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martedì 29 maggio 2012

La Messa è finita: potete fare confusione

Prendo in prestito questo titolo di un articolo apparso nell'edizione di marzo della rivista Liturgia Culmen et Fons per parlare di un problema purtroppo diffuso nella stragrande maggioranza delle nostre chiese: la mancanza del sacro silenzio. A chi, infatti, si è trovato ad entrare in chiesa per la Santa Messa, specialmente dopo che la Messa d'orario precedente è terminata, sarà certamente capitato di imbattersi in un'atmosfera che ben poco ha di luogo sacro, ma piuttosto di mercato o di piazza pubblica. Il periodo di tempo che precede o segue immediatamente la Santa Messa è per molti il momento adatto per salutare gli amici ed intrattenersi un po' con loro per fare due parole; anzi, potrebbe sembrare in qualche modo maleducato non soffermarsi con chi si conosce, quando lo si vede in chiesa. Ma è davvero così? Qual è l'atteggiamento più corretto per il fedele che sta in chiesa? Prendo spunto da un articolo pubblicato su Vatican Insider a firma di Giacomo Galeazzi (grassetto mio).

Il silenzio che avvicina a Dio
Regole e indicazioni per il "bon ton" del raccoglimento

Di Giacomo Galeazzi

Alla messa è buona norma osservare sempre il silenzio: se c’è necessità di parlare bisogna farlo sottovoce. La legge del silenzio vige in chiesa e in sagrestia prima e dopo la celebrazione. A giudizio di Romano Guardini, teologo di riferimento di Benedetto XVI, «la vita liturgica inizia con il silenzio, senza di esso tutto appare inutile e vano: il tema del silenzio è molto serio, molto importante e purtroppo molto trascurato. Il silenzio è il primo presupposto di ogni azione sacra».

La «Institutio generalis Missalis Romani include un riferimento a ciò che precede la Messa: «Anche prima della celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione». Nelle funzioni religiose,il fedele «doc» si distingue perché è disciplinato e rispettoso delle regole. Conosce per filo e per segno in quali frangenti rimanere seduto,inchinarsi,stare in ginocchio, uscire.

E soprattutto è puntuale: non è educato arrivare a celebrazione in corso. All’entrata della chiesa si fa il segno della croce con l’acqua benedetta e, quando il celebrante invita allo scambio della pace, porge la mano destra solo ai vicini, senza lasciare il posto e senza girovagare troppo. Al momento della comunione:,chi riceve l’ostia consacrata sulla mano deve prenderla delicatamente con le dita della mano destra e portarla alla bocca. Durante i canti, anche se non si è intonati, è bene prendere parte cantando per dimostrare la partecipazione attiva.

Per pregare e cantare, occorre unire la propria voce a quella degli altri, senza gridare. Gli stonati almeno siano a tempo. Le candele, poi, non vanno accese tanto per farlo, ma solo se predisposti alla preghiera. «Sin dalle origini della Chiesa, si incontrano testimonianze che mostrano come la celebrazione eucaristica esiga necessariamente una preparazione previa, non solo da parte del sacerdote celebrante, bensì di tutto il popolo fedele», spiega don Juan José Silvestre, docente di liturgia presso la pontificia università della Santa Croce e consultore della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, nonché dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.

Perciò, conviene che tutti osservino il silenzio: sia il celebrante («che in questo momento preparatorio deve ricordarsi di nuovo che si mette a disposizione di Colui che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro»), sia i fedeli che, «prima che inizi la celebrazione, devono prepararsi per l’incontro con il loro Signore». Perché «Cristo non li convoca solo per parlare loro della sua futura Passione, morte e risurrezione; bensì il suo mistero pasquale si fa realmente presente nella Santa Messa, perché possano partecipare di Lui».

In questa linea, annota il Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’assemblea deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, essere un popolo ben disposto. Questa preparazione dei cuori è opera comune dello Spirito Santo e dell’assemblea, in particolare dei suoi ministri. La grazia dello Spirito Santo cerca di risvegliare la fede, la conversione del cuore e l’adesione alla volontà del Padre. Queste disposizioni sono il presupposto per l’accoglienza delle altre grazie offerte nella celebrazione stessa e per i frutti di vita nuova che essa è destinata a produrre in seguito». Precisa don Juan José Silvestre:«In questo contesto di preparazione alla celebrazione, i ministri hanno un ruolo imprescindibile ed il silenzio occupa un luogo preminente.

Silenzio che non è una semplice pausa, nella quale ci assalgono mille pensieri e desideri, bensì quel raccoglimento che ci dà pace interiore, che ci permette di riprendere respiro e che svela ciò che è vero». Il silenzio è parte della celebrazione. «In primo luogo perché esso favorisce il clima di preghiera che deve caratterizzare qualunque azione liturgica- evidenzia-. La celebrazione è preghiera, dialogo con Dio, e il silenzio è il luogo privilegiato della rivelazione di Dio.

La permanenza nel deserto, ed il silenzio che spontaneamente viene evocato da questa immagine, segnano tutta la relazione tra Israele e il suo Signore». Inoltre, «la sagrestia e la navata della chiesa, nei momenti che precedono la celebrazione, dovrebbero essere quel luogo deserto nel quale Gesù si ritira prima degli avvenimenti più importanti: il deserto è il luogo di silenzio, della solitudine; esso suppone un allontanarsi, l’abbandonare per un momento le occupazioni quotidiane, il rumore, la superficialità». E come ricordava il cardinale Ratzinger, predicando gli esercizi spirituali a Giovanni Paolo II, «tutte le cose grandi iniziano nel deserto, nel silenzio, nella povertà. Non si può partecipare alla missione di Gesù, alla missione del Vangelo, senza partecipazione all’esperienza del deserto, della sua povertà, della sua fame. Chiediamo al Signore che ci conduca, che ci faccia trovare quel silenzio profondo in cui abita la sua parola».


Fonte: vaticaninsider.lastampa.it

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