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giovedì 9 giugno 2011

Intervista di mons. Guido Pozzo

Trasmetto il testo di un'intervista rilasciata da mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, al portale francese Nouvelles de France e tradotto dal blog Messainlatino.it, a proposito di motu proprio Summorum Pontificum, istruzione Universae Ecclesiae e di liturgia. In essa il prelato ribadisce che lo scopo dei documenti papali sull'antica liturgia non sono materia esclusiva per i cosiddetti cattolici tradizionalisti, ma sono stati promulgati a beneficio di tutta la Chiesa. Precisa come la liturgia antica e quella nuova si arricchiscono vicendevolmente, non sono una la contraddizione dell'altra, e mette in guardia su due tipi di "tradizionalismo", quello buono dei fedeli «che ribadiscono con forza l'integrità del patrimonio dottrinale, liturgico e culturale della fede e della tradizione cattolica» e quello negativo di coloro che fanno «un uso ideologico della Tradizione, per opporre la Chiesa di prima del Concilio Vaticano II e la Chiesa del Vaticano II, che si sarebbe allontanata dalla Tradizione». Tuttavia non nega il fatto che molto spesso si dipinge un Vaticano II diverso da quello che effettivamente è stato espresso dai Padri nei documenti pervenutici: «Le deviazioni dottrinali e le deformazioni liturgiche che si sono verificate dopo la fine del Concilio Vaticano II non hanno alcun fondamento obiettivo nei documenti conciliari compresi nell’insieme della dottrina cattolica». Anche per questo la diffusione promossa dal motu proprio della Messa in rito antico sono un bene per la Chiesa intera, affinché nella Messa celebrata nel nuovo rito possiamo recuperare ciò che il Concilio davvero intendeva insegnare e promuovere in continuità con la Tradizione. Nella parte finale dell'intervista mons. Pozzo, interrogato in proposito, parla dei rapporti tra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X, giacché uno tra gli obiettivi del papa, con il motu proprio, era quello di promuovere l'unità della Chiesa.

Intervista con mons. Pozzo, segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

Monsignore, qual è lo scopo del Motu Proprio Summorum Pontificum?
Il Motu proprio Summorum pontificum intende offrire a tutti i fedeli cattolici la liturgia romana, nell’usus antiquior, considerandolo come un tesoro prezioso da conservare. A tal fine, essa intende garantire ed assicurare a tutti coloro che lo richiedono l'uso della forma straordinaria e quindi, a promuovere l'unità e la riconciliazione nella Chiesa.

Perché questo successo della Messa di San Pio V tra i giovani cattolici?
Penso che il raccoglimento interiore, il significato della Messa come sacrificio sia particolarmente valorizzato dalla forma straordinaria. Questo in parte spiega l'aumento del numero di fedeli che la reclamano.

La lettera del Papa che accompagna il Motu Proprio indica che c'è stato un aumento del numero dei fedeli che richiede l'uso della forma straordinaria. Qual è la ragione secondo Lei?
La lettera di accompagnamento del Motu Proprio presenta i motivi e le spiegazioni che chiariscono lo scopo e il significato del Motu Proprio. È essenziale notare che entrambe le forme dell’unico rito romano si arricchiscono a vicenda e devono quindi essere considerate complementari. Il ristrabilimento dell’usus antiquior del Messale romano con il suo quadro normativo proprio è dovuto ad un aumento nelle richieste provenienti dai fedeli che desiderano partecipare alla celebrazione della Santa Messa nella forma straordinaria. Si tratta in sostanza di rispettare e valorizzare un particolare interesse di alcuni fedeli per la Tradizione e per la ricchezza del patrimonio liturgico messo in evidenza dal rito romano antico. È interessante che questa sensibilità sia presente anche nelle giovani generazioni, cioè tra quelli che non erano stati precedentemente formati a questo tipo di liturgia.

Si dice che i movimenti tradizionali suscitino più vocazioni che altrove. E’ vero? Se sì, perché?
Negli istituti che dipendono dalla Commissione pontificale "Ecclesia Dei" e seguono le forme liturgiche e disciplinari della Tradizione, c'è un aumento di vocazioni sacerdotali e di vocazioni alla vita religiosa. Eppure, penso che una ripresa delle vocazioni sacerdotali si rinvenga anche nei seminari. Soprattutto là dove si fornisce una formazione e una educazione al ministero sacerdotale e a una vita spirituale seria e rigorosa, senza sconti di fronte alla secolarizzazione, che purtroppo è entrata nella mentalità e nelle forme di vita di alcuni chierici e persino di alcuni seminari. Questa è, a mio avviso, la causa principale della crisi delle vocazioni al sacerdozio, crisi di qualità beninteso, piuttosto che di quantità. Presentare la figura del sacerdote nella sua identità profonda, come ministro del Sacro, come alter Christus, come guida spirituale del popolo di Dio, come colui che celebra il sacrificio della S. Messa e rimette i peccati nel sacramento della confessione, agendo in persona Christi capitis, tale è la condizione essenziale per la creazione di una pastorale delle vocazioni che sia fruttuosa e consenta la ripresa delle vocazioni al sacerdozio ministeriale.

Sa se il Papa è soddisfatto dell’applicazione del Motu Proprio?
La Commissione pontificia "Ecclesia Dei" tiene costantemente informato il S. Padre sull'evoluzione dell'attuazione del Motu Proprio e sull’aumento della sua ricezione, nonostante le difficoltà che vediamo qui o là.

Quali sono le difficoltà pratiche di applicazione che incontrate?
C'è ancora resistenza da parte di alcuni vescovi e membri del clero che non rendono sufficientemente accessibile la messa tridentina.

L'istruzione Universae Ecclesiae sembra piuttosto incoraggiare ancor di più la celebrazione della forma straordinaria. È questo il caso?
L'istruzione è destinata a contribuire ad applicare ancora più efficacemente e correttamente le direttive del Motu Proprio. Offre qualche chiarimento normativo e qualche chiarimento di aspetti importanti per l'attuazione pratica.

Si ha l'impressione che è principalmente in Francia che le reazioni sono più epidermiche su questo argomento. Qual è la ragione secondo Lei?
Forse è troppo presto per dare una valutazione sufficientemente esauriente delle reazioni all'Istruzione, e questo vale non solo per la Francia. Ma mi sembra che pensando alla situazione della Chiesa in Francia, si dovrebbe prendere in considerazione il fatto che c'è una tendenza a polarizzare e radicalizzare i giudizi e le convinzioni in questa materia. Questo non favorisce una buona comprensione e una ricezione autentica del documento. Bisogna piuttosto superare una visione principalmente emotiva e sentimentale. Si tratta - ed è un dovere – di recuperare il principio dell'unità della liturgia, che giustifica precisamente l'esistenza di due forme, tutt’e due legittime, che non devono essere mai viste in opposizione o in alternativa. La forma straordinaria non è un ritorno al passato e non deve essere intesa come una messa in discussione della riforma liturgica voluta dal Vaticano II. Allo stesso modo, la forma ordinaria non è una rottura con il passato, ma il suo sviluppo, almeno in alcuni aspetti.

“Sollecitudine dei Sommi Pontefici” e “Chiesa universale” sono i rispettivi titoli del Motu proprio e della sua istruzione. Ciò significa che l'obiettivo è la riconciliazione con il "tradizionalista"?
L'istruzione, come ho detto all'inizio, intende promuovere l'unità e la riconciliazione nella Chiesa. Il termine "tradizionalista" è spesso una formula generica utilizzata per definire cose molto diverse. Se per "tradizionalisti", si intendono i cattolici che ribadiscono con forza l'integrità del patrimonio dottrinale, liturgico e culturale della fede e della tradizione cattolica, è chiaro che essi troveranno conforto e supporto nell'Istruzione. Il termine "tradizionalista" può inoltre essere interpretato in modo diverso e designare colui che fa un uso ideologico della Tradizione, per opporre la Chiesa di prima del Concilio Vaticano II e la Chiesa del Vaticano II, che si sarebbe allontanata dalla Tradizione. Questa opinione è una maniera distorta di comprendere la fedeltà alla Tradizione, perché il Concilio Vaticano II fa, anche lui, parte della Tradizione. Le deviazioni dottrinali e le deformazioni liturgiche che si sono verificate dopo la fine del Concilio Vaticano II non hanno alcun fondamento obiettivo nei documenti conciliari compresi nell’insieme della dottrina cattolica. Le frasi o le espressioni dei testi conciliari non possono e non devono essere isolate o strappate, per così dire, dal contesto generale della dottrina cattolica. Purtroppo, queste deviazioni dottrinali e questi abusi nell'applicazione pratica della riforma liturgica costituiscono il pretesto di questo "tradizionalismo ideologico" che fa rifiutare il Concilio. Tale pretesto si basa su un pregiudizio infondato. È chiaro che oggi non è più sufficiente ripetere il dato conciliare, ma si deve al contempo confutare e rifiutare le deviazioni e interpretazioni erronee che pretendono fondarsi sull’insegnamento conciliare. Questo vale anche per la liturgia. È la difficoltà con cui ci troviamo oggi alle prese.

"I fedeli che chiedono la celebrazione della forma straordinaria non devono mai venire in aiuto o appartenere a gruppi che negano la validità o la legittimità della Santa Messa o dei sacramenti celebrati secondo la forma ordinaria, o che si oppongono al Romano Pontefice come supremo pastore della Chiesa universale" (Istruzione Universae Ecclesiae, § 19). Questa norma colpisce la Fraternità San Pio X?
L’articolo dell'Istruzione a cui fa riferimento concerne determinati gruppi di fedeli che considerano o postulano un'antitesi tra il Messale del 1962 e quello di Paolo VI, e che pensano che il rito promulgato da Paolo VI per la celebrazione del sacrificio della S. Messa sia dannoso per i fedeli. Tengo a precisare che si deve distinguere chiaramente il rito e il Messale come tale, celebrato secondo le norme, e una certa comprensione e attuazione della riforma liturgica caratterizzata da ambiguità, deformazioni dottrinali, abusi e banalizzazioni, fenomeni purtroppo assai diffusi che hanno portato il cardinale J. Ratzinger a parlare senza esitazione in una delle sue pubblicazioni di "crollo della liturgia". Sarebbe ingiusto e sbagliato attribuire la causa di tale un collasso al Messale riformato. Allo stesso tempo si deve accogliere l'insegnamento e la disciplina che Papa Benedetto XVI ci ha dato nella sua lettera apostolica Summorum pontificum per ripristinare la forma straordinaria del rito romano antico, e seguire il modo esemplare con cui il Papa celebra la Santa Messa nella forma ordinaria in S. Pietro, nelle sue visite pastorali e nei suoi viaggi apostolici.

Ancora oggi, pensa che l'insegnamento del Concilio non sia applicato correttamente?
Nell’insieme, purtroppo sì. Ci sono situazioni complesse in cui si constata che l'insegnamento del Concilio non è stato ancora compreso. Si pratica ancora un'ermeneutica della discontinuità rispetto alla Tradizione.

Benedetto XVI sembra essere molto attento alla liturgia nel suo pontificato, vero?
È assolutamente vero, ma la precisazione che ho dato concerneva soprattutto i gruppi che pensano che ci sia un'opposizione tra i due Messali.

La Fraternità San Pio X riconosce questo Messale come valido e lecito?
E’ alla Fraternità San Pio X che bisogna chiederlo.

Il Santo Padre desidera che la Fraternità San Pio X si riconcili con Roma?
Certamente. La lettera di revoca delle scomuniche dei quattro vescovi illegittimamente consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre è l'espressione del desiderio del Santo Padre di promuovere la riconciliazione della Fraternità San Pio X con la Santa sede.

Il contenuto delle discussioni che si svolgono tra Roma e la Fraternità San Pio X è segreto, ma su quali punti e in che modo si svolgono?
Il nodo essenziale è di carattere dottrinale. Per raggiungere la genuina riconciliazione, si devono superare alcune questioni dottrinali che sono alla base della frattura attuale. Nei colloqui in corso, c'è confronto di argomenti tra gli esperti scelti dalla Fraternità San Pio X e gli esperti scelti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Alla fine, si preparano sintesi conclusive, che riassumono le posizioni espresse dalle due parti. I temi discussi sono noti: il Primato e la collegialità episcopale; il rapporto tra la Chiesa cattolica e le confessioni cristiane non cattoliche; la libertà religiosa; il Messale di Paolo VI. Alla fine dei colloqui, i risultati delle discussioni saranno presentati alle rispettive istanze autorizzate per una valutazione complessiva.

Sembra inconcepibile che ci possa essere una rimessa in discussione del Concilio Vaticano II. Allora su che cosa possono incentrarsi queste discussioni? Su una migliore comprensione di quello?
Si tratta del chiarimento di punti da chiarire che precisano il significato esatto dell'insegnamento del Concilio. Questo è ciò che il Santo Padre ha iniziato a fare il 22 dicembre 2005, comprendendo il Concilio in un'ermeneutica del rinnovamento nella continuità. Tuttavia, ci sono alcune obiezioni della Fraternità S. Pio X che hanno senso, perché c’è stata un'interpretazione di rottura. L'obiettivo è quello di mostrare la necessità di interpretare il Concilio nella continuità della Tradizione della Chiesa.

Il Cardinale Ratzinger è stato responsabile delle discussioni circa 20 anni fa. Continua a seguire il loro sviluppo ora che è Papa?
In primo luogo, il ruolo del segretario è quello di organizzare e garantire il corretto svolgimento delle discussioni. La valutazione di queste compete al Santo Padre che segue le discussioni, con il cardinale Levada, ne è informato e dà il suo parere. Lo stesso avviene d’altronde su tutti i punti che affronta la Congregazione.

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