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domenica 31 luglio 2011

Le Indulgenze di inizio agosto

Con l'inizio del mese di agosto la Santa Chiesa ci offre la possibilità di ricevere dal Signore la grazia particolare dell'Indulgenza. Questo dono di grazia si affianca a quelli sacramentali dell'assoluzione dei peccati e della Comunione eucaristica, che Nostro Signore Gesù Cristo ha lasciato amministrare agli Apostoli e ai loro successori. L'Indulgenza, invece, è una grazia che Dio concede per mezzo della sua Santa Chiesa, fondata in Gesù Cristo e che ha come suo vicario Pietro, ossia il papa. Nostro Signore, infatti, ha detto a Pietro:

«A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
(Mt 16, 19)

Mentre l'Assoluzione sacramentale ci riconcilia con Dio e ci rimette in comunione con Lui, l'Indulgenza ci concede lo sconto delle pene che, a causa delle nostre colpe, abbiamo meritato nel Purgatorio, ed in alcuni casi ci concede inoltre di scontarle anche per dei nostri fratelli defunti; se l'Indulgenza che la Chiesa concede è plenaria ci sono rimesse tutte queste pene. E' naturale, quindi, che l'acquisto dell'Indulgenza sia subordinato ai Sacramenti, e che essa possa essere ricevuta sotto determinate condizioni; è necessario che il fedele:
  • sia Battezzato ed in stato di grazia, e sia interiormente disposto a ricevere l'Indulgenza nei tempi stabiliti, secondo la concessione;
  • abbia disposizione di completo distacco dal peccato, sia veniale che, soprattutto, mortale;
  • si confessi e riceva l'Assoluzione sacramentale;
  • riceva la Santissima Eucarestia;
  • esegua l'opera indulgenziata (ad esempio visitare una determinata chiesa e recitare determinate preghiere), secondo la concessione;
  • preghi secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.
Il fatto che l'inizio del mese di agosto, periodo di vacanze per molte persone, coincida con la concessione da parte della Chiesa di queste grazie in nome del Signore è particolarmente significativo: esorta infatti il fedele, che in questo tempo si dedica al riposo dal lavoro e a rinfrancare il corpo, a prendersi cura anche della propria anima, rendendo così le ferie un periodo di autentico ristoro per tutta la propria persona.
Da mezzogiorno di domani, 1° agosto, alla mezzanotte del giorno seguente è possibile ricevere l'Indulgenza plenaria del Perdon d'Assisi, legata alla festa di Santa Maria degli Angeli e alla chiesa della Porziuncola; per concessione del nostro Ordinario, però, i fedeli che lo desiderassero possono ricevere alternativamente l'Indulgenza nella giornata odierna, domenica precedente il 1° agosto. L'opera indulgenziata è in questo caso visitare la chiesa della Porziuncola, oppure un'altra chiesa francescana, oppure una chiesa parrocchiale, quale è il nostro Duomo, dopo essersi confessati, aver partecipato alla Santa Messa ed aver ricevuto la Santa Comunione; quindi recitare il Padre nostro e il Credo, e pregare per le intenzioni del papa.
Per i fedeli che si trovano nella nostra città di Caorle la Chiesa offre un'altra possibilità di ricevere l'Indulgenza in questa settimana; il 5 agosto, infatti, ricorre la Dedicazione della Chiesa di Santa Maria Maggiore, legata alla memoria della Madonna della Neve e alla costruzione del Tempio Liberiano a Roma. Il nostro Santuario della Madonna dell'Angelo è legato alla Basilica romana dallo Speciale Vincolo di Affinità, che concede ai fedeli che visitano il nostro Santuario le stesse Indulgenze della Basilica Liberiana. Dunque i fedeli che visiteranno il Santuario il giorno 5 agosto, sempre avendo ricevuto l'Assoluzione entro otto giorni (o con il proposito di riceverla nei successivi otto), avendo partecipato alla Messa ed essendosi comunicati, potranno ricevere l'Indulgenza plenaria, a condizione di aver recitato il Padre nostro ed il Credo e di aver pregato per le intenzioni del Santo Padre.
Ringraziamo il Signore per questi doni della sua grazia e rifugiamoci tra le sue braccia come il figliol prodigo; siano queste ricorrenze l'occasione per tutti i fedeli cristiani di riavvicinarsi al Signore misericordioso, che sempre ci ama del suo immenso Amore.

sabato 30 luglio 2011

La Bussola parla della Madonna dell'Angelo

Sempre rimanendo in tema di Caorle e della stampa, proprio oggi il quotidiano telematico cattolico La Bussola Quotidiana ha citato Caorle in un articolo della rubrica Visto e mangiato. Prima di approfondire la tematica gastronomica, l'oggetto principale della rubrica, l'autrice Monica Colombo parla del Santuario della Madonna dell'Angelo, della sua storia e della leggenda che vuole il simulacro della Madonnina del Mare arrivato sulle onde del mare ai pescatori della nostra cittadina marittima.

Caorle, la Madonna dell'Angelo
Di Monica Colombo

Ci troviamo ancora una volta in riva al mare, all’estremità di un piccolo promontorio adiacente il porticciolo di Caorle. La prima cosa che appare davanti agli occhi del visitatore è la sagoma di un imponente campanile quadrangolare, di stile romanico, che risale al XIII secolo. Questo campanile fino alla metà del secolo scorso fungeva anche da faro per naviganti che dovevano raggiungere il porto, rendendo il Santuario un ancor più sentito e tangibile luogo di soccorso.

Come spesso accade per gli edifici di culto legati ai luoghi di mare, la tradizione racconta che il titolo della chiesa è dovuto ad un fatto miracoloso. Sulle rive del mare esisteva già un’antica chiesa dedicata all’Arcangelo Michele, una basilica a tre navate risalente al tempo delle invasioni barbariche, quando gli abitanti della cittadina veneta di Concordia si rifugiarono sul litorale per fuggire alle violenze. Un giorno un gruppo di pescatori trascinò a riva, impigliata nelle reti, una statua della Vergine posta sopra un blocco di marmo. Nessuno dei pescatori aveva però la forza di sollevare la statua e portarla fino in chiesa, a causa del peso del marmo; il vescovo chiamò allora dei fanciulli, e grazie alle loro mani innocenti la statua poté essere sollevata e posta senza fatica in chiesa. Tutti dovevano poterla contemplare e l’architettura venne modificata in funzione della nuova dedicazione mariana. Quando la chiesa della Madonna dell’Angelo venne consacrata, il 7 gennaio 1523, la statua della Vergine era posta sopra l’altare maggiore. L’ingresso principale era privo di porta e protetto solo da un porticato, in modo tale da poter sempre rivolgere una preghiera, anche da lontano, la statua della Vergine. Delle tre navate originarie era rimasta solo quella di sinistra, essendo il lato destro troppo spesso colpito dalla forza del mare.

Nel XVIII il santuario subì ulteriori modifiche e oggi il santuario si presenta esternamente come un sobrio tempio a navata unica, preceduto da un profondo nartece sovrastato da un particolare timpano dal profilo curvilineo, che ora protegge un portale di gusto classico. All’interno l’effige della Vergine è ulteriormente valorizzata dal riallestimento dell’area presbiteriale, separata dalla navata da un ricca balaustra in marmo. Sopra la statua della Vergine è stata posizionata anche l’originaria effige dell’arcangelo Michele, per valorizzare l’intera storia del santuario. Chi non la conoscesse la può “leggere” sul soffitto della navata centrale, dove interessanti affreschi di immediata efficacia narrativa raccontano del ritrovamento della statua e del miracolo dei fanciulli.

Per chi fosse interessato al resto dell'articolo ed alle valutazioni gastronomiche può cliccare su questo collegamento.

Speciali su Caorle anche in Gente Veneta

Oltre allo speciale su Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, lo scorso 10 luglio, in occasione della festa annuale della Madonna dell'Angelo, la nostra parrocchia ha potuto godere di uno spazio privilegiato anche su Gente Veneta, il settimanale della diocesi di Venezia, grazie al contributo di Riccardo Coppo, nostro concittadino e corrispondente per Caorle sul Gazzettino e su Gente Veneta. I temi trattati su queste pagine sono all'incirca gli stessi ricordati anche su Avvenire; particolarmente interessante è l'approfondimento sull'iniziativa "Il seminatore uscì a seminare", voluta dal nostro parroco mons. Giuseppe Manzato, per la benedizione alle famiglie, agli edifici domestici e pubblici. Questa volta l'intervento è svolto in forma di intervista tra il giornalista e il parroco, che spiega le motivazioni e le difficoltà dell'iniziativa. Nuovo, invece, è l'approfondimento su un'altra proposta, sempre voluta dal nostro parroco, a proposito del matrimonio di molte coppie di fidanzati che, provenendo da fuori città, desiderano comunque sposarsi a Caorle, specialmente al Santuario della Madonna dell'Angelo. Poiché, spiega il parroco, molto spesso una tale scelta è dettata più dalla preoccupazione per la preparazione della cerimonia, per la scenografia o per le fotografie che si possono fare in riva al mare, dimenticando che sposarsi in chiesa è prima di tutto un Sacramento, si rende necessaria una preparazione anche in campo religioso, che vada ad affiancare, senza sostituirli, i corsi matrimoniali già avviati in molte parrocchie.
«Se nella grande mobilità odierna c'è una domanda, pur fondata su fragili premesse, per la comunità cristiana, questa non rappresenta un limite, ma un'opportunità: la domanda va evangelizzata»; in questo modo monsignor Manzato spiega l'iniziativa, che si avvale, tra le altre cose, delle moderne tecnologie dei mezzi di comunicazione: prima i fidanzati sono chiamati a leggere e meditare tra loro alcuni brani scelti dalle pagine della Sacra Scrittura, e poi, con uno scambio epistolare via email col nostro parroco, discutono dei frutti di questa meditazione, senza muoversi dalla loro città.
In un altro articolo, poi, è spiegata nuovamente la storia della nostra festa annuale mariana, e un approfondimento sulla figura del nostro arcivescovo titolare, mons. Juliusz Janusz, che ormai tre settimane fa, ha presieduto i sacri riti. Di seguito potete trovare i collegamenti ad entrambi gli articoli di Gente Veneta:

venerdì 29 luglio 2011

Sepoltura per i feti abortiti

Traggo una notizia da un articolo di Francesco Agnoli pubblicato oggi su La Bussola Quotidiana; riguarda l'accordo raggiunto nel comune di Caserta tra il sindaco e l'associazione "Difendere la vita con Maria", fondata da don Maurizio Gagliardini, approvato dall'azienda ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano a proposito di una iniziativa molto lodevole: un luogo per la sepoltura dei feti abortiti. Ma in realtà la vera notizia non l'hanno fatta i rappresentanti dell'associazione di don Gagliardini, né il comune o l'ospedale: bensì l'inattesa levata di scudi contro questa iniziativa. Infatti per la legge italiana non si tratta di una novità: è prevista l'inumazione dei feti abortiti di età superiore alle 20 settimane; e per quelli di età inferiore è possibile su richiesta dei genitori. Si tratta dunque di una applicazione delle leggi già previste dal nostro ordinamento, volta a dare a queste creature una sepoltura più degna dello smaltimento con i "rifiuti speciali".
Viene da chiedersi allora il perché di accuse così energiche da parte dei soliti noti, vale a dire i radicali, con l'associazione Coscioni, la Cgil dei medici eccetera. Ma andandole a leggere si comprende perfettamente la loro paura che si dica la verità, una verità scientifica, di fronte alla quale i loro proclami possono ben poco: gli embrioni e i feti sono esseri viventi, anche quelli più piccoli.

Degna sepoltura per i bimbi non nati
Di Francesco Agnoli

La notizia non è nuova, ma ha ora un certo rilievo sui grandi media: a Caserta, l’associazione Difendere la vita con Maria, fondata e presieduta da don Maurizio Gagliardini, ha siglato un protocollo di intesa, approvato con delibera del 22 luglio 2011, con l'Azienda ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano, per promuove il seppellimento dei «bambini non nati».

Il sindaco della città ha dato la propria disponibilità a concedere un apposito spazio nel cimitero cittadino, ma, come sempe in questi casi, si è levata, violenta e intollerante, la voce di alcuni protestatari - rappresentati dal sindacato medico Fp-Cgil Medici - che sono divenuti, per il Corriere della Sera, "i medici" tout court. Il che non dovrebbe essere, dal momento che nel nostro Paese la maggioranza dei ginecologi sono obiettori e quindi ritengono l’aborto quantomeno qualcosa di negativo. Secondo il sindacato di sinistra, si tratterebbe di «violenza psicologica sulle donne da fermare».

A queste lamentazioni, si è unito, puntuale e immancabile, l’anatema dei Radicali, con un comunicato di Maria Antonietta Farina Coscioni, che comincia così: «Apripista è stata la regione Lombardia di Formigoni, che ha varato provvedimenti che vanno ben oltre le sue competenze disponendo la sepoltura dei feti come fossero esseri umani e mettendo in essere una vergognosa speculazione». Perché tanta rabbia, tanto ingiustificato livore?

A Caserta, infatti, non è successo nulla di nuovo, sia perché la sepoltura dei feti, morti per aborto spontaneo, o uccisi tramite ivg, è già realtà in varie zone del nostro paese, come, appunto, la Lombardia, sia perché nulla cambia, dal punto di vista della legge 194, in quanto l’aborto procurato rimane libero e gratuito, esattamente come prima. Cerchiamo di capire come stanno i fatti.

Nel nostro Paese è previsto il seppellimento dei feti superiori alle 20 settimane, le cui fattezze umane così evidenti e visibili impediscono anche ai più cinici di gettare questi resti umani nell’inceneritore. Un dpr del 21 ottobre 1975, n. 803, stabilisce, all’articolo 7, «su richiesta dei genitori il seppellimento anche dei prodotti di concepimento abortivi di presunta età inferiore alle 20 settimane». Proprio sulla base di questo dpr, l’allora ministro alla Sanità Donat Cattin emanò la circolare telegrafica n.500/2/4 del 13 marzo 1988, tutt’ora in vigore, in cui si stabiliva la sepoltura di feti anche in assenza di richiesta dei genitori, e si ricordava che «lo smaltimento attraverso rete fognante o i rifiuti urbani ordinari costituisce violazione del Regolamento di polizia mortuaria e del Regolamento di igiene», mentre lo «smaltimento attraverso la linea dei rifiuti speciali, seppur legittimo, urta contro i principi dell’etica comune».

Il dpr n. 285 del 1990 prevede ugualmente che i bambini, definiti «prodotti abortivi», di età gestazionale dalle 20 alle 28 settimane vengano sepolti a cura della struttura ospedaliera. A richiesta dei genitori possono essere raccolti nel cimitero, con la stessa procedura, i resti di «prodotti del concepimento» di età inferiore alle 20 settimane. In questo caso i genitori, a titolo proprio, o associazioni come quella fondata da don Gagliardini, attraverso convenzioni mirate, possono raccogliere i resti dei bambini non nati e chiedere all’unità sanitaria locale i relativi permessi del trasporto e del seppellimento. Infine dovranno accordarsi con i servizi cimiteriali, per l’atto di pietà dell’inumazione.

Riassumendo: i feti oltre le 20 settimane hanno automatico diritto alla sepoltura, anche se sovente questo avviene con ben poca cura (in modo anonimo, cumulativo, senza possibilità di conoscere il luogo), mentre per quelli più piccoli sarebbe richiesta un'analoga pietas, trattandosi pur sempre di resti umani, ma nella realtà dei fatti essi finiscono spesso bruciati nell’inceneritore insieme ai "rifiuti speciali", quando non buttati, come un tempo avveniva sicuramente più spesso, nelle fogne.

«La nostra associazione - spiegano Maria Luisa e Francesca, dell’associazione Life di Ospedaletto Euganeo, che si occupa proprio della sepoltura dei feti - è cominciata agli inizi del 2000 in seguito alla richiesta di una madre, che aveva perso il proprio bambino nelle prime settimane di gestazione. Questa madre desiderava sapere se poteva salutare il suo bambino attraverso un rito religioso. Da allora abbiamo capito l’importanza di venire in aiuto al dolore di alcune madri, e nello stesso tempo di compiere un atto dovuto a creature umane. Proprio in questi giorni una famiglia che si trova nel dolore per la perdita del proprio figlio, ha richiesto di poter seppellire il proprio bambino, morto a 18 settimane di gestazione, e ha richiesto il nostro aiuto. Il rito ha avuto luogo giovedì 12 maggio alle ore 8.30 presso l’ospedale di Monselice», che è uno dei tanti, oltre a quello di Caserta, ad aver riconosciuto questa possibilità.

La sepoltura dei feti non è però, come si potrebbe pensare, un sollievo solo per le madri che hanno visto morire un bambino desiderato, e che per questo sentono il dovere di tributargli un ultimo gesto di affetto. Può esserlo anche per quelle che, essendosi sottoposte all’aborto procurato (spesso spinte da qualcuno, dalla solitudine, dalle circostanze, da una cultura disumana…), sono poi cadute, come spesso accade, in un profondo stato di desolazione, e cercano quantomeno un luogo in cui piangere, per non essere del tutto impotenti di fronte al fantasma del loro bambino, rimpianto e perduto, ma non scomparso dal loro cuore.
Rimangono a questo punto da proporre alcune considerazioni.

La prima: gli abortisti aborrono la sepoltura dei feti, tirando in ballo contro di essa ora "i costi", ora la "violenza psicologica sulle donne", perché seppellire un feto significa riconoscergli una dignità. Significa riconoscere che è un essere umano.
Invece la mentalità abortista, ben esemplificata nella frase menzognera della Coscioni («…feti come fossero esseri umani…»), vuole che questo non avvenga: lotta perché nell’immaginario collettivo, nonostante le evidenze scientifiche, accessibili con qualsiasi ecografia, un feto rimanga un "grumo di cellule", un qualcosa di indistinto, di inumano; lotta perché abortire o partorire siano due decisioni esattamente equivalenti, in ogni circostanza. Per questo gli abortisti devono negare completamente la realtà del bambino nell’utero materno, ad ogni stadio, e anche dopo la morte.

La seconda considerazione porta un po’ più lontano, al senso stesso della vita e della morte, e quindi anche della sepoltura. Un poeta ateo come Ugo Foscolo notava che «dal dì che nozze tribunali ed are dier alle umane belve esser pietose di se stesse e d’altrui», gli uomini provvidero a seppellire i loro morti, sottraendoli alle ingiurie degli animali e degli agenti atmosferici. Foscolo riteneva che gli uomini fossero solo materia: eppure, dimostrando una lodevole e significativa incoerenza, negava potesse essere "civile" una società che sottrae ai suoi morti un ultimo tributo. La sepoltura è infatti un segno chiaro della dignità umana.

Solo gli uomini, infatti, seppelliscono i loro simili, dalla notte dei tempi. Le bestie mortali non lo fanno. Uno scienziato contemporaneo, anch’egli ateo, come Edoardo Boncinelli sostiene che tutto ciò che esiste, in un universo, anche umano, solo materiale, è sempre in vista di qualche utilità concreta. Eppure, nota in un suo libro, il fatto che gli uomini abbiano sempre seppellito i loro defunti, è, da un punto di vista puramente naturalistico e materialistico, ingiustificabile, incomprensibile. A meno che, diciamo noi, non si riconosca che l’uomo, da sempre, ha visto nei suoi cari qualcosa di più della loro carne, della loro materia: cioè una vita spirituale, un destino eterno, immortale.

Ecco, coloro che seppelliscono oggi i feti abortiti, spontaneamente o in modo procurato, saranno un giorno ricordati per la loro coraggiosa testimonianza: si dirà che in un’epoca di disumanità - che ha partorito lager e gulag, guerre mondiali e sperimentazioni sugli uomini, tentativi di clonazione e pompe Karman per fare a pezzi i bambini -, qualcuno ha lottato, con gesti simbolici e umanizzanti, per affermare la dignità di ogni singolo uomo, piccolo o grande, di 20 settimane o di 25, sano o malato che fosse. Si dirà che in tempi di feroce ateismo, quando la legge di Dio è stata sostituita dal capriccio e dall’arbitrio di ogni singolo uomo, cioè dalla legge del più forte, qualcuno ha voluto tener viva la sacra pietas e, con essa, la differenza che corre tra le cose e le persone, tra un tumore strappato dalla carne, e gettato nel water o tra i “rifiuti speciali”, e un bimbo, strappato, suo malgrado, dal grembo di sua madre e dal cuore di suo padre.


Fonte: La Bussola Quotidiana

giovedì 28 luglio 2011

Nuova bocciatura per la legge sull'omofobia

In questi giorni, tra le altre annose questioni che il parlamento sta affrontando, si è consumata la nuova bocciatura del disegno di legge di modifica del Codice Penale per includere l'aggravante della discriminazione sessuale, denominata "Legge Concia" (presentata dalla deputata del Pd Anna Paola Concia). Sono state infatti accolte le pregiudiziali di costituzionalità proposte da Udc, PdL e Lega, con 293 voti a favore, 250 contrari e 21 astenuti). Ovviamente abbiamo assistito al solito lancio di insulti contro i cattolici e la Chiesa: le dichiarazioni vanno dal moderato "vergogna" di Bersani all'accusa della stessa Concia "state dalla parte dei violenti"; dall'accusa di "connivenza" che arriva dai banchi dell'Idv a quelle colorite delle associazioni arcigay. Ma sono offese a cui ormai si è più che abituati, e che francamente lasciano il tempo che trovano; cerchiamo invece di analizzare i fatti. Possiamo effettivamente dire che chi è contrario a questo progetto di legge è a favore della discriminazione? Leggiamo la modifica al Codice Penale che questa proposta di legge, giudicata incostituzionale dal parlamento, proponeva:

«Aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali le circostanze seguenti: l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per motivi di omofobia e transfobia, intesi come odio e discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale di una persona verso persone del suo stesso sesso, persone del sesso opposto, persone di entrambi i sessi.»

Una prima obiezione che si può muovere a questa modifica, che è stata la principale obiezione delle pregiudiziali di costituzionalità, è la seguente: perché chi commette un reato dovrebbe avere, oltre alle aggravanti già previste, una speciale aggravante in più se questo reato l'ha compiuto in ragione della discriminazione contro gli omosessuali (o transessuali)? Con questo, mi sembra chiaro, non si intende assolutamente dire che i reati compiuti per discriminazioni contro gli omosessuali siano giustificabili o non punibili; semplicemente, con questa proposta di legge, si introduce una oggettiva disparità di trattamento, che rende i reati compiuti per discriminazione contro gli omosessuali più gravi di altri. Per fare un esempio, è come se un uomo bruciasse la macchina del suo vicino di casa che, per esempio, è di nazionalità tedesca, per il solo motivo che gli stanno antipatici i tedeschi, e un altro uomo bruciasse la macchina del suo vicino di casa omosessuale, per il solo motivo che gli stanno antipatici gli omosessuali. Per quale motivo l'omosessuale dovrebbe ricevere un risarcimento maggiore del tedesco? Non sono forse le due ingiustizie egualmente deprecabili? Non si introduce, con questa diversità di punizioni, una disparità di diritti tra le persone? Oppure: il padrone di una ditta decide di non assumere o di licenziare un dipendente perché, ad esempio, si dichiara cristiano cattolico, e in un'altra ditta un altro padrone decide di non assumere o di licenziare un dipendente perché si dichiara omosessuale. Perché l'omosessuale avrebbe diritto di essere riassunto ed il cattolico no? Non hanno forse entrambi lo stesso diritto di essere riassunti? E i due datori di lavoro non dovrebbero forse essere puniti con la stessa pena?
In questo modo gli omosessuali e i transessuali sarebbero trattati come privilegiati rispetto agli altri cittadini, cosicché se qualcuno torce loro un capello deve pagare di più rispetto a quando il capello è torto a un cittadino "qualsiasi". Traspaiono, in questo progetto di legge, le vere intenzioni dei movimenti omosessualisti, che già in altri articoli abbiamo sottolineato: innanzitutto quella di dire che "gay è meglio"; i gay e i transessuali sarebbero come degli eletti, al di sopra degli altri comuni cittadini. E poi quella di far intendere alla gente che in Italia omosessuali e transessuali vivrebbero vessati, umiliati e perseguitati; una situazione che, credo, tutti possiamo essere concordi nel dire falsa. Le persone omosessuali, oggi, non sono discriminate rispetto agli altri, ma ottengono posti di lavoro come gli altri e hanno le stesse libertà degli altri; addirittura, possiamo dire, hanno già di fatto più diritti degli altri, ché se un gruppo di buon temponi decidesse di mettersi su un camion a schiamazzare e girare nudi per la città verrebbero (come è giusto) immediatamente fermati dalle forze dell'ordine, ma se questi signori dicessero che stanno manifestando l'orgoglio gay sono sicuro che i vigili non potrebbero nemmeno parlargli. Qualcuno potrebbe obiettare che nessuno brucia la macchina ai tedeschi perché sono tedeschi, e nessuno licenzia i cattolici perché sono cattolici, mentre succede che qualcuno bruci la macchina o licenzi un omosessuale perché omosessuale. Questa obiezione, tipica conseguenza di una stampa ormai pressoché totalmente espressione del demagogico pensiero relativista, non ha comunque senso; a parte che non sono sicuro che, nel caso dei cattolici, possiamo essere sicuri dell'assenza di discriminazioni, ma in ogni caso le leggi ci sono già, assicurano già alla giustizia coloro che commettono crimini contro le persone per qualsivoglia pregiudizio ed aiuta allo stesso modo tutti coloro che subiscono ingiustizie in ogni tipo di circostanza.
Una seconda obiezione, non priva di crescente preoccupazione, riguarda le parole evidenziate in grassetto nella citazione della proposta di legge, ovvero quello che si intende per omofobia e transfobia: "odio e discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale di una persona". Chi è che definisce quando si ha a che fare con odio e discriminazione? Lo scopo che si intravvede sotto una definizione così lasca dell'omofobia, come nota anche Marco Invernizzi in un articolo di oggi su La Bussola Quotidiana, è quello di portare al riconoscimento anche in Italia di matrimoni e di adozioni omosessuali. Sappiamo tutti che chi si oppone più vistosamente a questo traguardo è la Chiesa cattolica, per lo meno in Italia; dunque una norma di questo tipo finirebbe per costringere, a norma di Codice Penale, preti e vescovi a tacere la dottrina cattolica sull'omosessualità, che è considerata discriminatoria nei confronti degli omosessuali dalle associazioni omosessualiste. Come più volte osservato anche su questo blog, la dottrina cattolica, invece, raccomanda di evitare categoricamente ogni marchio di ingiusta discriminazione nei confronti degli omosessuali (CCC n. 2358); ma non può tacere il disordine dal quale gli atti sessuali fra due persone dello stesso sesso sono intrinsecamente affetti. Se dunque la Chiesa non intende discriminare gli omosessuali, metterla a tacere, magari per l'applicazione di una legge dalla dubbia interpretazione significa, come minimo, offendere e limitare la libertà di pensiero.
Ma non è solo la Chiesa ad esserne danneggiata: se, come è largamente auspicabile, l'applicazione di una legge simile porterebbe a giudicare omofobo il non affidamento di figli a coppie omosessuali, a pagare il prezzo più alto sarebbero ancora i più deboli e gli indifesi, ossia i bambini, ritenuti ancora una volta un diritto, un oggetto, alla stregua di un sussidio economico, di una pensione o di un animale domestico. Ormai da più parti i sociologi e gli psicologi si stanno rendendo conto del fatto che, nell'educazione di un figlio, è indispensabile la presenza di una figura maschile accanto ad una figura femminile, e che i figli allevati da coppie dello stesso sesso manifestano indiscutibili problematiche caratteriali e sociali. Ma nascondere la verità e piegare persino i risultati scientifici al livello di mera opinione è naturale per coloro che riempiono i propri comizi della parola "libertà", ma in realtà desiderano solo imporre la propria idea.
Per questi motivi non abbiamo che da rallegrarci di un risultato come quello dei giorni scorsi, che boccia una legge così malfatta. Speriamo che, almeno sui valori non negoziabili, i nostri politici (o almeno la maggioranza di essi) siano ancora capaci di decidere in coscienza, lontani dalle logiche di partito e dagli interessi personali, come hanno fatto in quest'occasione. E non facciamo mancare una preghiera per la nostra Italia e per gli italiani, specialmente, in questo caso, coloro che sono sviati da persone che, quelle sì, guardano egoisticamente soltanto a se stesse.

mercoledì 27 luglio 2011

Lo speciale di Avvenire su Caorle

Pubblichiamo, anche se con un po' di ritardo, il bello speciale su Caorle realizzato su Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, pubblicato il 10 luglio scorso in occasione della Festa annuale della Madonna dell'Angelo. Non è la prima volta, grazie alla collaborazione della giornalista Donatella Brentel, che Caorle può godere di uno spazio così ampio su quella che possiamo definire la più famosa testata cattolica italiana; nello speciale in questione la giornalista è stata autrice di ben due articoli. Il primo, nella parte superiore della pagina, riguarda l'indimenticabile serata dello scorso 7 maggio, quando una modesta folla di persone, tra parrocchiani e non, si è radunata presso la spiaggia della Sacheta, per accogliere il passaggio del papa in elicottero mentre si spostava da Aquileia a Venezia. L'articolo ricostruisce l'intera serata, al termine della quale l'elicottero con a bordo il Santo Padre ha sorvolato due volte la spiaggia dove centinaia di persone, vestite con magliette bianche e gialle, hanno formato la scritta "W IL PAPA". Più volte, al termine della visita, il patriarca Angelo, oggi Amministratore apostolico, ha avuto modo di congratularsi con i caorlotti, e di trasmettere loro la sorpresa ed il ringraziamento del papa per un gesto così caloroso, che è rimasto impresso nel cuore del Santo Padre.
L'articolo principale, scritto dal nostro parroco, mons. Giuseppe Manzato, racconta l'iniziativa che vede egli stesso come protagonista nella visita alle famiglie, attività e negozi della nostra cittadina. Sul modello evangelico del seminatore che esce a seminare, non solo il parroco, ma anche i parrocchiani sono chiamati a seminare con le parole e con l'esempio l'esperienza della vita buona in Gesù Cristo, anche sopportando il rifiuto di alcuni fratelli. La consueta benedizione delle case e degli edifici diventa così un modo per il sacerdote di portare Gesù Cristo e per gli abitanti di accoglierlo per poterlo a loro volta trasmettere al prossimo.
Sulla destra il secondo articolo a firma di Donatella Brentel sulla Festa annuale della Madonna dell'Angelo, in cui si racconta brevemente la storia della manifestazione religiosa che ogni anno attira presso la Madonnina del Mare centinaia di fedeli e presenta la figura dell'arcivescovo titolare di Caorle, mons. Juliusz Janusz, che ha celebrato i riti più importanti e si è potuto fermare nella nostra cittadina per una breve vacanza.
Infine, in un piccolo riquadro in alto a destra, un approfondimento sulla figura del nostro ormai ex patriarca, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo eletto di Milano, ricordando le sue parole al termine dell'ultima festa quinquennale della Madonna dell'Angelo che egli ha presieduto, e che vuole essere un saluto nei suoi confronti da parte di tutti i parrocchiani.

Di seguito il collegamento alla pagina dello speciale di Avvenire:
Avvenire - Speciale Caorle, 10 luglio 2011.

martedì 26 luglio 2011

Comincia ad affiorare la verità su Pio XII

Dopo anni di calunnie ed infamie sulla vita e sul pontificato di papa Pio XII, dall'archivio segreto vaticano stanno riaffiorando i documenti superstiti dell'epoca, e gli studi su di essi compiuti da numerosi storici delle più diverse nazionalità, fanno luce su quella che è stata la vera vicenda del Pastor angelicus. Lo rende noto la «Pave the Way Foundation», associazione fondata dall'ebreo statunitense Gary Krupp, attraverso la testata telematica Zenit.org. Nell'articolo pubblicato ieri, dal titolo "Documenti rivelano che Pio XII salvò 11.000 ebrei romani", si legge infatti:

«Molti hanno criticato Pio XII per essere rimasto in silenzio durante gli arresti e quando i treni lasciarono Roma con 1.007 ebrei che vennero mandati al campo di concentramento di Auschwitz. [...] I critici non riconoscono neanche l'intervento diretto di Pio XII per porre fine agli arresti del 16 ottobre 1943. [...] Nuove scoperte provano che Pio XII agì direttamente dietro le quinte per far terminare gli arresti alle 14.00 dello stesso giorno in cui erano iniziati, ma che non riuscì a fermare il treno dal destino tanto crudele. [...] L'azione diretta di Papa Pio XII salvò la vita di più di 11.400 ebrei.»

L'articolo prosegue spiegando anche l'azione di papa Pacelli per fare in modo che gli istituti religiosi di Roma e di numerose altre città italiane fossero esentati dalle ispezioni degli agenti delle SS; in questo modo, in maniera silenziosa ma efficace, Pio XII riuscì a salvare moltissimi ebrei ed oppositori politici del nazi-fascismo, rifugiati presso conventi di frati e suore o nelle sacrestie delle basiliche romane; alcuni (e questo è già universalmente appurato) furono addirittura arruolati nella guardia palatina, che nei mesi dell'occupazione tedesca di Roma passò da 400 a 4000 unità.
Ma da dove è nata la visione di papa Pio XII come di un papa collaborazionista, addirittura filo-nazista? Di certo non nell'immediato dopoguerra: lo storico della Chiesa e gesuita Peter Gumpel, relatore per la causa di beatificazione di Pio XII, ha ampiamente dimostrato come, negli anni del regime nazista, furono gli stessi ebrei a giudicare più conveniente un atteggiamento di silenzio nelle parole, ma di collaborazione fattiva, proprio quella che attuò papa Pacelli, come riaffiora dagli archivi vaticani. D'altra parte abbiamo la testimonianza diretta di suor Paschalina Lehnert, nel suo libro "Pio XII, il privilegio di servirlo", che racconta dello sconcerto del papa nel venire a conoscenza degli ebrei e cristiani olandesi deportati nei campi di sterminio in seguito al pronunciamento pubblico della comunità cristiana contro il regime nazista. Si legge nel libro della suora tedesca:

«I giornali del mattino vennero recapitati nello studio del Santo Padre, mentre egli era sul punto di recarsi all'udienza. Lesse solo i titoli e divenne pallido come un morto. Tornato dall'udienza, prima ancora di andare nella sala da pranzo, venne in cucina con due grandi fogli scritti molto fitti e disse: "Voglio bruciare questi fogli. È la mia protesta contro la spaventosa persecuzione antiebraica. Stasera sarebbe dovuta comparire sul L'Osservatore Romano. Ma se la lettera dei Vescovi olandesi è costata l'uccisione di quarantamila vite umane, la mia protesta ne costerebbe forse duecentomila. Perciò è meglio non parlare in forma ufficiale e fare in silenzio, come ho fatto finora, tutto ciò che è umanamente possibile per questa gente".»

Quando allora è iniziata questa macchina calunniosa ai danni di Pio XII e di tutta la Chiesa? Un forte impulso è stato dato, nel 1963, dall'opera teatrale scritta da Rolf Hochhuth, dal titolo "Der Stellvertreter", il Vicario. Si tratta di una dura requisitoria ai danni della Chiesa dell'epoca e del papa che la reggeva, accusato di essere filo-nazista e di aver taciuto per complicità lo scandalo dell'olocausto. Ma si tratta di deprecabili calunnie: definire papa Pacelli filo-nazista è antistorico, giacché ancor prima di diventare papa, quale segretario di stato di Pio XI, si era distinto in Europa per le sue pubbliche denunce contro la dottrina dell'idolatria della stirpe. Alla sua elezione sul soglio di Pietro, che avvenne senza che la delegazione del Reich portasse le consuete congratulazioni scritte, il governo tedesco aveva dichiarato di poter riporre ben poche speranze nel nuovo pontefice, il quale fu il maggior contributore dell'enciclica anti-nazista di Pio XI Mit Brennender Sorge. Inoltre, alla richiesta di Benito Mussolini che il Vaticano riconoscesse la repubblica di Salò, fu lo stesso pontefice a volere una risposta di diniego, essendo i patti lateranensi stati sottoscritti con lo stato italiano e non con il duce. Ed aggiungiamo che, dopo l'uscita dell'opera di Hochhuth del '63, lo storico Emilio Pinchas Lapide, autore del saggio Roma e gli ebrei, non proprio accomodante con la Chiesa dell'epoca, riconobbe come dovere di coscienza contraddire le falsità riportate dallo scrittore tedesco.
Tuttavia le tesi a sostegno dell'opera di Pio XII trovarono ben poco spazio in una società fortemente anticlericale come era quella che veniva formandosi in Europa in quegli anni, e che avrebbe raggiunto il culmine di lì a qualche lustro. A pesare su Eugenio Pacelli fu soprattutto, e lo è tutt'oggi, la sua palese e ripetuta avversione nei confronti del comunismo; viene infatti ancor oggi ricordato come "il papa che lanciò la scomunica contro i comunisti". Semplicemente, però, egli aveva vissuto il comunismo in prima persona, quando, da nunzio in Baviera, si trovò a dover fronteggiare a viso aperto i bolscevichi della rivoluzione tedesca; ed aveva assimilato l'insegnamento di quasi mezzo secolo di storia della Chiesa, che indicava come dannose ed anti-cristiane le dottrine marxiste. E' dunque comprensibile come, nel dopoguerra, egli fosse stato etichettato come filo-nazista proprio da quegli intellettuali e politici che, ancora oggi, vanno divulgando che la Resistenza italiana ha avuto un solo colore, il rosso, e che chi non era con i rossi doveva stare necessariamente, secondo loro, dalla parte dei neri.
L'apertura degli archivi vaticani in questi ultimi anni sta invece dando un grande impulso alle ricerche degli storici per ridare dignità alla figura di un così grande pontefice, ingiustamente calunniato. E malgrado l'opera di papa Pacelli sia sempre più indiscutibilmente comprovata dai documenti, ancora oggi molti intellettuali, e purtroppo anche alcuni rappresentanti della comunità ebraica italiana, non accettano la verità, criticandola senza portare prove, mettendola a tacere nei mezzi di stampa o addirittura diffondendo vere e proprie falsità. La speranza è che gli studi dei numerosi storici possa dipanare definitivamente ogni ombra di ingiusta calunnia, per fare in modo che la Chiesa possa procedere senza alcuna remora alla beatificazione, ormai già avviata, di papa Pio XII.

Alcuni approfondimenti:

domenica 24 luglio 2011

Quando la libertà diventa schiavitù

Una delle obiezioni più banali, ma anche tra le più frequenti, che vengono mosse ai cattolici è quella sulla libertà; l'uomo di oggi fa fatica a concepire il cristiano praticante come un uomo libero, vedendo più che altro la religione cristiana cattolica come un ostacolo alla libertà dell'uomo, fatta di regole rigide, di comandamenti, con una predisposizione speciale a dire di no. Spesso questa concezione della religione cristiana, ovvero della "religione del no", è propria anche di coloro che si professano cristiani; e si sentono così le correnti di pensiero (come se la dottrina fosse questione di opinione) che all'interno della Chiesa stessa auspicano un progresso, il quale, in realtà, dovrebbe stravolgere la dottrina della Chiesa fino a farla diventare il contrario di quella che è. Per contro, allora, ci aspetteremmo che coloro che fieramente dichiarano di non aver nulla a che fare con il cristianesimo, religione della "schiavitù" secondo loro, siano liberi; ma ci si rende presto conto che non è affatto così. E' sufficiente guardarsi intorno per capire che l'uomo che pensa di costruire la propria libertà da solo è ridotto in schiavitù, ad esempio, dal denaro: chi possiede molti soldi è spesso portato a volerne ancora di più, anche tramite il gioco d'azzardo. Oppure dall'alcool e dalle sostanze stupefacenti: quanti sono i giovani che, pur soffrendo nel corpo dopo un'ubriacatura che in certi casi sfiora il coma etilico, sono pronti a ripetersi, quasi ad obbedire ad un invisibile padrone al quale non possono sottrarsi. E per finire la più subdola, se vogliamo, delle schiavitù di oggi, che è quella del sesso, vissuto in maniera disordinata eppure fatta passare per normale, come modo per soddisfare se stessi, e non quale strumento per manifestare ad un'altra persona il proprio amore totale ed incondizionato.
Proprio a questo proposito, sul quotidiano cattolico telematico La Bussola Quotidiana è apparso un interessante articolo di Marco Respinti, dal titolo "Sesso facile e aborto: i giovani secondo l'ONU", nel quale vengono descritte le iniziative che l'ONU ha organizzato a favore (dicono loro) dei giovani. Diffondendo dei saggi di dubbia moralità, alcuni psicologi e sociologi di ancor più dubbia preparazione spronano i giovani, sotto l'egida delle Nazioni Unite, a "ribellarsi" e a prendere coscienza del proprio "diritto al piacere sessuale"; e poiché, nell'esercizio di questo "diritto", possono non di rado incappare in qualche incidente di percorso, li informa sulla "loro libertà" di abortire (delle libertà dei nascituri non si parla), ed eliminare così ogni ostacolo alla propria libertà. Con la descrizione dettagliata (in qualche caso integrate da adeguata illustrazione) delle pratiche sessuali più trasgressive, il giovane dovrebbe essere portato alla vera libertà: sapendo tutto quello che può fare col suo corpo, sarà libero di decidere se farlo oppure no. In realtà di libertà di decidere ce n'è ben poca: più che di "informazione", se vogliamo essere corretti, quella dell'ONU dovremmo chiamarla tentazione, seduzione, induzione all'azione, inganno. E' chiaro che il giovane, bombardato di messaggi così spinti e pressanti, per di più provenienti da sedicenti "dottori" (il titolo di studio, in questi casi, conta più di ogni altra cosa), non potrà che cedere e mettere in pratica quello che ha letto in questi saggi, usando male il suo corpo e la sessualità, e non ci si potrebbe aspettare altro: sarebbe come se ad una persona affamata, ma attenta alla dieta, si apparecchiasse sotto il naso un tavolo con le più succulente leccornie, con tanto di commensali intenti a gustarle, e la si invitasse poi a scegliere se mangiare o stare senza (mi sovviene alla mente una celebre scena di un film di Fantozzi). Quella che si dà è l'illusione di libertà: in verità si è coercitati a comportarsi in una determinata maniera. Tant'è che, se il giovane decidesse di mantenersi casto, possiamo ben immaginarci come questi psicologi e sociologi, e la società intera, lo giudicherebbero: represso, castigato, complessato, ingenuo, immaturo.
Se tale situazione si limitasse ai messaggi veicolati dall'ONU, pur nello sconcerto e nello sdegno che essi provocano, non ci sarebbe poi tanto da preoccuparsi. Il vero problema è che ormai tutto l'ambiente in cui viviamo e siamo immersi ogni giorno è intriso di questi messaggi, che spronano ad un uso disordinato del proprio corpo giustificandolo come normale e proponendolo come allettante e alla portata di tutti. E non parlo solamente dei programmi alla televisione e dei siti internet che questi contenuti li divulgano esplicitamente; il vero pericolo deriva dai programmi che nascono innocenti, ma che in realtà contengono, più o meno pilotati dagli autori, questi messaggi sbagliati. Pensiamo per un attimo ai cosiddetti telefilm per ragazzi o per tutta la famiglia, trasmessi da ogni emittente televisiva (sia pubblica che privata) in fascia protettissima; e questo per non parlare dei telefilm spesso trasmessi in prima serata, e che si mettono a posto la coscienza esibendo solamente un bollino giallo o rosso per evitarne la visione da parte dei bambini.
Dietro la maschera di innocenti telefilm, vediamo invece giovani adolescenti, poco più che bambini, invischiati in complicatissime vicende amorose, le quali non vengono mai chiamate "fidanzamenti", e ancor meno si sente parlare di matrimonio. Oppure, mentre la famiglia è riunita a tavola per la cena, assiste, durante il suo programma preferito, al bacio saffico di due delle protagoniste, come se fosse la cosa più normale del mondo. Il modello di ragazzi che ne risulta è fortemente stereotipato: ragazzine con scollature degne di donne di strada e pantaloncini così corti da sembrare mutande mal riuscite, ragazzini con abbigliamenti molto eccentrici, e comunque rispondenti a canoni di bellezza ben precisi, perfettissimi. E non è raro sorprendere i giovani protagonisti in atteggiamenti affettuosi espliciti, in ogni caso assolutamente inadatti alla loro giovane età. I genitori, che sotto la dicitura "per ragazzi" si fidano di lasciare i loro figli davanti a programmi di questo genere, non si rendono conto che, anche se non si vedono scene scabrose, il pensiero di bambini e ragazzi viene pilotato verso relazioni amorose insane, facendo leva, tramite l'avvenenza e la seduzione dei protagonisti, sugli istinti più animaleschi; e questo solo per fare in modo di non perdere spettatori o di vendere i gadget del programma.
Anche di fronte alla visione di questi programmi ci si interroga sulla libertà; basta girare le affollate calli e piazze del nostro centro storico in questi mesi estivi, e sembra che la vita di tutti i giorni si sia trasformata in una scena di quegli stessi telefilm. Ragazzini e ragazzine giovanissimi, provenienti da varie parti d'Italia e d'Europa, tutti vestiti e pettinati alla stessa maniera, in atteggiamenti intimi espliciti e volgari, proprio come i loro idoli della televisione. Perché tali programmi attirano così tanti ragazzi? Si potrà controbattere: non c'è nulla di male se una persona nell'abbigliamento e nell'aspetto fisico vuole assomigliare ai divi della televisione, è sempre stato così; ma non si tratta solo di una pettinatura o di un vestito. Questi programmi si insinuano nel modo di pensare e di comportarsi dei loro telespettatori, obbligandoli a corrispondere in tutto e per tutto ad un determinato modello di persona; e la popolarità di questi modelli (soprattutto tra i giovani) obbliga anche i ragazzi che non guardano quei programmi tv a comportarsi alla stessa maniera. Una sottile schiavitù, quindi, che si basa sul desiderio, sulla passione, sulla seduzione: non sull'amore, che è quello che rende genuini e autentici anche gli atteggiamenti intimi (e che tali dovrebbero rimanere); e le prove sono davanti ai nostri occhi.
Forse, allora, la vera libertà che promette Nostro Signore Gesù Cristo è più comprensibile dopo aver osservato le diverse schiavitù che patiscono coloro che rifiutano la libertà cristiana. Egli ci ha dato un unico comandamento, che è l'Amore, ossia Egli stesso; amare Dio sopra ogni cosa, e da questo amore scaturisce anche l'amore per il prossimo. Quando si ama, pur nella necessità di sacrificare parte della propria vita per amore della persona amata, si accetta il sacrificio di buon grado; l'Amore che Dio ci chiede e ci offre è tale che, sacrificando parte del nostro tempo, della nostra vita e del nostro essere per Lui, facciamo del bene a noi stessi. Chi ama i comandamenti di Dio, e per questo rinuncia alle ricchezze fini a se stesse, ad una sessualità volta al solo raggiungimento del piacere personale, al poter fare sempre e comunque ciò che si vuole senza pensare al proprio prossimo, non si sente schiavo, ma libero: libero dalle schiavitù e dalle dipendenze che invece patiscono quelli che pensano di essere liberi, e che sono loro imposte dal maligno.

martedì 19 luglio 2011

Santa Margherita, compatrona di Caorle

Ricorre il 20 luglio la commemorazione liturgica di Santa Margherita di Antiochia, vergine e martire, festa per Caorle che la venera come sua compatrona. Margherita, anche chiamata Marina in alcune agiografie antiche, nacque ad Antiochia di Pisidia nel 275, una delle città più fiorenti nell'Asia minore dell'epoca. Si racconta che il padre fosse un sacerdote pagano, e poiché la madre doveva essere morta quando Margherita aveva pochi mesi di vita, egli affidò la figlia ad una balia, che praticava segretamente la religione cristiana tanto da preparare Margherita, di nascosto dal padre, al Battesimo. Dopo aver appreso il messaggio di Cristo e le virtù eroiche dei primi martiri cristiani, la giovane fanciulla, una volta quindicenne, si trovò a disagio quando il padre la riprese nella sua casa, a causa del distacco dalla nutrice che aveva avuto per madre, ma anche degli agi in cui viveva in quella casa. Spronata una sera dal padre ad elevare lodi e bruciare incenso agli idoli che aveva in casa, si dimostrò alquanto insensibile, cosicché venne affidata ad un maestro per rinforzare la sua educazione nella religione pagana. Ma, sempre più insofferente per quegli insegnamenti e per quello stile di vita, Margherita confessò al padre di essere cristiana, ed egli la cacciò di casa. Fu quindi ripresa nella casa della sua vecchia balia, dove si adoperò soprattutto nel pascolo del gregge. Un giorno fu notata al pascolo dal governatore Oliario, che tentò invano di sedurla per poterla sposare; sapendo dunque che era cristiana, il governatore la fece fustigare ed incarcerare.
Proprio in carcere si fonda la devozione che rese popolare, soprattutto in passato, la santa antiochena presso il popolo; si racconta, infatti, che le apparve il demonio sotto forma di drago, che la inghiottì. Ma Margherita, armata di una croce, riuscì a squarciare il ventre dell'animale demoniaco, uscendo vincitrice da questo scontro col maligno. Da questo episodio ha origine la più comune iconografia di Santa Margherita, e la devozione che ne fa la protettrice delle partorienti.
Dopo la sua detenzione, fu nuovamente interrogata dal governatore, ed obbligata ad adorare gli idoli; ma ella fu inamovibile nel proclamare la sua fede in Cristo, e di essersi a Lui donata totalmente con la sua verginità. A quel punto si avvertì un grande terremoto, e una colomba si pose sul capo di Margherita. Ma il governatore, adirato, ordinò che fosse decapitata, cosa che avvenne il 20 luglio 290, all'età di soli quindici anni.
La storia delle reliquie di Santa Margherita è legata a quella del pellegrino Agostino di Pavia, il quale, dopo aver trafugato il corpo, lo trasportò in Italia, a Montefiascone, dove morì a causa di un'improvvisa malattia. Di qui il culto della santa si diffuse in tutta Europa, e le reliquie si sparsero in diversi paesi.
Caorle, da tempo immemorabile, vanta il possesso di alcune importanti reliquie di Santa Margherita, delle quali la più importante è un braccio, racchiuso in un reliquiario che ne ricalca la forma in argento, con un bracciale in pietre preziose e antiche, risalente a prima del secolo XIII, oggi conservato nel museo liturgico parrocchiale.
Raffigurazioni della Santa si trovano in Duomo presso l'altare maggiore moderno, in un bassorilievo in bronzo ornato con pietre preziose, e in un trittico, appeso alla parete destra, del XVIII secolo. Nel Santuario della Madonna dell'Angelo si trova ora la statua di Santa Margherita, risalente al secolo XVII, che faceva parte dell'altare maggiore del Duomo smantellato negli anni '20 del secolo scorso, insieme alla statua di San Gilberto, conservata nello stesso Santuario, e di Santo Stefano Protomartire, collocata sopra la porta centrale del Duomo.
Ma la devozione per la Santa antiochena è testimoniata anche dalla toponomastica della città di Caorle; la seconda parrocchia all'interno del territorio cittadino è infatti dedicata a Santa Margherita, in memoria di un'antico oratorio che anticamente doveva sorgere presso la foce del Livenza, e la frazione che si trova a sud ovest porta proprio il nome di Porto Santa Margherita.

lunedì 18 luglio 2011

L'infallibilità papale

Dal blog messainlatino.it traggo questa notizia: ricorre oggi, 18 luglio, l'anniversario del dogma sull'infallibilità papale, promulgato nel 1870 dal beato papa Pio IX. E' particolarmente importante ricordare questo dogma in questo periodo nel quale, a causa degli evidenti influssi da parte nel maligno all'interno della Chiesa stessa, alcuni sacerdoti e laici credono di poter mettere in discussione la dottrina cattolica, la quale non è frutto della mente degli uomini ma dono di Dio. Leggiamo dunque le parole di Pio IX:

«Questa Santa Sede ha sempre ritenuto che nello stesso Primato Apostolico, posseduto dal Romano Pontefice come successore del beato Pietro Principe degli Apostoli, è contenuto anche il supremo potere di magistero. Lo conferma la costante tradizione della Chiesa; lo dichiararono gli stessi Concili Ecumenici e, in modo particolare, quelli nei quali l’Oriente si accordava con l’Occidente nel vincolo della fede e della carità. Proprio i Padri del quarto Concilio di Costantinopoli, ricalcando le orme dei loro antenati, emanarono questa solenne professione: "La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede. E poiché non è possibile ignorare la volontà di nostro Signore Gesù Cristo che proclama: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa", queste parole trovano conferma nella realtà delle cose, perché nella Sede Apostolica è sempre stata conservata pura la religione cattolica, e professata la santa dottrina. Non volendo quindi, in alcun modo, essere separati da questa fede e da questa dottrina, nutriamo la speranza di poterci mantenere nell’unica comunione predicata dalla Sede Apostolica, perché in lei si trova tutta la vera solidità della religione cristiana" [Ex formula S. Hormisdae Papae, prout ab Hadriano II Patribus Concilii Oecumenici VIII, Constantinopolitani IV, proposita et ab iisdem subscripta est]. Nel momento in cui si approvava il secondo Concilio di Lione, i Greci dichiararono: "La Santa Chiesa Romana è insignita del pieno e sommo Primato e Principato sull’intera Chiesa Cattolica e, con tutta sincerità ed umiltà, si riconosce che lo ha ricevuto, con la pienezza del potere, dallo stesso Signore nella persona del beato Pietro, Principe e capo degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice è successore, e poiché spetta a lei, prima di ogni altra, il compito di difendere la verità della fede, qualora sorgessero questioni in materia di fede, tocca a lei definirle con una sua sentenza". Da ultimo il Concilio Fiorentino emanò questa definizione: "Il Pontefice Romano, vero Vicario di Cristo, è il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i Cristiani: a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Gesù Cristo, il supremo potere di reggere e di governare tutta la Chiesa».
«Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.
Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema».

In questo modo papa Mastai Ferretti proclamava la cosiddetta infallibilità: non si tratta di un atto di arroganza (come pensano taluni, specialmente affini all'area politica da sempre ostile alla Chiesa e a Pio IX in particolare), ma di mettere in pratica le parole del nostro Signore Gesù Cristo, quando a Pietro diede le chiavi del Regno dei Cieli e gli conferì il potere di legare o sciogliere ogni cosa sulla terra e nei cieli. Chiunque metta in dubbio, dunque, questa infallibilità del papa quando insegna dalla sua cattedra sarebbe responsabile di eresia; anzi, il vero atto di arroganza sarebbe, a questo punto, quello di colui che, pur dicendosi cristiano cattolico, dichiara che l'insegnamento magisteriale infallibile del papa dovrà essere soggetto a revisione. In questo modo, infatti, il semplice fedele si sostituirebbe all'autorità che Gesù Cristo stesso ha affidato al suo Vicario, il Papa.
E' quello che sta succedendo da un po' di tempo a questa parte in Europa, specialmente in Austria e Germania, dove si sentono tristi notizie di preti che firmano documenti in aperto contrasto con il Magistero papale; ma la vicenda tocca qua e là tutte le nazioni, intaccando la Chiesa sia nei sacerdoti che nei fedeli laici. Un punto particolarmente doloroso riguarda la presunta apertura che la Chiesa dovrebbe operare in favore del sacerdozio femminile. Tale nodo è infatti stato sciolto dal beato papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, dove il papa polacco ha impegnato l'Infallibilità papale con le seguenti parole:

«Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa.»

A dire la verità fin dalla diffusione di questa lettera apostolica vi furono diverse voci contradditorie, che puntavano a screditare l'intervento del Papa dicendo che non aveva carattere di infallibilità; a questo rispose definitivamente la Congregazione della Dottrina della Fede, guidata dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, il 28 ottobre 1995:

«Dubbio: Se la dottrina, secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne, proposta nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis come da tenersi in modo definitivo, sia da considerarsi appartenente al deposito della fede.

Risposta: Affermativa.

Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall'inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cf. Conc. Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 25,2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il Sommo Pontefice, nell'esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cf. Lc 22,32), ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede.
Il sommo pontefice Giovanni Paolo Il, nel corso dell'udienza concessa al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvatola presente risposta, decisa nella riunione ordinaria di questa congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.»

Dunque il fedele cristiano non deve e non può mettere in dubbio questo insegnamento infallibile che il Papa ha dato a tutta la Chiesa nel nome di Gesù Cristo; non può pensare che in futuro, in virtù di un concetto errato di progresso, la Chiesa dovrà ammettere anche la donne al sacerdozio; la questione è stata definitivamente chiarita dal magistero papale. Ma purtroppo si sente sempre più spesso dire da alcuni che si dicono cattolici che la Chiesa deve aggiornarsi, che è necessario aprire la mente per fare in modo di stare "al passo con i tempi", quasi come se la dottrina potesse cambiare di anno in anno, fino a diventare in un'epoca l'esatto contrario di quello che era precedentemente. L'insegnamento della Chiesa è ben diverso; sottostare al Magistero senza avere la pretesa di cambiarlo non significa affatto essere chiusi di mente, ma l'esatto contrario: chi accoglie l'insegnamento magisteriale infallibile della Chiesa e lo mette in pratica manifesta obbedienza e docilità, come lo stesso Signore nostro ci ha insegnato. Preghiamo, dunque, in questo anniversario, affinché tutti i cattolici del mondo amino l'insegnamento della Chiesa, e non si arroghino il diritto di saperne di più, di volerlo cambiare o di predicare dottrine diverse da quella cristiana, specialmente se sono sacerdoti e se hanno un ruolo di insegnamento nei confronti di altri fratelli.

Di seguito alcuni collegamenti utili:

domenica 17 luglio 2011

Redentore: discorso del card. Scola

Pubblichiamo di seguito il discorso del cardinale Angelo Scola, amministratore apostolico del patriarcato di Venezia, pronunciato questa sera in occasione della festa del Santissimo Redentore.

La “città serenissima”
Il messaggio di Benedetto XVI a Venezia e al Nordest

1. Alzare lo sguardo al Redentore
Il pellegrinaggio di popolo attraverso il ponte votivo, gesto emblematico della festa odierna, non ha perso nei secoli il suo fascino. Mentre camminavamo sul ponte, il moto ondoso con il suo leggero rollio sembrava alludere a quella condizione della nostra società, che oggi per la sua instabilità e mutevolezza viene detta “liquida”. Lo ha ben osservato il Papa nel discorso al polo della Salute parlando della “città serenissima” (Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura, dell’arte e dell’economia, Venezia 8 maggio 2011).
Come la secolare lotta con le acque non ha tolto fulgore a Venezia, così il nostro procedere, malfermo ma deciso, sul ponte non ci ha precluso la meta: Gesù Cristo che redime la nostra umanità. Ora siamo di fronte a Lui. Ne è figura l’imponente crocifisso innalzato sull’abside a inondare con la Sua luce, grazie al genio palladiano, ogni angolo di questo tempio.
A Lui ora vogliamo innalzare lo sguardo e aprire il cuore. Come ci ha ricordato Benedetto XVI, Gesù stesso è la nostra salute:
«Salus nostra Dominus Jesus. Gesù salva l’uomo ponendolo nuovamente nella relazione salutare con il Padre nella grazia dello Spirito Santo; lo immerge in questa corrente pura e vivificante che scioglie l’uomo dalle sue “paralisi” fisiche, psichiche e spirituali; lo guarisce dalla durezza di cuore, dalla chiusura egocentrica e gli fa gustare la possibilità di trovare veramente se stesso perdendosi per amore di Dio e del prossimo» (ibidem). Stare davanti al Crocifisso innalzato (Vangelo, Gv 3,14) significa dunque deporre ai Suoi piedi tutta la nostra umanità – con la sua instabilità, le sue ferite e le sue malattie dell’anima e del corpo, il suo anelito di vita e di libertà, insomma il suo senso religioso – per consegnarla a Lui.

2. Un Padre ci ama per primo e per sempre
Chi è il Redentore a cui consegniamo tutta la nostra vita? O, meglio, qual è la Sua azione nei confronti di ciascuno di noi? Lo impariamo dalla promessa del profeta Ezechiele, proclamata nella Prima Lettura. Con un incalzare sovrabbondante di verbi [cercherò, passerò in rassegna, radunerò, condurrò in ottime pasture, ricondurrò nella loro terra, farò riposare, andrò in cerca, fascerò, avrò cura… (cfr Ez 11-16)] vi si descrive l’intervento di Dio nella vita del suo popolo che, essendosi allontanato da Lui, si era disperso e vagava affamato, stremato e ferito. «Dove Tu non sei, vi è solo gente senza casa» scriveva il giovane Karol Wojtyla.
Dio si china di nuovo sul suo popolo, lo raduna e lo riporta a casa. Dove Dio viene accolto cambiano i rapporti tra le persone, nasce la comunione.
«Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito» (Vangelo, Gv 3,16). In Lui percorre ogni sentiero dell’umanità, per stabilire con ciascuno una relazione personale e rinnovare il popolo di Dio.
Dio ama per primo e ama per sempre. Come abbiamo ascoltato nella Lettera ai Romani, «quando ancora eravamo nemici» (Seconda Lettura, Rm 5,10) il Padre ha dato Suo Figlio per noi. Se siamo ancora avvelenati dal male, perciò dispersi e incapaci di costruire insieme la vita buona, è perché resistiamo alla sorprendente gratuità di questa perenne sorgente dell’amore. E tuttavia questa sera ci è ridata una speranza affidabile – «La speranza poi non delude» (Seconda Lettura, Rm 5,5) – perché poggia sulla promessa di Colui che è per sempre fedele.

3. Una Chiesa senza Cristo?
Cristiani della prima ora riconosciamo con umiltà che siamo in balìa della grave separazione, già denunciata da Paolo VI, tra fede e vita.
Come spesso abbiamo ribadito nella Scuola di Metodo – significativo momento di lavoro per i responsabili ecclesiali di tutto il Patriarcato – non vediamo le implicazioni dell’avvenimento di Gesù e dei misteri del cristianesimo. Non a caso il Santo Padre ha messo in guardia le comunità cristiane del Nordest dalla gravità di questa miopia che impedisce di vedere cosa c’entri la fede in Cristo con l’uomo, la società di oggi ed il creato.
Con efficace sinteticità Benedetto XVI ha poi posto sotto i nostri occhi la grave conseguenza di questo dualismo: l’«essere di Cristo rischia di svuotarsi della sua verità e dei suoi contenuti più profondi; rischia di diventare un orizzonte che solo superficialmente – e negli aspetti piuttosto sociali e culturali – , abbraccia la vita; rischia di ridursi ad un cristianesimo nel quale l’esperienza di fede in Gesù crocifisso e risorto non illumina il cammino dell’esistenza» (Benedetto XVI, Omelia alla Messa al Parco di San Giuliano, Venezia 8 maggio 2011). Se i cristiani non riconoscono e non vivono il nesso quotidiano tra fede e vita, la Chiesa rischia di apparire una Chiesa senza Gesù Cristo.

4. L’amicizia evangelica
Sempre nell’omelia al parco di San Giuliano Benedetto XVI, offrendo un antidoto a questa patologia, ha sottolineato con forza la necessità di uno stile di vita personale e comunitario solidamente ancorato alla fede in Gesù Cristo vivente. Ha richiamato la conversione, mostrandone tutta la convenienza: «Talvolta quando si parla di conversione, si pensa unicamente al suo aspetto faticoso, di distacco e di rinuncia. Invece, la conversione cristiana è anche e soprattutto fonte di gioia, di speranza e di amore». è «conversione dalla disperazione alla speranza, conversione dalla tristezza alla gioia, e anche conversione alla vita comunitaria» (ibid.).
L’incontro personale con Gesù Redentore «ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri» (Benedetto XVI, Conclusione della Visita pastorale in San Marco, Venezia 8 maggio 2011). Rifulge qui la bellezza dell’essere Chiesa aperta: «esemplare, capace di autentica amicizia evangelica» (Benedetto XVI, Saluto in Piazza del Capitolo della cattedrale, Aquileia 7 maggio 2011) come fu la Chiesa di Aquileia, della quale siamo eredi.
Di questa amicizia abbiamo fatto esperienza lungo tutti gli anni della Visita pastorale (2004-2011). Non solo abbiamo incontrato le parrocchie, le comunità religiose, le aggregazioni di fedeli, ma abbiamo trovato sorprendente accoglienza nei luoghi di aggregazione sociale, negli ambienti di lavoro e di studio, negli ambiti istituzionali, civili e militari. La grazia della comunione cristiana si è confermata essere un dono per tutti, un prezioso lievito che contribuisce a far fermentare tutta la pasta. In una società plurale come la nostra – e forse tanto più in essa – la quotidiana testimonianza cristiana diffonde pratiche capaci di riconciliazione e di pace. Infatti, i discepoli del Dio incarnato sono chiamati a vivere l’adesione a Lui proprio lì dove si gioca il destino della persona, della società e del creato. Nulla dell’uomo resta loro estraneo o indifferente.

5. Costruire la “città serenissima”
La fecondità civica di questa amicizia evangelica è segnalata da alcune suggestioni che Venezia regala ai suoi abitanti e visitatori e che sono in particolare sintonia con la festa di oggi. Provengono da tre simboli, che qui vorrei richiamare. Dal Ponte di Rialto in poi su quanti archi e portali, ai lati o nei pennacchi, l’Annunciazione ricorda il mistero della perenne compagnia di Dio all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo! E come non citare la croce cosmica che sormonta le cupole di San Marco e di altre chiese, quasi un invito a comprendere «quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» (Ef 3,18) del mistero di Cristo, che penetra e sostiene tutta la realtà? Ed infine sulla cupola di questa basilica e di diversi altri templi si staglia nel cielo la figura del Risorto, che imbraccia lo stendardo della vittoria sulla morte.
Se queste immagini scomparissero dai nostri occhi, Venezia ci apparirebbe più povera, quasi monca. La loro forza simbolica sta proprio nel fatto che esse appartengono ad un tessuto visivo capace di rinnovare ogni giorno la nostra memoria condivisa. Continuano ad essere segni che invitano a costruire la vita buona di una città. «Il nome “Serenissima” ci parla di una civiltà della pace, fondata sul mutuo rispetto, sulla reciproca conoscenza, sulle relazioni di amicizia. Venezia ha una lunga storia e un ricco patrimonio umano, spirituale e artistico per essere capace anche oggi di offrire un prezioso contributo nell’aiutare gli uomini a credere in un futuro migliore e ad impegnarsi a costruirlo» (Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura, dell’arte e dell’economia, Venezia 8 maggio 2011). Edificare una città Serenissima che non riduca il Vangelo a puro contorno all’interno del vessillo cittadino significa non temere la forza della verità, anche come puntuale lotta contro il “male”.
In comunione di intenti si realizza in tal modo una vita civile in cui tutto l’umano fiorisce.

6. Nuovi orizzonti per il Nordest
La singolare festa del Redentore di quest’anno si fa potente stimolo per imparare Venezia e la sua vocazione all’interno del Nordest. E non solo di esso. «La città serenissima - ha detto il Santo Padre – può aiutare la progettazione dell’oggi e del domani in questa grande regione» (ibid.). In quest’ottica il Papa ha aperto importanti orizzonti al Nordest quasi configurandone una nuova fisionomia. Ha affidato alle più di cinquanta Chiese nate da Aquileia un nuovo ben preciso mandato: «Nella complessità [della società plurale] siete chiamati a promuovere il senso cristiano della vita, mediante l’annuncio esplicito del Vangelo, portato con delicata fierezza e con profonda gioia nei vari ambiti dell’esistenza quotidiana. Dalla fede vissuta con coraggio scaturisce, anche oggi come in passato, una feconda cultura fatta di amore alla vita, dal concepimento fino al suo termine naturale, di promozione della dignità della persona, di esaltazione dell’importanza della famiglia, fondata sul matrimonio fedele e aperto alla vita, di impegno per la giustizia e la solidarietà» (Benedetto XVI, Discorso nella Basilica, Aquileia 7 maggio 2011).
Dialogo, coesione, convergenza, integrazione e sviluppo sono parole sulla cui base il Nordest può svolgere anche un ruolo di promotore di pace nel Mediterraneo. Il Mare Adriatico, golfo naturale dell’Europa verso sud, continuando l’importante tradizione di accoglienza e di relazioni della Serenissima, può aprire tutto il Nordest ai popoli del mare nostrum che, proprio in questi tempi, domandano libertà. Il Nordest scopre una nuova dimensione per il suo futuro: l’asse Est-Ovest diviene anche significativa cerniera tra Nord e Sud. Essa farà sentire un benefico influsso anche sul nuovo modello di sviluppo legato all’inevitabile evoluzione delle imprese.
Il 2° Convegno di Aquileia, a cui le 15 diocesi del Veneto, del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia si stanno, ormai da più di un anno, preparando, si farà carico di questa nuova fisionomia dei nostri territori. Approfondendo l’insegnamento offerto dal Santo Padre in vista di questo Convegno le Chiese promuoveranno una nuova evangelizzazione che sappia, con le debite distinzioni, rispondere adeguatamente all’evoluzione sociale, culturale e politica delle regioni italiche, slave e germaniche legate ad Aquileia e al loro nuovo compito nei confronti del Sud.
L’equilibrata accoglienza dei migranti, che si sta realizzando in armonia con le Istituzioni, aiuterà questo nuovo impegno dai contorni ancora imprevedibili. La lunga esperienza di condivisione delle varie forme di povertà e di emarginazione in atto da decenni nel Patriarcato e in tutte le Diocesi del Nordest è buona garanzia della realistica serietà di questo impegno.

7. Affrontare con decisione l’emergenza educativa
Entro questi nuovi orizzonti del Nordest non possiamo non tenere presente anche taluni rilevanti fenomeni di disagio quali l’abbandono scolastico precoce, l’inattività (NEET), la disoccupazione, la precarietà e la perdita del lavoro. In questo contesto quella che è stata chiamata “emergenza educativa” sta assumendo le dimensioni e i contorni della questione sociale del nostro tempo. Non si può restare inerti di fronte all’accusa di “non essere un Paese per giovani!”. Il compito educativo ha però bisogno di una chiarezza di obiettivi. Esso non può ridursi allo stereotipato richiamo ai valori, ma domanda un impegno personale e comunitario a far fare l’esperienza dei valori, come ha opportunamente rilevato il “Rapporto-Proposta della Conferenza episcopale italiana” (La sfida educativa, 11).
Con tale intento quest’anno i nostri patronati hanno potenziato i Grest, le comunità parrocchiali e le aggregazioni di fedeli hanno promosso vacanze guidate e campi-scuola. Sono preziose opere educative che hanno visto un crescendo di partecipazione. Esse si collegano armonicamente con l’ordinaria azione catechetica, di carità e di cultura che da sempre la Chiesa, in sé e per sé soggetto educante, propone alle nostre popolazioni.
Anche lo Studium Generale Marcianum e la Fondazione Internazionale Oasis – oltre a consolidati istituti e strumenti quali i Gruppi di ascolto, la Scuola “Santa Caterina d’Alessandria”, la Scuola biblica, ecc.) – intendono dare il proprio contributo in tal senso.
Le famiglie, a cui spetta primariamente la responsabilità educativa, dovranno essere sostenute da politiche adeguate. è urgente inoltre che gli uomini e le donne della seconda generazione (tra i 18 e i 50 anni) sappiano essere protagonisti responsabili e decisi all’interno delle comunità ecclesiali e della società civile.

8. Vita buona, giustizia, legalità
Allargando lo sguardo al delicato momento di transizione che non solo la realtà italiana ma anche quella mondiale sta attraversando, l’invito del Papa ad attuare un «rispettoso confronto costruttivo e consapevole con tutti i soggetti che vivono in questa società» (Benedetto XVI, Discorso nella Basilica, Aquileia 7 maggio 2011) urge alla concezione e alla pratica di una adeguata vita buona in cui dimori la giustizia. Non si dà l’una senza l’altra: come ha affermato Paul Ricoeur la «vita buona con e per l’altro nasce all’interno di istituzioni giuste», e istituzioni giuste non si istaurano e non si mantengono senza una tensione di tutti i soggetti sociali a una vita buona.
Ma, a loro volta, vita buona dei soggetti e istituzioni giuste assumono il loro rilievo politico nella misura in cui sono orientate alla ricerca condivisa del bene comune di tutta la realtà sociale. Come l’azione buona è tale solo se tesa a coinvolgere ogni membro della famiglia umana rispettando la regola della prossimità, così, guardando all’insieme di una società, ogni agire non è pienamente retto se non tiene conto del bene comune. Esso poi consiste in quella dimensione dell’agire stesso che riguarda il bene del tutto sociale in quanto costituito da persone umane. Afferma giustamente il Catechismo della Chiesa cattolica: «Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell’essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo» (Catechismo della Chiesa cattolica, 1912).
È evidente che tutto ciò richiede, insieme, vita buona delle persone e giustizia delle istituzioni. Domanda inoltre che il rapporto tra vita buona, giustizia e leggi sia vissuto, con gradi diversi di responsabilità, da ogni cittadino, indipendentemente dal ruolo sociale che ricopre. La pratica della giustizia non può essere mai delegata. Oggi, piuttosto, vi è l’urgente bisogno educativo di rendere consapevoli ciascuno delle oggettive implicazioni sociali e di bene comune del proprio agire.
In proposito, la storia di Venezia, in cui relazioni sociali e intraprese – prima commerciali e poi anche turistiche ed industriali – si sono intrecciate, così come la straordinaria ricchezza della società civile del Nordest, sono dotate di un prezioso patrimonio: documentano che l’amicizia civica è una condizione imprescindibile per edificare una società secondo giustizia e che solo all’interno di questo orizzonte antropologico ed etico il necessario richiamo alla legalità, cui la Conferenza episcopale italiana fa da tempo riferimento, diventa efficace.
Infatti, anche nell’odierna società plurale, la legge non può, almeno di fatto, prescindere dall’obiettivo di educare ad agire secondo virtù, anzitutto le virtù che riguardano direttamente la vita comune.
Per questo in democrazie plurali, sempre tendenzialmente conflittuali, il ruolo delle Istituzioni assume un peso tanto decisivo quanto delicato. Resta fortemente attuale l’invito – già contenuto nel celebre documento “Educare alla legalità” elaborato nel 1991 dalla Commissione ecclesiale “Giustizia e pace” della Conferenza episcopale italiana e più volte reiterato –-a che le Istituzioni attuino il loro compito, rispettando rigorosamente i loro ambiti ben delimitati di competenza, anche nell’esercizio della loro funzione di reciproco controllo.
È sempre più chiaro che il Paese ha bisogno di un soprassalto di coscienza civica, soprattutto in questi tempi di grave crisi economico-finanziaria. Questa non potrà certo trovare soluzione nei pur necessari aggiustamenti tecnici delle regole di mercato, perché il mercato non è un fatto di natura, ma di cultura e dunque ha nel fattore umano e nella sua qualità morale una componente indispensabile. Anche la riforma del mercato chiede rinnovamento antropologico ed etico.
L’invito del Santo Padre, fatto proprio dal Presidente della Conferenza episcopale italiana, a un rinnovato impegno dei cattolici in politica sta dando vita a diversi tentativi di singoli e di aggregazioni. Se promossi con il necessario realismo etico e politico, essi potranno dare un utile apporto al Paese.

9. Orientare la transizione
Anche Venezia ed il Nordest sono immersi nel passaggio epocale in atto in tutto il pianeta. Si tratta di una transizione, non priva di forte travaglio, dalla modernità al postmoderno, di cui tutti gli uomini e le donne del nostro tempo portano i segni. Questo rapido e tumultuoso cambiamento, questa transizione appunto, è particolarmente evidente in ambito sociale, culturale, economico e politico. Per questo sono lieto di comunicare che i giorni scorsi ho formalmente istituito le prime due Unità di lavoro per la transizione (U.L.Tra), una per il litorale e l’altra per la città lagunare.
Sono organismi che, con preciso riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa, intendono mettere in collegamento persone che operano negli svariati ambiti della società civile in vista di un confronto e di una collaborazione aperta a tutti.
Ben coscienti della netta distinzione che intercorre tra realtà ecclesiale e società civile, questi organismi opereranno al fine di valorizzare, mediante proposte concrete, il bene politico primario dell’essere insieme.
Le Unità di lavoro per la Transizione non nascono a tavolino ma sono il frutto dell’impegno pluriennale di uomini e donne del Patriarcato in ambito sociale, culturale e politico. Soprattutto lungo l’arco della Visita Pastorale abbiamo colto l’esigenza di creare queste realtà per dare stabilità ad una trama ormai significativa di relazioni ecclesiali e civili.
Consapevoli delle inevitabili implicazioni sociali della vita cristiana, ognuna di queste Unità di lavoro per la transizione, la cui fisionomia sarà singolare e specifica perché ben radicata nel territorio in cui opera, favorirà la presenza stabile ed operosa delle comunità parrocchiali, delle aggregazioni di fedeli e di ogni cristiano nella società civile.
La loro attenzione sarà rivolta al con e al per dell’altro, qualunque sia il suo credo religioso e politico. Con umiltà daranno il loro contributo di solidarietà, di idee e di iniziative.
Una particolare attenzione verrà portata all’evoluzione del mondo del lavoro che chiede di essere ripensato – il doloroso caso di Marghera ancora privo di prospettive insegni ..! – all’interno della complessa rete di fattori entro i quali oggi è imprescindibile affrontare ogni questione sociale.

10. Gesù Cristo, preziosa risorsa
Al termine di questa celebrazione eucaristica, uscendo sul sagrato, invocheremo la benedizione su Venezia e il Nordest, il territorio, gli abitanti e i visitatori. Lo faremo adorando il Signore presente nel sacramento dell’Eucaristia, segno efficace dell’amore di Dio. È questo amore il fondamento, la garanzia e il sostegno del nostro sperare. «Dio – infatti – non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Vangelo, Gv 3,17). In questo amore Dio ci tiene saldi e legati strettamente a Sé. È in forza di questo amore che “la città serenissima” ritrova “salute”.
La speranza cristiana non è una virtù privata, ma di tutta la comunità ecclesiale il cui unico scopo è testimoniare che Gesù Cristo Redentore è, anche in quest’epoca post-moderna, preziosa risorsa per l’umanità intera.
In questo Vespero di festa lo Spirito Santo ci conduca a conoscere, amare e servire Cristo. San Paolo rafforza questo nostro proposito: «Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,27). Amen.


Fonte: angeloscola.it.

sabato 16 luglio 2011

Festa del Santissimo Redentore

Domani, terza domenica del mese di luglio, nell'intero patriarcato di Venezia si celebra la festa del Santissimo Redentore. Tale festa ha origine nel XVI secolo, quando Venezia, afflitta da una terribile pestilenza negli anni 1575-1576, allo stremo delle forze si rivolse, per volere del Senato della Serenissima, alla misericordia di Dio, e fece solenne voto che, se la città fosse stata salvata dal morbo maligno, sarebbe stata eretta una nuova chiesa da dedicare al Redentore. Sempre come promessa in cambio della guarigione dalla malattia, il popolo veneziano si impegnò affinché «ogni anno, nel giorno che questa città fosse stata dichiarata libera da contagio, Sua Serenità et li successori suoi anderanno solennemente a visitare predetta chiesa, a perpetua memoria del beneficio ricevuto». In seguito alla sconfitta della malattia, nel 1577 fu commissionato ad Andrea Palladio il progetto della nuova chiesa promessa con il voto, la quale fu costruita sull'isola della Giudecca; il 20 luglio successivo una processione raggiunse il luogo ove era in atto la costruzione (che fu terminata nel 1592 da Antonio da Ponte) attraverso un ponte di barche. Così ancora oggi la Festa del Redentore a Venezia si apre solennemente il sabato precedente la terza domenica di luglio, quando il patriarca benedice ed inaugura il ponte di barche che collega la chiesa del Redentore con le Zattere, e si reca processionalmente al Redentore insieme alle autorità civili; quindi, dopo i suggestivi fuochi d'artificio della notte, si celebrano le Sante Messe, che terminano con il pontificale del patriarca, alla sera.
Quest'anno tutto il nostro patriarcato ha un motivo in più per invocare il Redentore a protezione non solo della città di Venezia, ma di tutta la diocesi: infatti dallo scorso 28 giugno, quando papa Benedetto XVI ha traslato a Milano il cardinale Angelo Scola, la nostra diocesi è in stato di sede vacante. Dobbiamo pregare il Signore affinché illumini il papa ed i suoi collaboratori per la nomina del nuovo patriarca, ed affinché guidi la Chiesa di Venezia in questo difficile momento di transizione. Preghiamo, infine, anche per il cardinale Angelo Scola, arcivescovo eletto di Milano e nostro Amministratore apostolico, perché il Signore lo rafforzi e lo guidi in questa nuova missione che il papa gli ha affidato.

Nella foto in alto è rappresentata una statua in argento del Redentore conservata nel nostro museo liturgico parrocchiale, e risalente al 1700.

giovedì 14 luglio 2011

Tesori d'arte sacra: l'abside sinistra

Torna l'appuntamento mensile con i tesori d'arte sacra custoditi nella Cattedrale, nel Museo liturgico parrocchiale e nel Santuario; quest'oggi focalizziamo la nostra attenzione sull'abside sinistra, completamente affrescata e decorata, che ospita la cappella del Santissimo Sacramento con il Tabernacolo. L'affresco principale è senza dubbio quello del catino, ossia la parte semisferica che chiude la struttura absidale verso il soffitto, risalente al XIV secolo e sul quale si possono scorgere la figura della Santa Vergine con Bambino in una sorta di scrigno aperto, ove sono impressi dei simboli, che richiamano il cosiddetto nodo di Salomone rappresentato in molti dei mosaici della Basilica di Aquileia.
Ai lati della Madonna vi sono due figure di Santi diaconi e martiri: lo si riconosce dalla lunga veste che indossano, la dalmatica, propria dei diaconi nella storia della Chiesa, e dalla palma che reggono in mano, simbolo apocalittico della vittoria dei martiri. Il Santo a destra è Santo Stefano Protomartire, patrono principale di Caorle, che reca sulla testa e sulla spalla le pietre della sua lapidazione; quello a sinistra è San Lorenzo: infatti, da quando il corpo di Santo Stefano fu trasportato a Roma e deposto nello stesso sepolcro di San Lorenzo, protodiacono romano, il culto dei due martiri cristiani fu per lungo tempo unito.
Ai piedi della scena si osserva un'intera confraternita prostrata in ginocchio, nell'atto di offrire una preghiera che il Bambino Gesù fa per accogliere, dal Grembo della Vergine, con le mani tese. Si tratta con ogni probabilità della Confraternita dell'Assunta, che in quest'abside aveva eretto l'omonimo altare ove era ospitato il Santissimo Sacramento, e che aveva contribuito ad erigere l'oratorio dell'Assunta, ora distrutto, dal quale deriva una statua della Vergine in legno dorato, oggi ancora conservata in Duomo.
Il tamburo dell'abside, sempre affrescato, è invece decorato da un tema architettonico di sei archi sorretti da colonne; all'interno degli archi si stagliano cinque stemmi di vescovi di Caorle (oggi in gran parte consumati), e lo stemma, ben visibile, di papa Sisto V (il terzo partendo da sinistra). Il fatto di aver rappresentato nella Cattedrale di Caorle lo stemma di papa Peretti deve senz'altro rimandare alla nomina del vescovo Girolamo Righettino. Egli, canonico regolare di Sant'Agostino, era anche esperto di cabala e algebra, e si era recato a Roma per far approvare dal Sant'Uffizio uno dei suoi scritti più famosi; l'impressione che la sua opera fece sui prelati romani fu talmente positiva che il monaco fu invitato personalmente in udienza dal pontefice, che ebbe modo di conoscerlo e di commisionargli una carta topografica della città di Roma. Alla morte del vescovo di Caorle Giulio Soperchio, per la stima che si era venuta a instaurare tra il prelato e il papa, fu lo stesso Sisto V, in un pubblico concistoro, a nominare vescovo di Caorle Girolamo Righettino, e con somme lodi, come ci tramandano gli scritti dell'epoca. Così lo stemma del vescovo agostiniano doveva trovarsi affrescato nelle vicinanze di quello papale nel tamburo dell'abside sinistra, anche se ora non ve n'è traccia; tuttavia quello stemma ricorre sulla vasca del Battistero cinquecentesco, che egli contribuì a realizzare, tutt'ora conservato in Duomo.
Infine, a sorreggere il Tabernacolo in stile moderno, è stata posta un'antica ara sacrificale romana appartenuta alla gens Licovia, e risalente al I secolo d.C., e sulla quale è possibile trovare, oltre alle iscrizioni ed alcune raffigurazioni, una conca per raccogliere il sangue delle vittime. Interessante è il significato di questa giustapposizione: mentre in antichità su quest'oggetto gli uomini compivano sacrifici di animali rivolti agli dei pagani, oggi vi è posto sopra l'unico Dio vivo e vero, che si è sacrificato Egli stesso per il bene e la salvezza degli uomini.
Qui di seguito alcune foto d'insieme del complesso dell'abside e del Tabernacolo (foto tratte dal sito caorlotti.it).

 
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