio, esteriore ed interiore»; interessante è il fatto che alla raccomandazione dell'Esclusività dei testi biblici nella liturgia segua quella di un canto liturgico biblicamente ispirato, con preciso riferimento al canto gregoriano.
L'ultima parte, Verbum mundo, è incentrata sulla missione della Chiesa e sull'annuncio della Parola di Dio a tutto il mondo; il Santo Padre ricorda che «tutti i battezzati sono indispensabili all'annuncio» e che la Missione riguarda la vita di tutti i cristiani; di qui la necessità di una nuova evangelizzazione nella vita di tutti i giorni, non più limitata alle terre lontane, ma estesa alla nostra stessa realtà. Tuttavia il papa non cessa di ricordare coloro che, per diffondere la Parola di Dio ai popoli più poveri e in mezzo a quelli più intolleranti, arrivano a rischiare, e talvolta (purtroppo bisognerebbe dire frequentemente) a perdere la loro stessa vita.
Parte delle raccomandazioni sinodali, specie quelle sulla liturgia, sono ben accolte nella nostra parrocchia, che ha la fortuna di aver mantenuto per tradizione il canto gregoriano nelle sue celebrazioni liturgiche, la celebrazione comunitaria e cantata dei Vespri domenicali e nelle solennità e di aver conservato dignitosi e preziosi supellettili al servizio della liturgia. Perciò, e questo è anche l'invito del patriarca specialmente in vista della prossima visita nella nostra diocesi, dobbiamo accogliere con grande gioia, sollecitudine ed obbedienza l'insegnamento del pontefice, per farlo nostro nella vita comunitaria e personale di tutti i giorni.

Chi volesse approfondire questo riassunto molto conciso dell'esortazione postsinodale Verbum Domini di papa Benedetto XVI, può scaricarla cliccando qui.
Cliccando invece qui è possibile leggere le parole del prefetto della Congregazione per i Vescovi, card. Marc Ouellet, del segretario generale del sinodo dei vescovi, mons. Nikola Eterovic, e del sotto-segretario del sinodo dei vescovi, mons. Fortunato Frezza, durante la conferenza stampa di presentazione.

lunedì 8 novembre 2010

Ciclo di conferenze del Collegium Tarsicii

Trasmettiamo volentieri questa comunicazione che ci è giunta oggi dal Collegium Tarsicii Martyris di Venezia, associazione laica di fedeli fondata nel 1919 dal cardinale patriarca Pietro La Fontaine. Si tratta di un ciclo di conferenze su San Marco e il suo Vangelo, guidati da padre Giuseppe Casarin ofm conv., rettore del Seminario Teologico dei frati minori conventuali a Padova e docente di esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà Teologica del Triveneto. Gli incontri si terranno nei mesi di novembre 2010 e febbraio / marzo 2011 e relatori saranno, oltre a padre Casarin, don Giammatteo Caputo, Direttore del Settore Promozione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici e Direttore del Museo Diocesano d’Arte Sacra di Venezia.
Il Collegium Tarsicii si occupa della formazione di adolescenti e giovani con attività di carattere artistico, scientifico e ambientale, legate a tematiche
di fede. Le attività principali si svolgono nell'ambito di Cineforum a tema per ragazzi, percorsi artistici e culturali nelle Chiese e Musei di Venezia (in collaborazione con la Sovrintendenza per il Polo Museale veneziano) e dibattiti con esperti per aiutare le famiglie ad affrontare le tematiche dell’educazione e della crescita anche spirituale dei ragazzi.
Il presente ciclo di conferenze comincerà domani, martedì 9 novembre, alle ore 18:45, con l'introduzione della figura dell'evangelista Marco, presentata da padre Casarin, che terrà anche il secondo incontro, programmato per martedì 16 novembre alle 18:45, dove tratterà nello specifico il linguaggio dell'Evangelista e la figura di Cristo nel suo racconto.
Gli incontri si terranno nella sede di Venezia del Collegium Tarsicii, San Marco 1731 – Frezzeria 1731; per informazioni è possibile chiamare il numero 041.5220659 oppure inviare una e-mail all'ab epistulis Anna Fornezza: tarsiciani.venezia@davide.it.

In allegato il bando, che è consultabile cliccando qui.

domenica 7 novembre 2010

Il nuovo libro dei canti

Da questa domenica sarà disponibile in chiesa il nuovo libro dei canti liturgici. I vecchi libretti erano quasi totalmente inutilizzabili, rovinati dagli anni e talvolta dai vivaci esperimenti dei bambini; con i nuovi libretti sono stati eliminati alcuni canti e ne sono stati aggiunti altri, fino a portare il numero totale da 258 a 307.
Come introduzione vi si può trovare l'Ordinario della Santa Messa, in lingua italiana e latina, con i testi dei principali inni, preghiere e risposte che l'Introduzione Generale del Messale Romano prescrive per la celebrazione. Seguono poi i canti, classificati secondo due diversi criteri, per facilitarne la ricerca da parte dei fedeli e dei responsabili del canto liturgico, a seconda delle esigenze. Una prima suddivisione è per tempi liturgici, dall'Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua e Tempo Ordinario; inoltre vi sono delle apposite sezioni dedicate ai canti mariani, per l'adorazione del Santissimo Sacramento, per le esequie e, in appendice, le litanie. L'altra classificazione è in ordine alfabetico, per una ricerca più veloce di tutto il repertorio.
Il canto e la musica sacra sono parte integrante della liturgia; questo sussidio, insieme con i libretti dedicati propriamente al canto gregoriano già a disposizione dei fedeli, vuole essere un aiuto per chi è desideroso di partecipare alla Messa con la propria voce, ma anche per chi, per motivi personali, si sente di parteciparvi anche solo seguendo e meditando il testo dei canti, consci che l'actuosa partecipatio che raccomanda la Sacrosanctum Concilium non significa necessità di interagire con il proprio corpo, ma letteralmente "prendere parte", soprattutto nello spirito, al sacrificio che con la Santa Messa si ripete sull'altare. Il canto, nella liturgia e con la liturgia, ha dunque lo scopo di servire il Signore; stiamo sempre attenti affinché non succeda il contrario.
Per questo motivo il libretto dei canti è un libro importante per la comunità che si riunisce in Chiesa; raccomandiamo pertanto il dovuto rispetto per questi libri, che sono patrimonio di tutta la parrocchia; cerchiamo di non far fare loro la stessa ingloriosa fine dei libretti vecchi, di non cederli ai bambini più vivaci come fossero un giocattolo e di non portarli a casa. Questo significherebbe, prima che mancare di rispetto alla parrocchia che li ha realizzati e pagati, privare un altro fedele che ne avesse voglia della possibilità di usufruirne. Per chi è interessato ad averne una copia per uso personale, invece, può rivolgersi a tempo debito in sacrestia.

Il nuovo libro dei canti è inoltre consultabile gratuitamente sul sito parrocchiale, all'indirizzo: http://www.caorleduomo.altervista.org/risorse/Libro_canti_int.pdf.

martedì 2 novembre 2010

Le esequie cristiane

In questa ricorrenza del 2 novembre, Commemorazione di tutti i fedeli defunti, vorrei riprendere un articolo pubblicato da Zenit, Cantuale Antonianum e Rinascimento Sacro, scritto da don Enrico Finotti, parroco di Santa Maria del Carmine a Rovereto, sulla teologia delle esequie cristiane. L'incipit dell'articolo, che in fondo potrete trovare per intero, dice:

«Uno degli errori oggi più diffusi è quello di sottovalutare le basi teologiche e impostare dei progetti pastorali senza il fondamento dottrinale, con esclusiva attenzione alle urgenze sociologiche.»

L'autore del pezzo fa un confronto fra quelli che sono i capisaldi dottrinali della Chiesa in questo campo e quello che vediamo frequentemente, anche in televisione, e che, in qualche modo, noi stessi talvolta "ci aspettiamo" da un funerale. Il punto di partenza delle esequie cristiane è il fatto che la Chiesa riconosce l'uomo col suo corpo e la sua anima; con la morte corporale la vita dell'uomo non finisce, l'anima è immortale. Questo è il primo dogma che il cristiano riconosce e di cui la liturgia esequiale è permeata; in questo senso il funerale è una celebrazione di vita, la vita ultraterrena che noi ancora non comprendiamo (per noi rimane avvolta nel mistero), ma che aspettiamo anche noi, nella speranza di poter vedere il Signore e ricongiungerci con i nostri cari.
Un altro dei dogmi che riguardano questo momento dell'esperienza di ogni cristiano è l'esistenza del Purgatorio; il peccato dell'uomo è perdonato completamente con l'Assoluzione della Confessione sacramentale, ma le conseguenze del male compiuto restano, e l'anima del defunto le ripara in Purgatorio. A ben guardare oggi questo dogma, sebbene se ne conosca l'esistenza, è poco considerato, quando non si creda addirittura possa essere un'invenzione di Dante Alighieri per scrivere la sua Commedia. Ma la Chiesa non ha smesso di perpetuarlo, nemmeno dopo il Concilio, e la liturgia (sebbene spogliata di alcune sue parti molto toccanti e significative) lo contiene ancora oggi (ad esempio con la pratica delle indulgenze). Come dice l'autore dell'articolo: "La Chiesa non ‘canonizza’ il defunto, ma lo affida a Dio con il cuore contrito ed umiliato e aspetta solo da Lui la lode"; e proprio per questo la liturgia esequiale è penitenziale, il colore liturgico è il nero (o anche il viola), tutti i fedeli sono chiamati alla preghiera perché Dio, onnipotente e misericordioso, tragga a sè l'anima del fratello defunto, purificandola da tutti i peccati compiuti in vita e concedendole la gloria eterna. Nella liturgia pre-conciliare (che potete trovare qui) questo carattere penitenziale era sottolineato in ogni momento, ma in particolare dalla toccante sequenza del Dies irae; con essa i fedeli si fanno quasi portavoce dell'anima del defunto in una toccante supplica dell'anima a Dio, nella quale umilmente chiede di essere salvata prima del giorno del giudizio finale; vi leggiamo: "Cercandomi ti sedesti stanco, / mi hai redento con il supplizio della Croce: / che tanto sforzo non sia vano! [...] Tu che perdonasti Maria di Magdala, / e che esaudisti il buon ladrone, / anche a me hai dato speranza. // Le mie preghiere non sono degne; / ma tu, buono, fa' benigno / che io non sia arso dal fuoco eterno". E' significativa anche un'altra frase di don Enrico Finotti, che dice: "Secondo la parabola evangelica del banchetto nuziale (Lc 14, 7ss.), la Chiesa pone il defunto all’ultimo posto, steso a terra ai piedi della ‘santa mensa’, e attende che Dio stesso, e solo Lui, sorga e dica “Amico, passa più avanti” (Lc 14, 10)".
Non è infrequente oggi, in molti luoghi, trovare un ribaltamento di quello che la Chiesa dice, espressione di questi dogmi dottrinali; talvolta si assite a celebrazioni esequiali in cui il carattere è quello di una festa nuziale, in cui il colore liturgico è il bianco, in cui vengono richiesti "canti allegri" perché il defunto avrebbe voluto così. In qualche modo la tendenza è quella di eliminare completamente dalla celebrazione il suo carattere penitenziale, e quindi eliminare la preghiera per la salvezza dell'anima del defunto. Paradossalmente, dice don Enrico, si finisce così per celebrare in maniera smisurata la vita terrena del defunto, quasi dimenticandosi della dimensione ultraterrena: "Il corpo subisce la fatua celebrazione di ciò che fu nel passato mediante il tumolo, monumento celebrativo che vuole interpretare la personalità dell’estinto. [...] sarà oscurata sia la fondamentale realtà della morte che tutti accomuna, sia dell’umile penitenza che è intrinseca allo stato del corpo morto. Il tumolo potrà avere diverse tipologie, che da quelle storiche arrivano a quell’ingombro di oggetti, cari al defunto, che oggi coprono, talvolta banalmente la bara, ma rappresenta sempre il segno eloquente di quella commemorazione rivolta irrimediabilmente al passato e ormai priva di vita, che sarà tanto più accentuata quanto più si eclisserà il senso della trascendenza e il compimento ultimo nel futuro di Dio". Invece, la penitenza esequiale non vuole essere la tristezza cercata ad ogni costo, ma l'umile riconoscimento che noi uomini non siamo nulla per giudicare quello che spetta all'unico Sommo Giudice: "La Chiesa, ispirando a sobrietà la commemorazione del defunto ed evitando un superficiale elogio, sa bene che solo Dio è il giudice e solo Cristo sa quello che c’è nel cuore dell’uomo (Gv 2, 25)".
Il dolore del distacco dai propri cari è quanto di più triste esista nella vita di un essere umano; la Chiesa non intende accentuare questo dolore, ma nemmeno illuderci di cancellarlo con una gioia frivola che è soltanto umana, e che non ci consola. La morte rimane un grande mistero; il nostro dolore è confortato dalla speranza che il Signore ascolterà la preghiera di chi umilmente lo invoca, specie se unito nel dolore al Figlio Suo Gesù Cristo, morto anch'Egli, sulla Croce, mentre i suoi amati figli lo deridevano e lo schernivano, e alla Madre addolorata, che ha accolto tra le sue braccia il corpo esanime del Figlio, martoriato dal segno dei chiodi, delle spine e della flagellazione. Non sarà forse Lei, che ha sperimentato in modo così crudo questo nostro dolore umano ineluttabile, ad intercedere con forza presso il Signore perché le anime dei nostri cari defunti giungano a Lui? Quali grandi compagni nel dolore abbiamo noi cristiani, Dio stesso ha sofferto per noi! Questa è la consolazione che ci dà Gesù Cristo per mezzo della Chiesa, non quella di cancellare, con cerimonie fintamente gioiose, la sofferenza per il distacco (cosa che è solo un'illusione), ma la certezza che la nostra preghiera, intrisa di questa sofferenza, sarà accolta da chi ha provato un dolore come il nostro (e più del nostro).
Non cessiamo, dunque, di pregare il Signore per i nostri fratelli: la Commemorazione odierna non è una semplice memoria che l'uomo fa di chi lo ha preceduto, un ricordo sterile; ma, nel ricordo dell'amore che per loro abbiamo provato (e che anche loro ci hanno donato), la Commemorazione si fa preghiera. In questo ricordiamo che ancora per tutta la giornata odierna è possibile lucrare l'Indulgenza Plenaria del 2 novembre per i propri defunti alle solite condizioni, mentre fino all'8 novembre una volta al giorno è possibile lucrare l'Indulgenza visitando le tombe dei propri cari in cimitero e pregando, anche solo mentalmente, di fronte ad esse.

Qui il collegamento all'articolo di don Enrico Finotti dal blog Cantuale Antonianum:
Una sintesi della teologia delle esequie cristiane di don Enrico Finotti.

lunedì 1 novembre 2010

Tutti i Santi

«O Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un'unica festa i meriti e la gloria di tutti i santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l'abbondanza della tua misericordia.»

Questa è l'orazione-colletta dell'odierna solennità di Tutti i Santi. In essa troviamo quello che per la Chiesa è il culto dei santi: nostri fratelli che, per grazia di Nostro Signore, sono accanto a Lui nella gloria e, nell'attesa della risurrezione della carne, intercedono per noi, cioè pregano per noi il Signore affinché esaudisca le nostre preghiere, e talvolta le rivolgono più degnamente al Signore di quanto possiamo fare noi. Ecco perché, attraverso l'orazione, riconosciamo il "dono di celebrare la festa di tutti i santi"; c'è da dire che oggi molti cristiani si interrogano sul culto dei santi, e le risposte che si danno sono spesso influenzate dalla mentalità laicista e modernista. Non dobbiamo nascondere il fatto che per molti oggi il culto dei santi è "una delle tante superstizioni della Chiesa", addirittura alcuni lo vedono come un retaggio delle religioni politeiste: mai idea fu più sbagliata. I santi non sono dei, ed anche il culto che si presta doverosamente alle immagini sacre non è e non deve mai sfociare nell'idolatria. I santi sono nostri fratelli, che illuminano la nostra vita con l'esempio delle loro gesta e che, a causa della nostra indegnità, sollevano la nostra preghiera verso la Santissima Trinità; ricordiamo sempre il passaggio della lettera di san Giacomo: "Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza" (Gc 5,16): poiché nessuno di noi può avere l'ardire di dirsi "giusto" davanti a Dio, dobbiamo ringraziare di poterci affidare alle preghiere di chi, per Sua grazia, prima di noi è giunto al Suo cospetto, ed ora intercede a nostro favore insieme con la nostra Madre celeste, Maria.
L'intera liturgia odierna sottolinea questi aspetti: in particolare chi avrà la possibilità di visitare il nostro Duomo, vedrà esposte alla venerazione sull'altare maggiore le reliquie di molti santi, solitamente conservate nel nostro museo. E non dimentichiamo quello che l'arte liturgica vuole comunicarci, attraverso la sacra musica gregoriana, che la nostra parrocchia ha la fortuna di aver conservato malgrado gli stravolgimenti degli ultimi quarant'anni. Concentriamoci quest'anno sull'antifona al Magnificat che ieri abbiamo avuto modo di seguire ed ascoltare durante i Primi Vespri, riportata nella foto; tutti i santi vi sono rappresentati, gli angeli e gli arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, i cherubini e i serafini, i patriarchi e i profeti, i santi dottori della legge e tutti gli apostoli, i martiri di Cristo e i santi confessori, le vergini del Signore, gli eremiti e tutti gli altri santi: ad essi si chiede, nell'antifona, di intercedere per noi. Infatti notiamo come, all'esortazione "intercedite", la musica si sciolga in un lungo melisma (la stessa vocale è tenuta su note diverse), la maniera che il canto gregoriano usa per rivolgere le invocazioni dei fedeli a Dio con particolare pietà.
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