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sabato 26 aprile 2014

Intervista al Cardinale Capovilla, segretario di Papa Giovanni XXIII


Come si sente oggi, mentre si arriva alla conclusione del processo di canonizzazione, Eminenza?
"Mi sento con i miei anni, con la mia serenità consueta, con qualche piccola fatica, con molto desiderio di riflettere, pensare e rileggere e rivedere con la mia memoria i passi compiuti con Papa Giovanni. Vivo giorno per giorno, questo è gran dono".

Ci vuole raccontare un ricordo che più di altri in questi giorni la accompagna?
"Non ho un ricordo solo. Ho una folla di tanti ricordi, la cosa che più ho presente in questi momenti, é l'immagine di Giovanni XXIII prima che morisse. Me lo vedo come fosse oggi, disteso nel suo letto, mentre io ero lì, con altre, poche persone, nel silenzio. Ma fuori in piazza san Pietro c'era una moltitudine di fedeli. Io allora gli dissi: "Padre, qui siamo in pochi, ma fuori là, c'è la piazza rigurgitante di tante persone che prega per lei". E lui era sereno nello sguardo. Io insistei: "Santo Padre, ci sono tante persone in piazza, se le vedesse". E lui: "E' il Papa che muore, io li amo, loro mi amano".

Che cosa pensò in quel momento?
"Ho avuto come l'impressione che il vecchio Padre venisse sollevato sulle braccia dei suoi figli. E presentato a Dio Padre per il ritorno a casa. Questa é l'immagine che porto nel cuore"

E qualche ricordo di Roncalli precedente al giorno della fine?
"Penso al giorno dell'annuncio dell'Habemus Papam, il 28 otttobre 1958. Molti evocarono il quarto vangelo: "Venne un uomo mandato da Dio e il suo Nome era Giovanni". Spesso mi chiedono che cosa avesse in mente lui. Bisogna rileggere i suoi testi completi, studioso, pastore sollecito, padre universale. Penso che nel Libro del Siracide si trovi una traccia del suo destino, accostata a quella di Samuele, l'ingenuo fanciullo in ascolto di Dio, il sacerdote attento alle iluminazioni che vengono dall'alto"

Che cosa ha significato veramente il suo Pontificato?
"Ancora non ci rendiamo conto che nel quinquennio giovanneo, quasi inavvertitamente, qualcosa si mise in moto e ispirò un rivolgimento positivo ad intra e ad extra di notevoli proporzioni, nel senso di dilatazione del respiro contemplativo e di dimensione apostolica della Chiesa di Cristo"

La gente lo ricorda come il "Papa buono".
"Noi diciamo con parole grosse, piccole cose. Lui diceva con parole povere cose grandi. Come scriveva nel Giornale dell'Anima, lui ripeteva: "Nulla mi costa il riconoscere e il ripetere che io sono e non valgo che un bel niente". Coniugava conservazione e rinnovamento. Vi riuscì attraverso l'obbedienza allo Spirito, lo sforzo di imitazione dei campioni della fede e della sanità, e la docilità al dinamismo insito nel messaggio evangelico. Portò l'infanzia spirituale, due occhi e un sorriso, sul soglio di Pietro. "

Ma chi era lui veramente, alle origini? E perché è rimasto nei cuori?
"Era bergamasco, figlio di coltivatori, quartogenito di 13 figli, educato dai familiari "In fide e gratia", cresciuto nel "grembo della povertà contenta e benedetta", avviato sulle vie del "timor Domini", dell'onestà, dell'obbedienza, del lavoro; sin da ragazzo, malgrado gli accesi conflitti ideologici e le condizioni fatte dai governi di allora alla chiesa cattolica e ai cattolici, egli è stato leale cittadino d'Italia. E, figlio della campagna, è diventato ruminatore della Parola, servo di Dio e della Chiesa, amata oltre ogni dire, indagatore delle storie degli uomini, raccoglitore di spighe perché nulla andasse perduto. Due occhi limpidi e un sorriso innocente sul volto di un vegliardo non immalinconito erano forieri di novità evangelica. Tale apparve ai romani e al mondo alle 18.20 del 28 ottobre 1958, sulla loggia centrale di San Pietro. Sì, due occhi e un sorriso".

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