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martedì 22 marzo 2011

Il papa e il latino nella liturgia

Abbiamo in altre occasioni approfondito l'aspetto dell'uso della lingua latina nella liturgia, cercando di far capire il motivo di questa scelta. Oggi continuiamo in questo approfondimento, ma orientati verso la visita del papa ad Aquileia e Venezia. Nel sito internet dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, diretto dal Maestro delle celebrazioni, mons. Guido Marini, troviamo interessanti informazioni in merito.
Innanzitutto c'è da dire questo: quando si parla di Messa in Latino si pensa a qualcosa che riguarda il passato, per diversi ordini di motivi: principalmente perché fino alla riforma liturgica la Santa Messa era celebrata solo in lingua latina. Tuttavia un conto è dire che il latino appartiene al passato, un conto è dire che è superato. La prima affermazione può essere in un certo senso condivisa: si legge nel sito dell'Ufficio delle Celebrazioni: «Il latino è senza dubbio la lingua più longeva della liturgia romana: la si utilizza infatti da più di sedici secoli, ossia da quando si perfezionò a Roma, sotto Papa Damaso († 384) il passaggio ad essa dal greco». Ciò non significa che, appartenendo al passato, non possa appartenere anche al presente e al futuro; continua infatti il testo: «I libri liturgici ufficiali del Rito Romano vengono pertanto a tutt’oggi pubblicati in latino (editio typica)». Al contrario, chi pensa che il latino sia una cosa superata, ritiene che esso non debba più essere parte della liturgia, in quanto il suo utilizzo sarebbe un anacronistico ritorno ad una realtà che, probabilmente, si ritiene negativa. Ritornano qui, nella questione dell'uso del latino nella liturgia, le due ermeneutiche della storia della Chiesa: da una parte la continuità (il latino è nato nel passato, ma vive e prolifica nel presente) e dall'altra la rottura (oggi sì che si sta bene, che abbiamo abolito questa noia del latino).
Come nel post dedicato alle ermeneutiche del Concilio, ci rendiamo conto che chi promuove la rottura in nome del Concilio lo fa, in realtà, a titolo esclusivamente personale, giacché il Concilio ha affermato cose ben diverse:

«L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.
Sacrosanctum Concilium, n.36»

Anche nel caso della lingua vernacolare, il Concilio ed il Codice di Diritto Canonico sono molto chiari: «La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra»; quindi anche nel caso delle lingue nazionali non si tratta di un'altra Messa, scritta appositamente in un linguaggio "moderno", si tratta della stessa Messa, tradotta dal latino. La lingua latina, dunque, al primo posto; ma allora perché oggi il latino è quasi completamente accantonato in molte realtà ecclesiali? Non abbiamo una risposta soddisfacente; se non quella che arriva dal Sommo Pontefice, il quale sta cercando di riportare questi comportamenti, che vanno contro il Magistero della Chiesa e gli insegnamenti del Concilio, sul giusto binario. E a coloro che si affrettano a bollare il Magistero di Benedetto XVI come controcorrente rispetto al suo predecessore, Giovanni Paolo II, l'Ufficio delle Celebrazioni ricorda queste parole del futuro beato papa polacco:

«La Chiesa romana ha particolari obblighi verso il latino, la splendida lingua dell’antica Roma e deve manifestarli ogniqualvolta se ne presenti l’occasione»
Dominicae Cenae, n. 10

Così gli insegnamenti che il Santo Padre Benedetto XVI impartisce durante le liturgie papali sono in continuità con quanto affermato da Giovanni Paolo II:

«Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.»
Sacramentum Caritatis, n.62

Ecco qui un altro aspetto, quello del canto liturgico, principalmente gregoriano. Il papa fornisce la ricetta da usare affinché il popolo di Dio ritorni a pregare con questo incommensurabile strumento, capace di elevare gli animi al Signore. Molti, infatti, obiettano alla reintroduzione del latino e del gregoriano che la gente non sa il latino, e che il gregoriano è difficile. Tuttavia dobbiamo ricordare che latino e gregoriano (come già visto) non sono mai stati aboliti, e quindi non devono essere reintrodotti, ma semmai dobbiamo tirarli fuori dalle cantine polverose in cui spesso sono stati relegati dagli araldi del postconcilio; ed il fatto che il gregoriano sia difficile è un mito ormai sfatato, il gregoriano non è più difficile di molti altri canti che si usano in svariate realtà ecclesiali. Quello che è più importante, però, è che lo stesso Benedetto XVI invita i preti a tornare ad insegnare il latino e il gregoriano alla gente; quindi non dobbiamo buttare nel cestino i libri usuales perché la gente non sa il gregoriano, ma dobbiamo semmai educare, aiutare il popolo a cantare. E' quello che tentiamo di fare nella nostra parrocchia (almeno alla Messa delle 10:45 e durante i Vespri domenicali); e molti fedeli, specialmente turisti, vengono a dirci di come rimangono estasiati a riascoltare il canto che forse nelle loro terre è purtroppo andato perduto, malgrado per secoli abbia condotto i cuori dei cristiani verso Dio, e che tutt'oggi non ha perso questo suo incredibile potere.
Quando, dunque, al parco san Giuliano sentiremo il papa celebrare in latino e saremo invitati a rispondere nell'ordinario della Messa con il gregoriano, penseremo a queste cose e, spero, potremmo essere lieti di seguire il papa in questo suo insegnamento.

Qui di seguito la pagina dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice dedicata all'uso del latino nella liturgia:
L'uso della lingua latina.

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