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lunedì 3 gennaio 2011

L'azione divina nella Santa Messa

«Dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, ma non per ragione del Concilio, il modo della riforma del rito della Messa ha abbastanza oscurato l'azione divina nella Santa Messa unendo cielo e terra e ha indotto alcuni nell'errore che la Santa Liturgia è una nostra attività, che, in qualche senso, noi abbiamo inventato e con la quale, allora, noi possiamo sperimentare. La verità della sacra liturgia è ben diversa.»

Sono parole tratte dall'omelia pronunciata dal cardinale statunitense Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (nonché membro della Congregazione per il Culto Divino) e porporato di nuova nomina, durante la Santa Messa pontificale celebrata il 26 dicembre scorso presso il Seminario dei Francescani dell'Immacolata a Roma secondo il rito antico. Approfondiamo ancora l'aspetto del Magistero di Benedetto XVI riguardante la liturgia (in preparazione alla visita dei prossimi 7 e 8 maggio) proprio a partire da queste parole. Potrebbero sembrare, ad un primo sguardo, parole molto dure, di stampo chiaramente anticonciliarista; ma ad un'analisi più approfondita si comprende che questa impressione è piuttosto un fraintendimento. Il cardinale, infatti, precisa che l'errore della riforma è avvenuto dopo il Concilio, ma non per volere del Concilio.
E' importante chiarire questo punto, poiché molto spesso si tende ad accostare coloro che amano una buona ed autentica liturgia o che si sentono legati alla forma straordinaria del rito romano (quella che era celebrata prima della riforma liturgica degli anni settanta e ripristinata con una certa libertà da papa Benedetto XVI) a degli inguaribili nostalgici, a vuoti esteti che, in ogni caso, rifiutano il Concilio. Come, allora, spiegare queste parole del cardinale Burke, che criticano in alcuni aspetti la riforma liturgica, con il fatto che questa critica non si ponga per forza di cose contro il Concilio?
Per poterlo fare è necessario fare un passo indietro, nel recente passato della Chiesa, ed analizzare da un punto di vista storico e sociale il periodo in cui questa riforma si è sviluppata. Non passa assolutamente in secondo piano il fatto che il Concilio si sia concluso nel 1965, alla vigilia di quel movimento socio-politico che oggi viene chiamato "Contestazione", nel quale specialmente i giovani dell'epoca contestavano il "mondo degli adulti", ritenuto troppo chiuso e repressivo. Sotto la spinta di queste correnti di pensiero, ed in parte cercando di accoglierne le critiche, la Chiesa che stava cominciando a rileggere e meditare i documenti del Concilio fu spesso tentata dall'errore di "supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo rappresenti una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato" (Paolo VI, omelia in occasione del 1° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II). Nasceva cioè quella che Benedetto XVI ha definito, in uno storico discorso alla curia romana, l'Ermeneutica della discontinuità, secondo la quale l'altare addossato alla parete, il latino ed il canto gregoriano, l'organo, la musica polifonica e quella popolare, nonché, talvolta, addirittura il carattere sacrificale della Santa Messa devono essere abbandonati, perché retaggio di un passato ormai anacronistico, inutili superstizioni o linguaggi non più alla portata del popolo (anche se non si capisce bene come lo fossero una volta, quando la gente andava a lavorare nei campi con a malapena la seconda elementare e non lo siano più oggi quando i mezzi per la cultura di base sono alla portata di tutti). Diceva il papa, parlando dell'ermeneutica della discontinuità:

«Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale.»
(Benedetto XVI, Discorso alla curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005)

Con queste parole chiare ed efficaci del papa, possiamo dire che le parole del cardinale Burke hanno trovato una esauriente spiegazione. Se seguiamo i testi del Concilio, ci accorgiamo che essi non intendono affatto eliminare il latino, il gregoriano, girare gli altari o cambiare il contenuto dottrinale che viene trasmesso dalla Santa Messa. In effetti, all'ermeneutica della discontinuità si contrappone una lettura del Concilio nel senso della continuità con il Magistero immutabile della Chiesa; in questa chiave di lettura comprendiamo perché il papa ha, per così dire, liberalizzato la celebrazione della Messa secondo il rito detto di san Pio V, che era quello in cui la Messa era celebrata prima del Concilio in tutte le chiese cattoliche del mondo, in Italia come negli Stati Uniti d'America o in Australia.
La liturgia non è, quindi, un'invenzione dell'uomo, ma un dono di Dio, che l'uomo ha il dovere di ricevere, apprezzare e salvaguardare. Continua, infatti, il cardinale Burke:

«La Sacra Liturgia è l'azione di Gesù Cristo, vivo nel suo Corpo mistico per l'effusione dello Spirito Santo. E' il suo dono a noi, che noi dobbiamo ricevere, apprezzare e salvaguardare secondo l'indicazione dei nostri pastori e specialmente il Santo Padre, vicario di Cristo il Buon Pastore, sulla terra, e perciò pastore della Chiesa Universale.»

Sempre attingendo al Magistero di papa Benedetto, scopriamo anche che il ripristino del Missale antico, accanto a quello nuovo, non vuol essere sorgente di divisione. Sarà piuttosto causa di arricchimento tra l'una e l'altra forma, affinché anche oggi, sebbene intaccati dalla mentalità moderna che tende al relativismo e alla banalizzazione di ogni cosa, specialmente nell'ambito religioso, non cessiamo di nutrirci del bene che la liturgia antica ha trasmesso anche ai nostri padri e ai nostri santi (san Francesco, san Giovanni Bosco, san Pio X, san Pio da Pietrelcina...). E tramite l'apporto della liturgia antica potremo evitare, nelle nostre liturgie odierne, gli abusi che derivano dal tentativo di secolarizzare anche la Santa Messa (introducendo gestualità, linguaggi, musiche profane, tutte cose che, per dirla come Paolo VI e Giovanni Paolo II, "si precludono da sé l’ingresso nella sfera del sacro e del religioso"). Dice il cardinale Burke citando il Santo Padre (Lettera ai vescovi in occasione della promulgazione del Motu Proprio Summorum Pontificum):

«"Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto".
Seguendo il Magistero del Santo Padre, molto giustamente celebriamo il rito romano secondo la forma straordianaria oggi per aiutarci ad entrare più pienamente nella conoscenza del mistero della Fede, il mistero dell'Amore di Dio verso di noi, e rispondere al mistero con amore puro e disinteressato verso Dio e il prossimo.
»

Preghiamo, dunque, il Signore Gesù Cristo perché ci conceda di servirlo nella liturgia con la docilità che Lui stesso ci ha insegnato, rimanendo sottomesso a Maria e Giuseppe nella Santa Famiglia di Nazareth, e perché anche noi possiamo crescere, oltre che in età, in sapienza e grazia davanti a Dio. Con questi sentimenti continuiamo ad attendere la visita del papa in mezzo a noi i prossimi 7 e 8 maggio.

Qui di seguito potete ascoltare per intero l'omelia del cardinale Burke:

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