In questi giorni che anticipano e in quelli che seguiranno i due giorni di Ognissanti e della Commemorazione di tutti i fedeli defunti desidero scrivere una serie di post dedicati alla dottrina della Chiesa cattolica sul Purgatorio, al fine di far convergere la preghiera e la meditazione sul Mistero del Purgatorio e sulle anime dei defunti ivi imprigionate. In questo primo post faccio una personale analisi sull'interpretazione della morte e della vita dopo la morte che oggi sembra essere più diffusa tra i credenti e i non credenti.
Nel nostro mondo sempre più secolarizzato, anche la morte e la vita dopo la morte stanno subendo un processo di progressiva scristianizzazione anche da parte di chi si professa cristiano. Una conseguenza particolarmente curiosa di questo processo è il fatto che oggi credere in una vita dopo la morte non è più il tratto che contraddistingue un credente da un ateo. Infatti fino a pochi anni fa, ma c'è chi continua ad asserirlo ancora, moltissimi pensatori atei accusavano i credenti per il fatto che la loro fede sarebbe debole proprio perché essi non si accontenterebbero della morte come fine della vita, ma, a motivo di consolazione illusoria (questo è quello che gli atei affermano), credono che la vita continui nell'aldilà. In realtà oggi sembra che siano più gli atei, seguiti purtroppo anche da una buona fetta di coloro che si dicono cristiani, a credere ad una certa vita dopo la morte, che però nulla ha a che vedere con quella vera; essa sembra fatta apposta per consolare quelli che restano qui sulla terra, piuttosto che per coloro che effettivamente entrano nell'aldilà.
Queste le caratteristiche dello stravagante "aldilà", che molto (troppo) sembra avere in comune con l'aldiqua: innanzitutto tutti coloro che ci lasciano diventerebbero angeli, senza alcuna coscienza di cosa effettivamente gli Angeli siano. Questa metamorfosi angelica sembra essere poi legata all'età ed alle circostanze che hanno portato alla morte: in generale più il defunto è giovane e più sarebbe facile che diventi un angelo, così come accade quanto più improvvisa è la morte. In questa vita futura essi continuerebbero a svolgere le attività che svolgevano da "vivi", o meglio, continuerebbero a fare soltanto quello che a loro piaceva fare da vivi (fosse stato anche andare a donne); guarderebbero ai loro congiunti rimasti sulla terra con uno sguardo non buono, ma buonista, evitando ogni possibile rimprovero, ma piuttosto incoraggiando ogni azione che i vivi credono buona per loro. Questo genere di convinzione sembra rafforzarsi quando nei funerali cristiani, specialmente di giovani morti improvvisamente, si lascia ai loro amici ricoprire la bara con magliette della squadra del cuore, portare, in chiesa o fuori, motociclette, automobili, strumenti musicali che il defunto apprezzava in vita, richiedere ai musicisti di parrocchia "canzoni allegre" perché il defunto era una persona allegra. Infine, in alcuni casi sempre più frequenti, si richiede la cremazione del corpo per tenerselo in casa o per spargerne le ceneri in mare, sulla terra o addirittura nello spazio; è assai raro, infatti, vedere giovani recarsi in un cimitero per pregare sulla tomba di un loro amico defunto.
Grande assente in questo tipo di cerimonie funebri è proprio la preghiera; l'unica parvenza di preghiera è quella per gli astanti, dal momento che è diffusa la convinzione che per il morto non serva pregare, se davvero è "un angelo" che felice saltella per i prati di un paradiso molto simile alla nostra terra. C'è da dire che molto spesso ci si mettono anche i preti, che durante i funerali pronunciano, più che omelie, vere e proprie "agiografie" del defunto, sempre per la convinzione che in un funerale non si debba pregare per il defunto ma serva molto più preoccuparsi di quello che vuole sentirsi dire l'"Assemblea". Come conseguenza alcuni di questi sacerdoti consentono, specialmente dopo la Comunione, ricordi funebri da parte di parenti e amici sullo stile hollywoodiano che vediamo al cinema o in tv, oppure smettono le vesti nere, il colore proprio del rito funebre, per indossare quelle viola (che forse, credono, sia di un impatto meno negativo sull'"Assemblea") o peggio quelle bianche (perché il defunto è già puro e santo); alcuni arrivano addirittura ad insegnare che il funerale è un matrimonio, il matrimonio dell'anima del defunto con Dio, e pertanto, durante la funzione, cercano, magari in buona fede, di strappare un sorriso sulle facce dei poveri congiunti.
Questo tipo di cerimonie forse potrà consolare parenti e amici, anche se dubito che si possa essere pienamente consolati allo stesso modo di come si fa coi bambini, magari dicendo cose false. Se davvero fosse questo l'aldilà avrebbero ragione gli atei che accusano i credenti di crearsi il paradiso che vogliono o che si immaginano, perché è proprio questa la verità: questo è un paradiso inventato. Cosa ne è della pietà per il defunto? Se il defunto avesse bisogno di preghiere per la sua anima, chi le eleverà al suo posto, se parenti e amici sono convinti della sua salvezza?
In tutto questo ragionamento manca un appiglio fondamentale per un cattolico, la dottrina cristiana; accanto al Paradiso (alla cui esclusiva presenza molti sembrano ridurre l'aldilà) mancano l'Inferno e il Purgatorio; mancano il Giudizio particolare ed il Giudizio universale; mancano, in altre parole, i Novissimi, le cose ultime, che un tempo la Chiesa insegnava ma che ora sono viste come qualcosa di sorpassato.
Nei prossimi post dedicati al Purgatorio approfondiremo più dettagliatamente la dottrina della Chiesa a proposito della vita dopo la morte, come essa richieda da parte dei vivi non astrazione sullo stato dei propri defunti, ma innanzitutto preghiera e speranza e come la conoscenza della verità sulla morte cristiana diventi uno sprone non solo per gli istanti ultimi della propria vita, ma per tutta la durata della nostra vita e di quella degli altri.
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