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venerdì 28 gennaio 2011

Due tipi di ecumenismo: l'omelia di padre Zu Loewenstein

E' appena terminata la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, in cui il tema principale è stato l'ecumenismo, cioè la tendenza a riunire tutti i cristiani. E' ancora viva nei nostri cuori l'omelia del Santo Padre lo scorso 25 gennaio: «Il cammino verso questa unità deve essere avvertito come imperativo morale, risposta ad una precisa chiamata del Signore. Per questo occorre vincere la tentazione della rassegnazione e del pessimismo, che è mancanza di fiducia nella potenza dello Spirito Santo».
Oggi vorrei proporre l'omelia di padre Konrad Zu Loewenstein, cappellano per i fedeli che seguono la liturgia secondo il rito romano antico per il patriarcato di Venezia, pronunciata lo scorso 23 gennaio, e apparsa sul blog della Fraternità Sacerdotale San Pietro di Venezia (http://venezia.fssp.it/). In essa si prende in cosiderazione un problema importante che si deve affrontare quando si parla di ecumenismo: cosa significa unità dei cristiani? Significa forse che le diverse confessioni devono mettere in comune alcuni aspetti e rinunciare ad altri per creare una nuova religione comune? Molti pensano che la meta di questo cammino difficile ed importante sia questa; ma allora che ne sarebbe del messaggio di Cristo? Padre Zu Loewenstein mette a confronto due diversi tipi di ecumenismo, uno dal senso Cattolico, l'altro dal senso politico, ed addirittura anti-cattolico. Leggiamo le sue argomentazioni:

Il Vero Ecumenismo. Predica di Padre Konrad del 23.01.11

In nomine Patris, et Filii, et Spiritui Sancti.

In questa settimana di Preghiera per l'unione dei Cristiani, vogliamo considerare il fenomeno dell'Ecumenismo.

L'etimologia del termine "ecumenismo" è "Oikoumené" la parola greca che significa "mondo", il termine "ecumenismo" significa dunque, qualche cosa che riguarda tutto il mondo, qualche cosa di universale, qualche universalismo.

Ora, il termine Ecumenismo (con il suo significato di universalismo), viene inteso in due sensi distinti: primo senso è che tutto il mondo deve divenire cattolico; il secondo senso è che tutti gli uomini si devono unire sulla base di ciò che hanno in comune.

Il primo senso di Ecumenismo è il senso Cattolico, il secondo senso è il senso non cattolico!

Che il primo senso è Cattolico è già chiaro nell'etimologia del termine "cattolico" che significa "intero", viene dalla parola greca "olos" e si rapporta tra l'altro al genere umano itero.

Ecumenismo, nel secondo senso, non è una faccenda Cattolica, ma politica, perchè non spetta al bene ultimo dell'uomo in cielo come il cattolicesimo, ma spetta al suo bene su questa terra: spetta alla sua pace con altri quaggiù.

Ecumenismo nel secondo senso, che è purtroppo il senso lunge il più comune, non solo non corrisponde al cattolicesimo, ma è anche ostile al Cattolicesimo, perchè se cerchiamo solo ciò che ci unisce con altre Confessioni Cristiane, o con altre religioni (come se ci fossero altre religioni fuori che la sola vera Religione Cattolica), se cerchiamo solo ciò che ci unisce con loro, neghiamo o almeno trascuriamo e diluiamo, un articolo di fede dopo l'altro; cercando solo ciò che ci unisce ai luterani, neghiamo, per esempio, la natura sacrificale della Santa Messa, i Sette Sacramenti, il culto alla Madonna; cercando ciò che ci unisce ai musulmani, per esempio, neghiamo o trascuriamo il mistero della Santissima Trinità, la divinità e la missione salvifica di Nostro Signore Gesù Cristo + che costituiscono, infatti, il nucleo essenziale della fede.

Così il Cattolicesimo scende in una specie di vago cristianesimo in confronto con le altre confessioni, o in confronto con le altre religioni scende in una specie di vago umanesimo, o ricerca di essere simpatici a tutti!

Era questo il motivo dell'Incarnazione, della vita, della passione, della morte in Croce tra spasimi atroci di dolore di Nostro Signore Gesù Cristo + ? Domando!

Qualcuno proverà forse a difendere questo falso ecumenismo, che è la condivisione di ciò che è comune a tutti, dicendo che è una forma di amore, e l'amore è nell'analisi finale, lo scopo della nostra vita e Dio stesso è l'amore; la Santissima Trinità è un mistero di amore tra le Tre Persone Divine +. Ebbene è vero che la condivisione di tutto ciò che è comune tra Cattolici ed altri è una forma di amore, ma è anche vero che l'amore è cieco! e deve essere guidato dalla conoscenza.

L'uomo ha due facoltà principali dell'anima: la conoscenza e la volontà (o amore razionale), e tutte e due devono adoperarsi nel suo agire. Sul livello sovrannaturale questa conoscenza è la conoscenza della fede, e questo amore è l'amore della Carità, e tutte e due si devono adoperare nel suo agire: e la Fede e la Carità.

Non basta avere la fede per essere salvati; non basta amare per essere salvati, ma occorre la fede e la carità.

Rispondiamo dunque, a questa obiezione "che l'amore basti" dicendo che la conoscenza è anche necessaria.

Ma bisogna aggiungere (insieme) che la conoscenza, ha la precedenza sull'amore perchè, come ho già detto, l'amore è cieco e deve essere guidato dalla conoscenza: prima di amare devo sapere cosa amare e come amare. Se un ubriaco mi chiede cento euro ed io glieli do, non pratico l'amore perchè non lo posso amare in questo modo dando i soldi...

Sul livello soprannaturale la fede (come conoscenza sovrannaturale), ha la precedenza sulla Carità (come amore soprannaturale). L'oggetto della Fede è Dio, la Santissima Trinità e non posso amarLo con la carità prima di conoscerLo con la Fede.

Sul livello più profondo possiamo dire con Romano Amerio, nel suo libro ammirevole "Jota Unum", che la conoscenza precede l'amore, ultimamente, nel mistero della Santissima Trinità stessa, perchè la conoscenza di Dio tramite il Verbo precede l'amore di Dio tramite lo Spirito Santo: la processione del Figlio dall'intelletto del Padre, precede la processio dello Spirito Santo dall'amore reciproco del Padre e nel Figlio.

In questo modo possiamo dire che Dio, prima di essere un mistero di Amore è un mistero di Conoscenza.

Vediamo dunque che gli ecumenisti falsi si sbagliano quando dicono che "basta amare", necessario è piuttosto, ribadisco, sia la conoscenza, sia l'amore e, la conoscenza, ha la precedenza sull'amore; la fede sulla carità, il vero sul bene.

Come si esercita l'Ecumenismo?

L'Ecumenismo Cattolico avviene tramite l'insegnamento. Il primo compito della Chiesa è di insegnare la fede: la Chiesa è in possesso della fede che è la verità assoluta ed immutabile e deve insegnarla agli altri per la loro salvezza perchè per essere salvati devono conoscere Dio con la Fede e amarLo con la carità (di per se stesso e tramite il vicario) per glorificarLo quaggiù e in cielo per salvare le loro anime.

L'Ecumenismo falso... si esercita tramite il così detto "dialogo" che viene inteso come una specie di relazione reciproca con l'altro, dove l'uno è aperto all'altro e l'uno impara dall'altro a vicenda, in un tipo di processo senza termine in ricerca di una verità elusiva o mutabile, considerata come meno importante del dialogo stesso o dell'amore che lo costituisce.

Per valutare questo concetto di dialogo bisogna spiegare che la santa Chiesa Cattolica ha ricevuto la VERITA' da Dio stesso che è la Verità tutta intera.

Nostro Signore Gesù Cristo + di cui il Nome sia sempre adorato e benedetto, disse: "Io vi manderò lo Spirito della verità, che vi condurrà alla verità intera", questa verità è la verità sovrannaturale, il contenuto della fede, la verità assoluta e immutabile, più stabile della terra, delle stelle, della luna e del sole, perchè "il cielo e la terra passeranno ma - dice il Signore - le mie parole non passeranno".

Le parole del Signore, la verità della fede, sono immutabili e non cambieranno: neanche uno jota cambierà, e nessun uomo di Chiesa ha il potere di cambiare il minimo dettaglio della fede.

Ora, la santa Chiesa Cattolica ha ricevuto un mandato del Signore, da predicare questa fede raccontato alla fine del vangelo di san Matteo con le parole: "Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato"; alla fine del vangelo di san Marco, con le parole: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura, chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato"; alla fine di san Luca, con le parole: "Il Cristo doveva patire e risorgere e nel Suo nome saranno predicate a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati".

Queste parole alla fine dei vangeli sono, per così dire, lo strumento per comunicare il contenuto dei vangeli alla terra intera, per comunicare gli avvenimenti e le parole di quei trentatre anni di vita terrena dell'adorabilissimo Figlio di Dio e di Maria che hanno cambiato per sempre la faccia di questa terra e hanno determinato definitivamente il destino eterno di ogni uomo, dall'inizio dei tempi fino alla loro fine.

Questo mandato è il "munus docendi" di Nostro Signore Gesù Cristo + stesso che ha tre "munera": il munus docendi, il munus regendi e il munus santificandi: tre uffici: quello di insegnare, quello di governare, quello di santificare, Questi tre Uffici li ha tramandati alla Sua Chiesa una, santa, Cattolica ed Apostolica e ad ogni membro del Suo Clero.

Insegnare la fede è dunque un ufficio, un compito, un obbligo della Chiesa e del Suo Clero: "guai a me se non predico il vangelo" dice san Paolo.

Insegnare la fede significa che la Chiesa che è in possesso della verità, la comunichi a qualcuno che non è in possesso di questa verità, ad una persona che ne è ignorante affinchè anche lui la conosca.

Non è un processo interminabile di dialogo, di discussione, di interessamento da parte della Chiesa alle opinioni false di altri, per cercare insieme una specie di...amalgamo del vero e del falso, nell'interesse di una convivenza puramente terrena.

Piuttosto è una comunicazione della verità, dell'unica verità: dalla verità soprannaturale e assoluta, la Verità che in fin dei conti è Nostro Signore Gesù Cristo + stesso che disse: "IO SONO LA VERITA' " affinchè ogni uomo venga alla conoscenza di questa verità e ogni uomo venga salvato!

Amen.

In Nomine Patris, et Filii et Spiritui Sancti

Sia lodato Gesù Cristo +

Testo tratto da http://sansimonpiccolo.blogspot.com/.

mercoledì 26 gennaio 2011

Un'altra lezione di "catechismo" dalla TV

Ritorniamo su un tema già affrontato in passato; le lezioni di catechismo da parte della televisione. Purtroppo è ancora la trasmissione forum ad occuparsene, stavolta per slogan, quasi fosse un compendio di un catechismo irrevocabile e universale, tanto che il pubblico era concorde pressoché all'unanimità; e c'è da pensare che, come il pubblico in studio, anche il pubblico a casa (che non è poi così esiguo, 19% di share nella fascia daytime solo ieri) debba essere stato convinto della bontà delle tesi di Rita Dalla Chiesa e compagnia. Infatti le dinamiche dell'arena teologica di Forum sono quelle ormai note in molti programmi di opinione (verrebbe da aggiungere "opinione pilotata"): si spara la sentenza, magari con un certo tono alterato, e scatta l'applauso. Spiegazioni? Non sono necessarie. Diritto di replica? Non è previsto. E le tesi di queste sentenze sono molto affascinanti, più o meno tutte, nel profondo, celano una sorta di "teoria del complotto" che molti non hanno più abbandonato dopo le "scoperte" di Dan Brown (un po' il lume di questo pensiero moderno).
Quest'oggi una signora era stata citata in causa perché responsabile di un locale da ballo, adibito dalla parrocchia con la motivazione di togliere i giovani dal pericolo della strada il sabato sera, ed un vicino lamentava rumori troppo molesti. Lungi da me entrare nel merito della causa, che ha tutta la sua dignità (e, peraltro, chi fatica a dormire di notte per rumori molesti ha tutta la mia solidarietà). Quello che fa specie è che conduttrice, aiutanti e pubblico si sono scagliati contro la signora, e non per dirle di abbassare il volume dopo una certa ora (cosa che le avrei detto anch'io); perché la Chiesa che rappresentava la signora era una chiesa falsa, cattiva, ben lontana dalla chiesa vera che è quella che Gesù Cristo ha fondato. Si sono sentite le seguenti frasi (tutte sottolineate accuratamente dalla conduzione e dal pubblico):
  • la Chiesa non riconosce la dignità dell'uomo;
  • padre Puglisi (sacerdote siciliano ucciso dalla mafia, ndr) si scagliava ogni giorno contro la Chiesa;
  • la Chiesa predica che Gesù è un paranoico, invece Gesù era un simpaticone (e Rita dalla Chiesa, alla signora che sembrava non aver capito: "Ha capito cosa ha detto il ragazzo?");
  • la Chiesa deve essere libertà, noi (con velato riferimento ai divorziati risposati) abbiamo bisogno di una Chiesa libera.
Ecco come attirare il consenso della gente: chi dice con tono deciso che la Chiesa non è libera, impone un giogo di schiavitù, non può essere nel falso. Peccato che, si legge nel Catechismo (quello vero): "Dio « lasciò » l'uomo « in balia del suo proprio volere » (Sir 15,14), perché potesse aderire al suo Creatore liberamente e così giungere alla beata perfezione." (CCC n. 1743). Oppure si citano personaggi amati da tutti, meglio se morti (così è possibile metter loro in bocca qualsiasi cosa, non tornerà a dire se è d'accordo o meno), o meglio ancora se morti ammazzati dalla mafia, come don Puglisi. E' interessante il ragazzo che dice "Gesù era un simpaticone, non un paranoico"; chi non ha mai letto il Catechismo sa di esso quello che gli altri (e spesso chi è contro la fede cattolica) vogliono che si sappia: la Chiesa è non si fa questo, non si fa quest'altro... Nessuno di questi ha però pensato di leggere il perché; anzi, spesso si rifiuta di saperne di più, per non dover essere costretti a riconoscere che il cristianesimo, così come proposto dal mondo di oggi, non è quello delle Scritture. Si annacqua il messaggio di Cristo (quasi sempre in chiave new age) per renderlo universalmente accettabile; se così fosse, però, nessuno avrebbe più bisogno di scegliere di seguire Cristo, è Cristo che viene dietro a quello che vuoi tu: vuoi tradire la moglie / il marito e risposarti? Gesù capisce, fallo pure. Non te la senti di alzarti dal letto la mattina e perdere un'ora di tempo in chiesa per la Messa? Gesù ha capito, non occorre. Paradossalmente chi chiede più libertà è chi vorrebbe che non ci fosse libertà, dato che non c'è più una scelta da fare.
Non si può che concludere raccomandando di leggere il Catechismo, quello della Chiesa Cattolica; leggendolo si possono scoprire cose che sorprendono. E per chi ha internet è anche gratuito, si può trovare a questo indirizzo:
http://www.vatican.va/archive/ITA0014/_INDEX.HTM
E, ovviamente, l'invito a non farsi plagiare da chi, tra l'altro, mostra di non avere alcun titolo per parlare di catechismo (dato che è chiaro che non l'ha mai letto). Certo, c'è da augurarsi che la Chiesa stessa si occupi di divulgare il Catechismo; anche qui c'è da interrogarsi: chi di noi che leggiamo questo blog può dire "in parrocchia mi hanno insegnato il Catechismo"? Forse molti di più possono dire "in TV mi hanno insegnato il catechismo". E speriamo almeno che non imparino, come si è sentito ieri, che l'Arcangelo Gabriele si è recato dalla Vergine Maria per annunciarle l'assoluzione in cielo!

martedì 25 gennaio 2011

Chiusura della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

Questa sera, nella basilica di San Paolo fuori le mura in Roma, il sommo pontefice ha chiuso la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani con i vespri cantati della festa liturgica della Conversione di San Paolo apostolo.
Durante l'omelia il papa ha lanciato un appello affinché, seguendo l'esempio di Gesù, che alla vigilia della sua Passione pregò il Padre perché i suoi discepoli fossero una sola cosa, i cristiani continuino ad invocare da Lui incessantemente il dono dell'unità.
Il tema per la settimana di preghiera, quest'anno proposto dalle comunità cristiane di Gerusalemme, è di rafforzare l'impegno per l'unità meditando sul modello di vita dei primi cristiani, che erano perseveranti nelle preghiere, nella Comunione e nello spezzare il pane. Una comunità non chiusa in se stessa ma fin dal suo nascere cattolica, universale, capace di abbracciare fedeli di lingue e culture diverse; una comunità non fondata su un patto tra i suoi membri né dalla condivisione di un ideale comune, ma fondata su Cristo morto e risorto.
Dalla descrizione della discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, l'evangelista Luca, negli Atti degli apostoli, descrive lo stile di vita di questa prima comunità. Tale descrizione però non è semplicemente un ricordo del passato e nemmeno la presentazione di un esempio da imitare o di una meta ideale da raggiungere; essa è piuttosto un'attestazione, piena di fiducia, che lo Spirito Santo, unendo tutti in Cristo, è il principio dell'unità della Chiesa e fa dei credenti una sola cosa. L'insegnamento degli apostoli, lo spezzare il pane, la preghiera, sono i segni che costituiscono i tratti essenziali di tutte le comunità cristiane di ogni tempo e di ogni luogo; potremmo dire che sono segno tangibile dell'unità.
Benedetto XVI ha esortato ad essere riconoscenti del fatto che negli ultimi decenni il movimento ecumenico, sorto sotto la spinta dello Spirito Santo, abbia fatto numerosi passi avanti; sappiamo bene, ha ricordato tuttavia il papa, che siamo ancora lontani dall'unità per la quale Cristo ha pregato, rappresentata nella vita dei primi cristiani. Quest'unità non si manifesta solo sul piano organizzativo, ma soprattutto sulla professione di una sola Fede, di una celebrazione comune del culto divino; quindi l'unità dei cristiani non può limitarsi ad una pacifica convivenza. Il cammino di questa unità deve essere un imperativo morale di fronte a un preciso comando del Signore; per questo occorre vincere la tentazione della rassegnazione, che è una mancanza di fiducia nei confronti dell'azione dello Spirito Santo.
Come ha dichiarato il Concilio Vaticano II, il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unità di un'unica Chiesa di Cristo va oltre le forze umane, pertanto dobbiamo avere fede nell'amore del Padre verso di noi e in Cristo suo unico Figlio.
Quale esempio di unità della Chiesa il pontefice ha richiamato l'apostolo Paolo, di cui quest'oggi si è celebrata la festa della conversione; egli, prima dell'apparizione di Gesù sulla via di Damasco, era uno dei più accaniti persecutori dei primi cristiani, attestatore della morte di santo Stefano, come descritto negli Atti. Dopo la conversione fu introdotto da Barnaba agli altri apostoli, che si fece garante della verità della sua conversione; così fu annoverato egli stesso tra gli apostoli. Nei suoi viaggi numerosi, Paolo non dimenticò mai la Comunione con la Chiesa di Gerusalemme; la colletta in favore dei più poveri era da lui considerata non solo come opera di carità ma come segno dell'unità della Chiesa di Cristo.
In unione con Maria, che il giorno di Pentecoste era presente nel cenacolo insieme agli apostoli, il papa ha esortato a rivolgersi a Dio, fonte di ogni dono, perché si rinnovi tra noi oggi il miracolo della Pentecoste, e guidati dallo Spirito Santo, possiamo raggiungere la piena unità in Cristo.

Cliccando sul link di seguito è possibile leggere l'omelia per intero:

Vespri nella festa della Conversione di san Paolo apostolo - Omelia del Santo Padre

lunedì 24 gennaio 2011

45ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Come di consueto oggi, 24 gennaio, memoria liturgica di san Francesco di Sales, è stato reso noto il Messaggio del papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, quest'anno dal titolo "Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale". Il sommo pontefice si è soffermato in particolare sull'uso di internet e dei social network, come ad esempio Facebook; così ne ha messo in luce gli aspetti positivi ed ha messo in guardia da quelli negativi:

«Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre più spesso immetterle in una rete sociale, dove la conoscenza viene condivisa nell’ambito di scambi personali. La chiara distinzione tra il produttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e la comunicazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sempre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad una rinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive. D’altro canto, ciò si scontra con alcuni limiti tipici della comunicazione digitale: la parzialità dell’interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell’immagine di sé, che può indulgere all’autocompiacimento.»

Per quanto riguarda i social network, il papa riconosce che questa nuova realtà di comunicazione è diventata tanto importante da stravolgere, soprattutto per i giovani, il modo di comunicare con i propri amici: «Quando le persone si scambiano informazioni», scrive Benedetto XVI, «stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali»; tuttavia riconosce che «è importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita».
Un posto centrale nel discorso odierno è occupato dalla comunicazione del Vangelo nei nuovi media; l'ampliamento delle vie della comunicazione a cui internet in questo tempo ha dato il via richiede, da parte del cristiano, un'ulteriore e doveroso impegno per portare la Parola di Dio anche qui. E, non differentemente da quanto accade nella vita di ogni giorno, anche l'annuncio "via internet" richiede una testimonianza coerente da parte di chi annuncia. In questo senso, dunque, il comportamento del cristiano che utilizza internet ed il social network deve essere coerente con la propria fede, anche se non è visto in faccia dal proprio interlocutore.
Scrivere sul web, però, significa anche tuffarsi in un mare vasto quanto l'oceano, e quanto viene scritto in una così ampia bacheca non sempre può avere la popolarità sperata; ciò potrebbe portare gli operatori di internet a cercare di modificare il messaggio per renderlo più appetibile alla platea mondiale. Ma questa non è la strada giusta di chi vuole servirsi di internet per diffondere il Vangelo; risponde il papa:

«Dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla sua "popolarità" o dalla quantità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari "annacquandola". Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un momento. La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chiede una libera risposta.»

Il messaggio si conclude con l'auspicio che internet non rimanga uno strumento per "manipolare emotivamente" le persone, ma «i credenti incoraggiano tutti a mantenere vive le eterne domande dell'uomo, che testimoniano il suo desiderio di trascendenza e la nostalgia per forme di vita autentica, degna di essere vissuta».
Cliccando sul seguente link potrete leggere il messaggio completo:

Messaggio per la 45ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di papa Benedetto XVI

giovedì 20 gennaio 2011

Intervista al cardinale Bartolucci

Voglio segnalare questa interessante intervista apparsa sul periodico "30Giorni", diretto da Giulio Andreotti, al cardinale Domenico Bartolucci, già maestro perpetuo della Cappella Sistina. In questa intervista il cardinale ripercorre, grazie alle domande di Paolo Mattei, la sua vita alla scoperta della musica sacra e della polifonia romana, durante la quale fu inoltre direttore della cappella musicale del Duomo di Firenze, del Laterano e della Basilica Liberiana. Non mancano dei riferimenti all'evoluzione (o forse sarebbe meglio parlare di involuzione) della musica sacra, commenti molto significativi se pensiamo che arrivano, oltre che da un valente compositore, da un uomo che ne ha vissuto e contribuito a scriverne la storia, a partire da quando, per quattro anni, fu vice di Lorenzo Perosi (sotto papa Pio XII), per poi lavorare per papa Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II; per concludere con un'opinione del porporato sulla musica sacra oggi.

La porpora e il coro

«Credo che la mia nomina sia un richiamo di questo Papa, amante della bellezza, a non lasciare che si perda definitivamente tanta ricchezza musicale». Intervista con il neocardinale Domenico Bartolucci

Intervista con il cardinale Domenico Bartolucci di Paolo Mattei

Nel concistoro dello scorso 20 novembre Benedetto XVI ha creato cardinale monsignor Domenico Bartolucci. Nato il 7 maggio del 1917 a Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze, Bartolucci è stato per più di quarant’anni, dal 1956 al 1997, maestro direttore perpetuo della Cappella musicale Pontificia “Sistina”. Successore di monsignor Lorenzo Perosi in questo incarico, il neoporporato, durante il pontificato di Giovanni XXIII, riorganizzò la Cappella musicale del Papa, le cui origini risalgono alla Schola cantorum romana dei tempi di Gregorio Magno.
Bartolucci, tra i più autorevoli interpreti di Giovanni Pierluigi da Palestrina – che della Cappella Sistina fu cantore –, è accademico di Santa Cecilia e prolifico compositore di musica sacra. Lo abbiamo incontrato a Roma, dove vive.

Si aspettava questa nomina, eminenza?
DOMENICO BARTOLUCCI: Non ci avrei mai pensato. Quando l’ho saputo dal cardinal Bertone ho avvertito una forte scossa interiore. So che il Papa ha stima di me, ma la mia nomina credo sia un richiamo al valore della musica sacra nella liturgia.
La musica: il filo conduttore di tutta la sua vita…
L’ho amata fin da bambino. Mio padre, un operaio, era un cantore appassionato, mi portava sempre con lui quando andava a cantare nel coro della Compagnia dei Neri, una confraternita laicale di Borgo San Lorenzo.
E gli studi?
Solfeggio e canto, fin dalle elementari. Poi, verso i dieci anni, in seminario a Firenze, incontrai il grande Francesco Bagnoli, maestro di cappella di Santa Maria del Fiore.
In seminario però ebbe delle difficoltà con le autorità…
I regolamenti erano duri. Non potevo suonare il pianoforte per più di mezz’ora al giorno, e non tutti i giorni. Poi, nel ’29, mi ritrovai davanti a un armonium durante la festa dell’Immacolata, ad Arcetri, e sfortuna volle che il parroco di quella chiesa fosse anche il mio professore di latino e greco in seminario: se suona così bene – pensò –, vuol dire che si impegna troppo nell’approfondimento della musica e troppo poco in quello delle lingue classiche… Ottenne che fossi interdetto dallo studio della musica durante l’anno e che mi fosse impedito di suonare.
Una tragedia…
Ero un tipo pervicace, e seppi organizzarmi. Incominciai a “suonare in silenzio”.
Cioè?
Mi costruii una tastiera di cartone, coi tasti disegnati sopra. La “suonavo” nascondendola sotto il banco. Mi esercitavo in quel modo.
E componeva?
Di tanto in tanto riuscivo a verificare su un pianoforte vero quanto avevo creato nella mia testa “suonando” sulla tastiera finta.
Che cosa scriveva?
Laudi alla Madonna, messe a più voci. I superiori non ne volevano sapere. Mi accusavano di essere un presuntuoso. Fui tentato di abbandonare il seminario.
Addirittura…
Fu il mio confessore che mi convinse a non mollare.
Immagino che le cose poi iniziarono ad andare per il verso giusto…
Dopo un po’ di tempo tutto si sistemò. A quattordici anni iniziai il mio servizio di organista a Santa Maria del Fiore. E incominciai a comporre con più serenità mottetti, madrigali, cantate, laudi, oratori… Uno dei mottetti più belli, Super flumina Babylonis, lo scrissi a diciassette anni.
In quale anno giunse a Roma?
Nel 1942. Nel frattempo, nel ’34, ero stato ordinato prete e avevo continuato a studiare con Bagnoli, e anche col maestro Vito Frazzi, docente nel Conservatorio di Firenze. Là, nel ’39, mi diplomai in composizione.
E a Roma, che cosa faceva?
Ero ospite al collegio Capranica e continuavo a studiare, al Pontificio Istituto di Musica sacra e all’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Facevo il pendolare tra Firenze e Roma, perché contemporaneamente dirigevo la Cappella di Santa Maria del Fiore.
In quel periodo fece anche il parroco…
Nel ’45, a Montefloscoli, dove mi mandò l’arcivescovo Dalla Costa. Mi ricordo che spesso componevo le mie musiche in treno. Sempre nel ’45 fui nominato maestro sostituto della Cappella musicale di San Giovanni in Laterano. L’anno “decisivo” fu il ’47.
Perché?
Assunsi la direzione della Cappella Liberiana di Santa Maria Maggiore.
Ruolo che fu già di Pierluigi da Palestrina…
Eh sì. Rimasi impressionato dal modo di cantare “romano” e ne scrissi anche al mio maestro. Per la Basilica ho composto tanta musica liturgica secondo il messale antico. Antifone, messe, mottetti, offertori… Furono eseguiti regolarmente fino alla riforma postconciliare.
Un altro anno fondamentale fu il ’56, eminenza…
Beh, sì, naturalmente, quando, dopo la morte di Lorenzo Perosi, divenni direttore perpetuo della Cappella musicale pontificia Sistina, della quale ero vicedirettore già da quattro anni. Raccoglievo l’eredità di quella “Scuola romana” che dai tempi di Pierluigi da Palestrina custodiva la tradizione del gregoriano e della polifonia.
Iniziò allora un lungo e fecondo periodo…
Mantenevo anche l’incarico di maestro della Liberiana, e quindi ero impegnato su due fronti. Come direttore della Sistina, mi venivano commissionate di continuo musiche nuove per le liturgie papali.
All’inizio fu “al servizio” di Pio XII e di Giovanni XXIII.
Monsignor Capovilla mi suggeriva i desideri di papa Roncalli, e componevo messe, offertori e mottetti per le liturgie da lui presiedute. Scrivevo in continuazione, anche per ricorrenze particolari: ricordo il Tu es Petrus per l’incoronazone di papa Giovanni, l’Attende Domine, quando, nel 1959, lo stesso Pontefice annunciò la convocazione del Concilio, la Missa pro defunctis per i funerali sia di Pio XII che di Giovanni XXIII. Ma eseguivo soprattutto le celeberrime messe di Pierluigi da Palestrina.
Nella più pura tradizione romana.
Certo, “a cappella”, senza accompagnamento d’organo.
Ma papa Roncalli amava quell’accompagnamento.
Vero. Una volta, nel ’60, lo richiese esplicitamente, per una celebrazione dei Vespri a San Pietro. Col coro ci sistemammo sotto l’organo. Ma, all’ultimo minuto, ci accorgemmo che la chiave del mobile in cui lo strumento era chiuso era sparita…
E come finì?
Che cantammo senza organo, come sempre. Poi il cardinale Tardini ci rivelò l’arcano.
Ossia?
Ostentando un finto dispiacere, ci rivelò che la chiave era rimasta, per “sbadataggine”, nella sua tasca.
Fu salva la tradizione della Scuola romana…
Sì. Ma anche Giovanni XXIII amava quella tradizione.
Un Pontefice cui lei è molto legato.
È stato il restauratore della Cappella Sistina.
Perché?
Quando fui nominato direttore, la Cappella era molto disorganizzata, il numero di cantori insufficiente, inadeguata l’educazione musicale dei pueri cantores. C’erano ancora i “falsettisti”, nonostante da tempo la Santa Sede voleva che fossero eliminati. Presentai un progetto di ristrutturazione. Giovanni XXIII lo accolse e mi permise di attuarlo.
Negli anni della sua direzione, la Cappella ha avuto anche un’intensissima attività concertistica.
Abbiamo girato tutto il mondo. Nel ’96 siamo stati anche in Turchia. Cantammo l’Ave Maria a Istanbul, in latino, naturalmente, e la gente piangeva per la commozione. E non credo piangesse perché capiva la lingua…
Che intende dire?
Che dopo il Concilio Vaticano II il latino è stato messo da parte, ed è stato un errore esiziale. Con la promulgazione del Messale del 1970, i testi millenari del Proprium [l’insieme delle parti della messa che varia secondo l’anno liturgico o le memorie particolari, ndr] sono stati eliminati, e lo spazio per i canti dell’Ordinarium [l’insieme invariabile delle parti della messa, ndr] molto ridotto per l’introduzione delle lingue volgari.
È nota, eminenza, la sua avversione per questi cambiamenti.
Mi pare evidente come da allora la musica sacra e le scholae cantorum siano state definitivamente emarginate dalla liturgia, nonostante le raccomandazioni della constitutio de Sacra Liturgia del ’63 e del motu proprio Sacram Liturgiam, del ’64, nel quale il gregoriano è definito «canto proprio della liturgia romana».
Era auspicata la «actuosa participatio» del popolo.
Che da allora non c’è più stata.
Come sarebbe a dire?
Prima di questi “aggiornamenti” il popolo cantava a gran voce durante i Vespri, la Via Crucis, le messe solenni, le processioni. Cantava in latino, lingua universale della Chiesa. Durante le liturgie dei defunti tutti intonavano il Libera me Domine, In Paradisum, il De profundis. Tutti rispondevano al Te Deum, al Veni creator, al Credo. Adesso, si sono moltiplicate le canzonette. Sono così tante che le conoscono in pochissimi, e non le canta quasi nessuno. Poi va corretta la mia fama di essere contro la partecipazione del popolo ai canti.
E come?
Ricordando, per esempio, che già prima del Concilio io curai un repertorio di canti in lingua italiana da destinare alle parrocchie: Canti del popolo per la santa messa, si intitolava. Naturalmente è sparito dalla circolazione.
Che tipo di vita condusse la Sistina dopo il Concilio?
Fummo gradualmente ridimensionati e messi da parte. Diventammo un corpo estraneo nelle celebrazioni. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, la Cappella risultava sempre meno coinvolta nelle grandi liturgie papali. La viva bellezza della polifonia palestriniana e del gregoriano andavano trasformandosi progressivamente in oggetti da museo.
Poi arrivò il 1997.
Fui rimosso dall’incarico. Nonostante il “perpetuo” del titolo. Il mio disappunto per il declassamento della Cappella e per alcune cose che avvenivano durante le cerimonie papali era ben noto. Fu comunque un colpo inaspettato.
Che cosa fece dopo?
Ho continuato a lavorare, dirigendo le mie composizioni e quelle degli autori della Scuola romana.
C’è addirittura una Fondazione a lei intitolata.
L’hanno costituita nel 2003 alcuni amici ed estimatori per diffondere la mia musica. Questo mi ha spinto a dedicarmi con calma alla revisione delle mie partiture.
Poi Benedetto XVI nel 2006 l’ha chiamata a dirigere un concerto nella Sistina.
Il 24 giugno di quell’anno, con il Coro polifonico della Fondazione ho diretto brani miei e di Pierluigi da Palestrina. Un evento molto bello.
E ora il cardinalato…
Come ho detto, la mia nomina credo sia un richiamo di questo Papa, amante della bellezza, a non lasciare che si perda definitivamente tanta ricchezza musicale. Che è il cuore pulsante della liturgia.
Ha un particolare desiderio nel cuore?
Mi piacerebbe poter vedere in scena il mio Brunellesco.
Di che cosa si tratta?
È un’opera lirica in tre atti, ambientata a Firenze. Ripercorre le vicende del completamento della Cattedrale di Santa Maria del Fiore con la costruzione della cupola per opera di Filippo Brunelleschi, ai tempi di papa Eugenio IV.

Tratto da: 30Giorni

domenica 16 gennaio 2011

Il papa ad Assisi, gli appelli e le polemiche

«Nel prossimo mese di ottobre mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace»

Con queste parole papa Benedetto XVI, durante l'Angelus del 1° gennaio scorso, ha annunciato il suo viaggio ad Assisi, dove, insieme ai cristiani di altre confessioni religiose e agli esponenti di altre religioni farà memoria del gesto storico a cui 25 anni fa, nel 1986, prese parte papa Giovanni Paolo II. Questo annuncio ha suscitato parole di gioia e riconoscenza in molti esponenti cattolici: in primis dagli esponenti della Comunità di Sant'Egidio, che organizzano periodicamente questi eventi in favore della pace, e dei custodi della Basilica di san Francesco ad Assisi. Ma, non dobbiamo nasconderlo, ha suscitato anche diverse polemiche o quanto meno preoccupazioni, che oggi tengono banco in importanti organismi di informazione cattolica, in parte del mondo cattolico, che vede affacciarsi, ricordando come si svolse quel primo incontro del 1986, un pericolo: quello del sincretismo. Questo termine di origine greca vuole significare la tendenza a fondere insieme aspetti di culture o dottrine diverse; in questo caso particolare si teme che l'incontro degli esponenti di religioni diverse possa in qualche modo appianare, agli occhi della gente, le divergenze tra le diverse confessioni cristiane o addirittura tra religioni diverse.
A prima vista sembra una preoccupazione assolutamente infondata: abbiamo ben presenti quali sono le differenze fra le varie religioni e, anche se un po' meno, quelle fra le diverse confessioni del cristianesimo. Eppure credo che il problema debba essere affondato, poiché, a pensarci bene, non è certo di poco conto; l'incontro del 1986 fu infatti presentato (e vi sono ancora le testimonianze sulla rete) come incontro di preghiera dei rappresentanti di tutte le religioni per la pace. Detta in questi termini viene da chiedersi: preghiera a chi? Chi si va a pregare, quando si entra in una basilica cristiana cattolica, per invocare il dono della pace nel mondo e fra i popoli? Non vi è dubbio: si prega il Dio Trino ed Unico, attraverso l'intercessione della Beata Vergine Maria, Sua Madre, e dei santi (in particolare san Francesco d'Assisi). Allora ci si chiede: i buddhisti, i musulmani, gli ebrei, gli animisti, gli indù presenti quel giorno nella basilica di Assisi pregavano con le stesse intenzioni? E se no, chi pregavano allora? La risposta è abbastanza ovvia, ognuno pregava il suo dio; ed è questo che ha causato e causa ancora oggi le più pressanti preoccupazioni di cui parlavo prima: si rischia di far passare l'idea che una religione valga l'altra, che pregare Dio Padre Onnipotente è uguale a pregare il buddha, o gli spiriti che animano gli oggetti. A mio modo di vedere (e secondo un'opinione molto diffusa, a quanto ho avuto modo di leggere) l'organizzazione di quell'evento, soprattutto dal punto di vista mediatico, non andò nella direzione di negare questa tendenza; basti pensare al fatto che in quel famoso incontro fu fatta entrare in una chiesa consacrata, per la preghiera dei buddhisti, una statua o reliquia di buddha. E le reazioni da parte del mondo cattolico furono in parte devastanti: sono riportate (nei siti che oggi richiamano la pericolosità di queste derive sincretiste) dichiarazioni di suore che affermavano che Giovanni Paolo II "ha insegnato che le religioni sono tutte uguali", od altri che dicevano che noi occidentali abbiamo bisogno di imparare dai buddhisti che cos'è lo Spirito Santo, perché noi siamo troppo legati alla concezione corporea, loro sono più portati a quella spirituale.
Questo per dire che tali preoccupazioni, dunque, non devono essere tralasciate, considerate come delle chiacchiere da bar o paranoie da tradizionalisti; sono un autentico pericolo per la fede delle persone, specialmente quelle più affascinate dalla mentalità new age che ha fatto del sincretismo religioso uno dei suoi cavalli di battaglia. Ma allora cosa dire del fatto che papa Benedetto ha deciso di ritornare ad Assisi per celebrare il giubileo di quel gesto? Credo che una risposta arrivi dalle parole usate durante l'Angelus per annunciarlo, e che ho riportato ad inizio articolo: "rinnovare solennemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace". In questo messaggio non si parla di pregare per la pace, un'espressione che, come abbiamo visto, non avrebbe senso, o rischierebbe di avere un significato fuorviante, a tratti blasfemo.
Ma che tutte le religioni si impegnino a vivere la propria religiosità nella pace, e che questo impegno sia preso nel luogo che conserva le spoglie del santo considerato nella tradizione cristiana e non solo come angelo di pace questo ha un senso, specialmente se teniamo conto della pesante situazione in cui oggi viviamo soprattutto noi cristiani, spesso oppressi a causa della nostra fede. Per questo motivo, dunque, che questo appello venga lanciato dal papa, successore di Pietro, che ha più volte affermato in questi giorni che la libertà religiosa è necessaria e fondamentale per riconoscere la dignità umana, è molto significativo. Certo, il cristiano non potrà mai dire che la preghiera del buddhista, dell'induista, dell'ebreo, del musulmano... abbiano lo stesso valore della sua, rivolta all'Unico Vero Dio in Tre persone, nel nome di Gesù Cristo Nostro Signore; e in fondo al cuore spera che tutti si convertano a Cristo Gesù. Ma Dio stesso riconosce, per l'Amore col quale ci ama, la libertà dell'uomo di credere in Lui o meno; di fronte a quelli che non vogliono convertirsi il cristiano non deve provare astio, o sentirsi superiore; l'atteggiamento ce lo insegna Gesù stesso nella parabola del figliol prodigo: il padre attende speranzoso il ritorno del figlio, con amore. E ciò non impedisce di poter mettersi fraternamente d'accordo per un comune rispetto, specialmente, ripeto, in quest'epoca dove per la religione si muore.
Il pericolo del sincretismo religioso è sempre, tuttavia, dietro l'angolo; chi vorrà interpretare così questo gesto sarà comunque libero di farlo. A noi spetta smentirlo, come ha fatto il papa nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace di quest'anno:

«Quella indicata non è la strada del relativismo, o del sincretismo religioso. La Chiesa, infatti, “annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose”.»

O come fece lo stesso Giovanni Paolo II, quel giorno del 1986:

«"Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. Né esso è una concessione a un relativismo nelle credenze religiose"»

Questo breve articolo, tengo a precisare, è una mia opinione: la sezione dei commenti rimane, come sempre, aperta al confronto.

venerdì 14 gennaio 2011

Giovanni Paolo II sarà beato

La Santa Sede ha comunicato quest'oggi che l'iter del processo di beatificazione del venerabile servo di Dio, papa Giovanni Paolo II, si è concluso con l'autorizzazione da parte del Santo Padre Benedetto XVI al cardinale Angelo Amato (prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi) a pubblicare il decreto sul miracolo per il quale è stata riconosciuta l'intercessione del papa polacco. In un comunicato della sala stampa, poi, è stata resa nota la data del rito di beatificazione, che si terrà domenica 1° maggio 2011, ottava di Pasqua e domenica della Divina Misericordia, celebrato dal Santo Padre.
Il miracolo, necessario perché un fedele non martire possa essere dichiarato beato dalla Chiesa, è quello invocato da suor Marie Pierre Simon, malata del morbo di Parkinson e guarita inspiegabilmente dopo essersi rivolta all'intercessione del papa polacco.
La scelta della data del rito, che avverrà la domenica precedente la visita di Benedetto XVI nella nostra diocesi e ad Aquileia, è significativa; molti, infatti, ricorderanno che Giovanni Paolo II si spense nella sera del 2 aprile 2005, che in quell'anno era il sabato dell'ottava di Pasqua, vigilia della domenica in Albis. La festa della Divina Misericordia, legata alle apparizioni alla suora polacca santa Faustina Kowalska, fu stabilita nella prima domenica dopo Pasqua proprio da papa Wojtiła; quest'anno, poi, si ha anche la coincidenza di questa ricorrenza con il primo giorno del mese di maggio, mese tradizionalmente dedicato alla devozione mariana, cui papa Giovanni Paolo II era molto legato (a partire dal suo motto episcopale, col quale a Lei si affidava totalmente: Totus tuus).
Di seguito pubblichiamo il riassunto che è apparso oggi sul bollettino della sala stampa della Santa Sede sul processo canonico di beatificazione del defunto pontefice Giovanni Paolo II.

Il giorno 14 gennaio 2011, il Sommo Pontefice Benedetto XVI, durante l’Udienza concessa all’Em.mo Signor Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha autorizzato lo stesso Dicastero a promulgare il Decreto sul miracolo attribuito all’intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II (Karol Wojtyła). Questo atto conclude l’iter che precede il Rito della beatificazione, la cui data sarà decisa dal Santo Padre.

Com’è noto, la Causa, per Dispensa Pontificia, iniziò prima che fossero trascorsi i cinque anni dalla morte del Servo di Dio, richiesti dalla Normativa vigente. Tale provvedimento fu sollecitato dall’imponente fama di santità, goduta dal Papa Giovanni Paolo II in vita, in morte e dopo morte. Per il resto furono osservate integralmente le comuni disposizioni canoniche riguardanti le Cause di beatificazione e di canonizzazione.

Dal giugno 2005 all’aprile 2007, furono pertanto celebrate l’Inchiesta Diocesana principale romana e quelle Rogatoriali in diverse diocesi, sulla vita, sulle virtù e sulla fama di santità e di miracoli. La validità giuridica dei processi canonici fu riconosciuta dalla Congregazione delle Cause dei Santi con il Decreto del 4 maggio 2007. Nel giugno 2009, esaminata la relativa Positio, nove Consultori teologi del Dicastero diedero il loro parere positivo in merito all’eroicità delle virtù del Servo di Dio. Nel novembre successivo, seguendo l’usuale procedura, la medesima Positio fu poi sottoposta al giudizio dei Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, che si espressero con sentenza affermativa.

Il 19 dicembre 2009 il Sommo Pontefice Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del Decreto sull’eroicità delle virtù.

In vista della Beatificazione del Venerabile Servo di Dio, la Postulazione della Causa presentò all’esame della Congregazione delle Cause dei Santi la guarigione dal "morbo di Parkinson" di Sr. Marie Simon Pierre Normand, religiosa dell’Institut des Petites Soeurs des Maternités Catholiques.

Come di consueto, i copiosi Atti dell’Inchiesta canonica, regolarmente istruita, unitamente alle dettagliate Perizie medico-legali, furono sottoposti all’esame scientifico della Consulta Medica del Dicastero delle Cause dei Santi il 21 ottobre 2010. I suoi Periti, dopo aver studiato con l’abituale scrupolosità le testimonianze processuali e l’intera documentazione, si espressero a favore dell’inspiegabilità scientifica della guarigione. I Consultori teologi, dopo aver preso visione delle conclusioni mediche, il 14 dicembre 2010 procedettero alla valutazione teologica del caso e, all’unanimità, riconobbero l’unicità, l’antecedenza e la coralità dell’invocazione rivolta al Servo di Dio Giovanni Paolo II, la cui intercessione era stata efficace ai fini della prodigiosa guarigione.

Infine, l’11 gennaio 2011, si è tenuta la Sessione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, i quali hanno emesso un’unanime sentenza affermativa, ritenendo miracolosa la guarigione di Sr. Marie Pierre Simon, in quanto compiuta da Dio con modo scientificamente inspiegabile, a seguito dell’intercessione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, fiduciosamente invocato sia dalla stessa sanata sia da molti altri fedeli.

Fonte: www.vatican.va.

giovedì 13 gennaio 2011

Tesori d'arte sacra: la Pala d'oro

Iniziamo con questo post una serie di interventi dedicati a scoprire i tesori d'arte sacra conservati nelle chiese della nostra città, patrimonio che i nostri antenati hanno coltivato e incrementato con devozione e che spesso noi non conosciamo a sufficienza. L'inizio di questo itinerario artistico è la Pala d'oro, che campeggia ora sullo sfondo dell'abside centrale, sopra la sede del celebrante. Essa è costituita da sei formelle in argento cesellato e dorato, che la tradizione ci tramanda come dono della regina Caterina Cornaro, nobile veneziana andata in sposa al re di Cipro Giacomo II; Trino Bottani, famoso storico caorlotto vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, ci tramanda:

«Si pretende che la suindicata Regina abbia fatti alcuni regali alla nostra Cattedrale, cioè d'una antichissima Palla d'argento finamente lavorata con moltissime figure in essa incise, che si conserva all'altar maggiore.»
Trino Bottani, Saggio di Storia della città di Caorle, p. 185

Si ritiene infatti che l'arredo sacro possa essere stato donato alla comunità caorlotta in seguito all'approdo a Caorle della Regina a causa di una tempesta nel 1489, in segno di riconoscenza, e constestualmente sia stato realizzato l'affresco che ornava il catino dell'abside maggiore fino al XVII secolo, di cui oggi rimangono soltanto alcuni brandelli. Tuttavia lo storico Giovanni Musolino, nella sua "Storia di Caorle" (p. 194) nota che la specificità dei soggetti in essa rappresentati farebbero supporre che la Pala sia stata realizzata espressamente per la Cattedrale.
Le formelle (rappresentate nella figura sovrastante), disposte oggi orizzontalmente sullo stesso piano, erano originariamente disposte in maniera diversa: in un piano superiore si trovavano quelle che, secondo la disposizione attuale, sono la prima, la terza e l'ultima formella, e rappresentano rispettivamente l'Arcangelo Gabriele, il Cristo Pantocratore e la Vergine Orante; in quello inferiore si trovavano le altre figure di Santi, dall'attribuzione più incerta. L'opera era completata da una copertura lignea, come apprendiamo dagli atti della prima visita pastorale del vescovo Francesco Andrea Grassi (1701), sulla quale erano dipinte le figure della Santa Vergine in mezzo ai Santi Pietro e Paolo, andata dispersa alla fine del XVIII secolo.
L'attribuzione delle figure rappresentate nelle formelle (fatta eccezione per quelle dell'Arcangelo Gabriele e della Vergine Orante, che contengono delle iscrizioni in greco) ci deriva dagli atti della visita del vescovo Domenico Minio del 1691: l'attuale seconda formella raffigurerebbe san Daniele profeta (identificato dal cartiglio che porta nella mano sinistra), la quarta sarebbe santo Stefano Protomartire (identificato dalla dalmatica, veste dei diaconi) e la quinta san Giovanni Battista (anche se, a dire il vero, non si rintracciano elementi dell'iconografia tradizionale del Battista in questa figura). C'è però da dire che per queste formelle non si potrà mai avere una certezza definitiva, poiché prive di iscrizioni che ne individuino il soggetto, tanto che diversi esperti d'arte del passato (come testimonia il Musolino) non sono riusciti nell'attribuzione.
Ogni formella è contornata da una cornice, decorata dalle figure di altri Santi e Sante, delle quali l'identificazione è possibile soltanto per quelle dell'ultima formella (in quanto accompagnate da iscrizioni): si tratta delle sante Teodosia, Barbara, Tecla, Eufemia e Anastasia, Eudosia e Teodora, Caterina ed Eufrosine, Maria Maddalena e Pelagia; nella cornice superiore si osserva, inoltre, la figura di San Filippo apostolo. Attorno alla formella dell'Arcangelo Gabriele la cornice, molto rovinata dal tempo, mostra chiaramente la figura di San Giorgio, e accenna quelle di un angelo e di un santo giovinetto con nimbo.
La ricchezza nei particolari della prima e dell'ultima formella rispetto alle altre quattro avvalorano la tesi della differente fattura dell'opera: l'Arcangelo Gabriele e la Vergine Orante, infatti, seguono i dettami dello stile bizantino, e risalgono al XII secolo (al più inizio del XIII); ciò è anche testimoniato dal fatto che le cornici che circondano le figure sembrano doversi fondere l'una nell'altra, quasi a formare un rettangolo unico che ha così per soggetto la scena dell'Annunciazione. I riquadri rimanenti, invece, sono attribuibili all'orificeria gotica veneziana del XIV secolo, quindi posteriori.
Questo prezioso cimelio è stato prestato a numerose mostre di orificeria ed arte sacra in genere, per ultima la mostra in occasione del millenario della basilica di Torcello, ed è possibile osservarla da vicino in estate, durante le visite guidate organizzate dalla parrocchia.

martedì 11 gennaio 2011

La libertà religiosa nel mondo secondo il papa

Nella giornata di ieri, come di consueto, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per gli auguri di inizio anno, ed ha pronunciato un discorso ripreso in vari modi dai telegiornali di ieri e dalle testate giornalistiche di oggi. Il tema centrale dell'intero discorso, come ha precisato all'inizio il pontefice, è stato ancora una volta la libertà religiosa, dopo il messaggio per la giornata mondiale per la pace lo scorso 1° gennaio (riportato in questo post). "La pace", ha affermato Benedetto XVI, "si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri".
Così il papa ha colto l'occasione di questo incontro con le personalità che rappresentano paesi da tutto il mondo per "compiere un giro di orizzonte sul mondo intero", ed analizzare le problematiche più gravi che mettono a rischio proprio la libertà religiosa di tutti i popoli.
La prima parte di questo panorama ha riguardato il mondo orientale e medio-orientale: dagli attentati in Iraq contro i cristiani, che hanno costretto gli abitanti di quella terra ad un esilio volontario per non rischiare di perdere la vita, al recente attentato contro la comunità copta ad Alessandria d'Egitto; "questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i Governi della Regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose". Il pontefice, però, mette anche in guardia da quegli ordinamenti che prevedono pure la libertà di culto ma non garantiscono davvero la libertà religiosa in tutte le circostanze che un uomo vive nel lavoro e in famiglia. Tra le piaghe maggiori contro la libertà religiosa il papa individua la legge contro la blasfemia in Pakistan (portata a conoscenza dell'opinione pubblica mondiale a causa della vicenda che ha coinvolto Asia Bibi); chiede il massimo sforzo da parte di tutte le autorità civili e religiose per abrogarla, poiché "è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose". L'amore e la devozione nei riguardi di Dio, dice il Santo Padre, "promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione". Quindi egli si sofferma anche sull'Africa, citando l'attentato contro i cristiani in Nigeria proprio la notte di Natale, e sulla Cina, a cui si riferisce quando dice: "In diversi Paesi, d’altronde, la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria, perché l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società. Bisogna che cessino tali ambiguità, in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla loro patria. Domando in particolare che sia garantita dovunque alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione, in conformità alle norme e agli standards internazionali in questo campo".
Nella seconda parte del suo discorso, il papa rivolge la sua attenzione dall'Oriente all'Occidente; il primo pericolo messo in evidenza è la negazione, specialmente in ambito sanitario, del diritto all'obiezione di coscienza: "In tale contesto, non si può che rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa, nello scorso mese di ottobre, di una Risoluzione che protegge il diritto del personale medico all’obiezione di coscienza di fronte a certi atti che ledono gravemente il diritto alla vita, come l’aborto". Altro rischio è costituito dal divieto ad esporre i simboli religiosi negli uffici pubblici: "agendo così", dice il pontefice, "non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose nazioni". In questo senso loda l'impegno di numerosi paesi, al fianco del Governo italiano, nella causa per l'esposizione del Crocifisso, cui hanno contribuito anche altre autorità cristiane come il patriarcato ortodosso di Mosca ed autorità civili.
Una particolare attenzione viene posta poi in ambito educativo; dapprima sottolineando il prezioso contributo della Chiesa cattolica in questo campo anche nei confronti di persone che non credono, e quindi mettendo in guardia dalla costituzione di un modello educativo monopolizzato dallo stato, come si constata in certi paesi dell'America Latina. In secondo luogo Benedetto XVI si sofferma in modo chiaro ed inequivocabile su quei paesi europei che impongono a bambini e ragazzi, in nome della prevenzione delle malattie veneree e delle "gravidanze indesiderate", dei corsi di educazione sessuale che "trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione"; una piaga questa, è da dire, che ha contaminato in alcuni paesi addirittura la Chiesa, con la formulazione di discutibili catechismi che offuscano e contraddicono l'autentica morale sessuale della Chiesa cattolica.
Infine un accorato appello del papa: non esiste una scala di gravità nella violazione della libertà religiosa. Spesso, dove una tale classifica viene stilata, "sono precisamente gli atti discriminatori contro i cristiani che sono considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica [...]. Una proclamazione astratta della libertà religiosa non è sufficiente: questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede".

Per leggere e approfondire il discorso del Santo Padre al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede è sufficiente fare clic sul link di seguito:
Udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

domenica 9 gennaio 2011

Un nuovo movimento liturgico

Qualche settimana fa il cardinale Antonio Canizares Llovera, prefetto per la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che lo scorso settembre ha fatto visita alla nostra parrocchia in occasione della grande festa quinquennale, ha rilasciato al Vaticanista Andrea Tornielli una preziosa intervista sul tema della liturgia. In essa troviamo alcune considerazioni del cardinale sullo stato della liturgia al giorno d'oggi, considerazioni che si rifanno a quelle del Santo Padre che lo ha voluto a coordinare il dicastero romano che si occupa della liturgia di tutto il mondo cattolico.
La prima domanda riguarda la riforma liturgica post-conciliare; ancora una volta è il caso di precisare che la forma del rito della Messa che oggi celebriamo non è stata concepita dai padri conciliari, i quali, quando parlavano della liturgia della Santa Messa, si riferivano al rito che da sempre era stato celebrato, quello oggi detto "di san Pio V" o "tridentino". In realtà in passato erano già avvenute alcune riforme, la più importante delle quali fu quella voluta dal venerabile Pio XII per la settimana santa; ma anche il beato Giovanni XXIII aveva riformato il Messale nel 1962, Messale che viene utilizzato anche oggi per le celebrazioni della Santa Messa nella forma straordinaria del rito romano secondo il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Nessuna di queste riforme, però, aveva messo mano in maniera così radicale al rito della Messa come quella approvata nel 1969 (quattro anni dopo la chiusura del Concilio), e chi avesse assistito ad una Santa Messa celebrata oggi nella forma straordinaria se ne può bene rendere conto. Questo per chiarire subito che una critica alla riforma liturgica non è un rifiuto di alcune tesi del Concilio in ambito di liturgia (il quale, inoltre, non ha mai inteso avere carattere dogmatico ma bensì pastorale), anche perché, se ben guardiamo, è spesso il rito uscito dalla riforma liturgica del '69 a contravvenire a quanto detto dal Concilio.
Dice il cardinal Canizares:

«La riforma liturgica è stata re­alizzata con molta fretta. C’era­no ottime intenzioni e il deside­rio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione. Non si è dato tempo e spazio suf­ficiente per accogliere e interio­rizzare gli insegnamenti del Concilio, di colpo si è cambiato il modo di celebrare. Ricordo be­ne la mentalità allora diffusa: bi­sognava cambiare, creare qual­cosa di nuovo. Quello che aveva­mo ricevuto, la tradizione, era vi­sta come un ostacolo. La rifor­ma è stata intesa come opera umana, molti pensavano che la Chiesa fosse opera delle nostre mani, invece che di Dio. Il rinno­vamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e del­la creatività, la parola magica di allora.»

Sono di fatto le stesse parole usate dal cardinale Burke, citate nel post pubblicato qualche giorno fa; ed è indubbio che la liturgia oggi, agli occhi di molti, ha ancora il carattere che il cardinale indica come "opera umana", di qualcosa di creativo e di laboratorio, cioè provare, sperimentare ogni volta qualcosa di nuovo, di innovativo.
Un altro aspetto di queste parole iniziali dipinge ancora bene un sentimento che ancora oggi è rimasto impresso nell'immaginario collettivo di Concilio: "La Tradizione era vista come un ostacolo". E' capitato spesso anche a me di trovare una certa diffidenza, ad esempio, nell'uso del latino e del canto gregoriano durante la liturgia; la gente si chiede perché utilizzare una cosa che la gente non capisce, un genere musicale superato, alcuni dicono che non è fatto per l'assemblea: quasi tutti sono convinti che sia un retaggio del passato, una cosa che il Concilio ha abolito perché la Chiesa sia al passo con i tempi. Purtroppo si ignora ciò che il Concilio ha realmente inteso promuovere; nella costituzione "Sacrosanctum Concilium" sulla Sacra Liturgia, infatti, leggiamo:

«L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.»
(SC n. 36,1)

«La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.»
(SC n. 116)

«Si conduca a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole.»
(SC 117)

Se confrontiamo questi articoli della costituzione conciliare adibita alla liturgia e quello che viene attuato nella stragrande maggioranza delle chiese oggi non vi è dubbio: il latino è stato abbandonato, anzi peggio, abolito, il canto gregoriano ha l'ultimo posto, se non è del tutto assente, nei libri di canto delle varie chiese non si trova praticamente mai traccia di canto gregoriano; in questa maniera si contravviene al Concilio, non certo cercando di promuovere la lingua latina e il canto gregoriano. Da dove arriva dunque tutto questo disagio, a volte proprio astio, nei confronti del latino e del gregoriano? Io credo proprio, come ha detto il cardinal Canizares: "La Tradizione" (che non vuol dire una credenza popolare, ma tutto il bagaglio di insegnamento dottrinale, liturgico e pastorale che la Chiesa ha tramandato da Gesù Cristo fino agli anni sessanta) "era vista come un ostacolo", e, non c'è dubbio, per molti lo è tutt'ora; ma almeno è chiarito che non sono costoro quelli che seguono i dettami del Concilio. Per questo il cardinale dice:

«Dobbiamo considerare il rin­novamento liturgico secondo l’ermeneutica della continuità nella riforma indicata da Bene­detto XVI per leggere il Concilio. E per far questo bisogna supera­re la tendenza a “congelare” lo stato attuale della riforma po­stconciliare.»

E nella stessa intervista si capisce quello che intende il cardinale (ed anche il papa) per "rinnovamento" e "riforma":

«Di fronte al rischio della routi­ne, di fronte ad alcune confusio­ni, alla povertà e alla banalità del canto e della musica sacra, si può dire che vi sia una certa cri­si. Per questo è urgente un nuo­vo movimento liturgico. Bene­detto XVI indicando l’esempio di san Francesco d’Assisi, molto devoto al Santissimo Sacramen­to, ha spiegato che il vero rifor­matore è qualcuno che obbedi­sce alla fede.»

E' necessario recuperare, dunque, una certa umiltà ed obbedienza; il mondo uscito dagli anni sessanta è stato spesso pervaso dal relativismo (ad esempio: non è più buono ciò che è oggettivamente è buono, è buono ciò che uno pensa sia buono); anche nei confronti dell'insegnamento della Chiesa, non è necessario seguire quello che è scritto nelle rubriche, ma bisogna fare ciò che la propria sensibilità dice di fare. L'umiltà e l'obbedienza, invece, non intendono annullare la sensibilità delle persone, ma piuttosto aiutare a discernere il perché di certe scelte che la Chiesa ci ha tramandato. E più che in ogni altro ambito, proprio chi è responsabile della liturgia (dal servizio all'altare al canto liturgico) deve accogliere innanzitutto con umiltà e obbedienza gli insegnamenti della Chiesa, per mettere al centro dell'azione liturgica Nostro Signore, e non l'individualismo di chi canta o serve o dell'assemblea. Questa non deve essere protagonista dell'azione liturgica (come in un parlamento i deputati sono protagonisti della seduta) ma deve essere aiutata a partecipare al sacrificio di Cristo; questa è l'actuosa partecipatio del Concilio: non una lista di cose da fare durante la Messa, come una parte affidata ad un attore, ma entrare con la preghiera nel Sacrificio dell'altare, quasi come san Giovanni e la Madonna ai piedi della Croce.
Aspettiamo quindi docili e fiduciosi gli insegnamenti della Chiesa: il cardinale ha annunciato, infatti:

«Il nuovo movimento liturgi­co dovrà far scoprire la bellezza della liturgia. Perciò apriremo una nuova sezione della nostra Congregazione dedicata ad “Ar­te e musica sacra” al servizio del­la liturgia. Ciò ci porterà a offrire quanto prima criteri e orienta­menti per l’arte, il canto e la mu­sica sacri. Come pure pensiamo di offrire prima possibile criteri e orientamenti per la predicazio­ne.»

Per leggere l'intera intervista del cardinal Canizares potete cliccare sul seguente link:
Intervista al cardinal Canizares

venerdì 7 gennaio 2011

La persecuzione dei cristiani nel mondo

Le notizie di questi giorni portano alla luce un problema che in realtà sussiste da molto tempo, ed è il caso di chiamarlo con il nome di "persecuzione" dei cristiani. Non è esagerato accostare le stragi dei nostri giorni alle stragi che venivano compiute dai romani all'inizio dell'era cristiana. Abbiamo sentito di un attentato accaduto in Nigeria la notte di Natale, l'ultimo quello ai cristiani copti ad inizio anno; questi atti non sembrano più limitarsi a singoli episodi, né si può parlare semplicemente di emulazione da parte di facinorosi criminali: il disegno è quello di annientare i cristiani, ed è naturale che ciò avvenga prima in quei posti dove i cristiani sono sempre tenuti controllati dalla maggioranza religiosa islamica, o anche indù. Ma è certo (notizia dei giorni scorsi) che si stanno organizzando attentati anche nel nostro territorio, evidentemente per scoraggiare eventuali sacche di resistenza rimaste dopo la massiccia opera di apostasia che la nostra società, alcuni insegnanti a partire dall'asilo e dalle elementari (specie sotto Natale), i professori e i pensatori, fin'anche le nostre istituzioni talvolta promuovono col nome di "laicità".
In Egitto, dove si è svolto l'ultimo disastroso attentato, coloro che professano la fede in Nostro Signore Gesù Cristo sono obbligati a portarlo scritto sulla carta di identità, una versione più "civile" della stella gialla ripristinata dai nazisti con gli ebrei; le norme egiziane per la costruzione delle chiese (in vigore dal 1934) sottomettono l'approvazione della richiesta al consenso dei musulmani che abitano in zona, della polizia e del presidente della repubblica; e, qualora venga designata una zona per la costruzione, immediatamente fioccano le moschee, per rendere più difficile, se non impossibile, la costruzione del luogo di culto. Ma norme come queste non sono affatto isolate, basti pensare al Marocco (dove vige una legge che vieta ai cristiani di "convertire" i musulmani, pena l'espulsione o l'arresto), o alla Turchia, alla Tunisia o all'Algeria (dove la libertà religiosa è garantita costituzionalmente, ma è vietato dare ai bambini dei nomi cristiani se si vuole che essi vengano iscritti all'anagrafe di stato). Per non parlare poi degli stati asiatici, come in Iraq, Pakistan (con la legge anti blasfemia che ha portato e mantiene tutt'ora in stato di arresto Asia Bibi) o della Cina, col regime comunista che ha istituito una chiesa di stato dove, si sospetta, alcuni vescovi fedeli al papa sono costretti a celebrare, o dell'India.
In tutto questo le nostre voci, le voci dei cristiani "benestanti", non si sentono; non si fanno sentire o non si vuole che si facciano sentire. I telegiornali di ieri, curiosamente, intervistavano, tra le altre, due donne (in servizi diversi, ovviamente); una era italiana, in via Condotti a Roma mentre aspettava di poter fare shopping, l'altra era egiziana, cristiana copta, e si stava preparando alla celebrazione del Natale (che per la chiesa copta-ortodossa si è celebrato ieri sera). Era interessante sentire come la preoccupazione della donna italiana fosse quella di alzarsi alle 7 della mattina sopportare il freddo in coda per qualche ora pur di potersi accaparrare l'offerta più vantaggiosa, mentre la preoccupazione della donna egiziana fosse quella di dire che lei alla messa di mezzanotte sarebbe andata ugualmente, malgrado la minaccia di morte del sito "Mujaheddin", perché in qualche modo tutti prima o poi moriremo. Sia chiaro, con questo non intendo condannare la donna italiana perché era andata a fare shopping, né tantomeno dire che andare a fare compre sia qualcosa di sbagliato (se non altro mantiene coloro che lavorano nei negozi). Quello che voglio sottolineare è la diversità degli obiettivi e delle aspettative di vita che noi, cristiani comodi occidentali, abbiamo rispetto ai cristiani perseguitati. Chi di noi si sentirebbe di dire o anche solo di pensare: "Non mi importa di morire per andare a Messa"? Il cristianesimo occidentale si è davvero così impoverito; abbiamo ridotto Gesù Cristo alla statua che troviamo (e rischiamo di perdere anche quella) nelle nostre chiese, che trovavamo nelle aule di scuola. Certo, ci comoda quando a Natale o all'Epifania possiamo dormire qualche ora in più, ma siamo disposti a perdere un'ora della nostra giornata per la Messa? C'è chi mette a rischio tutta la sua vita per andare a Messa, e chi non è disposto a perdere un'ora.
Ci sono, però, silenzi ancora più assordanti. E' di pochi giorni fa la notizia che l'Unione Europea, nelle agende diffuse in migliaia di scuole, abbia inserito le festività religiose di ogni sorta di credo mondiale, ma non quelle cristiane, come il Natale e la Pasqua. Non si tratta più nemmeno di chiedere che l'Europa riconosca di essere nata su radici cristiane; si tratta di chiedere di riconoscere, accanto al Ramadan, il Natale e la Pasqua (non oso dire le ricorrenze mariane). Ancora, il nostro governo è stato costretto a protestare contro i vertici europei per poter esporre nei propri locali pubblici il Crocifisso, quando fu deliberato che questo poteva dare fastidio ai figli di una donna che ha la croce sulla bandiera della propria nazione. Ed è necessaria la strigliata del nostro ministro degli Esteri (che per questo ha avuto un posto d'onore nel periodico bollettino delle minacce di Al Qaeda), del cardianale Bagnasco presidente della CEI e del papa per far sì che i vertici europei pronuncino un decoroso richiamo alla libertà religiosa? C'è chi dal suo seggio europeo si affretta a redarguire il papa quando dice che il preservativo non è la soluzione al problema dell'aids nel terzo mondo, ma quanti si sono alzati per redarguire lo sceicco Ahmed el Tyeb, grande imam della moschea cairota di Al Azhar, quando ha bollato come "grave ingerenza" le parole del papa che ha osato chiedere un intervento degli uomini politici in difesa di quella povera gente morta ammazzata per il solo fatto di andare in chiesa?
Come mai i siti internet delle varie associazioni di atei e razionalisti, che spesso usano il deprecabile olocausto degli ebrei per lanciare insulti contro il venerabile pontefice Pio XII, si riempiono di insulti e risate sardoniche quando si tratta delle palesi discriminazioni contro i cristiani dei giorni nostri?
Ricordiamoci, dunque, che essere cristiani è un privilegio, per noi che siamo comodi sulle nostre poltrone e controvoglia ci alzeremmo per le scomode panche della chiesa; un privilegio per il quale molti nostri fratelli nel mondo pagano con la vita. Che questo pensiero ci ridesti come cristiani e scacci da noi le tentazioni del diavolo che, imperterrito, crede di poter distruggere l'opera di Dio facendo perno sulla pusillanimità che manifestiamo quando cediamo alla nostra debolezza. Preghiamo il Signore perché ce ne scampi, e possiamo al contrario diventare (seguendo le parole del papa durante l'Angelus di ieri) come la stella che ha condotto i Magi a Betlemme, e condurre le genti alla conoscenza di Nostro Signore.

giovedì 6 gennaio 2011

L'Epifania del Signore

«Tribus miraculis ornatum, diem sanctum colimus:
Hodie stella magos duxit ad praesepium:
Hodie vinum ex aqua factum est ad nuptias:
Hodie in Jordane a Joanne Christus baptizari voluit, ut salvaret nos, alleluia.
»
«Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l'acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia.»

Così recita l'antifona al Magnificat dei secondi vespri della solennità odierna, l'Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo. Il significato del termine "Epifania" sarà certamente stato spiegato a molti di noi; la parola ha origine greca e significa "manifestazione". Ma questa spiegazione non lascerà certo soddisfatto l'interrogativo: perché celebrare la manifestazione di Nostro Signore quando già nel Natale abbiamo celebrato la sua incarnazione e quindi, in qualche modo, la sua manifestazione nella sua carne mortale? E, in ogni caso, che cosa significa veramente questa manifestazione, che cosa ha a che fare con i tre Re magi?
Può aiutarci a dipanare qualche dubbio proprio l'antifona riportata all'inizio dell'articolo, Tribus miraculis; non uno, ma tre eventi prodigiosi la chiesa contempla oggi: l'adorazione dei Magi, o meglio, il fatto che la stella ha condotto i Magi al presepio; l'acqua mutata in vino alle nozze (di Cana); il Battesimo di Gesù al fiume Giordano da parte di Giovanni il Battista. Non solo, ma l'antifona insiste tre volte nel dire che questi miracoli li celebriamo tutti insieme oggi. La liturgia della Chiesa, infatti, pur essendo ordinata secondo un certo criterio cronologico (circa due settimane dopo il Natale avviene l'adorazione dei Magi), celebra in un'unica festa le tre occasioni in cui il Signore Gesù Cristo ha manifestato a tutti le genti la sua divinità.
Focalizziamo per un attimo la nostra attenzione sul primo prodigio: la stella ha condotto i Magi al presepio. Non si dice che i Magi si sono recati alla grotta di Betlemme, ma che vi sono stati condotti. La stella rappresenta il modo in cui il Signore si rende manifesto a questi tre personaggi entrati nella tradizione Cristiana e che individuiamo simultaneamente come Re e come Magi, cioè veggenti, astrologi, scienziati. Essi si presentano al re Erode, giungendo da Oriente, dicendo:

«Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo».
(Mt 2,2)

C'è da dire che l'astrologia dell'epoca non è quella di oggi, quella di stregoni e fattucchiere che sfruttano la credulità dei più ignoranti; se non la si chiama astronomia è perché essa non poteva assurgere al livello di "scienza" come la conosciamo oggi, dato che mancava un metodo scientifico ed era basata soltanto sulle osservazioni e su interpretazioni prettamente antropocentriche (un po' come è "l'alchimia" nei confronti della chimica). Dunque il Signore si serve in qualche modo di quella che possiamo chiamare la "materia-studio" dei magi; tramite la stella li attira a Betlemme. Ed essi non la seguono per puro amore del sapere; l'Evangelista Matteo ci riferisce che essi parlano ad Erode indicando quel fenomeno celeste come "la sua stella", la stella del re dei Giudei che è nato. E' quindi la Fede a muovere i Magi verso la grotta; qui essi riconoscono la regalità di Cristo (con il dono dell'oro), la sua divinità (con il dono dell'incenso) e ne predicono la morte (con il dono della mirra).
Il secondo miracolo citato dall'antifona è quello delle nozze di Cana, conosciuto come il primo miracolo compiuto da Nostro Signore nella sua vita pubblica. E' un'altra manifestazione pubblica di Cristo, con cui il Padre dimostra che Egli è il suo prediletto, il Figlio da seguire.
Infine il terzo miracolo è quello del Battesimo di Gesù al fiume Giordano; la pagina evangelica, che ascolteremo la prossima domenica, si conclude infatti in questo modo:

«Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: "Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento"».
(Mt 3,16-17)

Ancora una manifestazione certa con la quale il Padre attesta che il Cristo è davvero il Messia, colui il quale ha l'autorità per dire "Lo Spirito del Signore è sopra di me".
Ecco, dunque, il significato della solennità dell'Epifania; essa completa il Natale, nel quale veneriamo l'Incarnazione di Nostro Signore, con gli eventi prodigiosi in cui Egli si rende noto a tutte le genti come il Messia che doveva venire, il Figlio di Dio, l'amato.

Ascoltiamo una versione dell'antifona gregoriana dei secondi vespri di questa solennità odierna; lasciamoci incantare dal canto gregoriano, il quale, come musica veramente sacra, ha il potere di manifestare il Signore nella liturgia per coloro che hanno il cuore disposto ad accoglierlo. Così comprendiamo perché i pontefici Pio X e Giovanni Paolo II hanno affermato che il criterio per definire adatto alla liturgia un canto è proprio il gregoriano: tanto più un canto gli è affine tanto più esso liturgico; più, invece, se ne discosta e meno è il caso di farlo ascoltare dentro una chiesa.

martedì 4 gennaio 2011

Statistiche del sito parrocchiale per l'anno 2010

Pubblichiamo le statistiche di un altro anno trascorso per il sito parrocchiale www.caorleduomo.altervista.org; un anno importante, che ha visto trascorrere la festa quinquennale della Madonna dell'Angelo, periodo in cui il sito servito per informazioni a molti turisti e parrocchiani, e continua a servire da archivio per foto e video di quegli indimenticabili momenti. Il 2010 ha visto anche la nascita del blog caorleduomo.blogspot.com, che dal maggio dello scorso anno contiene notizie, approfondimenti e opinioni sulla vita parrocchiale e della Chiesa in genere.
Dal 3 gennaio dello scorso anno ad oggi il sito parrocchiale è stato visitato 6.017 volte, con 23.454 visualizzazioni di pagina; di queste 5.528 visite provenivano dall'Italia (abbastanza equamente distribuite nel territorio nazionale). Altre visite si sono avute da Ungheria (217), Polonia (43), Germania (41), Austria (39), Repubblica Ceca (26), Inghilterra e Stati Uniti d'America (17), Brasile (16) e Svizzera (11). Con meno di dieci visite si susseguono poi Slovenia e Spagna (6), Olanda e Hong Kong (5), Slovacchia e Marocco (4), Russia e Giappone (3), Belgio, Venezuela, Francia e Croazia (2), Ucraina, Macedonia, Perù, Canada, Norvegia, Santa Lucia, Argentina, Romania, Colombia, Armenia, Malta e Grecia (1). Il mese con il maggior numero di visite è stato quello tra il 26 agosto ed il 26 settembre, in cui si è svolta la festa quinquennale, con ben 1.125 visite e 4.307 pagine visualizzate.
Per quanto riguarda invece il blog parrocchiale, dal 13 aprile (data in cui è stato aperto il blog) si sono contate 4.194 visite, con un picco di 1.945 visite proprio nel mese di dicembre appena trascorso. In questo caso la distribuzione per paese vede 3.694 visite dall'Italia, 140 dagli Stati Uniti d'America, 34 dalla Federazione Russa, 29 dall'Austria, 27 dalla Svizzera, 26 dalla Slovenia, 25 dalla Germania, 23 dalla Francia, 19 da India e Messico. E' da sottolineare inoltre la gradita sorpresa che ieri il post sull'omelia del cardinale Burke è stato ripreso dall'importante portale cattolico maranatha.it; un fatto che onora questo blog e la parrocchia stessa.
Prego il Signore perché possa continuare in questo servizio per un altro anno ancora, sperando di fare cosa gradita a tutti voi che seguite con regolarità o anche saltuariamente questi portali internet.

lunedì 3 gennaio 2011

L'azione divina nella Santa Messa

«Dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, ma non per ragione del Concilio, il modo della riforma del rito della Messa ha abbastanza oscurato l'azione divina nella Santa Messa unendo cielo e terra e ha indotto alcuni nell'errore che la Santa Liturgia è una nostra attività, che, in qualche senso, noi abbiamo inventato e con la quale, allora, noi possiamo sperimentare. La verità della sacra liturgia è ben diversa.»

Sono parole tratte dall'omelia pronunciata dal cardinale statunitense Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (nonché membro della Congregazione per il Culto Divino) e porporato di nuova nomina, durante la Santa Messa pontificale celebrata il 26 dicembre scorso presso il Seminario dei Francescani dell'Immacolata a Roma secondo il rito antico. Approfondiamo ancora l'aspetto del Magistero di Benedetto XVI riguardante la liturgia (in preparazione alla visita dei prossimi 7 e 8 maggio) proprio a partire da queste parole. Potrebbero sembrare, ad un primo sguardo, parole molto dure, di stampo chiaramente anticonciliarista; ma ad un'analisi più approfondita si comprende che questa impressione è piuttosto un fraintendimento. Il cardinale, infatti, precisa che l'errore della riforma è avvenuto dopo il Concilio, ma non per volere del Concilio.
E' importante chiarire questo punto, poiché molto spesso si tende ad accostare coloro che amano una buona ed autentica liturgia o che si sentono legati alla forma straordinaria del rito romano (quella che era celebrata prima della riforma liturgica degli anni settanta e ripristinata con una certa libertà da papa Benedetto XVI) a degli inguaribili nostalgici, a vuoti esteti che, in ogni caso, rifiutano il Concilio. Come, allora, spiegare queste parole del cardinale Burke, che criticano in alcuni aspetti la riforma liturgica, con il fatto che questa critica non si ponga per forza di cose contro il Concilio?
Per poterlo fare è necessario fare un passo indietro, nel recente passato della Chiesa, ed analizzare da un punto di vista storico e sociale il periodo in cui questa riforma si è sviluppata. Non passa assolutamente in secondo piano il fatto che il Concilio si sia concluso nel 1965, alla vigilia di quel movimento socio-politico che oggi viene chiamato "Contestazione", nel quale specialmente i giovani dell'epoca contestavano il "mondo degli adulti", ritenuto troppo chiuso e repressivo. Sotto la spinta di queste correnti di pensiero, ed in parte cercando di accoglierne le critiche, la Chiesa che stava cominciando a rileggere e meditare i documenti del Concilio fu spesso tentata dall'errore di "supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo rappresenti una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato" (Paolo VI, omelia in occasione del 1° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II). Nasceva cioè quella che Benedetto XVI ha definito, in uno storico discorso alla curia romana, l'Ermeneutica della discontinuità, secondo la quale l'altare addossato alla parete, il latino ed il canto gregoriano, l'organo, la musica polifonica e quella popolare, nonché, talvolta, addirittura il carattere sacrificale della Santa Messa devono essere abbandonati, perché retaggio di un passato ormai anacronistico, inutili superstizioni o linguaggi non più alla portata del popolo (anche se non si capisce bene come lo fossero una volta, quando la gente andava a lavorare nei campi con a malapena la seconda elementare e non lo siano più oggi quando i mezzi per la cultura di base sono alla portata di tutti). Diceva il papa, parlando dell'ermeneutica della discontinuità:

«Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale.»
(Benedetto XVI, Discorso alla curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005)

Con queste parole chiare ed efficaci del papa, possiamo dire che le parole del cardinale Burke hanno trovato una esauriente spiegazione. Se seguiamo i testi del Concilio, ci accorgiamo che essi non intendono affatto eliminare il latino, il gregoriano, girare gli altari o cambiare il contenuto dottrinale che viene trasmesso dalla Santa Messa. In effetti, all'ermeneutica della discontinuità si contrappone una lettura del Concilio nel senso della continuità con il Magistero immutabile della Chiesa; in questa chiave di lettura comprendiamo perché il papa ha, per così dire, liberalizzato la celebrazione della Messa secondo il rito detto di san Pio V, che era quello in cui la Messa era celebrata prima del Concilio in tutte le chiese cattoliche del mondo, in Italia come negli Stati Uniti d'America o in Australia.
La liturgia non è, quindi, un'invenzione dell'uomo, ma un dono di Dio, che l'uomo ha il dovere di ricevere, apprezzare e salvaguardare. Continua, infatti, il cardinale Burke:

«La Sacra Liturgia è l'azione di Gesù Cristo, vivo nel suo Corpo mistico per l'effusione dello Spirito Santo. E' il suo dono a noi, che noi dobbiamo ricevere, apprezzare e salvaguardare secondo l'indicazione dei nostri pastori e specialmente il Santo Padre, vicario di Cristo il Buon Pastore, sulla terra, e perciò pastore della Chiesa Universale.»

Sempre attingendo al Magistero di papa Benedetto, scopriamo anche che il ripristino del Missale antico, accanto a quello nuovo, non vuol essere sorgente di divisione. Sarà piuttosto causa di arricchimento tra l'una e l'altra forma, affinché anche oggi, sebbene intaccati dalla mentalità moderna che tende al relativismo e alla banalizzazione di ogni cosa, specialmente nell'ambito religioso, non cessiamo di nutrirci del bene che la liturgia antica ha trasmesso anche ai nostri padri e ai nostri santi (san Francesco, san Giovanni Bosco, san Pio X, san Pio da Pietrelcina...). E tramite l'apporto della liturgia antica potremo evitare, nelle nostre liturgie odierne, gli abusi che derivano dal tentativo di secolarizzare anche la Santa Messa (introducendo gestualità, linguaggi, musiche profane, tutte cose che, per dirla come Paolo VI e Giovanni Paolo II, "si precludono da sé l’ingresso nella sfera del sacro e del religioso"). Dice il cardinale Burke citando il Santo Padre (Lettera ai vescovi in occasione della promulgazione del Motu Proprio Summorum Pontificum):

«"Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto".
Seguendo il Magistero del Santo Padre, molto giustamente celebriamo il rito romano secondo la forma straordianaria oggi per aiutarci ad entrare più pienamente nella conoscenza del mistero della Fede, il mistero dell'Amore di Dio verso di noi, e rispondere al mistero con amore puro e disinteressato verso Dio e il prossimo.
»

Preghiamo, dunque, il Signore Gesù Cristo perché ci conceda di servirlo nella liturgia con la docilità che Lui stesso ci ha insegnato, rimanendo sottomesso a Maria e Giuseppe nella Santa Famiglia di Nazareth, e perché anche noi possiamo crescere, oltre che in età, in sapienza e grazia davanti a Dio. Con questi sentimenti continuiamo ad attendere la visita del papa in mezzo a noi i prossimi 7 e 8 maggio.

Qui di seguito potete ascoltare per intero l'omelia del cardinale Burke:

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