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giovedì 31 maggio 2012

Risposta del Papa ai nostri auguri

E' recentemente stata recapitata nella casella postale della Canonica la risposta del Papa, a firma di mons. Peter B. Wells assessore presso la prima sezione della Segreteria di Stato Vaticana, al messaggio di auguri che, come Comunità parrocchiale, avevamo inviato al Sommo Pontefice in occasione dell'anniversario della sua elezione al soglio di Pietro e del suo compleanno. Nel pubblicare questa risposta, ed una copia della lettera, invito tutti i lettori di questo blog a pregare per il Papa, in particolar modo in questi giorni in cui viene attaccato senza pietà, con falsità e calunnie, su tutti i fronti. Vogliamo bene al Papa, nostro pastore e guida, difendiamolo da questi biechi attacchi e facciamogli sentire in ogni momento la nostra vicinanza (anche a questo serve la lettera che tempo fa gli abbiamo inviato): che il Signore ce lo conservi ancora a lungo.

SEGRETERIA DI STATO
PRIMA SEZIONE - AFFARI GENERALI
Dal Vaticano, 24 maggio 2012


N. 199.500

Reverendo Signore,

sono giunti graditi al Santo Padre i cordiali voti augurali che Ella, anche a nome di codesta Comunità parrocchiale, ha voluto inviarGli in occasione delle Sue ricorrenze personali.

Il Sommo Pontefice desidera ringraziare per il premuroso attestato di filiale devozione, avvalorato dalla preghiera e dall'offerta delle sofferenze, e, mentre invoca dal Signore risorto la luce della Verità e del Bene, che ha squarciato le tenebre della morte e ha recato nel mondo lo splendore di Dio, di cuore imparte la Benedizione Apostolica, estendendola volentieri a quanti si sono uniti nel gentile gesto.

Profitto della circostanza per confrermarmi con sensi di distinta stima

 dev.mo nel Signore
Mons. Peter B. Wells
Assessore

Copia della lettera 

martedì 29 maggio 2012

La Messa è finita: potete fare confusione

Prendo in prestito questo titolo di un articolo apparso nell'edizione di marzo della rivista Liturgia Culmen et Fons per parlare di un problema purtroppo diffuso nella stragrande maggioranza delle nostre chiese: la mancanza del sacro silenzio. A chi, infatti, si è trovato ad entrare in chiesa per la Santa Messa, specialmente dopo che la Messa d'orario precedente è terminata, sarà certamente capitato di imbattersi in un'atmosfera che ben poco ha di luogo sacro, ma piuttosto di mercato o di piazza pubblica. Il periodo di tempo che precede o segue immediatamente la Santa Messa è per molti il momento adatto per salutare gli amici ed intrattenersi un po' con loro per fare due parole; anzi, potrebbe sembrare in qualche modo maleducato non soffermarsi con chi si conosce, quando lo si vede in chiesa. Ma è davvero così? Qual è l'atteggiamento più corretto per il fedele che sta in chiesa? Prendo spunto da un articolo pubblicato su Vatican Insider a firma di Giacomo Galeazzi (grassetto mio).

Il silenzio che avvicina a Dio
Regole e indicazioni per il "bon ton" del raccoglimento

Di Giacomo Galeazzi

Alla messa è buona norma osservare sempre il silenzio: se c’è necessità di parlare bisogna farlo sottovoce. La legge del silenzio vige in chiesa e in sagrestia prima e dopo la celebrazione. A giudizio di Romano Guardini, teologo di riferimento di Benedetto XVI, «la vita liturgica inizia con il silenzio, senza di esso tutto appare inutile e vano: il tema del silenzio è molto serio, molto importante e purtroppo molto trascurato. Il silenzio è il primo presupposto di ogni azione sacra».

La «Institutio generalis Missalis Romani include un riferimento a ciò che precede la Messa: «Anche prima della celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione». Nelle funzioni religiose,il fedele «doc» si distingue perché è disciplinato e rispettoso delle regole. Conosce per filo e per segno in quali frangenti rimanere seduto,inchinarsi,stare in ginocchio, uscire.

E soprattutto è puntuale: non è educato arrivare a celebrazione in corso. All’entrata della chiesa si fa il segno della croce con l’acqua benedetta e, quando il celebrante invita allo scambio della pace, porge la mano destra solo ai vicini, senza lasciare il posto e senza girovagare troppo. Al momento della comunione:,chi riceve l’ostia consacrata sulla mano deve prenderla delicatamente con le dita della mano destra e portarla alla bocca. Durante i canti, anche se non si è intonati, è bene prendere parte cantando per dimostrare la partecipazione attiva.

Per pregare e cantare, occorre unire la propria voce a quella degli altri, senza gridare. Gli stonati almeno siano a tempo. Le candele, poi, non vanno accese tanto per farlo, ma solo se predisposti alla preghiera. «Sin dalle origini della Chiesa, si incontrano testimonianze che mostrano come la celebrazione eucaristica esiga necessariamente una preparazione previa, non solo da parte del sacerdote celebrante, bensì di tutto il popolo fedele», spiega don Juan José Silvestre, docente di liturgia presso la pontificia università della Santa Croce e consultore della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, nonché dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.

Perciò, conviene che tutti osservino il silenzio: sia il celebrante («che in questo momento preparatorio deve ricordarsi di nuovo che si mette a disposizione di Colui che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro»), sia i fedeli che, «prima che inizi la celebrazione, devono prepararsi per l’incontro con il loro Signore». Perché «Cristo non li convoca solo per parlare loro della sua futura Passione, morte e risurrezione; bensì il suo mistero pasquale si fa realmente presente nella Santa Messa, perché possano partecipare di Lui».

In questa linea, annota il Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’assemblea deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, essere un popolo ben disposto. Questa preparazione dei cuori è opera comune dello Spirito Santo e dell’assemblea, in particolare dei suoi ministri. La grazia dello Spirito Santo cerca di risvegliare la fede, la conversione del cuore e l’adesione alla volontà del Padre. Queste disposizioni sono il presupposto per l’accoglienza delle altre grazie offerte nella celebrazione stessa e per i frutti di vita nuova che essa è destinata a produrre in seguito». Precisa don Juan José Silvestre:«In questo contesto di preparazione alla celebrazione, i ministri hanno un ruolo imprescindibile ed il silenzio occupa un luogo preminente.

Silenzio che non è una semplice pausa, nella quale ci assalgono mille pensieri e desideri, bensì quel raccoglimento che ci dà pace interiore, che ci permette di riprendere respiro e che svela ciò che è vero». Il silenzio è parte della celebrazione. «In primo luogo perché esso favorisce il clima di preghiera che deve caratterizzare qualunque azione liturgica- evidenzia-. La celebrazione è preghiera, dialogo con Dio, e il silenzio è il luogo privilegiato della rivelazione di Dio.

La permanenza nel deserto, ed il silenzio che spontaneamente viene evocato da questa immagine, segnano tutta la relazione tra Israele e il suo Signore». Inoltre, «la sagrestia e la navata della chiesa, nei momenti che precedono la celebrazione, dovrebbero essere quel luogo deserto nel quale Gesù si ritira prima degli avvenimenti più importanti: il deserto è il luogo di silenzio, della solitudine; esso suppone un allontanarsi, l’abbandonare per un momento le occupazioni quotidiane, il rumore, la superficialità». E come ricordava il cardinale Ratzinger, predicando gli esercizi spirituali a Giovanni Paolo II, «tutte le cose grandi iniziano nel deserto, nel silenzio, nella povertà. Non si può partecipare alla missione di Gesù, alla missione del Vangelo, senza partecipazione all’esperienza del deserto, della sua povertà, della sua fame. Chiediamo al Signore che ci conduca, che ci faccia trovare quel silenzio profondo in cui abita la sua parola».


Fonte: vaticaninsider.lastampa.it

martedì 22 maggio 2012

46ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - Messaggio del Papa

Cari fratelli e sorelle,

all’avvicinarsi della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2012, desidero condividere con voi alcune riflessioni su un aspetto del processo umano della comunicazione che a volte è dimenticato, pur essendo molto importante, e che oggi appare particolarmente necessario richiamare. Si tratta del rapporto tra silenzio e parola: due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone. Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato.

Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci. Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena. Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa. Dal silenzio, dunque, deriva una comunicazione ancora più esigente, che chiama in causa la sensibilità e quella capacità di ascolto che spesso rivela la misura e la natura dei legami. Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio. Una profonda riflessione ci aiuta a scoprire la relazione esistente tra avvenimenti che a prima vista sembrano slegati tra loro, a valutare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì che si possano condividere opinioni ponderate e pertinenti, dando vita ad un’autentica conoscenza condivisa. Per questo è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema” che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni.

Gran parte della dinamica attuale della comunicazione è orientata da domande alla ricerca di risposte. I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte. Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti. Nel complesso e variegato mondo della comunicazione emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? E’ importante accogliere le persone che formulano questi interrogativi, aprendo la possibilità di un dialogo profondo, fatto di parola, di confronto, ma anche di invito alla riflessione e al silenzio, che, a volte, può essere più eloquente di una risposta affrettata e permette a chi si interroga di scendere nel più profondo di se stesso e aprirsi a quel cammino di risposta che Dio ha iscritto nel cuore dell’uomo.

Questo incessante flusso di domande manifesta, in fondo, l’inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi, che diano senso e speranza all’esistenza. L’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e condividiamo questo profondo anelito, tanto più nel nostro tempo in cui “quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali” (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2011).

Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità. Non c’è da stupirsi se, nelle diverse tradizioni religiose, la solitudine e il silenzio siano spazi privilegiati per aiutare le persone a ritrovare se stesse e quella Verità che dà senso a tutte le cose. Il Dio della rivelazione biblica parla anche senza parole: “Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. (…) Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio” (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 30 settembre 2010, 21). Nel silenzio della Croce parla l’eloquenza dell’amore di Dio vissuto sino al dono supremo. Dopo la morte di Cristo, la terra rimane in silenzio e nel Sabato Santo, quando “il Re dorme e il Dio fatto carne sveglia coloro che dormono da secoli” (cfr Ufficio delle Letture del Sabato Santo), risuona la voce di Dio piena di amore per l’umanità.

Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, pure l’uomo scopre nel silenzio la possibilità di parlare con Dio e di Dio. “Abbiamo bisogno di quel silenzio che diventa contemplazione, che ci fa entrare nel silenzio di Dio e così arrivare al punto dove nasce la Parola, la Parola redentrice” (Omelia, S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 6 ottobre 2006). Nel parlare della grandezza di Dio, il nostro linguaggio risulta sempre inadeguato e si apre così lo spazio della contemplazione silenziosa. Da questa contemplazione nasce in tutta la sua forza interiore l’urgenza della missione, la necessità imperiosa di “comunicare ciò che abbiamo visto e udito”, affinché tutti siano in comunione con Dio (cfr 1 Gv 1,3). La contemplazione silenziosa ci fa immergere nella sorgente dell’Amore, che ci conduce verso il nostro prossimo, per sentire il suo dolore e offrire la luce di Cristo, il suo Messaggio di vita, il suo dono di amore totale che salva.

Nella contemplazione silenziosa emerge poi, ancora più forte, quella Parola eterna per mezzo della quale fu fatto il mondo, e si coglie quel disegno di salvezza che Dio realizza attraverso parole e gesti in tutta la storia dell’umanità. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Rivelazione divina si realizza con “eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum, 2). E questo disegno di salvezza culmina nella persona di Gesù di Nazaret, mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione. Egli ci ha fatto conoscere il vero Volto di Dio Padre e con la sua Croce e Risurrezione ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla libertà dei figli di Dio. La domanda fondamentale sul senso dell’uomo trova nel Mistero di Cristo la risposta capace di dare pace all’inquietudine del cuore umano. E’ da questo Mistero che nasce la missione della Chiesa, ed è questo Mistero che spinge i cristiani a farsi annunciatori di speranza e di salvezza, testimoni di quell’amore che promuove la dignità dell’uomo e che costruisce giustizia e pace.

Parola e silenzio. Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione: silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo. A Maria, il cui silenzio “ascolta e fa fiorire la Parola” (Preghiera per l’Agorà dei Giovani a Loreto, 1-2 settembre 2007), affido tutta l’opera di evangelizzazione che la Chiesa compie tramite i mezzi di comunicazione sociale.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2012, Festa di san Francesco di Sales

BENEDICTUS PP. XVI


© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

giovedì 17 maggio 2012

Restaurata la pala della Pentecoste

Dopo un attento restauro lungo quasi un anno, il nostro Duomo riaccoglie, proprio all'inizio della Novena di Pentecoste, la pala che fino ai primi anni del secolo scorso ornava l'altare dello Spirito Santo, e raffigurante, appunto, la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e sulla Beata Vergine Maria riuniti nel cenacolo. Il restauro ha avuto il merito di restituire al dipinto la brillantezza dei colori che col tempo si era perduta, e ci permette di riscoprire alcuni particolari dell'opera che prima si potevano soltanto intuire. E' innanzitutto da precisare che la pala non era nata con la forma attuale, che termina ad arco, bensì era di forma rettangolare; com'era consuetudine nel periodo barocco, la pala originale fu adattata alla forma dell'altare che doveva adornare. Ce ne si può rendere conto, nell'opera attuale, da alcuni particolari: il più evidente si trova nell'apice, dove si intravede solamente lo Spirito Santo sotto forma di colomba, la quale, invece, doveva naturalmente essere intera; e la forma degli archi che si trovano sullo sfondo, nonché il viso di uno degli Apostoli, ci fanno capire che l'opera originale doveva estendersi di più anche in larghezza.
La datazione della pala è incerta; da alcuni tratti dei visi della Vergine e di San Giovanni (l'Apostolo che si trova in primo piano sulla destra), che richiamano lo stile di Jacopo Palma il Giovane (1544-1628), si potrebbe asserire che risalga alla metà o alla fine del '600. Tuttavia è indubbio che l'opera ha visto la collaborazione di almeno due diversi artisti, forse maestro e allievo, come si evince dalla differenza tra i volti sopra citati e quello, ad esempio, di San Pietro (l'Apostolo in primo piano a sinistra); queste caratteristiche sposterebbero la datazione piuttosto verso la fine del '600 o inizio del '700.
La scena che l'osservatore si trova di fronte è quella descritta nel Libro degli Atti degli Apostoli (At 2, 1-13): gli Apostoli riuniti, insieme con Maria, nel Cenacolo ricevono il dono dello Spirito Santo, che si presenta loro sotto forma di vento che si abbatte gagliardo e di lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di essi. Sopra la testa di tutti i soggetti, infatti, vediamo posata una fiammella, che arriva dalla colomba dello Spirito Santo posta all'apice dell'opera. Tuttavia possiamo notare che vi sono altre lingue di fuoco, oltre a quelle posate sulla testa degli Apostoli e della Madonna, che lo Spirito Santo emana; probabilmente in questo modo l'artista ha voluto significare che lo Spirito Santo è mandato dal Padre per tutti i credenti, in ogni momento della storia.
Ulteriori particolari iconografici sono i colori delle vesti, che rispecchiano quelli della tradizione: per san Pietro il blu ed il giallo, con le chiavi ai piedi, per san Giovanni e la Vergine il blu e il rosso; san Giovanni, con il libro aperto sulle ginocchia, è intento a scrivere (il pennino è stato riportato alla luce proprio in questo restauro). Inoltre si può leggere lo stupore nel volto di tutti gli Apostoli, ma al contrario il volto della Vergine sembra sereno, non stupefatto come quello degli Apostoli; segno, questo, dell'intima unione spirituale fra la Madre di Cristo ed il suo Figlio.
Il quadro restaurato resterà esposto nel presbiterio, vicino all'altare, fino a domenica 27 maggio, giorno di Pentecoste; poi tornerà al suo posto sulla navata sinistra, tra il trittico affrescato di Santa Caterina, San Nicolò e San Rocco e la pala di Sant'Antonio da Padova.

lunedì 14 maggio 2012

Tesori d'arte sacra: il Fonte Battesimale

Nel nostro appuntamento mensile con i capolavori d'arte sacra custoditi nel Duomo, nel Museo e nel Santuario, cominciamo oggi a descrivere le opere custodite nella navata destra, a cominciare dal Fonte Battesimale cinquecentesco custodito sotto l'arco dell'absidicola destra. Si tratta di una grande vasca circolare, decorata esternamente a spicchi, sorretta da un sostegno a forma di idria, pure in marmo, e poggiante su un piedistallo in pietra; l'attuale copertura bronzea è opera di Igino Legnaghi, e risale al 1975, epoca in cui il Fonte è stato spostato nell'attuale posizione, a forma di cono troncato e recante alcuni bassorilievi raffiguranti alcuni simboli cristiani, quali l'albero della vita o la colomba dello Spirito Santo: la struttura culmina con la statua, sempre in bronzo, del Cristo Risorto, con in mano il vessillo. Intorno alla vasca e sul piedistallo si trova l'iscrizione che risale alla consacrazione del Fonte Battesimale, compiuta nel 1587 dal vescovo di Caorle Girolamo Righettino, divisa in cinque parti inframmezzate dagli stemmi scolpiti dello stesso presule, della città di Caorle, della Serenissima e del parroco del Duomo in quell'epoca, Antonio Dalla Torre (vedi foto in fondo). Ricostruita, l'iscrizione recita:
- Stemma del vescovo Girolamo Righettino -
REVERENDISSIMI · DOMINI · HIERONIMI · RIGHETTINI · CAPRULARUM ·EPISCOPI ·
SOLICITVDINE ·

- Stemma della città di Caorle -
CIVIVM · POPVLORVM · QVE
PIETATE ·
- Stemma della Serenissima -
SVB · REVERENDO · PRAESBITERO · ANTONIO · A · TVRRE · PLEBANO · ET · CLARISSIMO
HIERONIMO · BALBO · PRAETORE ·
- Stemma del parroco del Duomo Antonio Dalla Torre -
HOC · SACRVM · VAS · FABRICATVM
CONSTRVCTVM · ERECTVMQ
VE · FVIT ·

Sul piedistallo
M · D · LXXXVII · DIE
XXIII · MENSIS · IANVARII

La traduzione dell'iscrizione è la seguente: «Con la sollecitudine del Reverendissimo Signore Girolamo Righettino vescovo di Caorle, con la pietà dei cittadini e del popolo, sotto il Reverendo Presbitero Antonio Dalla Torre, Pievano, e il Chiarissimo Girolamo Balbi, pretore, questo sacro vaso fu fabbricato, costruito ed eretto il 23 del mese di Gennaio 1587».
Il Battistero era prima posto all'interno della Chiesa delle Grazie, costruita di fronte alla facciata del Duomo e addossata al campanile; a testimonianza di ciò, dopo i restauri del 1999 che hanno riportato alla luce il perimetro di quella antica costruzione, sono state poste sul sagrato delle lastre bianche che ricalcano quella che era l'impronta del Battistero. Successivamente la demolizione di quell'edificio, avvenuto intorno ai primi anni del 1900, il Battistero fu collocato nella cappella laterale che oggi custodisce l'altare e la statua di San Rocco. Oggi trova la sua collocazione appunto, sotto l'absidicola destra, al muro destro del quale è custodita anche una lastra in bronzo sulla quale è scolpita a bassorilievo la scena del Battesimo di Gesù, opera di Igino Legnaghi degli anni '70.

Stemma del vescovo Girolamo RighettinoStemma della città di CaorleStemma della Repubblica SerenissimaStemma del parroco Antonio Dalla Torre

domenica 13 maggio 2012

Beata Vergine Maria di Fatima

Scritto da Lucia di Fatima nel 1937 per ordine del vescovo di Leiria, che le ordinò di scrivere la storia della sua vita e delle apparizioni, esattamente come erano avvenute.

Prima apparizione angelica

Un bel giorno andammo con le nostre pecorelle nella proprietà dei miei, situata ai piedi del monte di cui ho parlato, dalla parte rivolta verso levante. Questa proprietà si chiama Chousa Velha. Verso metà mattina, cominciò a cadere una pioggerellina fine, poco più che una rugiada. Risalimmo il pendio del monte, seguiti dalle nostre pecorelle, in cerca di una roccia che ci servisse da riparo. Fu allora che per la prima volta entrammo in quella benedetta grotta. Si trova in mezzo a un uliveto e appartiene al mio padrino Anastácio. Da lì si vede il piccolo paesetto dove sono nata, la casa dei miei genitori, i paesini di Casa Velha e Eira da Pedra. L'uliveto ha parecchi proprietari e si estende fino a confondersi con questi piccoli paesetti. Lì passammo la giornata, anche se aveva smesso di piovere ed era apparso un sole bello e splendente. Facemmo lo spuntino e recitammo il nostro Rosario e chissà forse uno di quelli che noi usavamo dire per la fretta di poter giocare, come ho già raccontato a V.E., passando i grani e dicendo solo le parole: Ave, Maria e Padre nostro! Finito di pregare, cominciammo a giocare con i sassolini. Si stava giocando da qualche momento ed ecco che un vento forte scuote gli alberi e ci fa alzare gli occhi per vedere cosa succedeva, perché il giorno era sereno. Vediamo allora che sopra l'uliveto viene verso di noi quella figura di cui ho già parlato. Giacinta e Francesco non l'avevano mai vista e io non gliene avevo mai parlato. A mano a mano che si avvicinava, riuscivamo a scorgerne le fattezze: un giovane di 14 o 15 anni, più bianco che se fosse stato di neve, e il sole lo rendeva trasparente come se fosse stato di cristallo e di una grande bellezza. Arrivato vicino a noi ci disse: «Non abbiate paura. Sono l'angelo della pace. Pregate con me». E, inginocchiatosi per terra, curvò la fronte fino al suolo e ci fece ripetere tre volte queste parole: «Mio Dio, io credo, adoro, spero e vi amo! Vi domando perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non vi amano». Poi, alzandosi disse: «Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria stanno attenti alla voce delle vostre suppliche». Le sue parole s'impressero talmente nel nostro spirito, che noi non le scordammo mai più. E da allora noi trascorrevamo lunghi periodi di tempo, così prosternati, ripetendole a volte fino a cadere dalla stanchezza. Raccomandai subito che era necessario mantenere il segreto e, questa volta, grazie a Dio, fecero come volevo io.

Seconda apparizione angelica

Passò un bel po' di tempo e un giorno d'estate, che eravamo andati a passare la siesta a casa, stavamo giocando in cima a un pozzo, che i miei avevano in fondo al giardino e che si chiamava Arneiro. (Nello scritto su Giacinta, ho già parlato anche di questo pozzo). Improvvisamente, vediamo vicino a noi la stessa figura, o angelo, come mi pare che doveva essere e dice: «Che fate? Pregate! Pregate molto! I Cuori di Gesù e di Maria hanno sopra di voi disegni di misericordia. Offrite costantemente all'Altissimo preghiere e sacrifici». «Come dobbiamo sacrificarci?» domandai. «Di tutto quello che potrete, offrite un sacrificio in atto di riparazione dei peccati con cui Lui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori. Attirate così sopra la vostra patria la pace. Io sono il suo angelo custode, l'angelo del Portogallo. Soprattutto accettate e sopportate con sottomissione le sofferenze che il Signore vi manderà».

Terza apparizione angelica

Passò parecchio tempo e andammo a pascolare il gregge in una proprietà dei miei genitori situata sul pendio del monte di cui ho parlato, un po' sopra Valinhos. È un uliveto chiamato Pregueira. Finito lo spuntino, decidemmo di andare a pregare nella grotta che restava dall'altra parte del monte. Perciò si fece un mezzo giro sul pendio e dovemmo arrampicarci su per alcune rocce, situate proprio in cima alla Pregueira. Le pecore riuscirono a passare con molta difficoltà. Appena arrivati ci mettemmo in ginocchio con la faccia a terra e cominciammo a ripetere la preghiera dell'angelo: «Mio Dio, io credo, adoro, spero e vi amo ecc.». Non so quante volte avevamo ripetuto questa preghiera, quando vediamo che sopra di noi brilla una luce sconosciuta. Ci alziamo per vedere che cosa stava succedendo e vediamo l'angelo che aveva nella mano sinistra un calice, sopra il quale stava sospesa un'ostia, dalla quale cadevano alcune gocce di sangue dentro al calice. L'angelo lascia sospeso il calice per aria, s'inginocchia vicino a noi e ci fa ripetere tre volte: «Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e indifferenze con cui Egli stesso è offeso. E per i meriti infiniti del suo Santissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, vi domando la conversione dei poveri peccatori». Poi si alzò, prese nelle mani il calice e l'ostia. Diede a me l'ostia e il calice lo divise tra Giacinta e Francesco, dicendo nello stesso tempo: «Prendete e bevete il corpo e il sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio». E, prostrandosi nuovamente in terra, ripeté con noi altre tre volte la medesima preghiera: «Santissima Trinità ecc.», e scomparve. Noi rimanemmo nella stessa posizione, ripetendo sempre le stesse parole e quando ci alzammo, vedemmo che s'era fatto sera e perciò era ora che ce ne andassimo a casa.

Prima apparizione

Mentre stavo per giocare con Giacinta e Francesco, in cima al pendio della Cova da Iria, a fare un muretto intorno a una macchia, vedemmo, all'improvviso, qualcosa come un lampo. «È meglio che ce n'andiamo a casa» dissi ai miei cugini «perché sta lampeggiando. Potrebbe venire un temporale». «Sì, andiamo». E cominciammo a scendere il pendio, spingendo le pecore verso la strada. Arrivati all'incirca a metà pendio, quasi vicino a un grande leccio che c'era lì, vedemmo un altro lampo e, fatti alcuni passi più avanti, vedemmo sopra un'elce una Signora, tutta vestita di bianco, più brillante del sole che diffondeva luce più chiara e intensa di un bicchiere di cristallo pieno di acqua cristallina, attraversata dai raggi del sole più ardente. Sorpresi dall'apparizione, ci fermammo. Eravamo così vicini, che ci trovammo dentro alla luce che la circondava o che Lei diffondeva. Forse a un metro e mezzo di distanza, più o meno. Allora la Madonna ci disse: «Non abbiate timore. Io non vi faccio del male». «Di dove siete?» le domandai. «Sono del cielo». «E che cos'è che volete da me?». «Sono venuta a chiedervi che veniate qui sei mesi di seguito, il giorno 13 a questa stessa ora. Poi dirò chi sono e che cosa voglio. Poi tornerò ancora qui una settima volta». «E anch'io andrò in cielo?». «Sì, ci andrai». «E Giacinta?». «Anche lei». «E Francesco?». «Pure, ma deve recitare molti Rosari». Mi ricordai allora di chiedere di due ragazze che erano morte da poco. Erano mie amiche e stavano in casa mia per imparare a tessere con la mia sorella più vecchia. «Maria das Neves è già in cielo?». «Sì». (Mi pare che avrà avuto più o meno sedici anni). «E Amelia?». «È in purgatorio fino alla fine del mondo». (Mi pare che avrà avuto da diciotto a vent'anni). «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze ch'Egli vorrà inviarvi, in atto di riparazione dei peccati con cui Egli è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori?». «Sì, vogliamo». «Avrete dunque molto da soffrire, ma la grazia di Dio sarà il vostro conforto». Fu al pronunciare queste parole («la grazia di Dio ecc.»), che aprì per la prima volta le mani, comunicandoci una luce molto intensa, come un riflesso che da esse usciva, che ci penetrava nel petto e nel più intimo dell'anima, facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella stessa luce, più chiaramente di quanto non ci vediamo nel migliore degli specchi. Allora, per un impulso intimo, anch'esso comunicato, cademmo in ginocchio e ripetemmo intimamente: «O Santissima Trinità, io vi adoro. Mio Dio, mio Dio, io vi amo nel Santissimo Sacramento». Passati i primi momenti, la Madonna aggiunse: «Recitate il Rosario tutti i giorni per ottenere la pace per il mondo e la fine della guerra». Subito dopo, cominciò a elevarsi serenamente, salendo verso levante, fino a scomparire nell'immensità della distanza. La luce che la circondava apriva come un sentiero tra la massa degli astri, motivo per cui alcune volte abbiamo detto di aver visto il cielo aprirsi.

Seconda apparizione

Dopo aver recitato il Rosario con Giacinta e Francesco ed altre persone presenti, vedemmo di nuovo il riflesso della luce che si avvicinava (e che noi chiamavamo «lampo»); e, subito dopo, la Madonna sopra l'elce, tutto come nel mese di maggio. «Che cosa volete da me?» domandai. «Voglio che veniate qui il 13 del prossimo mese, che recitiate il Rosario tutti i giorni e che impariate a leggere. Poi dirò quello che voglio». Chiesi la guarigione di un malato. «Se si converte, guarirà durante l'anno». «Vorrei chiedervi di portarci in cielo». «Sì, Giacinta e Francesco li porterò presto. Ma tu resterai qua ancora per un po'. Gesù vuol servirsi di te per farmi conoscere e amare. Lui vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato». «Resto qui sola?» domandai afflitta. «No, figlia. E tu soffri molto per questo? Non ti scoraggiare. Io mai ti lascerò. Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e il cammino che ti condurrà fino a Dio». Fu nell'istante in cui disse queste ultime parole, che aprì le mani e ci comunicò per la seconda volta il riflesso di quella luce immensa. In essa noi ci vedevamo come immersi in Dio. Giacinta e Francesco pareva che stessero nella parte di quella luce che si elevava verso il cielo e io in quella che si diffondeva sulla terra. Davanti al palmo della mano destra della Madonna c'era un cuore circondato di spine, che pareva vi stessero conficcate. Comprendemmo che era il Cuore Immacolato di Maria, oltraggiato dai peccati dell'umanità, che voleva riparazione. Ecco, eccellenza reverendissima, a che cosa ci riferivamo quando dicevamo che la Madonna ci aveva rivelato un segreto in giugno. La Madonna non ci ordinava ancora, questa volta, di mantenere il segreto. Ma sentivamo dentro che Dio a questo ci spingeva.

Terza apparizione

Alcuni momenti dopo essere arrivati alla Cova da Iria, vicino all'elce, tra una numerosa folla di popolo, mentre dicevamo il Rosario, vedemmo il riflesso della luce familiare e, subito dopo, la Madonna sopra l'elce. «Che cosa volete da me?» domandai. «Voglio che veniate qui il 13 del prossimo mese, che continuiate a recitare il Rosario tutti i giorni in onore della Madonna del Rosario per ottenere la pace del mondo e la fine della guerra, perché solo Lei vi potrà aiutare». «Vorrei chiedervi di dirci chi siete, e di fare un miracolo con il quale tutti credano che Voi ci apparite». «Continuate a venire qui tutti i mesi. In ottobre dirò chi sono, quello che voglio e farò un miracolo che tutti vedranno per credere». A questo punto feci alcune richieste, che non ricordo bene quali furono. Quel che mi ricordo è che la Madonna disse che era necessario recitare il Rosario per ottenere le grazie durante l'anno. E continuò: «Sacrificatevi per i peccatori e dite molte volte, specialmente quando fate qualche sacrificio: "O Gesù, è per vostro amore, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria"». Mentre diceva queste ultime parole, aprì di nuovo le mani come nei due mesi passati. Il riflesso parve penetrare la terra e vedemmo come un mare di fuoco, immersi in questo fuoco i demoni e le anime come se fossero braci trasparenti e nere o abbronzate, con forma umana, che fluttuavano nell'incendio, sollevate dalle fiamme che da loro stesse uscivano insieme a nuvole di fumo, e ricadevano da tutte le parti, simili al cadere di faville nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e di disperazione, che terrorizzava e faceva tremare di paura. (Dev'essere stato l'impatto con questa visione che mi fece pronunciare quell'«ahi» che dicono di aver sentito da me). I demoni si distinguevano per forme orribili e schifose di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni accesi. Spaventati e come per invocare soccorso alzammo gli occhi verso la Madonna, che ci disse con bontà e tristezza: «Avete visto l'inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se faranno quello che io vi dirò, molte anime si salveranno e ci sarà pace. La guerra sta per finire, ma, se non smetteranno di offendere Dio, sotto il regno di Pio XI, ne comincerà un'altra peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per punire il mondo dei suoi crimini per mezzo della guerra, della fame e di persecuzioni alla Chiesa e al santo Padre. Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se ascolteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e ci sarà pace; se no, diffonderà i suoi errori nel mondo promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa; i buoni saranno martirizzati; il Santo Padre avrà molto da soffrire; varie nazioni saranno distrutte. Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre mi consacrerà la Russia che si convertirà e sarà concesso al mondo un periodo di pace. In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede. Ecc. Questo non lo dite a nessuno. A Francesco, sì, potete dirlo.

[L'ecc. è il terzo segreto di Fatima scritto da Lucia di Fatima nel 1944:
Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: "qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti" un Vescovo vestito di Bianco "abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre". Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio.]

Quando recitate il Rosario, dite dopo ogni mistero: "O mio Gesù, perdonateci, liberateci dal fuoco dell'inferno, portate in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose"». Seguì un istante di silenzio e domandai: «Non volete più nulla da me?». «No, oggi non voglio più nulla». E, come al solito, cominciò a elevarsi verso levante fino a scomparire nell'immensa distanza del firmamento.

Quarta apparizione

Andando con le pecore in compagnia di Francesco e di suo fratello Giovanni, in un luogo chiamato Valinhos e intuendo che qualche cosa di soprannaturale si stava avvicinando e ci avvolgeva, supponendo che la Madonna sarebbe venuta ad apparirci, e dispiacendomi che Giacinta restasse senza vederla, chiedemmo al suo fratello Giovanni che andasse a chiamarla. Siccome non voleva andarci, gli diedi due ventini e così partì correndo. Nel frattempo, vidi insieme a Francesco il riflesso della luce, che noi chiamavamo lampo e, arrivata Giacinta, un istante dopo, vedemmo la Madonna sopra un'elce. «Che cosa volete da me?». «Voglio che continuiate ad andare alla Cova da Iria il 13 e che continuiate a recitare il Rosario tutti i giorni. L'ultimo mese farò il miracolo perché tutti credano». «Che cosa volete che si faccia con i soldi che il popolo lascia alla Cova da Iria?». «Facciano due bussole: una portala tu insieme a Giacinta e ad altre due bambine vestite di bianco; l'altra che la porti Francesco con altri tre bambini. I soldi delle bussole sono per la festa della Madonna del Rosario e quello che avanza è per la costruzione di una cappella che mi faranno fare». «Vorrei chiedervi la guarigione di alcuni malati». «Sì, alcuni li guarirò durante l'anno». E, assumendo un aspetto più triste: «Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all'inferno perché non hanno chi si sacrifichi e preghi per loro». E, come al solito, cominciò ad elevarsi verso levante.

Quinta apparizione

Quando l'ora fu vicina, andai con Giacinta e Francesco, tra numerose persone, che a malapena ci lasciavano camminare. Le strade erano piene zeppe di gente perché tutti volevano vederci e parlarci. Lì non c'era rispetto umano. Numerose persone, e perfino signore e signori, riuscendo ad aprirsi un varco tra la folla che si stringeva attorno a noi, venivano a prostrarsi in ginocchio davanti a noi, chiedendo che presentassimo alla Madonna le loro necessità. Altri, non riuscendo ad arrivare vicino a noi, gridavano da lontano: Per amor di Dio chiedete alla Madonna che mi guarisca il figlio che è zoppo. Un altro: che guarisca il mio che è cieco. Un altro: il mio che è sordo. Che mi riporti mio marito, mio figlio che è in guerra; che mi converta un peccatore; che mi dia la salute, perché sono tisico, ecc. ecc. Lì apparivano tutte le miserie della povera umanità e alcuni gridavano perfino dalla cima degli alberi e dai muretti, dove salivano al fine di vederci passare. Dicendo agli uni di sì, dando la mano agli altri per aiutarli ad alzarsi dalla polvere della terra, andavamo avanti grazie ad alcuni signori che ci aprivano un passaggio tra la folla. Quando leggo adesso nel Nuovo Testamento certe scene così affascinanti di quando Nostro Signore passava attraverso la Palestina, mi ricordo di queste a cui ancora così piccina, Nostro Signore mi ha fatto presenziare, nei poveri sentieri e strade da Aljustrel a Fatima e alla Cova da Iria. E rendo grazie a Dio, offrendogli la fede del nostro buon popolo portoghese. E penso: «Se questa gente si umilia così davanti a tre poveri bambini, solo perché ad essi è concessa misericordiosamente la grazia di parlare con la Madre di Dio, che cosa non farebbero se vedessero davanti a sé Gesù Cristo in persona?». Comunque tutto questo non c'entra niente qui; è stata più che altro una distrazione della penna che mi è andata dove io non volevo. Pazienza! Una cosa inutile in più; non la tolgo per non sciupare il quaderno. Arrivammo finalmente alla Cova da Iria, vicino all'elce e cominciammo a dire il Rosario con il popolo. Poco dopo vedemmo il riflesso della luce e, subito dopo, la Madonna sull'elce. «Continuate a recitare il Rosario per ottenere la fine della guerra. In ottobre verrà anche Nostro Signore, la Madonna Addolorata e del Carmine, S. Giuseppe col Bambino Gesù per benedire il mondo. Dio è contento dei vostri sacrifici, ma non vuole che dormiate con la corda, portatela solo durante il giorno». «Mi hanno chiesto di chiedervi molte cose: la guarigione di alcuni malati, di un sordomuto». «Sì, alcuni li guarirò, altri no. In ottobre farò il miracolo perché tutti credano». E cominciando a elevarsi scomparve, come al solito.

Sesta apparizione

Uscimmo di casa abbastanza presto, tenendo conto dei ritardi dell'andata. Il popolo era presente in massa. La pioggia, torrenziale. Mia madre, temendo che quello fosse l'ultimo giorno della mia vita, con il cuore a pezzi per l'incertezza di quello che sarebbe successo, volle accompagnarmi. Durante il cammino, le scene del mese passato, più numerose e commoventi. Nemmeno il fango dei sentieri impediva a quella gente d'inginocchiarsi nell'atteggiamento più umile e supplichevole. Arrivati alla Cova da Iria vicino all'elce, spinta da un movimento interiore, chiesi al popolo di chiudere gli ombrelli per recitare il Rosario. Poco dopo vedemmo il riflesso della luce e subito dopo la Madonna sull'elce. «Che cosa volete da me?». «Voglio dirti che si faccia qui una cappella in mio onore, che sono la Madonna del Rosario, che si continui sempre a recitare il Rosario tutti i giorni. La guerra sta per finire e i soldati torneranno presto alle loro case». «Io avevo molte cose da chiedervi: se guarivate alcuni malati, se convertivate alcuni peccatori, ecc». «Alcuni sì, altri no. È necessario che si correggano, che domandino perdono dei loro peccati». E assumendo un aspetto più triste: «Non offendano più Dio Nostro Signore, che è già molto offeso». E aprendo le mani le fece riflettere sul sole e, mentre si elevava, continuava il riflesso della sua luce a proiettarsi sul sole. Ecco, eccellenza reverendissima, il motivo per cui gridai di guardare verso il sole. Il mio scopo non era richiamare da quella parte l'attenzione del popolo, perché non mi rendevo nemmeno conto della sua presenza. Lo feci solo perché trasportata da un movimento interiore che a ciò mi spinse. Scomparsa la Madonna nell'immensa distanza del firmamento, vedemmo accanto al sole san Giuseppe col Bambino e la Madonna vestita di bianco con un manto azzurro. San Giuseppe e il Bambino parevano benedire il mondo, con i gesti che facevano con la mano, in forma di croce. Poco dopo, svanita questa apparizione, vidi Nostro Signore e la Madonna che mi dava l'impressione d'essere la Madonna Addolorata. Nostro Signore pareva benedire il mondo come aveva fatto san Giuseppe. Svanì questa apparizione e mi parve di vedere ancora la Madonna nelle vesti della Madonna del Carmine.

La grande promessa
Scritto da Lucia di Fatima nel 1927. Il rev. P. José Aparício da Silva visitò Lucia nella casa di noviziato a Tuy. Parlarono della devozione dei primi sabati. Egli le disse di mettere questo argomento per iscritto. Lei si sentì imbarazzata a farlo in prima persona e chiese di scriverlo in terza persona.

Il 10 dicembre 1925, le apparve la Santissima Vergine e, al suo fianco, sospeso su una nuvola luminosa, Gesù Bambino. La Santissima Vergine mise la mano sulla spalla di Lucia e, mentre lo faceva, le mostrò un Cuore circondato di spine che aveva nell'altra mano. Allo stesso tempo, Gesù Bambino disse: «Abbi compassione del Cuore della tua Santissima Madre, che è coperto di spine, che gli uomini ingrati in tutti i momenti vi infiggono, senza che vi sia chi faccia un atto di riparazione per toglierle». In seguito, la Santissima Vergine disse: «Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato di spine, che gli uomini ingrati in tutti i momenti vi infiggono, con bestemmie e ingratitudini. Tu, almeno, cerca di consolarmi, e di' che tutti quelli che per cinque mesi, il primo sabato, si confesseranno, riceveranno la Santa Comunione, reciteranno una corona del Rosario e mi faranno quindici minuti di compagnia meditando sui quindici misteri del Rosario, con l'intenzione di offrirmi riparazione, io prometto di assisterli nell'ora della morte con tutte le grazie necessarie alla loro salvezza». Il 15 febbraio del 1926, le apparve di nuovo Gesù Bambino. Le domandò se aveva diffuso la devozione alla sua Santissima Madre. Lei gli espose le difficoltà che il confessore aveva e gli disse che la madre superiora era pronta a diffonderla; ma che il confessore aveva detto che lei da sola non poteva fare niente. Gesù rispose: «È vero che la madre superiora, da sola, non può niente; ma, con la mia grazia, può tutto». Fece presente la difficoltà che alcune anime avevano a confessarsi al sabato, e chiese se potesse essere valida la confessione di otto giorni. Gesù rispose: «Sì. Può essere anche di molti più giorni, basta che siano in grazia il primo sabato, quando mi ricevono; e si siano confessati con l'intenzione di offrire riparazione al Sacro Cuore di Maria». Lei domandò: «Mio Gesù! E coloro che si dimenticassero di formare questa intenzione?». Gesù rispose: «Possono formarla in seguito in un'altra confessione seguente, approfittando della prima occasione che avranno di confessarsi».

Scritto da Lucia di Fatima nel 1930, in risposta alla domanda del rev. P. José Bernardo Gonçalves: Perché devono essere «5 sabati» e non 9 oppure 7 in onore dei dolori della Madonna?

Mentre ero in cappella con Nostro Signore, parte della notte tra il 29 e il 30 di questo mese di maggio del 1930 e parlavo a Nostro Signore delle due domande, la IV e la V, mi sentii all'improvviso posseduta più intimamente dalla divina presenza; e, se non erro, mi fu rivelato quanto segue: «Figlia mia, il motivo è semplice: sono cinque le specie di offese e bestemmie proferite contro il Cuore Immacolato di Maria:

  • 1. Le bestemmie contro l'Immacolata Concezione.
  • 2. Contro la sua Verginità.
  • 3. Contro la Maternità Divina, rifiutando al tempo stesso di riceverla come Madre degli uomini.
  • 4. Coloro che cercano d'infondere nei cuori dei bambini l'indifferenza, il disprezzo e perfino l'odio contro questa Immacolata Madre.
  • 5. Coloro che la oltraggiano direttamente nelle sue sante immagini.
Ecco, figlia mia, il motivo per cui l'Immacolato Cuore di Maria mi ha portato a chiedere questa piccola riparazione; e, per riguardo ad essa, a muovere la mia misericordia al perdono per quelle anime che hanno avuto la disgrazia di offenderla. Quanto a te, cerca senza posa, con le tue preghiere e sacrifici, di muovermi a misericordia verso quelle povere anime».

La consacrazione della Russia
Nel 1941 il rev. P. José Bernardo Gonçalves copiò a Tuy alcuni scritti di Lucia di Fatima.

Io avevo chiesto e ottenuto il permesso delle mie superiore e del confessore per fare l'ora di adorazione dalle undici a mezzanotte, tra il giovedì e il venerdì. Trovandomi una notte da sola, m'inginocchiai tra le due parti della balaustra, in mezzo alla cappella a recitare, prostrata, le preghiere dell'angelo. Sentendomi stanca, mi alzai e continuai a recitarle con le braccia in croce. L'unica luce era quella della lampada (del Santissimo). All'improvviso tutta la cappella s'illuminò di una luce soprannaturale e sopra l'altare apparve una croce di luce che arrivava fino al tetto. In una luce più chiara, si vedeva nella parte superiore della croce un volto d'uomo, col corpo fino alla vita, sul petto una colomba di luce e, inchiodato in croce, il corpo di un altro uomo. Un po' sotto la cinta, sospeso in aria, si vedeva un calice e un'ostia grande, sulla quale cadevano alcune gocce di sangue, che scorrevano sul volto del Crocifisso e da una ferita del petto. Scivolando sull'ostia, queste gocce cadevano dentro al calice. Sotto il braccio destro della croce c'era la Madonna (era la Madonna di Fatima col suo Cuore Immacolato, nella mano sinistra, senza spada né rose, ma con una corona di spine e fiamme) col suo Cuore Immacolato in mano. Sotto il braccio sinistro delle grandi lettere, come se fossero di acqua cristallina, che scorrevano verso la cima dell'altare, formavano queste parole: «Grazia e Misericordia». Compresi che mi veniva mostrato il mistero della Santissima Trinità e ricevetti lumi su questo mistero che non mi è permesso rivelare. Poi la Madonna mi disse: «È arrivato il momento in cui Dio chiede che il Santo Padre faccia, in unione con tutti i Vescovi del mondo, la consacrazione della Russia al mio Cuore, promettendo di salvarla con questo mezzo. Sono tante le anime che la Giustizia di Dio condanna per peccati commessi contro di me, e perciò vengo a chiedere riparazione: sacrificati con questa intenzione e prega».

[La consacrazione è stata effettuata il 25 marzo 1984]


Fonte: santorosario.net

sabato 12 maggio 2012

San Leopoldo da Castelnuovo

San Leopoldo, al secolo Bogdan (Adeodato) Giovanni Mandic, nacque il 12 maggio 1866 a Castelnuovo di Cattaro, in Dalmazia. Il 2 maggio 1884 fa la sua vestizione religiosa, mentre riceverà i voti perpetui il 28 ottobre 1888; è ordinato sacerdote il 20 settembre 1890 nella Basilica della Madonna della Salute a Venezia per le mani del cardinale Domenico Agostini. Nell'ottobre del 1894 ottiene la facoltà di confessare, il Sacramento a cui dedicò gran parte della sua vita. Trasferito più volte, fu a Padova che trascorse l'ultimo periodo della sua vita terrena; morì nella città del Santo il 30 luglio 1942, in concetto di santità. E' proclamato Beato da Papa Paolo VI il 2 maggio 1976, e canonizzato il 16 ottobre 1983 da Papa Giovanni Paolo II. Le sue reliquie sono custodite presso il Santuario che si trova a Padova, vicino alla chiesa di Santa Croce, dove si trova una piccola comunità di frati minori. Di seguito la descrizione dei miracoli, riconosciuti dalla Chiesa, che portarono padre Leopoldo agli onori degli altari.

Padre Leopoldo Mandic da Castelnuovo morì il 30 luglio del 1942. Fin da quel giorno si poté toccare con mano, in un certo senso, la devozione che intorno a lui si era diffusa e la fama di santo, insieme alla convinzione che, per sua intercessione, si ottenevano grazie e miracoli. Nel 1946 si iniziarono le pratiche per il riconoscimento della sua santità, papa Paolo VI lo proclamò beato il 2 maggio 1976 e Giovanni Paolo II lo dichiarò santo il 16 ottobre 1983. La sua festa liturgica viene celebrata il 12 maggio. Nel convento di Padova vi è un flusso ininterrotto di pellegrini che vengono a cercare un riflesso della sua santità, a chiedere miracoli, o la conversione più profonda.
Ecco, tra le centinaia di miracoli attribuiti alla sua intercessione, alcuni di quelli presi in considerazione per dichiararlo Beato, e poi Santo.

Elsa Raimondi

Elsa Raimondi, nata a Lusia (Rovigo) nel 1922, fu ricoverata nell’aprile del 1944 all’ospedale di Lendinara per ernia inguinale. Nell’intervento chirurgico si rivelò, invece, «una forma grave di peritonite tubercolare». L’inferma fu mandata a casa con prognosi infausta. La morte per i medici era inevitabile.
Il parroco del paese visitò Elsa e le parlò di padre Leopoldo. Il 30 luglio, secondo anniversario della morte del santo religioso, l’ammalata, con altre persone, iniziò una novena pregandolo di intercedere per lei presso la Madonna del Pilastrello, venerata in Lendinara, che la festeggia il 12 settembre di ogni anno.
Al termine della novena la Raimondi afferma di aver visto padre Leopoldo che, alla sua domanda se sarebbe guarita il 12 settembre, rispose: «Sì, sì».
Il giorno della festa volle essere portata al Santuario della Madonna con gli altri ammalati, ma il medico la fece riportare a casa, temendo per la sua vita.
Verso sera Elsa sente una voce intima che le ordina di scendere dal letto. Esegue l’ordine, dicendo ai presenti: «Non ho alcun male; sono guarita; padre Leopoldo mi ha liberata dal male!».
In quel momento arriva il medico che rimane stordito; la visita subito e la trova clinicamente guarita. La Raimondi va subito in chiesa a ringraziare il Signore, la Madonna e padre Leopoldo.
In segno di riconoscenza consacra la sua vita ad assistere gli orfani nella «Piccola Casa di Padre Leopoldo» in città di Rovigo.

Paolo Castelli

Paolo Castelli, nato in provincia di Como nel 1902, la domenica 4 marzo 1962, tornato da messa, è assalito da forti dolori al ventre. Viene ricoverato all’ospedale di Merate, dove si decide di operarlo il giorno stesso. Iniziato l’intervento, gli operatori riscontrano una trombosi alla mesenteria superiore con infarto all’intestino tenue. L’intervento viene sospeso perché non si può fare nulla; non resta che attendere la fine.
La moglie di Paolo è molto devota di padre Leopoldo; appunta sulla maglia dell’infermo una medaglia del Servo di Dio; e lo prega intensamente, sicura di venire esaudita.
La quarta notte, dopo l’operazione, la signora si pone a recitare per lo sposo dodici Pater, ma non li ha neppure terminati che suo marito si agita, grida: «Sto male, sto male, muoio».
Accesa la luce, lo vede sudare, pallido a morte. Paolo si sente come in coma, emette un rantolo e si rovescia sul letto. La moglie esclama: «Signore, sia fatta la tua volontà».
Ma ecco Paolo che comincia a gridare: «Sono guarito, sono guarito, non ho più niente». Tranquillo conversa con la moglie e poi riposa. Al mattino il medico lo trova perfettamente guarito e lo rimanda a casa; ma non sa spiegare la guarigione. Paolo riprende in pieno il lavoro dei suoi campi, sempre grato a padre Leopoldo e a sua moglie.

Elisa Ponzolotto

La miracolata è la signora Elisabetta Ponzolotto, nata a Ronchi di Ala nel 1925. Viene ricoverata all’ospedale di Ala il 15 marzo 1977 per influenza cardiopatica. Otto giorni dopo è colpita da un dolore acutissimo al piede sinistro. La gamba diventa gonfia e bluastra; i dolori e i lamenti sono così forti che l’inferma è trasferita in una stanzetta a parte, perché non disturbi i degenti.
Le cure richieste dalla gravità del male non migliorano il quadro clinico, che anzi va peggiorando: inizia la cancrena al piede. Il 27 marzo i medici curanti fanno un consulto e propongono l’amputazione della gamba per salvarle la vita stessa.
Elisabetta chiede, per motivi personali, di rinviare l’operazione di almeno un giorno.
Venne la notte. Il medico di guardia depone al processo: «Ricordo di essere stato chiamato più volte perché le condizioni della Ponzolotto continuavano a peggiorare. La poveretta mordeva le coperte per i dolori... Verso l’una e trenta rividi la paziente che dava l’impressione di essere in uno stato preagonico, pur essendo pienamente lucida...».
La guarigione: così la miracolata depone al processo. «Quando dissi ai medici di rinviare l’amputazione era perché aspettavo la risposta di un mio confidente, e intendevo padre Leopoldo, la cui immagine con la reliquia tenevo sempre sulla gamba dolorante.
Mi affidai completamente a padre Leopoldo, con la certezza di essere esaudita. Ed egli mi esaudì. Ad un certo momento, mentre l’infermiera era uscita ed ero sola nella camera, vidi entrare un frate cappuccino, piccolo, con la barba bianca. Lo riconobbi subito. Era padre Leopoldo. Fece il giro del letto, guardò la gamba e disse: «So che soffri molto e che devi sopportare tanto male, ma la gamba sarà salva». E camminando lentamente uscì dalla stanza. Scoppiai in lacrime. Il dolore alla gamba scomparve e mi addormentai. Erano quattro giorni che non dormivo. Arrivò l’infermiera e rimase stupefatta; guardò la gamba e la trovò rosea come l’altra. Le raccontai tutto».
I medici stupefatti constatarono la guarigione, che dichiararono umanamente inspiegabile.
Elisabetta tornò a casa e riprese i suoi lavori domestici, senza soffrire più disturbi alle gambe.


Fonte: leopoldomandic.it

lunedì 7 maggio 2012

Beata Vergine Maria del Rosario di Pompei

Supplica
alla Regina del SS. Rosario
di Pompei

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

I. - O Augusta Regina delle vittorie, o Vergine sovrana del Paradiso, al cui nome potente si rallegrano i cieli e tremano per terrore gli abissi, o Regina gloriosa del Santissimo Rosario, noi tutti, avventurati figli vostri, che la bontà vostra ha prescelti in questo secolo ad innalzarvi un Tempio in Pompei, qui prostrati ai vostri piedi, in questo giorno solennissimo della festa dei novelli vostri trionfi sulla terra degl'idoli e dei demoni, effondiamo con lacrime gli affetti del nostro cuore, e con la confidenza di figli vi esponiamo le nostre miserie.
Deh! da quel trono di clemenza ove sedete Regina, volgete, o Maria, lo sguardo vostro pietoso verso di noi, su tutte le nostre famiglie, sull'Italia, sull'Europa, su tutta la Chiesa; e vi prenda compassione degli affanni in cui volgiamo e dei travagli che ne amareggiano la vita. Vedete, o Madre, quanti pericoli nell'anima e nel corpo ne circondano: quante calamità e afflizioni ne costringono! O Madre, trattenete il braccio della giustizia del vostro Figliuolo sdegnato e vincete colla clemenza il cuore dei peccatori: sono pur nostri fratelli e figli vostri, che costarono sangue al dolce Gesù, e trafitture di coltello al vostro sensibilissimo Cuore. Oggi mostratevi a tutti, qual siete, Regina di pace e di perdono.

Salve Regina.

II. - È vero, è vero che noi per primi, benché vostri figliuoli, coi peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù, e trafiggiamo novellamente il vostro Cuore. Sì, lo confessiamo, siamo meritevoli dei più aspri flagelli. Ma Voi ricordatevi che sulla vetta del Golgota raccoglieste le ultime stille di quel sangue divino e l'ultimo testamento del Redentore moribondo. E quel testamento di un Dio, suggellato col sangue di un Uomo-Dio, vi dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori. Voi, dunque, come nostra Madre, siete la nostra Avvocata, la nostra Speranza. E noi gementi stendiamo a Voi le mani supplichevoli, gridando: Misericordia!
Pietà vi prenda, o Madre buona, pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri fratelli estinti, e soprattutto dei nostri nemici, e di tanti che si dicono cristiani, e pur dilacerano il Cuore amabile del vostro Figliuolo. Pietà, deh! pietà oggi imploriamo per le nazioni traviate, per tutta l'Europa, per tutto il mondo, che torni pentito al cuor vostro. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia.

Salve Regina.

III. - Che vi costa, o Maria, l'esaudirci? Che vi costa il salvarci? Non ha Gesù riposto nelle vostre mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie? Voi sedete coronata Regina alla destra del vostro Figliuolo, circondata di gloria immortale su tutti i cori degli Angeli. Voi distendete il vostro dominio per quanto son distesi i cieli, e a Voi la terra e le creature tutte che in essa abitano sono soggette. Il vostro dominio si estende fino all'inferno, e Voi sola ci strappate dalle mani di Satana, o Maria.
Voi siete l'Onnipotente per grazia. Voi dunque potete salvarci. Che se dite di non volerci aiutare, perché figli ingrati ed immeritevoli della vostra protezione, diteci almeno a chi altri mai dobbiamo ricorrere per essere liberati da tanti flagelli.
Ah, no! Il vostro Cuore di Madre non patirà di veder noi, vostri figli, perduti. Il Bambino che noi vediamo sulle vostre ginocchia, e la mistica corona che miriamo nella vostra mano, c'ispirano fiducia che noi saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in Voi, ci gettiamo ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, ed oggi stesso, sì, oggi da Voi aspettiamo le sospirate grazie.

Salve Regina.

Chiediamo la benedizione a Maria.

Un'ultima grazia noi ora vi chiediamo, o Regina, che non potete negarci in questo giorno solennissimo. Concedete a tutti noi l'amore vostro costante, e in modo speciale la vostra materna benedizione. No, non ci leveremo dai vostri piedi, non ci staccheremo dalle vostre ginocchia, finché non ci avrete benedetti.
Benedite, o Maria, in questo momento, il Sommo Pontefice. Ai prischi allori della vostra Corona, agli antichi trionfi del vostro Rosario, onde siete chiamata Regina delle vittorie, deh! aggiungete ancor questo, o Madre: concedete il trionfo alla Religione e la pace alla umana società. Benedite il nostro Vescovo, i Sacerdoti e particolarmente tutti coloro che zelano l'onore del vostro Santuario.
Benedite infine tutti gli Associati al vostro novello Tempio di Pompei, e quanti coltivano e promuovono la divozione al vostro Santo Rosario.
O Rosario benedetto di Maria; Catena dolce che ci rannodi a Dio; Vincolo di amore che ci unisci agli Angeli; Torre di salvezza negli assalti d'inferno; Porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell'ora di agonia; a te l'ultimo bacio della vita che si spegne. E l'ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome vostro soave, Regina del Rosario della Valle di Pompei, o Madre nostra cara, o unico Rifugio dei peccatori, o sovrana Consolatrice dei mesti. Siate ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo. Così sia.

Salve Regina.


Indulgentia

Indulgentia plenaria semel tantum, soltis conditionibus,
recitantibus supplicationem meridianam ad B. V. Mariam a S. Rosario.

mercoledì 2 maggio 2012

Catechesi del Papa su Santo Stefano

Alla consueta Udienza Generale del mercoledì il Santo Padre ha parlato quest'oggi di Santo Stefano, nostro patrono. Riporto il testo dell'intervento del Papa.

La preghiera del primo martire cristiano (At 7, 53-60)

Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime Catechesi abbiamo visto come, nella preghiera personale e comunitaria, la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura aprano all’ascolto di Dio che ci parla e infondano luce per capire il presente. Oggi vorrei parlare della testimonianza e della preghiera del primo martire della Chiesa, santo Stefano, uno dei sette scelti per il servizio della carità verso i bisognosi. Nel momento del suo martirio, narrato dagli Atti degli Apostoli, si manifesta, ancora una volta, il fecondo rapporto tra la Parola di Dio e la preghiera.

Stefano viene condotto in tribunale, davanti al Sinedrio, dove viene accusato di avere dichiarato che «Gesù …distruggerà questo luogo, [il tempio], e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato» (At 6,14). Durante la sua vita pubblica, Gesù aveva effettivamente preannunciato la distruzione del tempio di Gerusalemme: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Tuttavia, come annota l’evangelista Giovanni, «egli parlava del tempio del suo corpo. Quando, poi, fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Gv 2,21-22).

Il discorso di Stefano davanti al tribunale, il più lungo degli Atti degli Apostoli, si sviluppa proprio su questa profezia di Gesù, il quale è il nuovo tempio, inaugura il nuovo culto, e sostituisce, con l’offerta che fa di se stesso sulla croce, i sacrifici antichi. Stefano vuole dimostrare come sia infondata l’accusa che gli viene rivolta di sovvertire la legge di Mosè e illustra la sua visione della storia della salvezza, dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Egli rilegge così tutta la narrazione biblica, itinerario contenuto nella Sacra Scrittura, per mostrare che esso conduce al «luogo» della presenza definitiva di Dio, che è Gesù Cristo, in particolare la sua Passione, Morte e Risurrezione. In questa prospettiva Stefano legge anche il suo essere discepolo di Gesù, seguendolo fino al martirio. La meditazione sulla Sacra Scrittura gli permette così di comprendere la sua missione, la sua vita, il suo presente. In questo egli è guidato dalla luce dello Spirito Santo, dal suo rapporto intimo con il Signore, tanto che i membri del Sinedrio videro il suo volto «come quello di un angelo» (At 6,15). Tale segno di assistenza divina, richiama il volto raggiante di Mosè disceso dal Monte Sinai dopo aver incontrato Dio (cfr Es 34,29-35; 2 Cor 3,7-8).

Nel suo discorso, Stefano parte dalla chiamata di Abramo, pellegrino verso la terra indicata da Dio e che ebbe in possesso solo a livello di promessa; passa poi a Giuseppe, venduto dai fratelli, ma assistito e liberato da Dio, per giungere a Mosè, che diventa strumento di Dio per liberare il suo popolo, ma incontra anche e più volte il rifiuto della sua stessa gente. In questi eventi narrati dalla Sacra Scrittura, della quale Stefano mostra di essere in religioso ascolto, emerge sempre Dio, che non si stanca di andare incontro all’uomo nonostante trovi spesso un’ostinata opposizione. E questo nel passato, nel presente e nel futuro. Quindi in tutto l’Antico Testamento egli vede la prefigurazione della vicenda di Gesù stesso, il Figlio di Dio fattosi carne, che – come gli antichi Padri – incontra ostacoli, rifiuto, morte. Stefano si riferisce quindi a Giosuè, a Davide e a Salomone, messi in rapporto con la costruzione del tempio di Gerusalemme, e conclude con le parole del profeta Isaia (66,1-2): «Il cielo è il mio trono e la terra sgabello dei miei piedi. Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore, e quale sarà il luogo del mio riposo? Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?» (At 7,49-50). Nella sua meditazione sull’agire di Dio nella storia della salvezza, evidenziando la perenne tentazione di rifiutare Dio e la sua azione, egli afferma che Gesù è il Giusto annunciato dai profeti; in Lui Dio stesso si è reso presente in modo unico e definitivo: Gesù è il «luogo» del vero culto. Stefano non nega l’importanza del tempio per un certo tempo, ma sottolinea che «Dio non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo» (At 7,48). Il nuovo vero tempio in cui Dio abita è il suo Figlio, che ha assunto la carne umana, è l’umanità di Cristo, il Risorto che raccoglie i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. L’espressione circa il tempio «non costruito da mani d’uomo», si trova anche nella teologia di san Paolo e della Lettera agli Ebrei: il corpo di Gesù, che Egli ha assunto per offrire se stesso come vittima sacrificale per espiare i peccati, è il nuovo tempio di Dio, il luogo della presenza del Dio vivente; in Lui Dio e uomo, Dio e il mondo sono realmente in contatto: Gesù prende su di sé tutto il peccato dell’umanità per portarlo nell’amore di Dio e per «bruciarlo» in questo amore. Accostarsi alla Croce, entrare in comunione con Cristo, vuol dire entrare in questa trasformazione. E questo è entrare in contatto con Dio, entrare nel vero tempio.

La vita e il discorso di Stefano improvvisamente si interrompono con la lapidazione, ma proprio il suo martirio è il compimento della sua vita e del suo messaggio: egli diventa una cosa sola con Cristo. Così la sua meditazione sull’agire di Dio nella storia, sulla Parola divina che in Gesù ha trovato il suo pieno compimento, diventa una partecipazione alla stessa preghiera della Croce. Prima di morire, infatti esclama: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59), appropriandosi delle parole del Salmo 31 (v. 6) e ricalcando l’ultima espressione di Gesù sul Calvario: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46); e, infine, come Gesù, grida a gran voce davanti a coloro che lo stavano lapidando: «Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Notiamo che, se da un lato la preghiera di Stefano riprende quella di Gesù, diverso è il destinatario, perché l’invocazione è rivolta allo stesso Signore, cioè a Gesù che egli contempla glorificato alla destra del Padre: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (v. 55).

Cari fratelli e sorelle, la testimonianza di santo Stefano ci offre alcune indicazioni per la nostra preghiera e la nostra vita. Ci possiamo chiedere: da dove questo primo martire cristiano ha tratto la forza per affrontare i suoi persecutori e giungere fino al dono di se stesso? La risposta è semplice: dal suo rapporto con Dio, dalla sua comunione con Cristo, dalla meditazione sulla storia della salvezza, dal vedere l’agire di Dio, che in Gesù Cristo è giunto al vertice. Anche la nostra preghiera dev’essere nutrita dall’ascolto della Parola di Dio, nella comunione con Gesù e la sua Chiesa.

Un secondo elemento: santo Stefano vede preannunciata, nella storia del rapporto di amore tra Dio e l’uomo, la figura e la missione di Gesù. Egli - il Figlio di Dio – è il tempio «non fatto da mano d’uomo» in cui la presenza di Dio Padre si è fatta così vicina da entrare nella nostra carne umana per portarci a Dio, per aprirci le porte del Cielo. La nostra preghiera, allora, deve essere contemplazione di Gesù alla destra di Dio, di Gesù come Signore della nostra, della mia esistenza quotidiana. In Lui, sotto la guida dello Spirito Santo, possiamo anche noi rivolgerci a Dio, prendere contatto reale con Dio con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono ad un Padre che li ama in modo infinito. Grazie.


Fonte: vatican.va
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