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martedì 12 agosto 2014

Siamo tutti Nazareni

Questo simbolo è la lettera N dell'alfabeto arabo che sta per "Nasrani" (cioè Nazareno), dipinto sulle case dei cristiani in Iraq perché gli jihadisti possano identificarle e distruggerle.
I musulmani dello Stato Islamico di Iraq e Sham (ISIS) hanno dato ai cristiani che abitavano la loro stessa terra questo ultimatum: o si convertiranno alla religione islamica e pagheranno una costosa tassa o moriranno.

Migliaia di cristiani stanno cercando di fuggire dai territori ora controllati dagli jihadisti, lasciando dietro a sé le loro case e la loro vita. Molti di essi, catturati, vengono torturati e uccisi, crocifissi (in spregio alla religione cristiana), lapidati, decapitati, le donne e i bambini sepolti vivi.

Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Angelo Bagnasco, ha invitato tutti i cristiani d'Italia e d'Europa ad un giorno di preghiera e di solidarietà nei confronti di questi martiri dei nostri giorni, venerdì prossimo, 15 agosto.

La nostra parrocchia proporrà a tutti un piccolo segno: una fascetta da indossare, con disegnato sopra questo simbolo. L'invito è quello di indossarla fuori dalla chiesa, tra la gente, superando l'imbarazzo che un gesto come questo potrebbe suscitare, come segno di una piccola condivisione alla sofferenza dei nostri fratelli iracheni che soffrono la persecuzione e la morte a causa della nostra comune fede in Cristo.

Chi lo desidererà, potrà anche dare un'offerta da devolvere in beneficenza agli uomini e alle donne che aiuteranno questi cristiani in difficoltà.

sabato 2 agosto 2014

Perdon d'Assisi - 2 e 3 agosto


Quello che ha reso nota in tutto il mondo la Porziuncola è soprattutto il singolarissimo privilegio dell’Indulgenza, che va sotto il nome di “Perdono d’Assisi”, e che da oltre sette secoli converge verso di essa orde di pellegrini.

Milioni e milioni di anime hanno varcato questa “porta della vita eterna” e si sono prostrate qui per ritrovare la pace e il perdono nella grande Indulgenza della Porziuncola, la cui festa si celebra la mattina del 1 agosto e si conclude con il Vespro solenne del 2 agosto.

L’aspetto religioso più importante del “Perdono d’Assisi” è la grande utilità spirituale per i fedeli, stimolati, per goderne i benefici, alla confessione e alla comunione eucaristica. Confessione, preceduta e accompagnata dalla contrizione per i peccati compiuti e dall’impegno a emendarsi dal proprio male per avvicinarsi sempre più allo stato divita evangelica vissuta da Francesco e Chiara, stato di vita iniziato da entrambi alla Porziuncola.

L’evento del Perdono della Porziuncola resta una manifestazione della misericordia infinita di Dio e un segno della passione apostolica di Francesco d’Assisi.

Breve storia del perdon d'Assisi

Le fonti narrano che una notte dell’anno 1216, san Francesco è immerso nella preghiera presso la Porziuncola, quando improvvisamente dilaga nella chiesina una vivissima luce ed egli vede sopra l’altare il Cristo e la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli.

Essi gli chiedono allora che cosa desideri per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco è immediata: “Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”.

“Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli dice il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”.

Francesco si presenta subito al pontefice Onorio III che lo ascolta con attenzione e dà la sua approvazione. Alla domanda: “Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?”, il santo risponde: “Padre Santo, non domando anni, ma anime”. E felice, il 2 agosto 1216, insieme ai Vescovi dell’Umbria, annuncia al popolo convenuto alla Porziuncola: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!”.

Vengono di seguito descritte le condizioni necessarie per lucrare l’Indulgenza della Porziuncola e le corrispondenti disposizioni con cui il fedele dovrà chiederla al Padre delle misericordie:

Ricevere l’assoluzione per i propri peccati nella Confessione sacramentale, celebrata nel periodo che include gli otto giorni precedenti e successivi alla visita della chiesa della Porziuncola, per tornare in grazia di Dio;
Partecipazione alla Messa e alla Comunione eucaristica nello stesso arco di tempo indicato per la Confessione;
Visita alla chiesa della Porziuncola ...
... dove si rinnova la professione di fede, mediante la recita del CREDO, per riaffermare la propria identità cristiana,
... e si recita il PADRE NOSTRO, per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo;
Una preghiera secondo le intenzioni del Papa, per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice. Normalmente si recita un Padre, un’Ave e un Gloria; è data tuttavia ai singoli fedeli la facoltà di recitare qualsiasi altra preghiera secondo la pietà e la devozione di ciascuno verso il romano pontefice.

lunedì 14 luglio 2014

"E' solo un'introduzione alla festa quinquennale"


Proprio ieri sera si sono conclusi con la processione solenne presieduta da Don Gianni, padre provinciale dell'ordine degli Stimmatini, i festeggiamenti per la festa annuale della B.V.M. Madonna dell'Angelo.
Al termine della Santa Messa delle ore 21.00 la statua della Vergine è stata riportata nel suo Santuario in una processione solenne accompagnata da centinaia di persone. Appena uscita la Statua il campanile è stato incendiato.
Arrivati al Santuario, Don Gianni, ha espresso alcune parole; ha citato il discorso così detto della luna di San Giovanni XXIII, papa, dicendo che "anche la luna è venuta a salutarci"
"Magnificate con me il Signore" ecco il tema, annunciato dal parroco Mons. Giuseppe Manzato, che accompagnerà la grande festa quinquennale della nostra Madonna.
Mons. Manzato ha poi aggiunto "Questa festa, è solo un'introduzione a quella che avverrà il prossimo anno, dobbiamo già pregare affinché la Madre nostra Maria ci accompagni e ci protegga in questo cammino di preparazione".
Infine il parroco ha ringraziato tutti coloro che hanno partecipato alla processione e tutti coloro che l'hanno resa possibile: la corale Santo Stefano, il Gruppo Chierichetti, il gruppo dei portatori e tutti coloro che hanno lavorato in sordina.

martedì 8 luglio 2014

Festa della Madonna dell'Angelo


Tra poco meno di una settimana (sabato 12 luglio e domenica 13 luglio) si terrà la consueta processione della Madonna dell'Angelo con "l'incendio" del campanile.
Molti turisti attratti da questa manifestazione si accingono a Caorle per rendere grazie alla Madonna.
La tradizione narra che la Madonnina dell'Angelo sia stata trovata in un blocco di marmo che galleggiava sul mare poco allargo della costa caorlotta. I pescatori la trassero a riva con le reti, ma non riuscirono a sollevarla per portarla in chiesa, così il vescovo dell'epoca pensò di chiamare i bambini per sollevare il simulacro e portarlo in cattedrale. I bambini riuscirono. Ma perchè proprio i bambini? I bambini sono gli unici che non hanno peccati e quindi sono puri di cuore; proprio per questo motivo, il vescovo pensò di chiamarli. Il simulacro, dunque, venne portato nella cattedrale. Al mattino dopo la statua non c'era più. E' stata ritrovata nella chiesa di San Michele Arcangelo. Da quel giorno la statua della Madonna dell'Angelo è posta nella chiesetta sul promontorio. Venne chiamata Madonna dell'Angelo perchè, appunto, la chiesa è dedicata a san Michele Arcangelo.
Presiederà la processione solenne di sabato 12 luglio sua eccellenza mons. Adriano TESSAROLO vescovo di Chioggia.

sabato 28 giugno 2014

Papa Francesco riflette sul ministero del Vescovo di Roma alla luce di San Pietro


In questa vigilia della Festa degli Apostoli di Roma, che quest'anno è particolarmente solenne a motivo della coincidenza con la domenica (sulla quale - liturgicamente - prevale), riascoltiamo una parte dell'omelia di Papa Francesco sul ministero di "confermare nella fede i fratelli" proprio del successore di Pietro: confermare nella fede, confermare nell'amore, confermare nell'unità, evitando la mentalità mondana, la logica del potere umano o delle umane convenienze: la fede in Cristo deve essere luce, senza risparmio, superando ogni conflitto tra i cristiani, "uniti nelle differenze".
Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo “confermare”. In che cosa è chiamato a confermare il Vescovo di Roma?

1. Anzitutto, confermare nella fede. Il Vangelo parla della confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), una confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste. Ed è per questa confessione che Gesù dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (v. 18). Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto. Nella seconda parte del Vangelo di oggi vediamo il pericolo di pensare in modo mondano. Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: «si mise a rimproverare il Signore: …questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù ha una parola dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo. La fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa!

2. Confermare nell’amore. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato le commoventi parole di san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Di quale battaglia si tratta? Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere. E non solo il Vescovo di Roma: tutti voi, nuovi arcivescovi e vescovi, avete lo stesso compito: lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti. Il compito di non risparmiare, uscire di sé al servizio del santo popolo fedele di Dio.

3. Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro» (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E continua, il Concilio: «questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio» (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione.

Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell’episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen.

sabato 7 giugno 2014

Omelia di Papa Francesco sulla Pentecoste


Cari fratelli e sorelle,
in questo giorno noi contempliamo e riviviamo nella liturgia l’effusione dello Spirito Santo operata da Cristo risorto sulla sua Chiesa; un evento di grazia che ha riempito il Cenacolo di Gerusalemme per espandersi nel mondo intero.
Ma che cosa avvenne in quel giorno così lontano da noi, eppure così vicino da raggiungere l’intimo del nostro cuore? San Luca ci offre la risposta nel brano degli “Atti degli Apostoli” che abbiamo ascoltato (2,1-11). L’evangelista ci riporta a Gerusalemme, al piano superiore della casa nella quale sono riuniti gli Apostoli. Il primo elemento che attira la nostra attenzione è il fragore che improvviso viene dal cielo, “quasi un vento che si abbatte impetuoso” e riempie la casa; poi le “lingue come di fuoco” che si dividevano e si posavano su ciascuno degli Apostoli. Fragore e lingue infuocate sono segni precisi e concreti che toccano gli Apostoli, non solo esteriormente, ma anche nel loro intimo: nella mente e nel cuore. La conseguenza è che “tutti furono colmati di Spirito Santo”, il quale sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti: «Cominciarono a parlare in altre lingue nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Si apre allora davanti a noi un quadro del tutto inatteso: una grande folla si raduna ed è piena di meraviglia perché ciascuno sente parlare gli Apostoli nella propria lingua. Tutti fanno un’esperienza nuova, mai accaduta prima: «Li udiamo parlare nelle nostre lingue». E di che cosa parlano? «Delle grandi opere di Dio».
Alla luce di questo brano degli “Atti”, vorrei riflettere su tre parole legate all’azione dello Spirito: novità, armonia, missione.
1. La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino a un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti.
Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità – Dio porta sempre novità -, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce un’arca deriso da tutti e si salva; Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi nel Cenacolo, escono con coraggio per annunciare il Vangelo.
Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo. La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza?
2. Un secondo pensiero: lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo.
Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è proprio l’armonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa.
Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo; l’ecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni Comunità, per ogni Movimento. È la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi! Quando ci si avventura andando oltre la dottrina e la Comunità ecclesiale, dice l’Apostolo Giovanni nella sua Seconda Lettera, e non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo. Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa?
3. L’ultimo punto. I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di barca a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo.
Lo Spirito Santo è l’anima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano da noi, è un fatto che ci raggiunge, che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del Cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza di Cristo risorto ai suoi Apostoli, ma Egli vuole che giunga a tutti.
Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, dice: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). È lo Spirito Paràclito, il “Consolatore”, che dà il coraggio di percorrere le strade del mondo portando il Vangelo! Lo Spirito Santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione.
Ricordiamo oggi queste tre parole: novità, armonia, missione.
La liturgia di oggi è una grande preghiera che la Chiesa con Gesù eleva al Padre, perché rinnovi l’effusione dello Spirito Santo. Ciascuno di noi, ogni Gruppo, ogni Movimento, nell’armonia della Chiesa, si rivolga al Padre per chiedere questo dono. Anche oggi, come al suo nascere, insieme con Maria la Chiesa invoca: «Veni, Sancte Spiritus!». «Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.

mercoledì 21 maggio 2014

Meriam, la cristiana condannata a morte in Sudan.


È in carcere incatenata per le caviglie Meriam Yehya Ibrahim, la donna cristiana del Sudan incinta di otto mesi e condannata a morte per apostasia, oltre che a 100 frustate per adulterio. Per la prima volta il marito Daniel Wani ha avuto la possibilità di visitarla in carcere, vedendo in quali condizioni vive dal 17 febbraio.
«È OLTRAGGIOSO».
«Le sue gambe sono tutte gonfie. È oltraggioso, visto che è incinta di otto mesi e mezzo», ha dichiarato ai media americani Tina Ramirez, direttrice esecutiva di Hardwired, gruppo che si batte contro la persecuzione religiosa nel mondo e che sta aiutando Wani. Il marito, che gode di doppio passaporto sudanese e statunitense, ha chiesto più volte e invano aiuto all’ambasciata americana in Sudan per ottenere il rilascio della moglie, che si trova in carcere insieme al figlio di 20 mesi.
CONDANNA PER APOSTASIA.
Meriam è stata condannata per apostasia lo scorso 15 maggio: la dottoressa di 27 anni è stata cresciuta come cristiana dalla madre, visto che il padre musulmano se ne è andato quando lei aveva sei anni. Ma il fratello insieme agli zii paterni l’ha accusata di essere stata allevata come musulmana e di essersi poi convertita al cristianesimo.
In Sudan, secondo la sharia, l’apostasia è punita con la morte e un matrimonio tra una musulmana e un cristiano non è valido e i figli che nascono dalla relazione sono illegittimi. Questo è il motivo per cui Martin, il figlio di 20 mesi di Meriam, è in prigione con lei e non può essere preso in custodia dal padre.
AMERICANO IN CARCERE
Wani, insieme agli avvocati della moglie, ha affermato che ricorrerà in appello per non fare eseguire la sentenza capitale. Intanto, però, si è lamentato del fatto che l’ambasciata americana non l’abbia mai aiutato a risolvere il caso giudiziario. Un aiuto che si aspettava visto che il figlio Martin è in carcere ed è a tutti gli effetti cittadino americano. Come dichiarato dall’uomo, «ho fornito all’ambasciata tutte le prove che mi ha richiesto per dimostrare che Martin è un cittadino americano. Ho portato il certificato di nascita, il mio certificato di matrimonio e gli esami del Dna di mio figlio, che sono stati mandati negli Stati Uniti per essere verificati. Ma mi hanno chiuso la porta in faccia».
CNSNews ha chiesto direttamente al portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, la veridicità di queste notizie ma il portavoce non ha saputo rispondergli. «Sta dicendo che non sapete se quel bambino in prigione è un cittadino americano?», lo ha rintuzzato il giornalista. «Non abbiamo ulteriori dettagli da condividere». Ad oggi, il Dipartimento non ha ancora fatto luce su questo aspetto, che è dirimente per la sorte di Meriam: la pressione internazionale di un governo come gli Stati Uniti potrebbe far cambiare la sentenza dei giudici sudanesi in un eventuale processo di appello.


Tratto da Tempi.it

lunedì 12 maggio 2014

La morte del card. Cè: l'annuncio del Patriarca Moraglia


Il Patriarca Francesco Moraglia, i sacerdoti e i diaconi, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici della Diocesi di Venezia annunciano che questa sera il card. Marco Cè, Patriarca emerito di Venezia, ha raggiunto la Casa del Padre. La morte è avvenuta alle ore 20.15 all'Ospedale Ss. Giovanni e Paolo di Venezia dove era ricoverato dal 19 marzo scorso per le conseguenze della frattura del femore.

La sera della Domenica delle Palme (13 aprile) aveva chiesto e ricevuto, dal Patriarca Francesco Moraglia, il sacramento dell'unzione degli infermi. Le sue condizioni di salute si erano poi ulteriormente e definitivamente aggravate nelle ultime ore. Proprio ieri sera, inoltre, il Patriarca Francesco aveva confessato il card. Cè impartendogli l’assoluzione e l’indulgenza plenaria e ricevendo da lui un ultimo “grazie”.

Alle ore 20.30 di domani sera - martedì 13 maggio - nella basilica cattedrale di S. Marco a Venezia avrà luogo la recita del Rosario, presieduta dal Patriarca Francesco che chiede a tutti i credenti il bene della preghiera di suffragio.

Il card. Cè era nato a Izano, in provincia di Cremona e diocesi di Crema, l'8 luglio 1925. Compì gli studi teologici presso la Pontificia Università Gregoriana e il Pontificio Istituto Biblico conseguendo la laurea in teologia dogmatica e la licenza in Sacra Scrittura; fu ordinato sacerdote65 anni fa, il 27 marzo 1948 a Crema, e nella sua diocesi di origine fu, per molti anni, prima vicerettore e poi rettore del Seminario. Il 22 aprile 1970 venne eletto vescovo da Paolo VI e nominato ausiliare del card. Poma nella diocesi di Bologna. il 30 aprile 1976 fu nominato, dallo stesso Paolo VI, assistente ecclesiastico generale dell'Azione cattolica italiana. Giovanni Paolo II lo chiamò quindi - era il7 dicembre del 1978 - a reggere il Patriarcato di Venezia di cui prese possesso canonico il 1° gennaio 1979 mentre il suo ingresso in città risale al 7 gennaio successivo, allora solennità dell'Epifania. Fu creato cardinale, sempre da Giovanni Paolo II, il 30 giugno 1979. Dopo 23 anni di governo pastorale della diocesi lagunare, dal 5 gennaio 2002 era divenuto Patriarca emerito di Venezia continuando, sino a pochi mesi fa, ad esercitare in pieno il suo ministero occupandosi soprattutto della cura spirituale delle persone e, in particolare, degli esercizi spirituali diocesani.

Fonte Gente Veneta

venerdì 9 maggio 2014

ATTENZIONE! FURTO D'IDENTITA'


IN RIFERIMENTO AL TENTATIVO DI TRUFFA SUBITO IERI SULL'ACCOUNT DI POSTA ELETTRONICA DELLA PARROCCHIA:




Preghiamo cortesemente chiunque avesse ricevuto nella sua casella di posta email truffaldine dagli indirizzi:
* caorleduomo@gmail.com
* caorleduorno@yahoo.it
di segnalarcelo prontamente in questo profilo o dal form presente nel sito parrocchiale alla pagina web
"http://www.caorleduomo.altervista.org/contact.html"

Il tipo di messaggio truffaldino a cui ci riferiamo riguarda la richiesta di invio denaro ad uno sconosciuto che si sarebbe trovato bloccato all'aeroporto di Bradford (UK) e al quale sarebbero stati rubati tutti i documenti.

Le vostre eventuali segnalazioni saranno da noi inviate immediatamente ai Carabinieri, ai quali abbiamo denunciato l'accaduto.

Rinnoviamo ancora una volta l'invito a NON DARE SEGUITO A TALI COMUNICAZIONI TRUFFALDINE, poiché la parrocchia non ha mai chiesto né mai intende chiedere denaro nei termini posti in queste mail.

Grazie per la collaborazione.

Avviso - Tentativo di truffa

Informiamo tutti i lettori che giovedì 8 maggio 2014 l'account di posta elettronica 'caorleduomo@gmail.com' (sul quale si appoggia anche il presente blog) ha subito un attacco da parte di pirati informatici ed è stato violato. I pirati hanno cambiato la password dell'account e, mentre ne disponevano, hanno mandato a tutti i contatti presenti una mail truffaldina, dove si richiedeva denaro da parte di uno sconosciuto che sarebbe stato bloccato in un aeroporto del Regno Unito e al quale erano stati rubati tutti i documenti. La parrocchia Santo Stefano di Caorle tiene a far sapere che:
  • non è assolutamente coinvolta nell'invio di queste email dall'intento chiaramente truffaldino;
  • esorta a non dare assolutamente seguito a questi messaggi, poiché la parrocchia non ha mai chiesto né mai intende chiedere in futuro denaro in questi termini a chiunque;
  • invita quanti avessero ricevuto messaggi di questo tipo provenienti dagli indirizzi 'caorleduomo@gmail.com' oppure 'caorleduorno@yahoo.it' a comunicare in maniera tempestiva l'accaduto, compilando il form presente alla pagina web http://www.caorleduomo.altervista.org/contact.html (la segnalazione sarà immediatamente girata alle forze dell'ordine alle quali abbiamo denunciato l'accaduto).
Ringraziamo per la collaborazione e ci scusiamo per il disagio.

sabato 26 aprile 2014

Intervista al Cardinale Capovilla, segretario di Papa Giovanni XXIII


Come si sente oggi, mentre si arriva alla conclusione del processo di canonizzazione, Eminenza?
"Mi sento con i miei anni, con la mia serenità consueta, con qualche piccola fatica, con molto desiderio di riflettere, pensare e rileggere e rivedere con la mia memoria i passi compiuti con Papa Giovanni. Vivo giorno per giorno, questo è gran dono".

Ci vuole raccontare un ricordo che più di altri in questi giorni la accompagna?
"Non ho un ricordo solo. Ho una folla di tanti ricordi, la cosa che più ho presente in questi momenti, é l'immagine di Giovanni XXIII prima che morisse. Me lo vedo come fosse oggi, disteso nel suo letto, mentre io ero lì, con altre, poche persone, nel silenzio. Ma fuori in piazza san Pietro c'era una moltitudine di fedeli. Io allora gli dissi: "Padre, qui siamo in pochi, ma fuori là, c'è la piazza rigurgitante di tante persone che prega per lei". E lui era sereno nello sguardo. Io insistei: "Santo Padre, ci sono tante persone in piazza, se le vedesse". E lui: "E' il Papa che muore, io li amo, loro mi amano".

Che cosa pensò in quel momento?
"Ho avuto come l'impressione che il vecchio Padre venisse sollevato sulle braccia dei suoi figli. E presentato a Dio Padre per il ritorno a casa. Questa é l'immagine che porto nel cuore"

E qualche ricordo di Roncalli precedente al giorno della fine?
"Penso al giorno dell'annuncio dell'Habemus Papam, il 28 otttobre 1958. Molti evocarono il quarto vangelo: "Venne un uomo mandato da Dio e il suo Nome era Giovanni". Spesso mi chiedono che cosa avesse in mente lui. Bisogna rileggere i suoi testi completi, studioso, pastore sollecito, padre universale. Penso che nel Libro del Siracide si trovi una traccia del suo destino, accostata a quella di Samuele, l'ingenuo fanciullo in ascolto di Dio, il sacerdote attento alle iluminazioni che vengono dall'alto"

Che cosa ha significato veramente il suo Pontificato?
"Ancora non ci rendiamo conto che nel quinquennio giovanneo, quasi inavvertitamente, qualcosa si mise in moto e ispirò un rivolgimento positivo ad intra e ad extra di notevoli proporzioni, nel senso di dilatazione del respiro contemplativo e di dimensione apostolica della Chiesa di Cristo"

La gente lo ricorda come il "Papa buono".
"Noi diciamo con parole grosse, piccole cose. Lui diceva con parole povere cose grandi. Come scriveva nel Giornale dell'Anima, lui ripeteva: "Nulla mi costa il riconoscere e il ripetere che io sono e non valgo che un bel niente". Coniugava conservazione e rinnovamento. Vi riuscì attraverso l'obbedienza allo Spirito, lo sforzo di imitazione dei campioni della fede e della sanità, e la docilità al dinamismo insito nel messaggio evangelico. Portò l'infanzia spirituale, due occhi e un sorriso, sul soglio di Pietro. "

Ma chi era lui veramente, alle origini? E perché è rimasto nei cuori?
"Era bergamasco, figlio di coltivatori, quartogenito di 13 figli, educato dai familiari "In fide e gratia", cresciuto nel "grembo della povertà contenta e benedetta", avviato sulle vie del "timor Domini", dell'onestà, dell'obbedienza, del lavoro; sin da ragazzo, malgrado gli accesi conflitti ideologici e le condizioni fatte dai governi di allora alla chiesa cattolica e ai cattolici, egli è stato leale cittadino d'Italia. E, figlio della campagna, è diventato ruminatore della Parola, servo di Dio e della Chiesa, amata oltre ogni dire, indagatore delle storie degli uomini, raccoglitore di spighe perché nulla andasse perduto. Due occhi limpidi e un sorriso innocente sul volto di un vegliardo non immalinconito erano forieri di novità evangelica. Tale apparve ai romani e al mondo alle 18.20 del 28 ottobre 1958, sulla loggia centrale di San Pietro. Sì, due occhi e un sorriso".

venerdì 18 aprile 2014

"Prendere il crocifisso in mano e baciarlo tanto"


Cito l'udienza generale di Papa Francesco di Mercoledì 16 aprile


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, a metà della Settimana Santa, la liturgia ci presenta un episodio triste: il racconto del tradimento di Giuda, che si reca dai capi del Sinedrio per mercanteggiare e consegnare ad essi il suo Maestro. «Quanto mi date se io ve lo consegno?». Gesù in quel momento ha un prezzo. Questo atto drammatico segna l’inizio della Passione di Cristo, un percorso doloroso che Egli sceglie con assoluta libertà. Lo dice chiaramente Lui stesso: «Io do la mia vita… Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18). E così, con questo tradimento, incomincia quella via dell’umiliazione, della spogliazione di Gesù. Come se fosse nel mercato: questo costa trenta denari…. Una volta intrapresa la via dell’umiliazione e della spogliazione, Gesù la percorre fino in fondo.

Gesù raggiunge la completa umiliazione con la «morte di croce». Si tratta della morte peggiore, quella che era riservata agli schiavi e ai delinquenti. Gesù era considerato un profeta, ma muore come un delinquente. Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte. Tante volte avvertiamo orrore per il male e il dolore che ci circonda e ci chiediamo: «Perché Dio lo permette?». È una profonda ferita per noi vedere la sofferenza e la morte, specialmente quella degli innocenti! Quando vediamo soffrire i bambini è una ferita al cuore: è il mistero del male. E Gesù prende tutto questo male, tutta questa sofferenza su di sé. Questa settimana farà bene a tutti noi guardare il crocifisso, baciare le piaghe di Gesù, baciarle nel crocifisso. Lui ha preso su di sé tutta la sofferenza umana, si è rivestito di questa sofferenza.

Noi attendiamo che Dio nella sua onnipotenza sconfigga l’ingiustizia, il male, il peccato e la sofferenza con una vittoria divina trionfante. Dio ci mostra invece una vittoria umile che umanamente sembra un fallimento. Possiamo dire che Dio vince nel fallimento! Il Figlio di Dio, infatti, appare sulla croce come uomo sconfitto: patisce, è tradito, è vilipeso e infine muore. Ma Gesù permette che il male si accanisca su di Lui e lo prende su di sé per vincerlo. La sua passione non è un incidente; la sua morte – quella morte – era “scritta”. Davvero non troviamo tante spiegazioni. Si tratta di un mistero sconcertante, il mistero della grande umiltà di Dio: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Questa settimana pensiamo tanto al dolore di Gesù e diciamo a noi stessi: questo è per me. Anche se io fossi stato l’unica persona al mondo, Lui l’avrebbe fatto. L’ha fatto per me. Baciamo il crocifisso e diciamo: per me, grazie Gesù, per me.

Quando tutto sembra perduto, quando non resta più nessuno perché percuoteranno «il pastore e saranno disperse le pecore del gregge» (Mt 26,31), è allora che interviene Dio con la potenza della risurrezione. La risurrezione di Gesù non è il finale lieto di una bella favola, non è l’happy end di un film; ma è l’intervento di Dio Padre e là dove si infrange la speranza umana. Nel momento nel quale tutto sembra perduto, nel momento del dolore, nel quale tante persone sentono come il bisogno di scendere dalla croce, è il momento più vicino alla risurrezione. La notte diventa più oscura proprio prima che incominci il mattino, prima che incominci la luce. Nel momento più oscuro interviene Dio e risuscita.

Gesù, che ha scelto di passare per questa via, ci chiama a seguirlo nel suo stesso cammino di umiliazione. Quando in certi momenti della vita non troviamo alcuna via di uscita alle nostre difficoltà, quando sprofondiamo nel buio più fitto, è il momento della nostra umiliazione e spogliazione totale, l’ora in cui sperimentiamo che siamo fragili e peccatori. È proprio allora, in quel momento, che non dobbiamo mascherare il nostro fallimento, ma aprirci fiduciosi alla speranza in Dio, come ha fatto Gesù. Cari fratelli e sorelle, in questa settimana ci farà bene prendere il crocifisso in mano e baciarlo tanto, tanto e dire: grazie Gesù, grazie Signore. Così sia.

domenica 30 marzo 2014

IV Domenica di Quaresima - Laetare

La IV Domenica di Quaresima segna un punto di svolta nel cammino quaresimale dei fedeli; abbiamo infatti da poco superato la metà Quaresima, e ci stiamo avvicinando alla Settimana Santa e alla Pasqua. Così la liturgia di questa domenica è quasi un invito ad alzare il capo e a contemplare la Pasqua ormai vicina. Tanto più che viene usata l'espressione di Domenica laetàre, che deriva dalla prima parola dell'Introito (canto iniziale) della Santa Messa, tratto dal libro del profeta Isaia (Is 66,10-11), il cui testo riporto in fondo: un invito a rallegrarci dopo esserci mortificati. Tale espressione della liturgia non si può comprendere senza gettare uno sguardo a quanto succedeva in passato. La Quaresima era infatti un lungo periodo di digiuno (l'espressione che a volte sentiamo nel linguaggio quotidiano "lungo come una Quaresima" deriva proprio da questa pratica), che non si limitava ai due giorni delle Ceneri e del Venerdì Santo (che sono tutt'ora giorni in cui vengono raccomandati il digiuno e l'astinenza), né ai singoli venerdì di Quaresima. In ogni singolo giorno il fedele era chiamato al digiuno e alle opere di mortificazione; anche se, pensando ai nostri genitori o nonni, non doveva essere difficile digiunare e privarsi del cibo ai loro tempi, nemmeno fuori della Quaresima. Di certo, comunque, la Pasqua rappresentava un traguardo da festeggiare con molta più solennità (anche nelle case e in famiglia) di quello che facciamo oggi. La Domenica laetare era una sorta di traguardo intermedio, un luogo di ristoro dove riprendere le forze per terminare il cammino, ed era consentito interrompere il lungo digiuno.
Tuttavia anche oggi, almeno in ambito liturgico, le norme raccomandate dal Concilio, in continuità con quanto accadeva prima, consentono, a chi pone una certa attenzione, di notare la differenza rispetto alle altre domeniche di Quaresima. Innanzitutto le vesti liturgiche: mentre il colore liturgico quaresimale è il viola, fusione del rosso (che simboleggia il Sangue di Cristo effuso durante la sua Passione) e del blu (che sta, invece, per la temperanza a cui i fedeli sono chiamati nei loro comportamenti specialmente in questo tempo forte), in questa domenica vedremo il rosaceo, che vuole essere una sorta di viola già contaminato dal bianco, colore della festa di Pasqua ormai vicina. Oggi è consentito anche porre dei fiori tra gli addobbi dell'altare, mentre per il resto della Quaresima non è possibile.
Un altro segno di grande importanza riguarda la musica liturgica; chi ha fatto attenzione (e sempre ammesso che i responsabili del canto e della musica liturgica delle vostre chiese abbiano osservato quanto prescritto dalle rubriche), avrà notato che nelle domeniche scorse il canto e l'organo sono sembrati molto discreti. L'organo, infatti, non può suonare da solo in Quaresima, ma può essere utilizzato soltanto per accompagnare il canto, lasciando ampio spazio al silenzio. Che vi sia questa cura, da parte dei libri liturgici, nei confronti della musica e del canto quaresimali è un ulteriore segno che essi sono parte integrante della liturgia, e non un orpello che serve solo per decorare. Ebbene in questa domenica anche l'organo darà un senso maggiore di festa, potendo accompagnare alcuni momenti delle celebrazioni con intermezzi musicali ora solenni, ora più sommessi.
Tutto questo potrebbe sembrare inutile; non la pensa così il Magistero della Chiesa, che tra i segni esteriori che compongono la liturgia ha voluto, nel corso dei secoli, inserire questi elementi, col preciso scopo di far avvertire ai nostri animi la presenza del Signore accanto a noi, e la sua vicinanza anche nella difficoltà e nella prova, rappresentati dall'austerità propria del tempo di Quaresima. La liturgia è fatta di segni esterni, che però parlano al cuore dei fedeli veramente disposti ad ascoltarla. Questa è la grande responsabilità di chi si occupa della liturgia nelle nostre chiese: essa non è lasciata al loro arbitrio, ma è affidata alla loro custodia, e devono essere consapevoli che è tramite la liturgia che il Signore parla al cuore dei fedeli. Se pensiamo di infarcire la liturgia di elementi mondani (musiche, atteggiamenti, gesti) solo perché ci piacciono, la impoveriamo tremendamente, e ci rendiamo responsabili anche di non aver avvicinato il Signore al cuore di chi a quella liturgia ha assistito.

Ascoltiamo dunque l'introito previsto per domani (anche dalla liturgia post-conciliare, checché se ne pensi): ed osserviamo come la musica (il canto gregoriano e il falsobordone polifonico scelto in questo video) aiutino a far percepire la gioia a cui ci invita il profeta. Non a caso questo brano è scritto sul quinto tono gregoriano, che è riconosciuto per esprimere "allegrezza, letizia per coloro che sono tristi e gioia".

venerdì 28 marzo 2014

"Le porte del confessionale sono sempre aperte"


Il Santo Padre, ha indetto per oggi, 28 marzo 2014 la giornata della Misericordia.
Proprio in ricorrenza di questa giornata il Duomo resterà aperto per tutta la notte e sarà esposto il Santissimo; come le porte del Duomo restano aperte, anche i sacerdoti durante tutta la notte, lasceranno "aperte" le porte del confessionale per accogliere tutte le persone che volessero avvicinarsi al Sacramento della Confessione che è l'unico modo per avvicinarsi a Gesù.
Il Sacramento della Confessione è il sacramento della guarigione.
Il fedele, solo se veramente pentito, riceve l'abbraccio totale di Dio, riceve il perdono.
La confessione è un po' come una colla, se immaginiamo la nostra fede come un filo, quando noi pecchiamo questo filo si rompe e l'unico modo per aggiustarlo è unirlo con la colla.
Ecco, quando noi pecchiamo ci allontaniamo da Dio e l'unico modo per riavvicinarsi è accostarsi al Sacramento della Confessione.
Però non è che avendo questa possibilità possiamo peccare e poi dire:tanto poi andiamo a confessarci. Il perdono dei peccati si riceve solo se realmente pentiti altrimenti non occorre nemmeno andare a confessarsi.

Cito alcuni articoli dal Catechismo della Chiesa Cattolica.

1422 "Quelli che si accostano al Sacramento della Penitenza ricevono la misericordia da Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita con il peccato e coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera".

1487 Colui che pecca ferisce l'onore di Dio e il suo amore, la propria dignità di uomo chiamato ad essere figlio di Dio e la salute spirituale della Chiesa di cui ogni cristiano deve essere una pietra viva.

1491 Il sacramento della Penitenza è costituito dall'insieme di tre atti compiuti dal penitente e dall'assoluzione dal parte del sacerdote. Gli atti del penitente sono: il pentimento, la confessione o la manifestazione dei peccati al sacerdote e il proposito di compiere la soddisfazione e le opere di soddisfazione.

1492 Il pentimento deve esser ispirato da motivi dettati dalla fede. Se il pentimento nasce dall'amore di carità verso Dio, lo si dice "perfetto"; se è fondato su altri motivi, lo si chiama "imperfetto".

Ecco lo "schema" per confessarsi

Preghiera

Signore, ecco prostrato ai vostri piedi un grande peccatore. Sta per scendere sul mio capo il vostro sangue divino per cancellare le mie colpe. Fate che io non lo profani, o Signore!
Illumina la mia mente a conoscere tutti i miei peccati. Infondete nel mio cuore un dolore profondo, decidete la mia volontà a propositi generosi. Fate che la mia Confessione sia sincera e pentita, e segni veramente per me un miglioramento di vita.
Maria SS. rifugio dei peccatori, mio Angelo Custode, miei Santi protettori, pregate per me.

Esame di coscienza

In confessionale
(al sacerdote) Beneditemi, o Padre, perché ho peccato (breve pausa di silenzio)
Mi confesso a Dio onnipotente, a Maria SS. sempre Vergine, a tutti i Santi e a voi, o Padre, perché ho peccato.

Enunciazione dei peccati

(Finita l'enunciazione dei peccati termina l'accusa con queste parole)
Confesso anche i peccati che non ricordo o non conosco e i più gravi della vita passata: e di tutti domando a Lei, o Padre, l'Assoluzione e la Penitenza.

Ascolta con fede i consigli del Confessore e rispondi con sincerità alle sue domande
Recita poi di cuore l'atto di dolore

O Gesù d'amore acceso, non vi avessi mai offeso; o mio caro e buon Gesù, con la Vostra Santa Grazia non vi voglio offender più, né mai disgustarvi perché vi amo sopra ogni cosa.

Segue l'assoluzione e la benedizione
Recita le penitenze che il Sacerdote ti ha affidato

Ringraziamento
Signore, sono stato tanto cattivo e mi sono meritato mille volte l'inferno coi miei peccati. Ed ecco invece che voi avete perdonato le mie colpe, mi avete baciato ancora in fronte come un figlio, e mi avete riaperto di nuovo le porte del Paradiso.
Vi prometto in compenso di essere sempre buono. Voi confermate i miei propositi con la vostra grazia e fate che non vi offenda mai più.
Maria Santissima, mia buona Madre, aiutatemi anche voi a mantenere i miei proponimenti.

martedì 25 marzo 2014

Annunciazione del Signore


Riporto l'Angelus di Papa Benedetto XVI della Solennità dell'Annunciazione del 25 marzo 2013.

Il “sì” di Maria all’annuncio dell’angelo, il “sì” di Cristo nel compiere la volontà del Padre si rinnova nella storia con il “sì” dei santi e soprattutto dei martiri “che vengono uccisi a causa del Vangelo”: in un unico sguardo Benedetto XVI ha legato due celebrazioni di questi giorni: la solennità dell’Annunciazione, che si celebra il 25 marzo, e la Giornata di preghiera per i missionari martiri, ricordata ieri.

L’Annunciazione, una festa molto antica a 9 mesi dal Natale. Il papa ha però voluto ricordare “questo stupendo mistero della fede, che contempliamo ogni giorno nella recita dell’Angelus”.

“L’Annunciazione – ha continuato il papa - … è un avvenimento umile, nascosto – nessuno lo vide, nessuno lo conobbe, se non Maria –, ma al tempo stesso decisivo per la storia dell’umanità. Quando la Vergine disse il suo “sì” all’annuncio dell’Angelo, Gesù fu concepito e con Lui incominciò la nuova era della storia, che sarebbe stata poi sancita nella Pasqua come “nuova ed eterna Alleanza”.

“In realtà – ha precisato il pontefice - il “sì” di Maria è il riflesso perfetto di quello di Cristo stesso quando entrò nel mondo, come scrive la Lettera agli Ebrei interpretando il Salmo 39: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per compiere, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7). L’obbedienza del Figlio si rispecchia nell’obbedienza della Madre e così, per l’incontro di questi due “sì”, Dio ha potuto assumere un volto di uomo. Ecco perché l’Annunciazione è anche una festa cristologica, perché celebra un mistero centrale di Cristo: la sua Incarnazione”.

“La risposta di Maria all’Angelo si prolunga nella Chiesa, chiamata a rendere presente Cristo nella storia, offrendo la propria disponibilità perché Dio possa continuare a visitare l’umanità con la sua Misericordia”. Proprio per sottolineare il “sì” dei santi e dei martiri, il papa ha ricordato la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri, celebrata ieri nell’anniversario dell’assassinio di Mons. Oscar Romero, Arcivescovo di San Salvador

Ricordando i “vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici stroncati nel compimento della loro missione di evangelizzazione e promozione umana”, il pontefice ha sottolineato che “i missionari martiri …. sono ‘speranza per il mondo’, perché testimoniano che l’amore di Cristo è più forte della violenza e dell’odio. Non hanno cercato il martirio, ma sono stati pronti a dare la vita per rimanere fedeli al Vangelo. Il martirio cristiano si giustifica soltanto come supremo atto d’amore a Dio ed ai fratelli”

E ha concluso: “In questo tempo quaresimale più frequentemente contempliamo la Madonna che sul Calvario sigilla il “sì” pronunziato a Nazaret. Unita a Gesù, il Testimone dell’amore del Padre, Maria ha vissuto il martirio dell’anima. Invochiamo con fiducia la sua intercessione, perché la Chiesa, fedele alla sua missione, dia al mondo intero testimonianza coraggiosa dell’amore di Dio”.



lunedì 24 marzo 2014

Giornata di digiuno e preghiera per i martiri Cristiani


Il 24 marzo, Giornata di preghiera e digiuno per ricordare vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici stroncati nel compimento della loro missione.

La fede non è qualcosa di accessorio o marginale nel contesto della vita cristiana. Anzi, è l’essenza di una umanità autentica, rinnovata dall’esperienza della croce, di cui missionari e missionarie martiri sono stati testimoni. Ed è proprio a loro che va il nostro plauso, ogni anno, il 24 marzo, in occasione della tradizionale Giornata dei missionari martiri. Si tratta di un’iniziativa promossa dal Movimento giovanile missionario (Missio Giovani), con l’intento di fare memoria di coloro che hanno dato la vita per la causa del Regno, nelle periferie del mondo. La data è quella della tragica uccisione del compianto arcivescovo di San Salvador, monsignor Óscar Arnulfo Romero y Galdámez , trucidato nell’ormai lontano 1980.

Una Giornata di preghiera e digiuno, nel cuore del tempo quaresimale, per ricordare, col cuore e con la mente, quei vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici stroncati nel compimento della loro missione. Da questo punto di vista, è davvero illuminante la testimonianza di monsignor Romero che costituisce una sorta di paradigma per cogliere il significato del martirio. Le cronache del tempo ci rammentano che aveva da poco concluso la sua omelia durante la Santa Messa vespertina nella cappella dell’ospedale della “Divina Provvidenza” di San Salvador. Proprio nel solenne momento dell’elevazione del calice, un sicario gli sparò a sangue freddo.

La vita di monsignor Romero e di tanti apostoli che hanno condiviso la passione di Nostro Signore ci induce a una sorta di discernimento sulla nostra quotidianità, sperimentando innanzitutto e soprattutto il turbamento e l’inquietudine di fronte al mistero. Sì, per tutte le vicissitudini e angherie che avvengono nei bassifondi della Storia, nella consapevolezza però che la loro, come anche la nostra è Storia di Salvezza.

Infatti, ricordando i missionari martiri è davvero possibile comprendere che l’amore non è un’astrazione filosofica o un banale sentimento dell’anima ma la prova fattiva che i veri cambiamenti sono resi possibili solo attraverso il dono della propria vita. Non è un caso se Tertulliano scriveva che «il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani», evocando la nascita della Chiesa dalla Croce di Cristo. Stando al recente computo pubblicato dall’agenzia missionaria Fides, sono stati complessivamente ventidue coloro che sono caduti sul campo nel 2013, quasi il doppio rispetto all’anno precedente: 19 sacerdoti, una religiosa e due laici. In America Latina sono stati uccisi 15 sacerdoti, ben sette in Colombia. In Africa hanno perso la vita un sacerdote in Tanzania, una religiosa in Madagascar e una laica in Nigeria. La loro testimonianza di vita rappresenta il valore aggiunto della fede cristiana che, peraltro, si evince dal tema scelto quest’anno per celebrare questa giornata: “Martyria”. Chi è infatti il martire se non il testimone pronto a dare tutto incondizionatamente?

Storie davvero avvincenti, quelle dei nostri missionari, che toccano il cuore perché riescono ancora oggi a ricomporre il legame inscindibile tra il Vangelo e la vita quotidiana. Stiamo parlando di persone in carne e ossa, la cui identità non si è mai fondata sul disprezzo e sulla prevaricazione nei confronti del prossimo, ma sulla talvolta scomoda e comunque radicale conformazione a Cristo. Viene, naturalmente, spontaneo chiedersi come mai, per poter conoscere qualche frammento dell’attualità africana o del Sud del mondo più in generale, si debba per forza aspettare che qualcosa di doloroso debba investire la loro esistenza. La domanda forse andrebbe rivolta ai gestori dell’informazione, soprattutto in Italia, i quali, forse per disattenzione o negligenza, dimenticano che il diritto di cittadinanza nel “villaggio globale” esige una conoscenza dell’alterità, indipendentemente dalla collocazione geografica di questo o quel popolo.

Ecco che allora il modo migliore e più efficace per rendere il giusto tributo a queste sentinelle della carità, di cui oggi rimangono forse solo gli stretti parenti e amici a ricordarne i nomi, sta proprio nel “dare voce a chi non ha voce”, alla gente che hanno servito risolutamente, con grande abnegazione. La loro testimonianza pertanto non solo rappresenta una forte provocazione, considerando il nostro malessere determinato dalla difficile congiuntura in cui versa l’economia mondiale, ma dovrebbe davvero indurci ad un deciso cambiamento di rotta. A pensarci bene, ci salveremo da un futuro pervaso da peccaminosi egoismi e fondamentalismi solo se sapremo metterci alla loro scuola, quella della gratuità, dell’accoglienza nei confronti dei poveri e degli attardati. Una visione spirituale dell’esistenza umana, tanto cara a Papa Francesco, ma non sempre condivisa nella nostra società dove l’interesse particolare prende troppe volte il sopravvento sul “Bene Comune”. Dimenticando l’universalità dell’amore missionario, davvero senza confini.

domenica 23 marzo 2014

Cinque mariti e in cerca della vera gioia: la Samaritana

Riporto una parte significativa del discorso improvvisato dal Santo Padre Benedetto XVI al termine dell'incontro con i gruppi parrocchiali di Santa Maria liberatrice di Testaccio (24 febbraio 2008). Ha come spunto l'episodio del Vangelo di questa III domenica di Quaresima, in particolare l'attenzione di Gesù per la ricerca affannata e sbagliata della Samaritana che, incontrando il Messia, appaga finalmente la sua sete di libertà e gioia:
Oggi abbiamo letto un brano del Vangelo molto attuale. La donna samaritana della quale si parla, può apparire come una rappresentante dell'uomo moderno, della vita moderna. Ha avuto cinque mariti e convive con un altro uomo. Faceva ampio uso della sua libertà e tuttavia non diventava più libera, anzi diventava più vuota. Ma vediamo anche che in questa donna era vivo un grande desiderio di trovare la vera felicità, la vera gioia. Per questo era sempre inquieta e si allontanava sempre di più dalla vera felicità. 
Tuttavia anche questa donna, che viveva una vita apparentemente così superficiale, anche lontana da Dio, nel momento in cui Cristo le parla allora mostra che nella profondità del cuore custodiva questa domanda su Dio: chi è Dio? Dove possiamo trovarlo? Come possiamo adorarlo? In questa donna possiamo vedere tutto lo specchio della nostra vita di oggi, con tutti i problemi che ci coinvolgono; ma vediamo anche come nella profondità del cuore ci sia sempre la questione di Dio, e l'attesa che Egli si mostri in un altro modo.
La nostra attività è realmente l'attesa; rispondiamo all'attesa di quanti attendono la luce del Signore, e nel darle risposta a questa attesa anche noi cresciamo nella fede e possiamo capire che questa fede è quell'acqua della quale abbiamo sete. 
In questo senso voglio incoraggiarvi ad andare avanti con il vostro impegno pastorale e missionario, con il vostro dinamismo per aiutare le persone di oggi a trovare la vera libertà e la vera gioia. Tutti, come questa donna del Vangelo, sono in cammino per essere totalmente liberi, per trovare la piena libertà e per trovare in essa la gioia piena; ma spesso si ritrovano sulla strada sbagliata. Possano costoro, tramite la luce del Signore e la nostra cooperazione con il Signore, scoprire che la vera libertà viene dall'incontro con la Verità che è l'amore e la gioia.


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