Le notizie di questi giorni portano alla luce un problema che in realtà sussiste da molto tempo, ed è il caso di chiamarlo con il nome di "persecuzione" dei cristiani. Non è esagerato accostare le stragi dei nostri giorni alle stragi che venivano compiute dai romani all'inizio dell'era cristiana. Abbiamo sentito di un attentato accaduto in Nigeria la notte di Natale, l'ultimo quello ai cristiani copti ad inizio anno; questi atti non sembrano più limitarsi a singoli episodi, né si può parlare semplicemente di emulazione da parte di facinorosi criminali: il disegno è quello di annientare i cristiani, ed è naturale che ciò avvenga prima in quei posti dove i cristiani sono sempre tenuti controllati dalla maggioranza religiosa islamica, o anche indù. Ma è certo (notizia dei giorni scorsi) che si stanno organizzando attentati anche nel nostro territorio, evidentemente per scoraggiare eventuali sacche di resistenza rimaste dopo la massiccia opera di apostasia che la nostra società, alcuni insegnanti a partire dall'asilo e dalle elementari (specie sotto Natale), i professori e i pensatori, fin'anche le nostre istituzioni talvolta promuovono col nome di "laicità".
In Egitto, dove si è svolto l'ultimo disastroso attentato, coloro che professano la fede in Nostro Signore Gesù Cristo sono obbligati a portarlo scritto sulla carta di identità, una versione più "civile" della stella gialla ripristinata dai nazisti con gli ebrei; le norme egiziane per la costruzione delle chiese (in vigore dal 1934) sottomettono l'approvazione della richiesta al consenso dei musulmani che abitano in zona, della polizia e del presidente della repubblica; e, qualora venga designata una zona per la costruzione, immediatamente fioccano le moschee, per rendere più difficile, se non impossibile, la costruzione del luogo di culto. Ma norme come queste non sono affatto isolate, basti pensare al Marocco (dove vige una legge che vieta ai cristiani di "convertire" i musulmani, pena l'espulsione o l'arresto), o alla Turchia, alla Tunisia o all'Algeria (dove la libertà religiosa è garantita costituzionalmente, ma è vietato dare ai bambini dei nomi cristiani se si vuole che essi vengano iscritti all'anagrafe di stato). Per non parlare poi degli stati asiatici, come in Iraq, Pakistan (con la legge anti blasfemia che ha portato e mantiene tutt'ora in stato di arresto Asia Bibi) o della Cina, col regime comunista che ha istituito una chiesa di stato dove, si sospetta, alcuni vescovi fedeli al papa sono costretti a celebrare, o dell'India.
In tutto questo le nostre voci, le voci dei cristiani "benestanti", non si sentono; non si fanno sentire o non si vuole che si facciano sentire. I telegiornali di ieri, curiosamente, intervistavano, tra le altre, due donne (in servizi diversi, ovviamente); una era italiana, in via Condotti a Roma mentre aspettava di poter fare shopping, l'altra era egiziana, cristiana copta, e si stava preparando alla celebrazione del Natale (che per la chiesa copta-ortodossa si è celebrato ieri sera). Era interessante sentire come la preoccupazione della donna italiana fosse quella di alzarsi alle 7 della mattina sopportare il freddo in coda per qualche ora pur di potersi accaparrare l'offerta più vantaggiosa, mentre la preoccupazione della donna egiziana fosse quella di dire che lei alla messa di mezzanotte sarebbe andata ugualmente, malgrado la minaccia di morte del sito "Mujaheddin", perché in qualche modo tutti prima o poi moriremo. Sia chiaro, con questo non intendo condannare la donna italiana perché era andata a fare shopping, né tantomeno dire che andare a fare compre sia qualcosa di sbagliato (se non altro mantiene coloro che lavorano nei negozi). Quello che voglio sottolineare è la diversità degli obiettivi e delle aspettative di vita che noi, cristiani comodi occidentali, abbiamo rispetto ai cristiani perseguitati. Chi di noi si sentirebbe di dire o anche solo di pensare: "Non mi importa di morire per andare a Messa"? Il cristianesimo occidentale si è davvero così impoverito; abbiamo ridotto Gesù Cristo alla statua che troviamo (e rischiamo di perdere anche quella) nelle nostre chiese, che trovavamo nelle aule di scuola. Certo, ci comoda quando a Natale o all'Epifania possiamo dormire qualche ora in più, ma siamo disposti a perdere un'ora della nostra giornata per la Messa? C'è chi mette a rischio tutta la sua vita per andare a Messa, e chi non è disposto a perdere un'ora.
Ci sono, però, silenzi ancora più assordanti. E' di pochi giorni fa la notizia che l'Unione Europea, nelle agende diffuse in migliaia di scuole, abbia inserito le festività religiose di ogni sorta di credo mondiale, ma non quelle cristiane, come il Natale e la Pasqua. Non si tratta più nemmeno di chiedere che l'Europa riconosca di essere nata su radici cristiane; si tratta di chiedere di riconoscere, accanto al Ramadan, il Natale e la Pasqua (non oso dire le ricorrenze mariane). Ancora, il nostro governo è stato costretto a protestare contro i vertici europei per poter esporre nei propri locali pubblici il Crocifisso, quando fu deliberato che questo poteva dare fastidio ai figli di una donna che ha la croce sulla bandiera della propria nazione. Ed è necessaria la strigliata del nostro ministro degli Esteri (che per questo ha avuto un posto d'onore nel periodico bollettino delle minacce di Al Qaeda), del cardianale Bagnasco presidente della CEI e del papa per far sì che i vertici europei pronuncino un decoroso richiamo alla libertà religiosa? C'è chi dal suo seggio europeo si affretta a redarguire il papa quando dice che il preservativo non è la soluzione al problema dell'aids nel terzo mondo, ma quanti si sono alzati per redarguire lo sceicco Ahmed el Tyeb, grande imam della moschea cairota di Al Azhar, quando ha bollato come "grave ingerenza" le parole del papa che ha osato chiedere un intervento degli uomini politici in difesa di quella povera gente morta ammazzata per il solo fatto di andare in chiesa?
Come mai i siti internet delle varie associazioni di atei e razionalisti, che spesso usano il deprecabile olocausto degli ebrei per lanciare insulti contro il venerabile pontefice Pio XII, si riempiono di insulti e risate sardoniche quando si tratta delle palesi discriminazioni contro i cristiani dei giorni nostri?
Ricordiamoci, dunque, che essere cristiani è un privilegio, per noi che siamo comodi sulle nostre poltrone e controvoglia ci alzeremmo per le scomode panche della chiesa; un privilegio per il quale molti nostri fratelli nel mondo pagano con la vita. Che questo pensiero ci ridesti come cristiani e scacci da noi le tentazioni del diavolo che, imperterrito, crede di poter distruggere l'opera di Dio facendo perno sulla pusillanimità che manifestiamo quando cediamo alla nostra debolezza. Preghiamo il Signore perché ce ne scampi, e possiamo al contrario diventare (seguendo le parole del papa durante l'Angelus di ieri) come la stella che ha condotto i Magi a Betlemme, e condurre le genti alla conoscenza di Nostro Signore.
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