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mercoledì 28 settembre 2011

San Michele Arcangelo, patrono di Caorle

Domani ricorre la festa dei santi Arcangeli di Dio, Michele, Gabriele e Raffaele. In questo articolo desidero soffermarmi in particolare sulla devozione a San Michele Arcangelo, protettore delle anime di tutti i fedeli di Dio dalle insidie del demonio e dall'inferno. Egli infatti è il vittorioso contro il diavolo, che aveva osato farsi come Dio, e contro tutte le sue diaboliche schiere; egli difende le anime dei viventi dal maligno ed è invocato per sottrarre dall'inferno le anime dei defunti. Per questo motivo il primo edificio sacro che sorse a Caorle, prima dell'attuale Duomo, fu a lui dedicato e posto in riva al mare; egli avrebbe difeso anche la città e tutti i suoi abitanti dai pericoli delle acque. San Michele è dunque il primo patrono, in ordine cronologico, della nostra cittadina marittima; lo testimonia il fatto che proprio che l'emblema della città di Caorle rappresenta una rocca su cui veglia un angelo, l'Arcangelo san Michele. Anche la Vergine Santa, il cui simulacro fu rinvenuto da pii pescatori galleggiare sulle acque del mare e fu trasportato da innocenti bambini nella chiesa più vicina, proprio quella dell'Angelo, per i caorlotti assume il titolo di Madonna dell'Angelo; la statua di san Michele, con il serpente maligno schiacciato sotto i suoi piedi, è riportata sia sopra la facciata che sopra l'altar maggiore dell'attuale Santuario.
Un tempo la Chiesa dedicava all'Arcangelo San Michele una devozione molto sentita; al termine di ogni Santa Messa, ad esempio, veniva recitata, per volere di Papa Leone XIII, una preghiera a san Michele che diceva così:

«San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia; contro le malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da
Dio, ricaccia nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizio­ne delle anime.
»

Si narra che Papa Pecci avesse voluto questa preghiera in virtù di una apparizione mistica che ebbe durante una Santa Messa di ringraziamento, a cui assisteva ogni giorno; egli aveva visto gli spiriti demoniaci addensarsi sopra la città eterna, e quindi volle che si pregasse insistentemente san Michele da parte di tutta la Chiesa per vincerli. Ma prima di Leone XIII, nel Confiteor che si recitava prima della riforma liturgica, si invocava direttamente lui, il Beato Michele Arcangelo, insieme alla Vergine Santa, affinché intercedessero presso la Santa Trinità per la remissione dei propri peccati. Infine anche nei funerali, ad esempio nell'Offertorio, ci si rivolgeva a Cristo Signore perché liberasse le anime di tutti i fedeli defunti dall'inferno, e il vessillifero di Dio, san Michele, le conducesse alla luce santa.
Voglio, in chiusura, riprendere un articolo apparso qualche giorno fa nel blog San Simeon della Fraternità Sacerdotale San Pietro nel nostro patriarcato, che invita proprio alla devozione verso il nostro patrono san Michele Arcangelo.

Invito alla devozione a S. Michele Arcangelo
Tratto dal blog San Simeon.

“Ascolta, piccolo mio, ascolta con il tuo cuore. Io, san Michele, ti comando di risvegliare la pratica della devozione dovuta a Me, San Michele, e a tutti i Cori angelici, in tutti i cuori attraverso l’amore e la devozione che hai nel tuo cuore e che pratichi giornalmente. Io, San Michele elargirò la Mia protezione perpetua a tutti coloro che ascolteranno questo messaggio d'amore e di devozione ai Santi Angeli. Tutti coloro che ascolteranno e metteranno in pratica questa devozione ogni giorno, otterranno perpetua protezione da tutti i nove Cori Angelici. Dio ha fatto gli angeli per la protezione di tutta la sua creazione in tutto il mondo. I Santi Angeli hanno un solo desiderio: compiacere Dio prendendosi cura della salvezza dei Suoi figli e guidare tutti i figli di Dio a totale santità. Ascolta, piccolo mio, e non resistere a quanto Io, San Michele ti comando di fare. Parla a tutti dell'importanza della devozione ai Santi Angeli, poichè nel periodo della grande oscurità io, San Michele, con tutto il mio esercito di angeli, proteggerò tutti coloro che hanno avuto una devozione ai Santi Angeli. Molti, che hanno opposto resistenza alla fede nella protezione e nell'intercessione dei Santi Angeli, periranno nel periodo della grande oscurità, in quanto hanno negato l'esistenza di questi Santissimi Spiriti, i santi Angeli, e non hanno creduto in Dio. Le anime che praticano la devozione quotidiana ai Santi Angeli, avranno la protezione perpetua e l’intercessione di tutti gli angeli in Cielo per tutta la loro vita. Ancora, piccolo mio, fai quanto ti comando. Diffondi la devozione a Me, San Michele, e a tutti gli angeli, senza esitazione senza ritardi!”
Da un Messaggio di S. Michele ad un’anima

“Il Cielo vuole che in questo tempo finale vengano invo­cati gli angeli, come abbiamo già dovuto dire altre volte. In questo tempo spaventoso in cui l'Anticristo è già all'opera, anche se non ancora apertamente, è una grave trascuratezza non cercare l'aiuto degli angeli: può portarvi all'eterna rovina. Gli angeli possono fare da contrappeso all'inferno, pos­sono neutralizzare le insidie che noi vi tendiamo e il male che cerchia­mo di farvi. L'Altissimo ha affidato agli angeli tutti gli uomini e tutto l'universo. Per la loro grandezza, maestà e potenza nessun'altra crea­tura è paragonabile a loro. Gli angeli sono in Cielo ed anche sulla terra, ma la loro azione a vostro vantaggio resta inefficace se voi non li invocate e se non ponete in essi la vostra fiducia. Esiste un'armonia meravigliosa in questo mondo angelico: tutto è armonia e grazia che solo l'Altissimo poteva concepire e donare a voi per venirvi in aiuto - E' un grande male per voi, un guaio spaventoso e tragico che non preghiate più i vostri angeli; dovreste pregarli e molto. Se sapeste quali grazie essi possono ottenere a chi li prega! Naturalmente è la Vergine la grande Mediatrice di tutte le grazie, ma anche gli angeli possono far molto a vostro vantaggio. Essi sono al servizio dell'Altis­simo e sono sempre pronti a ogni suo più piccolo cenno. Tante cose sembrano inutili a voi uomini, ma vi ingannate. Moltissime grazie vanno perdute per l'umanità perché non prega gli angeli e in particolare gli angeli custodi. Sono moltissimi quelli che non pregano nemmeno una volta all'anno il loro angelo custode, mentre egli sta loro vicino, li serve continuamente e con sollecitudine porta loro aiuto giorno e notte. Gli angeli sono spiriti fedelissimi, santi, puri. Nessuna madre, tran­ne Lei (La Madonna), è così premurosa con le sue creature quanto l'angelo lo è con voi. E' disastroso non accogliere tali grazie e non pregare questi puri spiriti potenti e servizievoli. Ed, è rovinoso per voi che troppo poco vi si parli del loro aiuto.”
Tratto da un esorcismo

lunedì 26 settembre 2011

Il card. Cè sul pellegrinaggio in Terra Santa

Nell'avvicinarsi del pellegrinaggio diocesano in Terra Santa, riporto questa interessante intervista rilasciata a Paolo Fusco dal patriarca emerito, il cardinale Marco Cè, pubblicata nell'ultima edizione del settimanale diocesano Gente Veneta. In essa il nostro patriarca emerito ripercorre i luoghi della Terra Santa, che egli stesso ha più volte visitato, parlando delle emozioni e dei sentimenti che quei posti suscitano nei cristiani. Una visita in Terra Santa, dice il cardinale Cè, ci dice che la nostra fede non è una semplice filosofia di vita od un programma etico: è un evento storico, l'incontro con Gesù di Nazaret, che ha realmente vissuto in questi Santi luoghi. Il patriarca Cè predicherà un corso di esercizi spirituali al Cavallino per i pellegrini in partenza per la Terra Santa.

Il card. Cè: "In Terra Santa
le radici della nostra fede"

Di Paolo Fusco

Perché andare da pellegrini in Terra Santa? Il Patriarca emerito Marco Cè non ha da proporre una ma molte ragioni per un viaggio nella terra che ha fatto da sfondo alle vicende narrate nella Bibbia. «Perché lì, in Terra Santa, ci sono le radici della nostra fede. “Tutti là siamo nati”, si può dire con il salmo 86. E' la terra scelta da Dio per realizzare la storia della salvezza. E' la terra attraversata dai patriarchi e nella quale si trova la tomba di alcuni di loro. E' la terra di Davide e degli altri re; è la terra dei profeti. Soprattutto, è la terra di Gesù. In questa terra Dio entra – direi anzi irrompe – nella storia degli uomini e si fa uno di noi in Gesù. Qui il figlio di Dio incarnato ha vissuto tutta la sua esperienza umana. Ha parlato la lingua di questa terra, è vissuto alla maniera degli uomini di questa terra. Andare in Terra Santa, quindi, è incontrare Gesù nella concretezza della sua vita umana».
Quattro sono stati i viaggi del card. Cè nel paese di Gesù: tutti vissuti da Patriarca di Venezia. «Sono sempre andato con la mia comunità di fede. Ho avuto delle occasioni per andarci con amici, in modo quasi turistico... ma ho sempre preferito – e sono stato sempre molto rigoroso in questo – andarci con una comunità di fede, proprio perché quello che mi interessava era di incontrarmi con il Vangelo su cui fondavo la mia vita. E in questo la Terra Santa non mi ha mai deluso».

Cosa può cambiare nel modo di vivere la fede dopo un viaggio in Terra Santa?
Secondo me un viaggio in Terra Santa ci dice soprattutto una cosa fondamentale: che la nostra fede non è una filosofia o solo un programma etico di altissimo valore. E' prima di tutto un evento storico. La fede cristiana è l'incontro con una persona reale, vera: Gesù di Nazaret. Una persona vissuta in un luogo preciso, in un tempo preciso. E' in questo che la fede cristiana si distingue dalle altre religioni.

Quali sono i luoghi a lei più cari?
E' molto difficile per me sceglierne alcuni: è tutto molto interessante. Ma ci sono dei luoghi carichi di particolare suggestione. Ad esempio, nella chiesa dell'Annunciazione, a Nazaret, c'è un altare – è il cuore di quella chiesa – su cui c'è scritto “Verbum caro hic factum est”. Qui, secondo la tradizione, è avvenuto il dialogo dell'angelo con Maria e quindi l'incarnazione: è un luogo pieno di suggestione. E poi il monte delle Beatitudini: un luogo bellissimo, pare di vedere ancora il Signore che gira e parla. Il lago di Genesaret, il “suo” lago, dove Gesù ha svolto la maggior parte del suo ministero. A Gerusalemme, infine, sono due i luoghi che amo di più: il cenacolo, dove è avvenuta l'istituzione dell'Eucaristia, dove si è tenuto l'ultimo discorso di Gesù, ma anche dove c'è stata la discesa dello Spirito Santo; e il Santo Sepolcro, dove non ci sono le reliquie del corpo. E' vuoto, perché Gesù è risorto!

Quando ha compiuto il suo primo pellegrinaggio in Terra Santa? E che sensazioni ha riportato dai vari viaggi che ha compiuto?
Era il 1980 ed ero a Venezia da due anni; era un viaggio organizzato da mons. Rino Vianello. La prima volta c'è quasi una brama di vedere tutto. Poi, via via, subentra il desiderio di capire. Ci si rende conto allora che la Terra Santa è il concentrato di tutte le tensioni e le vicende del mondo: una terra attraversata da violenze, divisioni... La stessa Chiesa lì presenta non il suo volto migliore, ma il suo volto umano: è una Chiesa divisa e talora le divisioni diventano anche inimicizia. E allora si capisce che in questa storia, nella sua concretezza, con tutte le sue contraddizioni, le sue divisioni, le sue violenze e ingiustizie, Dio ha voluto entrare: non l'ha rifiutata. E' entrato per salvarla, aprendo alla speranza.

Leggendo una pagina del Vangelo, oggi, le capita di tornare con la memoria a quei luoghi?
Sì, soprattutto se ci si rende conto della concretezza della vita di Gesù narrata dai vangeli. Si capisce perché vengono utilizzati certi modi di dire, certe espressioni, si valorizzano certe immagini. “Il regno dei cieli è simile a un seminatore... a un pescatore che getta la rete...”: sono immagini tratte da luoghi concreti. Si intravede anche e si capisce la situazione sociale dei tempi di Gesù: perché dia, ad esempio, una preferenza ai poveri. Si acquisisce, soprattutto, il senso della concretezza: il figlio di Dio fatto uomo è uguale a tutti gli uomini, cammina per le strade di questa terra come uno di noi, lui che è figlio di Dio.

Come è bene prepararsi prima di partire?
Il modo migliore per prepararsi credo sia quello di leggere e rileggere i vangeli. Non solo per brani scelti, ma possibilmente facendo una lectio continua. Prestando magari una particolare attenzione ai riferimenti geografici: i nomi lì prendono risalto e diventano concreti.

Dal 14 al 16 ottobre predicherà un corso di esercizi al Cavallino per i pellegrini in partenza: quali temi toccherà?
Vorrei, molto semplicemente, leggere nel pellegrinaggio in Terra Santa la metafora della vita cristiana. Ripercorrendo i luoghi degli eventi della salvezza, i misteri della vita di Gesù, vorrei recuperare la storia di amore che Dio vuol tessere con l'uomo, realizzandola nella vita divina-umana del figlio suo Gesù Cristo. Nella vita concreta di Gesù si può leggere il senso profondo della nostra vita di discepoli che vanno dietro al Signore. La frase “Mettetevi dietro a me e seguitemi” ha un significato spirituale, ma anche materiale. Ci mettiamo dietro a lui per fare la sua strada e il suo cammino e per vivere poi i suoi sentimenti attraverso la grazia dei sacramenti.

Ha nostalgia di quella terra? Le piacerebbe tornarci?
Sì, mi piacerebbe, ma non ho più le forze. E' uno dei pochi desideri che ancora mi rimangono. Perché non è solo questione di vedere qualcosa, è entrare nel mistero della vita di Gesù sempre più profondamente. E' un camminare sulle sue strade per capire che dobbiamo andargli dietro; vedere i suoi luoghi per capire che dobbiamo imitarlo. “Tu seguimi”, dice Gesù a Pietro. Per capire questo, profondamente, non basta un viaggio solo.

Fonte: gvonline.it.

venerdì 23 settembre 2011

Lutero il rivoluzionario

In questo periodo, in cui il Santo Padre Benedetto XVI si trova in visita nel suo paese natale, la Germania, torna in primo piano il tema importante dell'ecumenismo. In particolare anche il Papa ha dichiarato che il rapporto con gli amici evangelici costituisce una parte importante del suo viaggio; ma vale la pena di ricordare come si è originato lo scisma protestante in Germania, ad opera di Martin Lutero. E' uscito oggi, sul quotidiano online La Bussola Quotidiana, un interessante articolo di Francesco Agnoli dal titolo "Lutero: rivoluzione e non riforma". In effetti la storia ci presenta quella di Lutero con il nome di "Riforma protestante"; e la successiva discussione in ambito cattolico voluta dal Concilio di Trento come "Controriforma". I libri di scuola, d'altra parte, presentano l'opera di Lutero come giustificata da una ampia corruzione nella Chiesa cattolica, che aveva nella compravendita delle indulgenze il suo aspetta più eclatante. Questo articolo ci aiuta a capire quali siano state, invece, le ragioni dell'azione di Lutero, e come essa abbia di fatto fondato una nuova religione, piuttosto che riformato la religione cattolica. Non che alcuni vescovi e abati di quell'epoca non fossero realmente corrotti; ma questo fu piuttosto l'elemento che favorì la diffusione delle tesi luterane, più che la causa dello scisma. Se oggi come allora il protestantesimo si alimenta da un certo sentimento anticattolico, allora vale la pena di conoscere la reale natura della teologia luterana. Per questo diffondiamo questo importante contributo di Francesco Agnoli.

Lutero: rivoluzione, non riforma
Di Francesco Agnoli

Quando si parla di Lutero, nell’immaginario collettivo creato ad arte da propagandisti interessati, il pensiero corre subito alla corruzione della Chiesa cattolica del Cinquecento. Molti libri della scuola dell’obbligo, allora, si soffermano nel descrivere le oscenità dei vescovi e dei papi di quel periodo, la cosiddetta vendita delle indulgenze e quant’altro, per poi estrarre dal cilindro il vendicatore, l’eroe buono, il ribelle animato da senso di giustizia: Martin Lutero, appunto.


Ebbene si tratta di una caricatura. Non perché la Chiesa dell’epoca non fosse corrotta. Lo era sicuramente. Del resto è la storia che ce lo insegna: quando scarseggiano i sacerdoti santi, nascono le diaspore, la gente perde la fede…La Chiesa dell’epoca, dunque, versava in pessime condizioni. Non stupisca: ha anch’essa, nella sua componente umana, i suoi giorni e le sue notti.

La crisi era dovuta a motivi interni, rilassatezza dei costumi, ai vescovi che pensavano a viaggiare e alla bella vita, all’incuria di molti sacerdoti, alla mentalità rinascimentale e cortigiana penetrata nel tempio di Dio…, e a motivi esterni: in molti paesi d’Europa, in quegli anni, vescovi ed abati non erano scelti dal papa di Roma, ma dai sovrani. Erano quindi più che uomini di Chiesa, uomini di potere. A ciò si aggiunga il rischio sempre in agguato: il clericalismo….


Ci sarebbe dunque voluto, sicuramente, un riformatore. Come lo era stato Francesco d’Assisi, per esempio, o come sant’Ignazio di Loyola.


Riformatore è colui che riconosce il male che vive nella Chiesa, e si adopera non contro di Essa, ma perché Essa sia più fedele al suo compito, alla sua costituzione divina. Il riformatore cattolico non inventa una nuova dottrina, non propone una ricetta sua, ma lucida e rispolvera il senso profondo del Vangelo e della Tradizione, nella fedeltà alla Chiesa di sempre. Con umiltà.


Lutero, invece, fece tutt’altro: non fu un riformatore, ma un rivoluzionario. Non cercò di eliminare i guasti, le aberrazioni, gli errori, ma propose una religione nuova, una nuova teologia ed una nuova antropologia. Indicò non Cristo, ma le sue personali opinioni.


Ricordiamolo, perché non lo si dice spesso: la sua stessa vocazione era stata incerta, poco spontanea, e la vita religiosa, abbracciata senza adeguata consapevolezza, si rivelò, per lui, insopportabile. Lutero era uomo passionale, irascibile, impetuoso: cercò, certamente, di cambiarsi, di farsi violenza, con penitenze e preghiera; forse con troppe penitenze e preghiere, ma con pochi risultati. Lutero infatti, non riusciva ad accettare la sua limitatezza, la sua miseria, tipica della condizione umana. Ha scritto di lui J. Maritain: “Si appoggiava, per giungere alla virtù, alle sue sole forze, fidandosi dei propri sforzi, delle sue penitenze, delle opere della sua volontà, molto più che della grazia. Praticava così quel pelagianesimo di cui accuserà i cattolici, e da cui in realtà lui stesso non riuscirà ad affrancarsi. Praticamente egli era, nella vita spirituale un fariseo che conta nelle sue opere, come fa fede il suo raggrinzimento di scrupoloso. Si rimproverava come peccato ogni involontaria impressione della sensibilità, e si studiava di acquistare una santità da cui fosse esclusa la minima traccia della debolezza umana” (I tre riformatori).

L’insuccesso, dunque, vissuto con orgoglio, scatenò la sua ribellione e generò la sua nuova antropologia: io non riesco a fare il bene, l’uomo non riesce a fare il bene, ogni uomo è solo cattivo. Questo è il caposaldo del pensiero luterano: il pessimismo antropologico. Lo stesso concetto sostenuto, nello stesso periodo, da Niccolò Machiavelli.


Ma se l’uomo non è capace di opere di bene, allora, come può salvarsi?

Se le opere buone non contano nulla, concluse Lutero, l’unica cosa che ci può salvare è la Fede, la misericordia di Dio (la sola Fides, in contrapposizione con il pensiero di san Giacomo fides sine operibus morta est).

Di qui la sua celebre proposizione luterana: “Pecca fortiter sed crede fermius”, cioè “pecca pure fortemente, ma credi più fermamente”. Di qui la sua critica alle indulgenze: non solo alla corruzione, ma alla possibilità stessa che ad una azione buona (ad esempio un'elemosina per costruire una chiesa o un ospedale, come spesso si faceva) corrispondesse un perdono dei peccati. Di qui la seconda parte della sua vita: non più rigore e penitenza eccessivi, ma, come ammetteva lui stesso, e come testimoniano disegni e ritratti dell’epoca, gozzoviglie, dissolutezza, vino…

Ridotto l’uomo a peccatore senza possibilità alcuna di bene, appeso solo al filo della fede, Lutero si rese ben conto di aver così ucciso la libertà. E lo scrisse apertamente nel suo “De servo arbitrio”: “Quanto a me, io lo confesso: se la cosa fosse possibile, non vorrei che mi fosse dato il libero arbitrio o che a mia disposizione fosse lasciato alcunché, con cui poter tendere alla salvezza, non solo perché non avrei la capacità di resistere e conservarlo fra tante avversità e pericoli e fra tanti assalti diabolici, poiché, essendo un solo demonio piú forte di tutti gli uomini, nessuno degli uomini si salverebbe, ma perché, anche se non ci fossero pericoli, avversità, demoni, io sarei costretto a travagliarmi continuamente nell'incertezza e a dare pugni nell'aria: infatti la mia coscienza, anche se vivessi e operassi eternamente, mai potrebbe conseguire una tranquilla certezza di quanto dovesse fare per soddisfare Dio. E, qualunque opera avessi compiuto, sussisterebbe sempre lo scrupolo se ciò piacesse a Dio, o se Egli richiedesse qualcosa di piú, cosí come prova l'esperienza di tutti coloro che si sono dati alle opere e come io ho dovuto apprendere in tanti anni con grave mia sofferenza. Ma ora, poiché Dio ha avocato a sé la mia salvazione, escludendola dal mio arbitrio, e ha promesso di salvarmi non a motivo delle mie opere e del corso della mia vita, ma per la sua grazia e misericordia, io sono tranquillo e sicuro che Egli mi sarà fedele e non mi mentirà, e inoltre cosí possente e grande, che nessun demonio, nessuna avversità potranno piegarlo o strapparmi a Lui” (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VIII, pagg. 1145-1146).


Da questa concezione, ne derivava un’altra, sebbene non ancora così esplicita come sarebbe accaduto con Calvino: non contando nulla le buone opere, o meglio non essendo possibile che un uomo faccia qualcosa di buono, ne consegue che l’uomo è predestinato, alla salvezza o alla dannazione, indipendentemente dalla sua stessa vita, per giudizio insindacabile di Dio.


Un altro concetto fondamentale introdotto da Lutero per abbattere la necessità della Chiesa, fu la riduzione dei sacramenti a due, e la proclamazione del libero esame: ogni uomo può leggere e interpretare liberamente la Bibbia, senza mediazione alcuna. Un tale principio si rivelò, però, devastante: se ogni uomo può leggere come vuole le Sacre Scritture, infatti, è giocoforza che nascano infinite interpretazioni ed infinite sette. Così nel tempo sorsero calvinisti, socianiani, evangelici, battisti, anabattisti, episcopaliani… mormoni, avventisti, testimoni di Geova…Ovunque sedicenti profeti si alzarono per dire di aver compreso il vero senso della Bibbia (nascosto sino ad allora, sino ad almeno 15 secoli dopo la venuta di Cristo), ed iniziarono, in base al libero esame, a proporre la data per la fine del mondo, a distruggere dogmi e a crearne altri…


A tutto ciò si aggiunga il carattere durissimo di Lutero: per lui il papa era l’Anticristo e i cattolici i suoi “servi”; i contadini ribelli andavano trattati con ferocia: “Verso i contadini testardi, caparbi, e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati...” (Scritti politici, Utet, Torino 1978, p. 515); quanto agli ebrei: “In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto”; inoltre occorre “allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari” (Degli ebrei e delle loro menzogne, Torino 2000, pp. 188-190).


Perché allora Lutero ebbe tanto successo? Sicuramente perché seppe utilizzare il pretesto della corruzione della Chiesa, per la sua rivoluzione, ma soprattutto perché seppe arruolare i principi tedeschi prima e altri sovrani poi. Alcuni signori tedeschi prima, infatti, poi i re di Svezia, Danimarca, Inghilterra… furono coloro che permisero al protestantesimo di decollare, schierandosi dalla sua parte, con uno scopo ben preciso: diventare protestanti significava abolire la Chiesa cattolica dalle proprie terre, incamerarne i beni, sommare nella propria figura il potere temporale e quello spirituale! Se dunque nel campo religioso Lutero portò l’anarchia e l’individualismo, in campo politico generò le Chiese di Stato e le chiese nazionali. Fuori dalle chiese, in Inghilterra, vi è ancora oggi una scritta: “Church of England”. Inconcepibile per il pensiero cattolico… Fu la divisione dell’Europa, la fine del sogno imperiale, di unire popoli diversi per lingua, cultura e tradizioni, ma fondati sulla stessa fede.

Si potrebbe dire molto altro, ma manca lo spazio. Urge dunque una conclusione. Il protestantesimo oggi è in crisi totale. In buona parte vive, come è spesso successo, per opposizione al cattolicesimo. In molte nazioni, pur di non scomparire, ha aperto al sacerdozio femminile, ai gay ecc., senza successo alcuno, anzi…Ma il protestantesimo, come si è visto, è basato sul libero esame, e se è vero che sovente questo ha portato a tante aberrazioni, è anche giusto ricordare che vi sono sempre stati e vi sono anche oggi protestanti più o meno vicini alla vera tradizione cristiana. Vi sono, per fare un solo esempio, protestanti che lottano con grande coraggio, con determinazione anche molto superiore a quella dei cattolici, in difesa della vita e dei principi non negoziabili. Vi sono protestanti che rinnegano buona parte delle idee di Lutero, dalla svalutazione delle opere buone, alla negazione del libero arbitrio. Con questi protestanti, come con tutti gli uomini di buona volontà, si deve ed occorre collaborare, consapevoli che la vera fede è per noi non un motivo di superbia, ma una responsabilità. Senza però che questo comporti una confusione sul piano dottrinale. Senza che ecumenismo diventi sinonimo di indifferentismo. Ci separano teologia, antropologia, ecclesiologia, storia… Ma la speranza è che si ritorni ad un “solo ovile” sotto un “solo pastore”, che si ripeta dovunque quello che è accaduto in Inghilterra ed in altre parti del mondo: un ritorno alla Chiesa “una, santa, cattolica ed apostolica”.

Fonte: La Bussola Quotidiana.

sabato 17 settembre 2011

La Bussola Quotidiana: Catechesi sull'abside

Oggi, per la rubrica Arte e Catechesi, sul quotidiano online La Bussola Quotidiana è stato pubblicato un articolo molto interessante, scritto da Luigi Codemo, dal titolo «L'abside, segno e speranza della risurrezione». Esso, partendo dall'abside presente in gran parte delle chiese più "classiche", vi innesta una catechesi su Cristo, il veniente, e sulla misericordia di Dio che non ha limiti, e che trabocca dai confini che l'uomo possa mai immaginarsi, cosa ben rappresentata dall'abside che esce dal perimetro della basilica. La cosa che ci fa particolarmente piacere di questo articolo è che, come fotografia di accompagnamento e di esempio, è stata scelta proprio l'abside maggiore del nostro Duomo. Per questo motivo (oltre, ovviamente, che per il singolare interesse che desta) non possiamo fare altro che citare questo interessante articolo e proporlo alla lettura anche dei frequentatori di questo blog.

L'abside, segno e speranza della risurrezione
Di Luigi Codemo

L’abside di una chiesa è la parete che non chiude. È il monte abbassato. Il burrone riempito. Il sentiero raddrizzato. È lo spazio aperto da Cristo, dall’avvento di «colui che è, che era e che viene» (Ap 1,8). Quelle pietre che a semicerchio fuoriescono dalle mura squadrate ricordano che ogni celebrazione della liturgia è cammino verso il ritorno di Cristo. Attestano la speranza nella parusia.

Cristo, infatti, è il veniente per eccellenza, o erchòmenos, colui che è in atto di venire (Mc 11,9). Anche ora, in questo momento. Ci sarà il momento in cui tutto sarà palese, quando il cosmo intero sarà giunto al traguardo e si aprirà il tempo della nuova terra e del nuovo cielo, il tempo della nuova Gerusalemme, della città che non ha più bisogno né del sole né della luna, perché la gloria di Dio stesso la illumina (Ap 21,23). Ma tutto questo non è ancora. Anche se è già visibile agli occhi della fede. Perché in Cristo «tutto è compiuto» (Gv 19,30). E nei sacramenti l’eschaton, ciò che sarà, è già presente e in atto. «Se uno è in Cristo – scrive San Paolo – è una creazione nuova: il mondo vecchio è passato, ecco tutto si è fatto nuovo» (2Cor 5,17).

Viviamo nel tempo del "già e non ancora". Per spiegarlo, Gregorio Magno utilizza l’immagine dell’aurora: il sole ha cominciato a sorgere, ma le tenebre cercano di stringersi ancora alle cose del mondo, spalancano le fauci e sbattono la coda, perché sanno che resta loro poco tempo (Ap 12,12). Per questo l’abside è costruito volto ad oriente, per accogliere i primi raggi del sole che sorge e vince le tenebre. L’abside è il segno esteriore della fede che, vivendo del mistero pasquale, ovvero di Cristo risorto, si rivolge piena di speranza all’incontro definitivo, non più velato, con Cristo.

La fine non è, quindi, attesa di uno spegnimento, di un fiaccarsi dei tempi, di uno sprofondare nell’inerzia della notte. Cristo ha distrutto le potenze della morte in vista dell’incorruttibilità. Per dirla con Clemente Alessandrino «Cristo ha mutato il tramonto in Oriente».

Quando si vede la croce del presbiterio inscritta nell’abside o rappresentata, come per esempio nel mosaico di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, torna alla mante che Cristo nel giorno della Parusia porterà sul corpo i segni della croce. È questo un mistero che lascia ammirati. Il corpo umano, con tutte le sue ferite, è dentro il mistero della Trinità! Certo, un corpo trasfigurato, ma che comunque non ha abolito le ferite.

Anche i dipinti che ritraggono Cristo “Giudice dei vivi e dei morti” ne mostrano le stimmate. Egli, nella sua onnipotenza, non scuote via da sé, come se fosse pulviscolo, la propria umanità. Non lo ha fatto sul Golgota e non lo ha fatto ascendendo al cielo. Egli è uomo e Dio. Per questo è giudice: perché è la misura assoluta del rapporto tra l’umano e il divino. Egli lo ha testimoniato nella sua verità. Alla verità a cui ciascun uomo è chiamato. La distanza dal suo esempio sarà oggetto del giudizio dell’ultimo giorno.

E su questo tema del giudizio è ancora l’abside che ci può aiutare, ricordandoci la misericordia di Dio. L’abside infatti, con la sua forma che esorbita, segna come un sovrappiù. Indica il tempo della pazienza di Dio. «Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,9). Il Signore è misericordioso e quindi attende: lascia tempo affinché gli uomini si convertano e coloro che si convertono si perfezionino.


Fonte: labussolaquotidiana.it

venerdì 16 settembre 2011

Tesori d'arte sacra: pale d'altare seicentesche

In questo nuovo appuntamento con l'arte sacra del Duomo cominciamo ad approfondire i dipinti collocati sulla parete della navata sinistra della nostra cattedrale. Partendo dall'abside del Santissimo troviamo tre dipinti molto pregevoli; il primo è il Salvataggio di Pietro, datato tra la fine del 1500 e l'inizio del 1600, ed attribuito ad un pittore della scuola di Tiziano. La scena ritratta si riferisce all'episodio narrato nel Vangelo secondo san Matteo, quando Gesù Cristo raggiunge gli apostoli, che erano sulla barca, camminando sul mare. I discepoli subito pensarono di vedere un fantasma, e Pietro chiese al Signore di comandare che potesse raggiungerlo camminando anch'egli sulle acque. Il Signore acconsentì, ma Pietro, cominciata la traversata, ebbe paura della furia del vento e delle onde, e cominciò a sprofondare. Allora Gesù lo afferra per il braccio, e tirandolo a sè gli dice: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". I colori molto accesi ed il dinamismo dell'intera scena rendono evidente che questo dipinto risale ad un'epoca diversa dagli altri conservati nel nostro Duomo, ciò che rende plausibile la sua attribuzione alla scuola del famoso pittore pievano.
Vicino alla porta laterale d'ingresso troviamo la pala d'altare della Madonna del Carmine, risalente al XVII secolo ed attribuito ad un pittore di scuola veneta. Esso completava il complesso dell'omonimo altare laterale, che fino agli anni venti del secolo scorso era addossato alla stessa parete, ma alla sinistra della porta laterale, dove ora è stato portato alla luce un arco affrescato che doveva fare da cornice al dipinto che ora stiamo considerando. Esso raffigura l'apparizione della Santa Vergine del Carmelo al monaco carmelitano San Simone Stock; nella sua agiografia si racconta, infatti, che il 16 luglio 1251 ebbe l'apparizione della Madonna che le rivelò il privilegio dello scapolare carmelitano: chiunque in punto di morte avesse indossato tale scapolare sarebbe stato liberato dalle pene del Purgatorio il sabato successivo al giorno della morte. Fu proprio per commemorare questo evento che fu istituita la memoria della Madonna del Carmelo il 16 luglio. L'opera, di pregevole fattura, anche se necessiterebbe di restauro, mostra la Santa Vergine tra un trionfo di Angeli che si affacciano tra le nubi, stratagemma questo spesso utilizzato dagli artisti per rappresentare gli eventi soprannaturali.
L'ultima opera che citiamo oggi è la pala d'altare di Sant'Antonio da Padova, anch'essa attribuita ad un artista di scuola veneta e realizzata prima della metà del '600. Sappiamo infatti che questo dipinto ornava l'altare laterale di Sant'Antonio, eretto dal vescovo di Caorle Pietro Martire Rusca (1656-1674), francescano conventuale, sulla parete sinistra della cattedrale, dove oggi si trova la nicchia contenente la statua in gesso di Sant'Antonio. In prossimità di quella nicchia si può scorgere un altro arco affrescato alla parete, simile a quello già descritto per l'altare del Carmine. Sopra la nicchia è collocata la lapide con cui il vescovo Rusca eresse l'altare:

ILL.MI ET R.MI EPI CAPRULEN
UNAM MISSAM LECTAM QUOTIDIE ET DUAS CANTATAS
QUOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S ANTONII
CELEBRARE CURANDO
TENENTUR UT IN ACTIS D OCTAVII RODULPHI NOT VEN
DIE XIV MENSIS JANU MDCLXXI AB INCARNAT
FR PETRUS MARTYR RUSCA EPUS CAPRULEN
EREXIT UNIVIT DISPOSUIT

La pala d'altare in questione, recentemente restaurata, mostra il Santo di Padova ai piedi del Noce che fu la sua ultima dimora terrena, mentre gli appare Gesù Bambino. Sullo sfondo sembra di poter contemplare uno dei tramonti veneti su modello di quelli del famoso pittore Giorgione. Anche qui i cori degli Angeli preannunciano l'evento soprannaturale dell'apparizione del Signore, mentre dall'alto scende la luce Divina, contrapposta a quella del tramonto terreno, dal significato apocalittico che i giusti non hanno bisogno della luce del Sole ma sono illuminati dal Signore Dio.

Qui in basso, cliccando sulle figure, potrete ammirare alcune foto di queste opere d'arte:

Pala del CarminePala di Sant'Antonio

Il Salvataggio di Pietro

giovedì 15 settembre 2011

Beata Vergine Maria Addolorata

Il giorno successivo a quello dell'Esaltazione della Santa Croce la Chiesa ricorda il dolore della Beata Vergine Maria, che ha accompagnato il suo Divin Figlio lungo la via del Calvario ed ha assistito alla sua morte in Croce. Ella, che già si era fatta parte della Redenzione con il suo sì all'Angelo nell'Annunciazione, docile ed obbediente, viene intimamente unita al Sacrificio della Croce dall'avverarsi della profezia del vecchio Simeone, che le aveva profetizzato: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2, 35). Per questo motivo la devozione popolare ha spesso raffigurato la Vergine Addolorata, vestita a lutto, trafitta da una spada o, ancor più, da sette spade, che raffigurano i suoi Sette Dolori, narrati nei Vangeli: oltre alla profezia di Simeone, la fuga in Egitto, il ritrovamento di Gesù nel tempio tra i dottori, l'incontro col suo Figlio sulla via del Calvario, la sofferenza ai piedi della Croce, il pianto sul Corpo di Cristo deposto dalla Croce e il commiato dal Figlio nel Sepolcro in attesa della Risurrezione. Ritroviamo oggi il tema del dolore e della sofferenza che già ieri abbiamo contemplato nella Croce del nostro Salvatore, ma che questa volta hanno per soggetto la Vergine Maria. Con la sua piena adesione alle sofferenze del suo Figlio, fino a spingersi ai piedi del patibolo ove Egli era stato ingiustamente appeso, la Madonna è resa corredentrice, non nel senso che opera al disegno della Redenzione in maniera parallela o indipendente a Cristo, ma perché vi partecipa intrinsecamente con la sua obbedienza a Dio fino al dolore più grande, che è quello di veder morire atrocemente il Figlio sotto orribili torture. Perciò la Vergine Addolorata, che sempre intercede presso Gesù Cristo Signore nostro per noi ed è mediatrice delle sue grazie, diventa per noi uomini un appiglio a cui aggrapparci per sfuggire alla corrente furiosa dei dolori e delle sofferenze. Così come il Figlio suo, che ha patito ogni genere di dolore per inchiodarli alla Croce e sconfiggerli con la Morte e Risurrezione, così Ella ci può consolare nei nostri patimenti più grandi, come ad esempio la perdita dei propri familiari o delle persone care. La Madonna sa cosa vuol dire il nostro soffrire; se nel nostro pianto ci affideremo a Lei possiamo essere certi che non potremmo riceverne che forza e bene, poiché Ella intercede presso la Santissima Trinità affinché lo Spirito Santo, che è Consolatore, ci sussurri nell'animo parole di conforto. Affidiamo a Lei, dunque, tutti i nostri familiari, amici, conoscenti e noi stessi, perché attraverso la sua mediazione, le nostre sofferenze possano comunicare alla Passione del nostro Signore Gesù Cristo per poter essere da Lui portate alla gioia della Risurrezione.
Nella splendida e venerabile Tradizione della Santa Chiesa, alla ricorrenza dell'Addolorata è associata una delle cinque "Sequenze" sopravvissute nei secoli: lo Stabat Mater. Si tratta di una sorta di poesia che esprime i sentimenti di un uomo pio che assiste alla cruenta scena del Calvario; egli vuole quasi affiancare il suo cuore a quello della Vergine, già provato dall'indicibile sofferenza, perché possa servirle di sostegno nel momento della morte in Croce e della deposizione del suo Figlio adorato. Da questa sequenza è stato tratto anche il famoso ritornello che cantiamo al termine di ogni Stazione della Via Crucis: "Santa Madre, deh, Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore!". Le parole esprimono dunque tutta quella pietà, anche popolare, di cui la Chiesa è stata dispensatrice e destinataria in tutti i secoli della sua storia; potessimo ritornare anche oggi a questo modo di comporre anche i canti liturgici più semplici, con l'umiltà e l'amore che esprime questo componimento e che sono la firma della sua ispirazione divina.
Ne propongo l'ascolto di una versione in canto gregoriano, le cui note in maniera sublime ed esclusiva sono legate alle parole del testo in maniera viscerale, tanto da non poter essere separate; quindi, in varie parti, nella famosa versione di Giovanni Battista Pergolesi, splendido esempio del settecento musicale italiano. Inoltre potete trovare il testo, da seguire, con una traduzione.

Stabat Mater (Gregoriano)


Stabat Mater (G.B. Pergolesi)
 


Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius.

Cuius ánimam geméntem,
contristátam et doléntem
pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
fuit illa benedícta
Mater Unigéniti !

Quae moerébat et dolébat,
pia mater, cum vidébat
nati poenas íncliti.

Quis est homo, qui non fleret,
Christi Matrem si vidéret
in tanto supplício?

Quis non posset contristári,
piam Matrem contemplári
doléntem cum Filio ?

Pro peccátis suae gentis
vidit Jesum in torméntis
et flagéllis subditum.

Vidit suum dulcem natum
moriéntem desolátum,
dum emísit spíritum.

Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum
in amándo Christum Deum,
ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,
crucifíxi fige plagas
cordi meo válide.

Tui Nati vulneráti,
tam dignáti pro me pati,
poenas mecum dívide.

Fac me vere tecum flere,
Crucifíxo condolére
donec ego víxero.

Iuxta crucem tecum stare,
te libenter sociáre
in planctu desídero.

Virgo vírginum praeclára,
mihi iam non sis amára,
fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,
passiónis fac me sortem
et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,
cruce hac inebriári
et cruóre Fílii.

Flammis urar ne succénsus,
per te, Virgo, sim defénsus
in die iudícii.

Fac me cruce custodíri
morte Christi praemuníri,
confovéri grátia.

Quando corpus moriétur,
fac, ut ánimae donétur
paradísi glória. Amen.
La Madre addolorata stava
in lacrime presso la Croce
su cui pendeva il Figlio.

E il suo animo gemente,
contristato e dolente
una spada trafiggeva.

Oh, quanto triste e afflitta
fu ella, benedetta
Madre dell'Unigenito!

Come si rattristava e si doleva
la pia Madre vedendo
le pene dell'inclito Figlio!

Chi non piangerebbe
al vedere la Madre di Cristo
in tanto supplizio?

Chi non si rattristerebbe
al contemplare la pia Madre
dolente accanto al Figlio ?

A causa dei peccati del suo popolo
Ella vide Gesù nei tormenti,
sottoposto ai flagelli.

Vide il suo dolce Figlio
che moriva, desolato,
mentre esalava lo spirito.

Oh, Madre, fonte d'amore,
fammi provare lo stesso dolore
perché possa piangere con te.

Fa' che il mio cuore arda
nell'amare Cristo Dio
per fare cosa a lui gradita.

Santa Madre, fai questo:
imprimi le piaghe del crocifisso
fortemente nel mio cuore.

Del tuo figlio ferito
che si è degnato di patire per me,
dividi con me le pene.

Fammi piangere intensamente con te,
condividendo il dolore del Crocifisso,
finché vivrò.

Accanto alla Croce, stare con te,
con piacere in tua compagnia,
nel compianto, io desidero.

O Vergine gloriosa fra le vergini
non essere aspra con me,
fammi piangere con te.

Fa' che io porti la morte di Cristo,
avere parte alla sua passione
e che mi ricordi delle sue piaghe.

Fa' che sia ferito delle sue ferite,
che mi inebri con la Croce
e del sangue del tuo Figlio.

Che io non sia bruciato dalle fiamme,
che io sia, o Vergine, da te difeso
nel giorno del giudizio.

Fa' che io sia protetto dalla Croce,
fortificato dalla morte di Cristo,
consolato dalla grazia.

E quando il mio corpo morirà
fa' che all'anima sia donata
la gloria del Paradiso. Amen.

mercoledì 14 settembre 2011

Esaltazione della Santa Croce

L'odierna ricorrenza che la Santa Chiesa ci propone, la festa dell'Esaltazione della Santa Croce, è nata nel 335, in comcomitanza con le ricorrenze della "Crucem" e della "Anastasis" di matrice orientale, passate poi anche in Occidente con il nome di "Esaltazione". Inizialmente si voleva commemorare il leggendario ritrovamento della Vera Croce di Cristo da parte della regina Elena, madre dell'imperatore Costantino; ma col tempo la festività della Croce assunse un significato più religioso che storico: diventa il trionfo del Nostro Signore Gesù Cristo sulla Croce. All'umana sensibilità ciò sembra assolutamente antitetico: per l'uomo la gloria è opposta alla sofferenza e alla morte. L'uomo di oggi associa l'esaltazione, la fama e la gloria ad un certo ideale di bellezza, tutta esteriore, rifiutando completamente il dolore, tanto che quando ci si trova a dover affrontare la morte, quale condizione che accomuna tutti gli esseri umani, dal più ricco al più povero, c'è chi preferisce evitare la sofferenza, giudicando "indegna" di essere vissuta una vita in cui predomina la sofferenza del corpo. La morte in Croce di Gesù Cristo Signore nostro rovescia questa visione prettamente terrena; Egli ha voluto soffrire indicibili sofferenze, senza sottrarsene anche se avrebbe potuto, lasciandosi inchiodare al patibolo e schernire da coloro che amava. Egli, Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, non si è vantato di questa sua condizione; ma, come dice l'Apostolo san Paolo, se ne è spogliato fino a divenire simile agli uomini. Ed una volta fattosi uguale agli uomini si è fatto ulteriormente umiliare, facendosi processare e uccidere come se fosse un malfattore; ha accettato su di se le conseguenze dei nostri innumerevoli peccati, pur non meritandole. Tuttavia, leggiamo sempre nella Scrittura, Egli "offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito" (Eb 5, 7). L'Onnipotente Eterno Padre non lo abbandonò alla sorte dei malvagi che aveva accettato di condividere, ma lo risuscitò dai morti: "Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome" (Fil 2,9).
In questo sta il trionfo della Croce per tutti gli uomini: non è l'esaltazione del dolore in sè, o delle sofferenze a cui si va incontro magari per difendere una ideologia, ma l'esaltazione del Santo Sacrificio che ha determinato la nostra Redenzione ed il nostro distacco dalla condizione umana, in cui il dolore non aveva senso. Come ci ricordava il cardinale Angelo Scola, commentando la lettera ai Colossesi di san Paolo apostolo nella sua omelia tenuta durante la Santa Messa di congedo dal patriarcato, risorgendo dalla morte Gesù Cristo ci ha fatti risorgere con Lui, rendendoci partecipi fin d'ora del suo destino di gloria; questo se anche noi lo vogliamo ed abbandoniamo le passioni ed i peccati che ci tengono invece legati alla sorte terrena. Ecco perché chi rifiuta la mano che il nostro Salvatore ci tende per trarci dal fango di una vita prettamente mondana non ha possibilità di rispondere all'atroce interrogativo dell'uomo sul perché del male e del dolore, e finisce per togliere la dignità anche ai malati terminali, perché giudicati vivere una vita insignificante. Se invece orientiamo la nostra vita nella direzione di quella di Cristo anche il dolore assume un senso, una direzione, che è quella del Calvario, del Sepolcro e della Risurrezione; il nostro dolore, come quello del nostro Redentore, non finisce con la morte, ma va oltre, e viene sconfitto nella Risurrezione.
Di certo non è facile sopportare certe sofferenze dell'anima, prima ancora di quelle del corpo, come quelle che ci provocano il distacco da una persona cara; tuttavia l'Esaltazione della Croce ci fa capire che il cristiano gode in qualche modo, per i meriti del nostro Salvatore Gesù Cristo, come di un privilegio, poiché il suo Signore ha sofferto per primo ogni possibile dolore per poi vincerlo. Anche tra i credenti, oggi, forse proprio perché ci troviamo permeati da una mentalità che cerca la gioia soltanto nel mondo, c'è chi crede di poter raggiungere la felicità rifiutando la sofferenza ed il dolore, o trasformando la Santa Messa in un "party". Ma se il cristiano eliminasse il dolore dalla propria vita e religione, o privasse del suo carattere sacrificale la Santa Messa, nella quale il glorioso sacrificio della Croce si ripropone in maniera incruenta, finirebbe per precludersi la strada che porta alla gioia stessa; l'Esaltazione della Croce ci mostra come alla gloria si arrivi soltanto attraverso la Croce. Gesù Cristo ci promette la gioia, e la sua promessa è molto più realistica e plausibile di quelle che ci fa il mondo: Egli ci indica che la strada è quella che passa per la porta stretta e che ci conduce con Lui al Calvario, una strada che ha percorso prima di noi, dandoci l'esempio, ed assicurandoci che la meta è sicura.

Ascoltiamo alcuni brani di musica sacra. Prima l'inno "Crux Fidelis", dal repertorio gregoriano e poi in una splendida versione polifonica, a 6 voci, dell'antifona "Adoramus Te", scritta dal grande compositore Claudio Monteverdi.



lunedì 12 settembre 2011

Riorganizzazione del Vicariato di Caorle

In questo fine settimana il Vicariato di Caorle è stato oggetto di un'importante riorganizzazione delle parrocchie. Come infatti qualcuno dei parrocchiani saprà era partito da qualche tempo il progetto della Comunità Pastorale, ossia una collaborazione tra diverse parrocchie che aveva lo scopo di dare un aiuto ai pochi sacerdoti che lavorano in esse ed anche per fare in modo che gli abitanti delle diverse realtà formino una comunione più profonda. Questa prima Comunità Pastorale non coinvolgeva però tutte le otto parrocchie del nostro Vicariato; inoltre c'è da dire che il territorio delle parrocchie di Caorle è molto vasto, derivando dallo smembramento dell'antica diocesi di Caorle, ed è difficile creare una collaborazione fra realtà molto lontane.
Da sabato scorso, dunque, il territorio è stato riorganizzato in due nuove comunità pastorali: quella che riguarda la nostra parrocchia, insieme alle parrocchie di Santa Margherita e di Porto Santa Margherita, forma la Comunità Pastorale detta di "Caorle-Litorale", che copre grossomodo la zona costiera del territorio caorlotto. La seconda Comunità, detta invece di "Caorle-Terraferma", tiene insieme le parrocchie di Ca' Corniani, San Gaetano, Marango, Brussa e Castello. L'atto ufficiale che ha sancito questa nuova suddivisione è stata la presa di possesso della parrocchia di San Gaetano da parte di don Giuseppe Simoni (nella foto in alto) come nuovo parroco, nella Santa Messa celebrata da mons. Valter Perini delegato per tutto quanto attiene allo svolgimento del ministero e più in generale alla vita dei chierici, diocesani e non, presenti nel Patriarcato. Don Giuseppe Simoni, fino ad ora co-parroco della nostra parrocchia del Duomo, assume così l'incarico di parroco nelle parrocchie di Ca' Corniani e San Gaetano, e nel contempo quello di moderatore della nuova Comunità di Terraferma.
Preghiamo il Signore per i nostri sacerdoti e per la nostra intera Comunità di Caorle, affinché, tramite anche questa rinnovata esperienza delle Comunità Pastorali, possano sempre vivere in maniera conforme ai Suoi insegnamenti.

sabato 10 settembre 2011

Festa della Madonna dei fagotti

La domenica successiva alla festa della Natività della Beata Vergine Maria è ugualmente dedicata, nella nostra parrocchia, alla Madonna, in quella che viene tradizionalmente chiamata "Festa della Madonna dei fagotti". Tale ricorrenza aveva, come la maggior parte delle feste di carattere religioso, un significato pratico molto importante, e testimoniava la grande devozione che il popolo nutriva nei confronti, in questo caso, della Santa Vergine. Nel periodo intorno all'8 settembre, chiamato Fraima (dal latino "infra hieme", che significa in prossimità dell'inverno) i pescatori lasciavano le loro abitazioni per riprendere l'attività di pesca dopo la pausa estiva, e si recavano nei casoni, le tipiche costruzioni in canna palustre costruite tra le isole della laguna caprulana. A quel tempo e fino agli anni Settanta del secolo scorso, i pescatori costituivano la parte più cospicua di tutta la popolazione cittadina, così questa sorta di migrazione stagionale degli uomini di Caorle, che sarebbe durata fino a Natale, diventava un evento importante. Essi si recavano presso il rio, che all'epoca si addentrava fino all'interno dell'odierna Piazza Papa Giovanni XXIII, formando una vera e propria processione, muniti dei loro vestiti e dagli attrezzi per la pesca racchiusi in un fagotto. Una volta giunti alle loro imbarcazioni ricevevano la benedizione del sacerdote, quindi potevano partire; non a caso proprio i pescatori vollero, nel XIX secolo, la costruzione di una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario adiacente al luogo da dove ogni anno partivano per la pesca invernale, senza sapere con certezza se sarebbero tornati indietro. Quella chiesetta, ristrutturata nel 1950, è oggi dedicata alla Madonna del Rosario di Pompei.
Al giorno d'oggi la pesca non è più la principale attività di sussistenza del popolo caorlotto, scalzata dal turismo che ha certamente tempi diversi rispetto a quelli dei pescatori di un tempo. Tuttavia il mantenimento di questa ricorrenza religiosa, spostata alla domenica successiva, non è un inutile retaggio del passato o un anacronismo; settembre rappresenta per molti, ancora, l'inizio delle attività lavorative dopo una pausa estiva più o meno lunga, soprattutto per i nostri bambini e ragazzi che iniziano la scuola proprio il giorno successivo. Anch'essi, per una strana coincidenza, partiranno dalle loro case con il proprio fagotto, certamente più alla moda di quello dei vecchi pescatori, per il lavoro quotidiano. Sembra proprio, con il mantenimento di questa ricorrenza fino ai nostri giorni, di sentire la voce materna della Vergine Santa rivolgersi al suo popolo, per richiamare i suoi figli che sembrano diventati sordi alle sue dolci parole, e garantire ancora la sua protezione per quanti la invocano.
Nella giornata di domani, dopo le Sante Messe in Duomo (alle 10:45 la Santa Messa solenne), saranno celebrati i Vespri alle 17:45, al termine dei quali si snoderà dal Duomo per le vie del centro storico la processione con il simulacro della Madonna delle Grazie. Potessimo accogliere con gratitudine il richiamo della Madonna che con insistenza chiama alla conversione i suoi figli! Come sarebbe bello se i genitori accompagnassero i propri bambini alla processione di domani sera, specialmente i più piccoli, che cominceranno la scuola lunedì; e se anche i ragazzi più grandi, soprattutto coloro che hanno frequentato il grest parrocchiale (sia come partecipanti che come animatori) e frequenteranno gli incontri di Catechismo in parrocchia quest'inverno, si mettessero simbolicamente alla sequela di Maria Santissima in questa manifestazione pubblica di fedeltà e devozione, chiedendo a Lei l'aiuto per far sì che l'anno scolastico alle porte inizi e si concluda positivamente! Anche gli albergatori potrebbero cogliere l'occasione di questa festa per ringraziare la Madonna per la stagione turistica ormai in via di conclusione, e pregare perché anche l'anno venturo il Signore possa garantire loro un lavoro dignitoso, cosa per nulla scontata. Magari non potranno partecipare alla processione per motivi di lavoro, ma forse potranno accendere una candela presso il simulacro della Madonna esposto in Duomo, o semplicemente recitare una preghiera: un altro segno che vuole significare affidarsi alla sua materna protezione.
L'augurio dei sacerdoti e di tutta la parrocchia è dunque quello di accogliere l'invito della Santissima Madre di Dio, dispensatrice di ogni grazia del Signore; la partecipazione a questa festa della Madonna dei fagotti, che resiste ai tumulti secolarizzatori di questi tempi, possa convertirci ad un pensiero più umile nel nostro modo di vivere e ad una sincera devozione, com'era quella dei nostri antenati.

Ricordiamo che da questo fine settimana entra in vigore l'orario post-estivo: l'unica Santa Messa prefestiva in Duomo sarà celebrata alle ore 18:30 (è soppressa la Santa Messa delle ore 21), mentre la domenica sono state soppresse le Sante Messe delle ore 16 e delle ore 21; l'orario domenicale delle Sante Messe è dunque 7:00, 8:00, 9:30, 10:45, 12:00, 19:00.

giovedì 8 settembre 2011

Mons. Pizziol amministratore apostolico

COMUNICATO DELLA CANCELLERIA PATRIARCALE

Dopo aver preso congedo da Sua Eminenza Reverendissima il Cardinal Angelo Scola, già Patriarca di Venezia, trasferito all’Arcidiocesi di Milano, in data odierna, il Santo Padre Benedetto XVI, con Decreto della Congregazione per i Vescovi, ha nominato Amministratore Apostolico del Patriarcato di Venezia “sede vacante” Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Beniamino Pizziol, Vescovo di Vicenza, conferendogli tutte le facoltà, i diritti e i doveri dei vescovi diocesani, precisando che tale mandato avrà termine con la presa di possesso canonica del nuovo Patriarca.

Sua Eccellenza l’Amministratore Apostolico ha pertanto confermato in forma delegata tutte le potestà e le facoltà che i Vicari episcopali godevano prima della vacanza della sede patriarcale, oltre a quelle deleghe conferite a suo tempo dal Card. Angelo Scola, ovvero a Mons. Orlando Barbaro la delega a provvedere alla soluzione delle emergenze riguardanti la celebrazione dell’Eucaristia presso le parrocchie, le rettorie e le cappellanie presenti nel territorio diocesano, nonché la rappresentanza alle principali celebrazioni liturgiche cui l’Amministratore Diocesano non potrà presenziare, a Mons. Valter Perini la delega per tutto quanto attiene allo svolgimento del ministero e più in generale alla vita dei chierici, diocesani e non, presenti nel Patriarcato, a Mons. Giacomo Marchesan il compito di assistere e visitare i sacerdoti anziani e ammalati e a Mons. Danilo Barlese la delega alla concessione delle licenze previste dalla vigente legislazione canonica in materia amministrativa, nonché al coordinamento della pastorale diocesana. Tutti gli altri delegati patriarcali vengono confermati nel loro incarico, mentre la delega per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso viene mantenuta dall’Amministratore Apostolico.

L’Amministratore Apostolico invita tutte le comunità della Diocesi a pregare quotidianamente affinché la Chiesa di Venezia non resti a lungo priva del suo pastore, raccomandando che in Cattedrale come in tutte le altre chiese del Patriarcato si celebrino frequentemente le Sante Messe per l’elezione del Vescovo o dello Spirito Santo che sono nel Messale Romano. In particolare chiede che nella preghiera dei fedeli si aggiunga la seguente intenzione: “Per la nostra Diocesi, perché il Signore, Padre che si prende cura di tutti i suoi figli, si degni di donarci un pastore secondo il suo cuore, che ci accompagni con instancabile amore nel nostro cammino dietro a Cristo, preghiamo.”

Infine si rende noto che durante la preghiera eucaristica non si farà più menzione del Vescovo diocesano sino alla presa di possesso dell’eligendo Patriarca e, di conseguenza, si pregherà “per il nostro papa Benedetto e per tutto il collegio episcopale”.


Venezia, 8 settembre 2011.

 Don Diego Sartorelli
Pro-Cancelliere Patriarcale

L'omelia del cardinale Scola durante la Santa Messa di Congedo dal Patriarcato

In una Basilica di San Marco gremitissima, ieri, 7 settembre, il cardinale Angelo Scola si è congedato dal patriarcato di Venezia con una solenne Celebrazione Eucaristica. Durante l'omelia il cardinale ha esordito con le parole del terzo capitolo della lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi, «Se siete risorti con Cristo»: non "sarete risorti", ma "siamo risorti". Per questo lo stesso apostolo Paolo ci invita a manifestare nella nostra vita questa risurrezione in atto, nell'attesa di poter apparire noi stessi insieme con lui nella gloria. Tramite il Battesimo siamo morti ad un attaccamento e ad una visione terrena della nostra vita, poiché la nostra vita è già nascosta con Cristo in Dio. Ci siamo svestiti dell'uomo vecchio, fatto di passioni e di imperfezioni, e ci siamo rivestiti dell'uomo nuovo. Questo è il senso dell'affermazione: «Cristo è la nostra vita»; non una convinzione nostra, magari retaggio della nostra infanzia. Se viviamo seriamente il nostro Battesimo, esso significa la morte del nostro uomo vecchio, fatto di peccati, e la risurrezione dell'uomo nuovo, ricostruito ad immagine e somiglianza di Dio per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio.
In quest'ottica, ha proseguito il cardinale Scola, viviamo anche questo momento di distacco; cioè se siamo effettivamente risorti con Cristo, benché questa risurrezione ora si manifesti in uno stato ancora germinale e sarà completa soltanto dopo la morte del nostro corpo, allora siamo oggettivamente orientati, incanalati a questo destino della presenza vivente di Gesù Cristo. Percui ogni cosa, compreso il distacco, è ordinato in Cristo per il nostro bene, ci fa avanzare lentamente e superare ciò che di noi, con il nostro dolore, appartiene ancora alla dimensione terrena, perché possiamo orientarci tutti verso il Cielo. La distanza ed il distacco, quindi, ordinano ogni aspetto della nostra vita personale e relazionale; il dolore e lo sconforto che da essi possono provenire sono il viatico per giungere a questa risurrezione di cui Nostro Signore ci ha fatti partecipi, soffrendo Lui stesso per primo, attraverso i Sacramenti. Tuttavia, sottolinea il cardinale, questo distacco non è una vera separazione: quasi dieci anni di vita insieme come guida della Chiesa di Venezia e l'affetto reciproco tra lui ed i veneziani (testimoniato dal fervore con cui è stato accolto nel corteo acqueo sul canal grande che lo ha condotto fino in piazza san Marco) sono un legame che non potrà essere sciolto facilmente, specialmente se noi insieme con lui siamo incamminati sulla stessa strada che conduce a Cristo, nostra vita.
Sono seguite parole di gratitudine e ringraziamento per questo decennio alla guida del patriarcato: ai sacerdoti, un presbiterio solido, unito nella sua pluriformità, ben radicato attorno al proprio pastore; ai religiosi e alle religiose; a tutti i fedeli laici, che con la loro numerosa presenza in Basilica ieri, hanno testimoniato la loro vicinanza al padre che parte. Ripercorrendo rapidamente le tappe del suo episcopato veneziano, ha confessato che quest'esperienza personale l'ha cambiato, specialmente vedendo la fede che molti ammalati, anche quelli sulla soglia della morte, gli hanno dimostrato nelle visite che egli compiva durante la visita pastorale. Ha ricordato il rapporto amichevole con i rappresentanti della società civile che si sono succeduti in questo periodo (e che due giorni fa gli hanno offerto un concerto al Gran Teatro La Fenice), e con i rappresentati della chiesa ortodossa e delle altre confessioni cristiane presenti in Venezia.
«Che bella Chiesa è la Chiesa di Venezia», ha esclamato il cardinale Scola: una chiesa viva e ben radicata in San Marco e nei suoi successori, e in tutti i santi che hanno vissuto nella nostra terra, a partire da San Lorenzo Giustiniani, suo primo patriarca. Una Chiesa che il cardinale trovò già viva, ricca e solida al suo arrivo e che, forse con un eccesso di umiltà, si augura di non aver rovinato troppo. Un grazie che il cardinale Scola ha affidato alla Serenissima città di Venezia, alle acque delle nostre lagune, da Caorle fino a tutto l'entroterra.
Non ha mancato di ricordare l'amicizia più che fraterna che l'ha legato per tutto questo tempo al patriarca emerito cardinale Marco Cè, il quale, nel suo indirizzo di saluto finale, provato dal peso degli anni, ha ricambiato con tenerezza. Ha infine esortato i fedeli a pregare incessantemente per il nuovo patriarca, assicurando la sua personale preghiera per questa intenzione.
L'arcivescovo eletto di Milano ha lasciato Venezia con un pensiero di Santa Caterina da Siena, una preghiera allo Spirito Santo; una sorta di dono finale ed un augurio:

«O Spirito Santo, vieni nel mio cuore, tiralo a te per la tua potenza, Dio vero. Concedimi carità e timore. Custodiscimi da ogni mio pensiero. Riscaldami, infiammami con il tuo amore, sì che ogni mio peso appaia leggero. Spirito di Dio Padre, dolce mio Signore, ora aiutami in ogni mio ministero. Cristo amore, amen».

Video dell'omelia tratto dal sito angeloscola.it:



Foto di Giorgia dalla Ore, tratte dal sito angeloscola.it.

martedì 6 settembre 2011

Concerto di Alessandro Taverna

Evento imperdibile per tutti gli appassionati di musica caorlotti e per gli ospiti ancora presenti nella nostra città; giovedì 8 settembre si terrà in Duomo un recital di Alessandro Taverna, pianista di fama internazionale, nonché nostro concittadino e parrocchiano. Classe 1983, Alessandro Taverna si forma nella classe di pianoforte del M° Laura Candiago Ferrari presso la Fondazione Musicale Santa Cecilia di Portogruaro; dopo essersi diplomato al Conservatorio di Padova con il massimo dei voti, la lode e la menzione d'onore, consegue dapprima il diploma di concertismo presso la Scuola di perfezionamento musicale della Fondazione Santa Cecilia di Portogruaro, con il M° Piero Rattalino, quindi il diploma finale di alto perfezionamento presso l'Accademia pianistica internazionale di Imola, sotto la guida dei maestri Franco Scala, Leonid Margarius, e Boris Petrushansky. Infine ha recentemente conseguito il diploma presso l'Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma, sotto la guida del M° Sergio Perticaroli.
Si impone all'attenzione internazionale dopo alcuni importanti successi conseguiti in prestigiosi concorsi pianistici: vince infatti il secondo premio al London International Piano Competition, il primo premio assoluto al Minnesota International Piano-e-Competition ed il terzo premio al Leeds International Piano Competition, che lo consacrano uno degli artisti più eminenti della sua generazione in ambito mondiale. Nel 2008 è inoltre insignito del Mozart-Pizzini Praemium della Fondazione Mozart-Pizzini von Hochenbrunn di Ala (TN) e, nel 2010, del Premio A. B. Michelangeli alla Eppan Piano Accademy.
La sua attività concertistica si svolge principalmente in Inghilterra, Italia e Nord America: ha partecipato a stagioni ed iniziative artistiche organizzate da importanti istituzioni, esibendosi per il Keybord Trust di Londra, il Konzerthaus di Berlino, il 69mo Maggio Musicale Fiorentino, la Fazioli Concert Hall di Sacile, MITO SettembreMusica e Auditorium di Milano, l'Estate Musicale di Portogruaro, la Salle Cortot di Parigi, l'Ottawa Internetional Chamberfest in Canada e, negli Stati Uniti d'America, la Preston Bradley Hall di Chicago e l'International Keybord Festival di New York. Si è distinto anche per essersi esibito con prestigiose orchestre di fama internazionale, quali la London Philarmonic Orchestra, la Minnesota Orchestra, la Hallé Orchestra di Manchester, la Chamber Orchestra Kremlin e l’Orchestra Sinfonica della Valle d’Aosta.
Il prossimo 8 settembre, in occasione dell'iniziativa "Caorle sotto le stelle", questo straordinario talento del panorama artistico nazionale ed internazionale si esibirà, dopo molto tempo, davanti al suo pubblico di casa. L'appuntamento è per le 20:40 presso il Duomo e l'ingresso del pubblico sarà libero. Per chi volesse ulteriori dettagli sulla carriera e sui concerti di questo pianista suggeriamo la visione del suo sito internet:
www.alessandrotaverna.com.

lunedì 5 settembre 2011

Congedo del cardinale Angelo Scola

Mercoledì prossimo, 7 settembre, il cardinale Angelo Scola, per nove anni patriarca di Venezia, si congederà dalla nostra diocesi per intraprendere il nuovo incarico che papa Benedetto XVI gli ha affidato lo scorso 28 giugno, quello di arcivescovo di Milano. Il pomeriggio di mercoledì il cardinale Scola si recherà presso il Seminario Patriarcale, dove alle ore 15:00 incontrerà tutti i sacerdoti del patriarcato; dopo un momento di preghiera comune e le parole di saluto del rettore, mons. Lucio Cilia, prenderà la parola il cardinale arcivescovo eletto di Milano, che parteciperà poi ad una breve visita dei locali restaurati del seminario.
L'appuntamento per tutti i fedeli è invece in Basilica di San Marco; per agevolare l'affluenza dei fedeli, che si prevede massiccia, la Basilica sarà aperta dalle 17:30 (si potrà entrare dalla porta dei leoncini o dalla porta principale); per i parrocchiani che desiderano partire da Caorle il ritrovo, per coloro che volessero trovarsi insieme, è presso l'entrata del Centro Pastorale Parrocchiale Beato Giovanni XXIII (ognuno partirà poi con mezzi propri) a partire dalle ore 15:00. Al termine della Santa Messa, presso la piazzetta dei leoncini (di fronte al patriarchio) il cardinale Scola sarà disponibile a salutare tutti coloro che volessero farlo di persona.
Per coloro i quali non riuscissero a partecipare di persona a questo momento comunitario diocesano, facciamo presente che l'intera cerimonia sarà trasmessa in diretta dall'emittente Telechiara (canale 14 del digitale terrestre), sperando che il segnale dei nostri televisori quel giorno sia abbastanza regolare da permettere una visione fluida della cerimonia.
Si tratta di un momento molto particolare per la nostra diocesi, che raramente si trova a dover affrontare la traslazione del patriarca ad altro incarico; continuiamo a pregare per il cardinale Scola, affinché possa svolgere serenamente il nuovo compito affidatogli dal Santo Padre, e preghiamo incessantemente il Signore perché, tramite il Papa, invii alla Chiesa di Venezia un nuovo pastore a lui gradito, che possa trovare un popolo ben disposto a seguirlo.
Ulteriori informazioni si possono trovare nella pagina dedicata del sito internet parrocchiale:
http://www.caorleduomo.altervista.org/congedoscola.html.

sabato 3 settembre 2011

San Gregorio Magno Papa

Ricorre oggi, 3 settembre, la memoria liturgica di San Gregorio Magno, 64mo successore di Pietro, tra l'anno 590 e l'anno 604. Grande ammiratore di San Benedetto da Norcia e della sua Regola, fin dalla gioventù decise di trasformare le sue abitazioni in monasteri, e di farsi monaco, dedicandosi completamente alla meditazione ed alla lettura delle Sacre Scritture. Intorno all'anno 579, papa Pelagio II lo invia come suo delegato presso la corte di Costantinopoli, dove ebbe modo di distinguersi agli occhi dell'imperatore Maurizio I e portò addirittura al Battesimo il figlio dell'imperatore Teodosio. Dopo una permanenza di sei anni tornò a Roma, dove risiedette per circa quattro anni nel suo convento sul Celio; fino a quando, il 3 settembre 590, fu eletto papa.
Uno dei suoi primi atti da pontefice fu quello, in risposta alla pestilenza che stava soffocando l'Urbe in quel periodo, di ordinare costanti pellegrinaggi presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, al termine dei quali si racconta la famosa apparizione dell'Arcangelo San Michele sopra il mausoleo di Adriano, nell'atto di riporre la spada nel fodero, segno che il flagello era terminato. Ciò valse alla tomba di Adriano il nome di Castel sant'Angelo, così come ancora oggi conosciamo questo importante monumento romano.
Fu amministratore capace ed intraprendente della Chiesa; tessé importanti rapporti diplomatici con i regnanti dell'epoca, visigoti, longobardi e franchi, grazie ai quali riuscì in una delle sue opere più importanti, ossia la conversione al cattolicesimo della Britannia, dopo avervi inviato una delegazione di circa quaranta dei suoi monaci del Celio, capeggiata da sant'Agostino. La sollecitudine di papa Gregorio per il suo gregge è testimoniata anche in un carteggio con l'esarca di Ravenna Mariniano, il quale, secondo alcuni storici, costituirebbe la prima prova documentata dell'esistenza della diocesi di Caorle. La lettera, scritta nell'anno 598, comunicava che il vicedomino ed il difensore della «Chiesa capritana» riferivano alla Santa Sede che il vescovo Giovanni di Pannonia aveva fissato la sua dimora nel castello di «Nove», essendo stato scacciato dagli abitanti della sua diocesi.
Altro versante importante nel quale papa Gregorio riversò i suoi sforzi fu quello liturgico; a lui si deve la codifica del rito romano nel rito appunto chiamato gregoriano. Tale rito costituì la forma in cui venne celebrata la Santa Messa fino praticamente al Concilio Vaticano II; forma che, grazie a Papa Benedetto XVI (con il motu proprio Summorum Pontificum e l'istruzione Universae Ecclesiae) è oggi in via di completa riabilitazione. Non solo i codici, tuttavia, furono la preoccupazione di San Gregorio Magno in campo liturgico: da lui deriva anche il canto proprio della liturgia romana, in suo onore detto canto gregoriano. Anche se non è certo il fatto che egli abbia scritto di suo pugno alcuni brani, egli si occupò in maniera decisa di diffonderne l'uso in tutte le terre cattoliche. A questo proposito è interessante ed emblematica la leggenda che si è diffusa grazie a Paolo Diacono e ad alcune antiche illustrazioni: papa Gregorio era solito dettare il testo e la musica dei canti sacri ad uno dei suoi monaci, separato da lui da un paravento di stoffa. Ma poiché il Papa alternava alla dettatura dei lunghi periodi di silenzio, il monaco scostò un lembo del paravento, e si trovò dinanzi la scena miracolosa: una colomba posata sulla sua spalla, durante i lunghi silenzi, dettava in un orecchio al Santo Padre i frammenti del canto liturgico. Questa leggenda ha lo scopo di mettere in luce il carattere davvero sacro del canto gregoriano, che è di ispirazione divina (la colomba era infatti lo Spirito Santo). Per questo la Chiesa, nei secoli, non ha mai potuto, né voluto, sopprimere o eliminare dalla Divina Liturgia questo inestimabile tesoro di preghiera ed arte a servizio di Dio che è il canto gregoriano. La leggenda ci insegna ancora oggi che la liturgia, ed in particolar modo il canto liturgico, non deve essere invenzione degli uomini, ma deve sempre essere ricondotto all'azione di Dio attraverso l'uomo. Soltanto con l'obbedienza ai voleri divini gli uomini renderanno il culto liturgico gradito a Dio.

Papa Gregorio morì il 12 marzo del 604. Meditiamo, dunque, sulla vita di questo santo pastore, che meritò di essere proclamato "Grande" dalla tradizione della Chiesa; impariamo da lui l'amore e la sollecitudine verso il prossimo, e la cura per la liturgia ed il canto nelle funzioni sacre. Concludiamo con l'ascolto di uno dei canti del repertorio gregoriano che proprio San Gregorio contribuì a diffondere in tutto il mondo e per tutte le generazioni; si tratta dell'Ordinario della Missa Orbis Factor (per le domeniche fra l'anno), che contiene alcuni dei brani gregoriani più antichi (X-XI secolo), all'ascolto dei quali sembra davvero di rivevere la scena vista da quel monaco, con il papa intento a carpire i suggerimenti della colomba sulla sua spalla, e si intuisce come queste note non possano essere esclusivamente di provenienza umana. Il canto è eseguito dalla Scuola Gregoriana Mediolanensis, diretta da Giovanni Vianini.

venerdì 2 settembre 2011

Intervista al card. Scola sugli anni veneziani

Riporto alcuni stralci di una complessa ed articolata intervista al card. Angelo Scola, in edicola sul settimanale diocesano Gente Veneta di domani, tratti dal sito angeloscola.it. In questa intervista il cardinale, arcivescovo eletto di Milano, fa quello che possiamo chiamare un bilancio dei nove anni trascorsi alla guida della nostra Chiesa veneziana. L'intervista video sarà poi trasmessa dall'emittente triveneta Telechiara domani, sabato 3 settembre, alle ore 21, e sulle frequenze di Bluradio Veneto (fm 88.7 - 94.6) lunedì 5 settembre, sempre alle ore 21.

Alla domanda su come sia stato il suo inserimento nella realtà veneziana e sui momenti più significativi di questo periodo il card. Scola ha così risposto: “Io sono partito da ciò che mi disse Giovanni Paolo II durante la cena mi disse che mi avrebbe mandato a Venezia: il problema della Chiesa di oggi è rigenerare il soggetto che è il popolo sulla base di una dottrina sana e di una prassi solida. A rinnovare non è una dialettica tra una teoria che si suppone al passo con i tempi o una teoria che si suppone capace di garantire una grande tradizione, ma è la rigenerazione del soggetto personale e comunitario a partire da ciò che poi Benedetto XVI ha esplicitato nel prologo della Deus caritas est: il cristianesimo è essenzialmente un incontro personale con Cristo nella comunità cristiana prima di essere ovviamente anche una dottrina e una morale. Quindi la mia preoccupazione è stata quella di una pastorale a 360 gradi che avesse come preoccupazione la rigenerazione della persona in Cristo attraverso un’appartenenza forte a delle comunità cristiane vive ed oggettive”. Ed ha quindi aggiunto: “Tutto quello che ho fatto l’ho fatto in quest’ottica: da Oasis al Marcianum, alla Scuola Santa Caterina, alle Unità di Lavoro per la Transizione, alla Visita pastorale, al potenziamento dei patronati, al rilancio delle aggregazioni ecclesiali, alla Scuola di Metodo, alle comunità pastorali… ho sempre cercato di tenere unito questo sguardo e di non perdere di vista questo scopo. Mi rendo conto che non sono sempre stato capace di far passare questa visione integrale; taluni forse non l’hanno capita o non l’hanno voluta capire. Da questo punto di vista è una visione molto parziale dire che Scola lascia a Venezia il Marcianum, Oasis… Dò molto più peso, per esempio, al lavoro con i vicari e i provicari foranei e con il Consiglio di Curia, con i quali ho sperimentato una comunione profonda che è arrivata a valutazioni e ad azioni molto precise e pertinenti nelle diverse situazioni pastorali. Ho apprezzato molto la Visita pastorale e la Scuola di Metodo. Se lascio un’eredità la vedo soprattutto a partire da questi dati”.

Ripercorrendo i temi fondamentali toccati in questi anni nel suo ministero veneziano il card. Scola si è soffermato in particolare sull’educazione al gratuito: “La gratuità viene spesso recepita come un darsi da fare con grande generosità, anche ispirandosi al Vangelo, per aiutare i più bisognosi. Il che è sacrosanto e bellissimo. Ma quando parlo di gratuito io intendo un’altra cosa: che l’uomo al di fuori dell’esperienza dell’amore non capisce se stesso. Uno ha bisogno di essere definitivamente amato, anche oltre la morte, per poter definitivamente amare. Se le cose stanno così, uno deve imparare a donare la vita; e questo esige un’educazione appassionata, attenta, fedele, rigorosa all’amore, che duri lungo tutto l’arco dell’esistenza. L’unico modo che l’uomo, essere limitato, ha di imparare è quello di ripetere con fedeltà dei gesti in cui una determinata dimensione venga esercitata il più possibile. Io dico allora: come la Chiesa, molto saggiamente, per educarci al rapporto con Gesù da sempre ci domanda di partecipare consapevolmente all’azione sacramentale della Santa Messa ogni domenica, così noi dovremmo individuare un gesto gratuito da vivere con le nostre comunità, regolarmente, fedelmente, lungo tutto l’arco dell’esistenza”.

Sull’intenso rapporto intercorso tra il Patriarca di Venezia e i mondi della cultura, dell’economia e delle istituzioni, il card. Scola ha osservato: “Da dove è nata in me l’urgenza di questo rapporto? Siccome la religione cristiana ha a che fare con la vita quotidiana dell’uomo, allora tutto ci interessa. Con due punti fermi: la consapevolezza della distinzione netta tra la dimensione religiosa della vita dell’uomo e la dimensione civile; e, secondo, il dato, ormai incontrovertibile, della società plurale che ci chiede di paragonarci instancabilmente come cristiani, con grande libertà e con energia costruttiva, con soggetti che hanno una visione di vita differente. Questo ci spinge a costruire una società in cui la vita buona sia possibile, il buon governo sia realizzabile. Pratiche virtuose possono farci guardare con sufficiente speranza al futuro. Questo è il senso dell’impegno”. Il rapporto con le istituzioni, in particolare, “è stato molto rispettoso da parte di tutti e anche molto positivo con tutti coloro che in questo decennio hanno occupato posti di responsabilità in Regione, Provincia, Comuni, Municipalità… Mi pare però che la questione sia di altra natura: la transizione in atto non può non toccare le modalità di rapporto fra Chiesa, società civile e istituzioni. Bisogna lasciare emergere i segni che urgono ad un cambiamento e pazientemente cercare di costruirlo. E qui torna attuale il metodo delle implicazioni sociali della vita cristiana: bisognerebbe che nel Nordest – ma non solo: in Italia e in Europa – i cristiani si interrogassero molto di più sulla modalità con cui attuare la dimensione pubblica della fede nel processo di grande cambiamento in atto. Sarebbe qui necessario entrare nei problemi specifici, anche in quelli che sono occasione di dialettica e di conflitto con altri soggetti che abitano la nostra società plurale. Penso ai temi scottanti della nascita, della morte, della bioetica in generale, dell’educazione, della giustizia sociale ecc.”.

Incalzato sul tema della crisi economica e delle situazioni di difficoltà nel mondo del lavoro, anche veneziano, il card. Scola si è così espresso: “Cosa può fare la Chiesa di fronte a questa drammatica situazione di crisi? Vedo un’analogia con il compito cui è chiamata, a breve termine, nei confronti degli immigrati. Noi dobbiamo lanciarci in una condivisione immediata, con l’impeto appassionato al grande bene che è la vita di ogni singolo uomo e al suo destino. Non sono mancati nella crisi aiuti economici anche consistenti da parte della Chiesa italiana alle famiglie e ai lavoratori. Ma né tocca a noi come Chiesa, né abbiamo la possibilità di proporre soluzioni politiche al problema. Attenzione, qui c’è però un punto su cui dobbiamo essere chiari: ai cristiani, soprattutto ai fedeli laici cristiani, tocca partecipare a questo compito sociale e politico in maniera molto più pronunciata di quanto non sia avvenuto in questi ultimi anni. Il cristiano è cittadino e deve esserlo fino in fondo. Anzi, come diceva il grande Péguy: il cristiano è cittadino per eccellenza, proprio perché la prospettiva della vita eterna, lungi dal generare un disimpegno col quaggiù, offre la possibilità di edificarlo al meglio, con una solida distanza critica. Spesso comunque sulle questioni legate alla crisi dei posti di lavoro mi sono trovato di fronte ad un dilemma che mi ha angosciato: di non fare solo parole, di non pensare che due dichiarazioni rilasciate alla stampa possano risolvere il problema…”.

Quanto all’area del Nordest, anche alla luce del “grande dono” della recente visita di Papa Benedetto, il card. Scola evidenzia che “il Nordest è anzitutto chiamato a ripensarsi nella direzione di un recupero, ovviamente adeguato all’oggi, degli orizzonti larghi che sono alla base della sua nascita e crescita. Dobbiamo ritrovare come Chiesa e come società, anzitutto, questo spazio più largo che farà bene all’Europa e all’Italia nello stesso tempo. Il futuro del Nordest è legato anche al suo essere nuova cerniera tra Nord e Sud. E gli eventi che stanno capitando in tutta l’Africa del nord e anche in taluni paesi del Vicino e del Medio Oriente urgono ad assumere questa prospettiva. Ancora una volta, non solo a partire dalla nostra grande esperienza di commerci e di industria ma come sforzo di condivisione benefica di culture diverse e di edificazione di una civiltà che abbia un respiro effettivamente internazionale, che sia plurale ma che non rinunci all’unità. Senza unità non c’è civiltà”.

Ad una domanda su come la Chiesa di Venezia si può preparare ad accogliere bene il nuovo Patriarca di Venezia, il card. Scola si è, infine, soffermato a riflettere tra l’altro sulla questione del “pregiudizio” con queste parole: “Dico sempre che avere pre-giudizi è in qualche modo inevitabile. Il punto non è che ci siano pregiudizi, ma l’obiettivo è di superarli, di non incanaglirsi in essi… Però i pregiudizi sono più simili alla neve – che si scioglie facilmente – che alla roccia, che resiste. Basta andare al significato etimologico della parola: se sono pre-giudizi non sono giudizi, cioè prescindono dalla conoscenza reale. La grande strada è infatti quella della conoscenza reale. Poi, certo, essendo noi uomini, ciascuno può ostinarsi nel suo pregiudizio… Ciò non toglie, però, che il criterio di fondo resta quello della comunione, soprattutto con il vescovo. Il pregiudizio fa parte del dinamismo di ogni rapporto: io non posso entrare in relazione con una persona senza farmi di lei un’opinione o senza avere una reazione nei suoi confronti. Questo è un dato inevitabile. Il problema nasce se io mi fermo a questo stadio o addirittura se elaboro il pregiudizio. Per superare tale pericolo ci vuole un fattore che vada oltre me e te, a cui io mi possa rifare. Del resto è quello che avviene tra un marito e una moglie quando entrano in difficoltà: l’energia per recuperare il loro rapporto è un fattore che sta oltre loro. Gesù Cristo, che ci dona tutti i giorni la possibilità di una fraternità, è questo fattore che va oltre”.


Fonte: angeloscola.it.

Video trasmesso sabato 3 settembre 2011 su Telechiara:

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