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domenica 16 gennaio 2011

Il papa ad Assisi, gli appelli e le polemiche

«Nel prossimo mese di ottobre mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace»

Con queste parole papa Benedetto XVI, durante l'Angelus del 1° gennaio scorso, ha annunciato il suo viaggio ad Assisi, dove, insieme ai cristiani di altre confessioni religiose e agli esponenti di altre religioni farà memoria del gesto storico a cui 25 anni fa, nel 1986, prese parte papa Giovanni Paolo II. Questo annuncio ha suscitato parole di gioia e riconoscenza in molti esponenti cattolici: in primis dagli esponenti della Comunità di Sant'Egidio, che organizzano periodicamente questi eventi in favore della pace, e dei custodi della Basilica di san Francesco ad Assisi. Ma, non dobbiamo nasconderlo, ha suscitato anche diverse polemiche o quanto meno preoccupazioni, che oggi tengono banco in importanti organismi di informazione cattolica, in parte del mondo cattolico, che vede affacciarsi, ricordando come si svolse quel primo incontro del 1986, un pericolo: quello del sincretismo. Questo termine di origine greca vuole significare la tendenza a fondere insieme aspetti di culture o dottrine diverse; in questo caso particolare si teme che l'incontro degli esponenti di religioni diverse possa in qualche modo appianare, agli occhi della gente, le divergenze tra le diverse confessioni cristiane o addirittura tra religioni diverse.
A prima vista sembra una preoccupazione assolutamente infondata: abbiamo ben presenti quali sono le differenze fra le varie religioni e, anche se un po' meno, quelle fra le diverse confessioni del cristianesimo. Eppure credo che il problema debba essere affondato, poiché, a pensarci bene, non è certo di poco conto; l'incontro del 1986 fu infatti presentato (e vi sono ancora le testimonianze sulla rete) come incontro di preghiera dei rappresentanti di tutte le religioni per la pace. Detta in questi termini viene da chiedersi: preghiera a chi? Chi si va a pregare, quando si entra in una basilica cristiana cattolica, per invocare il dono della pace nel mondo e fra i popoli? Non vi è dubbio: si prega il Dio Trino ed Unico, attraverso l'intercessione della Beata Vergine Maria, Sua Madre, e dei santi (in particolare san Francesco d'Assisi). Allora ci si chiede: i buddhisti, i musulmani, gli ebrei, gli animisti, gli indù presenti quel giorno nella basilica di Assisi pregavano con le stesse intenzioni? E se no, chi pregavano allora? La risposta è abbastanza ovvia, ognuno pregava il suo dio; ed è questo che ha causato e causa ancora oggi le più pressanti preoccupazioni di cui parlavo prima: si rischia di far passare l'idea che una religione valga l'altra, che pregare Dio Padre Onnipotente è uguale a pregare il buddha, o gli spiriti che animano gli oggetti. A mio modo di vedere (e secondo un'opinione molto diffusa, a quanto ho avuto modo di leggere) l'organizzazione di quell'evento, soprattutto dal punto di vista mediatico, non andò nella direzione di negare questa tendenza; basti pensare al fatto che in quel famoso incontro fu fatta entrare in una chiesa consacrata, per la preghiera dei buddhisti, una statua o reliquia di buddha. E le reazioni da parte del mondo cattolico furono in parte devastanti: sono riportate (nei siti che oggi richiamano la pericolosità di queste derive sincretiste) dichiarazioni di suore che affermavano che Giovanni Paolo II "ha insegnato che le religioni sono tutte uguali", od altri che dicevano che noi occidentali abbiamo bisogno di imparare dai buddhisti che cos'è lo Spirito Santo, perché noi siamo troppo legati alla concezione corporea, loro sono più portati a quella spirituale.
Questo per dire che tali preoccupazioni, dunque, non devono essere tralasciate, considerate come delle chiacchiere da bar o paranoie da tradizionalisti; sono un autentico pericolo per la fede delle persone, specialmente quelle più affascinate dalla mentalità new age che ha fatto del sincretismo religioso uno dei suoi cavalli di battaglia. Ma allora cosa dire del fatto che papa Benedetto ha deciso di ritornare ad Assisi per celebrare il giubileo di quel gesto? Credo che una risposta arrivi dalle parole usate durante l'Angelus per annunciarlo, e che ho riportato ad inizio articolo: "rinnovare solennemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace". In questo messaggio non si parla di pregare per la pace, un'espressione che, come abbiamo visto, non avrebbe senso, o rischierebbe di avere un significato fuorviante, a tratti blasfemo.
Ma che tutte le religioni si impegnino a vivere la propria religiosità nella pace, e che questo impegno sia preso nel luogo che conserva le spoglie del santo considerato nella tradizione cristiana e non solo come angelo di pace questo ha un senso, specialmente se teniamo conto della pesante situazione in cui oggi viviamo soprattutto noi cristiani, spesso oppressi a causa della nostra fede. Per questo motivo, dunque, che questo appello venga lanciato dal papa, successore di Pietro, che ha più volte affermato in questi giorni che la libertà religiosa è necessaria e fondamentale per riconoscere la dignità umana, è molto significativo. Certo, il cristiano non potrà mai dire che la preghiera del buddhista, dell'induista, dell'ebreo, del musulmano... abbiano lo stesso valore della sua, rivolta all'Unico Vero Dio in Tre persone, nel nome di Gesù Cristo Nostro Signore; e in fondo al cuore spera che tutti si convertano a Cristo Gesù. Ma Dio stesso riconosce, per l'Amore col quale ci ama, la libertà dell'uomo di credere in Lui o meno; di fronte a quelli che non vogliono convertirsi il cristiano non deve provare astio, o sentirsi superiore; l'atteggiamento ce lo insegna Gesù stesso nella parabola del figliol prodigo: il padre attende speranzoso il ritorno del figlio, con amore. E ciò non impedisce di poter mettersi fraternamente d'accordo per un comune rispetto, specialmente, ripeto, in quest'epoca dove per la religione si muore.
Il pericolo del sincretismo religioso è sempre, tuttavia, dietro l'angolo; chi vorrà interpretare così questo gesto sarà comunque libero di farlo. A noi spetta smentirlo, come ha fatto il papa nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace di quest'anno:

«Quella indicata non è la strada del relativismo, o del sincretismo religioso. La Chiesa, infatti, “annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose”.»

O come fece lo stesso Giovanni Paolo II, quel giorno del 1986:

«"Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. Né esso è una concessione a un relativismo nelle credenze religiose"»

Questo breve articolo, tengo a precisare, è una mia opinione: la sezione dei commenti rimane, come sempre, aperta al confronto.

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