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domenica 9 gennaio 2011

Un nuovo movimento liturgico

Qualche settimana fa il cardinale Antonio Canizares Llovera, prefetto per la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che lo scorso settembre ha fatto visita alla nostra parrocchia in occasione della grande festa quinquennale, ha rilasciato al Vaticanista Andrea Tornielli una preziosa intervista sul tema della liturgia. In essa troviamo alcune considerazioni del cardinale sullo stato della liturgia al giorno d'oggi, considerazioni che si rifanno a quelle del Santo Padre che lo ha voluto a coordinare il dicastero romano che si occupa della liturgia di tutto il mondo cattolico.
La prima domanda riguarda la riforma liturgica post-conciliare; ancora una volta è il caso di precisare che la forma del rito della Messa che oggi celebriamo non è stata concepita dai padri conciliari, i quali, quando parlavano della liturgia della Santa Messa, si riferivano al rito che da sempre era stato celebrato, quello oggi detto "di san Pio V" o "tridentino". In realtà in passato erano già avvenute alcune riforme, la più importante delle quali fu quella voluta dal venerabile Pio XII per la settimana santa; ma anche il beato Giovanni XXIII aveva riformato il Messale nel 1962, Messale che viene utilizzato anche oggi per le celebrazioni della Santa Messa nella forma straordinaria del rito romano secondo il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Nessuna di queste riforme, però, aveva messo mano in maniera così radicale al rito della Messa come quella approvata nel 1969 (quattro anni dopo la chiusura del Concilio), e chi avesse assistito ad una Santa Messa celebrata oggi nella forma straordinaria se ne può bene rendere conto. Questo per chiarire subito che una critica alla riforma liturgica non è un rifiuto di alcune tesi del Concilio in ambito di liturgia (il quale, inoltre, non ha mai inteso avere carattere dogmatico ma bensì pastorale), anche perché, se ben guardiamo, è spesso il rito uscito dalla riforma liturgica del '69 a contravvenire a quanto detto dal Concilio.
Dice il cardinal Canizares:

«La riforma liturgica è stata re­alizzata con molta fretta. C’era­no ottime intenzioni e il deside­rio di applicare il Vaticano II. Ma c’è stata precipitazione. Non si è dato tempo e spazio suf­ficiente per accogliere e interio­rizzare gli insegnamenti del Concilio, di colpo si è cambiato il modo di celebrare. Ricordo be­ne la mentalità allora diffusa: bi­sognava cambiare, creare qual­cosa di nuovo. Quello che aveva­mo ricevuto, la tradizione, era vi­sta come un ostacolo. La rifor­ma è stata intesa come opera umana, molti pensavano che la Chiesa fosse opera delle nostre mani, invece che di Dio. Il rinno­vamento liturgico è stato visto come una ricerca di laboratorio, frutto dell’immaginazione e del­la creatività, la parola magica di allora.»

Sono di fatto le stesse parole usate dal cardinale Burke, citate nel post pubblicato qualche giorno fa; ed è indubbio che la liturgia oggi, agli occhi di molti, ha ancora il carattere che il cardinale indica come "opera umana", di qualcosa di creativo e di laboratorio, cioè provare, sperimentare ogni volta qualcosa di nuovo, di innovativo.
Un altro aspetto di queste parole iniziali dipinge ancora bene un sentimento che ancora oggi è rimasto impresso nell'immaginario collettivo di Concilio: "La Tradizione era vista come un ostacolo". E' capitato spesso anche a me di trovare una certa diffidenza, ad esempio, nell'uso del latino e del canto gregoriano durante la liturgia; la gente si chiede perché utilizzare una cosa che la gente non capisce, un genere musicale superato, alcuni dicono che non è fatto per l'assemblea: quasi tutti sono convinti che sia un retaggio del passato, una cosa che il Concilio ha abolito perché la Chiesa sia al passo con i tempi. Purtroppo si ignora ciò che il Concilio ha realmente inteso promuovere; nella costituzione "Sacrosanctum Concilium" sulla Sacra Liturgia, infatti, leggiamo:

«L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.»
(SC n. 36,1)

«La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.»
(SC n. 116)

«Si conduca a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole.»
(SC 117)

Se confrontiamo questi articoli della costituzione conciliare adibita alla liturgia e quello che viene attuato nella stragrande maggioranza delle chiese oggi non vi è dubbio: il latino è stato abbandonato, anzi peggio, abolito, il canto gregoriano ha l'ultimo posto, se non è del tutto assente, nei libri di canto delle varie chiese non si trova praticamente mai traccia di canto gregoriano; in questa maniera si contravviene al Concilio, non certo cercando di promuovere la lingua latina e il canto gregoriano. Da dove arriva dunque tutto questo disagio, a volte proprio astio, nei confronti del latino e del gregoriano? Io credo proprio, come ha detto il cardinal Canizares: "La Tradizione" (che non vuol dire una credenza popolare, ma tutto il bagaglio di insegnamento dottrinale, liturgico e pastorale che la Chiesa ha tramandato da Gesù Cristo fino agli anni sessanta) "era vista come un ostacolo", e, non c'è dubbio, per molti lo è tutt'ora; ma almeno è chiarito che non sono costoro quelli che seguono i dettami del Concilio. Per questo il cardinale dice:

«Dobbiamo considerare il rin­novamento liturgico secondo l’ermeneutica della continuità nella riforma indicata da Bene­detto XVI per leggere il Concilio. E per far questo bisogna supera­re la tendenza a “congelare” lo stato attuale della riforma po­stconciliare.»

E nella stessa intervista si capisce quello che intende il cardinale (ed anche il papa) per "rinnovamento" e "riforma":

«Di fronte al rischio della routi­ne, di fronte ad alcune confusio­ni, alla povertà e alla banalità del canto e della musica sacra, si può dire che vi sia una certa cri­si. Per questo è urgente un nuo­vo movimento liturgico. Bene­detto XVI indicando l’esempio di san Francesco d’Assisi, molto devoto al Santissimo Sacramen­to, ha spiegato che il vero rifor­matore è qualcuno che obbedi­sce alla fede.»

E' necessario recuperare, dunque, una certa umiltà ed obbedienza; il mondo uscito dagli anni sessanta è stato spesso pervaso dal relativismo (ad esempio: non è più buono ciò che è oggettivamente è buono, è buono ciò che uno pensa sia buono); anche nei confronti dell'insegnamento della Chiesa, non è necessario seguire quello che è scritto nelle rubriche, ma bisogna fare ciò che la propria sensibilità dice di fare. L'umiltà e l'obbedienza, invece, non intendono annullare la sensibilità delle persone, ma piuttosto aiutare a discernere il perché di certe scelte che la Chiesa ci ha tramandato. E più che in ogni altro ambito, proprio chi è responsabile della liturgia (dal servizio all'altare al canto liturgico) deve accogliere innanzitutto con umiltà e obbedienza gli insegnamenti della Chiesa, per mettere al centro dell'azione liturgica Nostro Signore, e non l'individualismo di chi canta o serve o dell'assemblea. Questa non deve essere protagonista dell'azione liturgica (come in un parlamento i deputati sono protagonisti della seduta) ma deve essere aiutata a partecipare al sacrificio di Cristo; questa è l'actuosa partecipatio del Concilio: non una lista di cose da fare durante la Messa, come una parte affidata ad un attore, ma entrare con la preghiera nel Sacrificio dell'altare, quasi come san Giovanni e la Madonna ai piedi della Croce.
Aspettiamo quindi docili e fiduciosi gli insegnamenti della Chiesa: il cardinale ha annunciato, infatti:

«Il nuovo movimento liturgi­co dovrà far scoprire la bellezza della liturgia. Perciò apriremo una nuova sezione della nostra Congregazione dedicata ad “Ar­te e musica sacra” al servizio del­la liturgia. Ciò ci porterà a offrire quanto prima criteri e orienta­menti per l’arte, il canto e la mu­sica sacri. Come pure pensiamo di offrire prima possibile criteri e orientamenti per la predicazio­ne.»

Per leggere l'intera intervista del cardinal Canizares potete cliccare sul seguente link:
Intervista al cardinal Canizares

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