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mercoledì 1 giugno 2011

Il Papa sulla musica sacra

Proprio nell'articolo di ieri parlavo della partecipazione attiva dei fedeli alla Santa Messa, e di come essa non sia qualcosa da inventarsi ex novo da dopo il Concilio, ma sia stata costantemente e continuamente curata dalla Chiesa durante tutto il suo Magistero. Inoltre accennavo anche alla musica sacra, e citavo i diversi gradi di partecipazione nel canto da parte dei fedeli. Sempre ieri, nel bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, veniva reso pubblico il messaggio inviato dal nostro Santo Padre, Benedetto XVI, al card. Zenon Grocholewski, in occasione del centesimo anniversario di fondazione del Pontificio Istituto di Musica Sacra (PIMS). Fondato nel 1911, otto anni dopo la promulgazione del motu proprio "Tra le sollecitudini", da papa san Pio X, il PIMS, allora Scuola Superiore di Musica Sacra, doveva attuare l'attenta riforma del santo papa veneto, il quale auspicava l'eliminazione di ogni germe profano nella musica liturgica ed un ritorno importante al canto gregoriano. Al tempo di Pio X la minaccia maggiore giungeva dalla musica di stampo operistico, che prendeva sempre più piede anche all'interno delle chiese. Oggi certamente non vi è più l'opera ad adulterare il carattere sacro del canto liturgico; ma non possiamo di sicuro affermare che anche oggi non vi siano influssi profani, i quali prepotentemente stanno monopolizzando la musica delle nostre celebrazioni liturgiche. Come dice la parola stessa (profano significa letteralmente davanti al tempio, quindi fuori dal tempio), gli elementi della musica mondana, di qualsiasi genere (rock, pop, leggero, fino ad arrivare al rap e al metal), non hanno la dignità per varcare la soglia della chiesa ed accompagnare i canti liturgici, ed è bene che stiano fuori, come dice papa Giovanni Paolo II citando il predecessore Paolo VI: «non indistintamente tutto ciò che sta fuori dal tempio (profanum) è atto a superarne la soglia». Per giudicare la dignità di un canto liturgico, infatti, non basta guardare il testo (altrimenti parleremmo di preghiera recitata o poesia, non di "canto"); nel canto il testo si fonde intimamente con la musica che l'accompagna, cosicché entrambi devono essere degni della funzione liturgica. Non è detto che un canto sia adatto alla liturgia solo perché ha un testo di derivazione biblica: se tale testo è accompagnato da una musica chiaramente profana (come può essere un motivo palesemente vicino alla musica che oggi si vende per la maggiore), essa addirittura toglie dignità al testo, in qualche maniera lo offende, facendo in modo che il canto, nel suo complesso, non sia più adatto ad entrare in chiesa. D'altra parte, vista la grande proliferazione di canti di questo genere, ciò non significa che sia necessario un ideale rogo, nel quale gettare tutta questa musica, in modo da cancellarne la memoria; essa potrà essere utilizzata in altre occasioni (purché, ovviamente, non sia blasfema), ma non per la Santa Messa e per le funzioni liturgiche.
Qual è il criterio per giudicare se un canto è adatto o meno alla liturgia? Seguendo il Magistero della Chiesa, e nella fattispecie i pronunciamenti dei papi san Pio X e beato Giovanni Paolo II, è proprio il canto gregoriano. Leggiamo nel motu proprio "Tra le sollecitudini" così come nel chirografo di Giovanni Paolo II in occasione del centenario di tale motu proprio, un criterio semplice ed efficace con cui orientarsi nella scelta della musica liturgica:

«Tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell'andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme.»

Riconoscendo tale criterio come veritiero, è chiaro che il Concilio e la riforma liturgica che l'ha seguito, non hanno significato una rottura nella Chiesa: lo stesso Concilio, nella costituzione dedicata alla Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium) e l'ordinamento generale del Messale Romano di Paolo VI conferiscono al gregoriano il posto principale nella liturgia romana. Ciò significa che nelle nostre liturgie dovremmo sentire abbastanza gregoriano; cosa che non accade. Ma il fatto che non accada non è da imputare al Concilio, bensì all'interpretazione (errata) che del Concilio si è data in questi anni; in particolare è auspicabile che si torni a quello che prescriveva il Concilio stesso, cioè che al popolo siano insegnate quanto meno le melodie gregoriane più semplici.
Il primo ad affermare che c'è continuità tra quanto diceva san Pio X e quanto ordinava il Concilio è Papa Benedetto XVI, nel messaggio di ieri, dove definisce la musica sacra "parte integrante della liturgia": ciò significa che, da una parte, non è secondario, nella preparazione liturgica di una celebrazione, curare con la massima diligenza la musica, e dall'altra che, come tutte le parti della liturgia, anche la musica è regolamentata dalle rubriche, e non è lasciata al totale arbitrio degli "animatori" della liturgia. Uno dei passi importanti del messaggio in questione recita:

«Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito: come, cioè, da san Pio X fino ad oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia. In particolare, i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, alla luce della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè "la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli" (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali.»

In particolare credo sia particolarmente suggestivo il ricordo, da parte del sommo pontefice, della finalità della musica nella liturgia: la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. Se un canto, più che puntare alla gloria di Dio, punta al piacere di chi lo canta o ascolta, non è adatto per la liturgia; se un canto, più che rivolgersi alla santificazione dei fedeli, si preoccupa del loro diletto durante la celebrazione, non è adatto per la liturgia.
Ed importantissimo è l'ennesimo richiamo del Santo Padre al primato del canto gregoriano, che definisce supremo modello di musica sacra, mettendone in luce uno dei tanti suoi pregi: l'universalità. A questo proposito il Papa scrive:

«A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella Sacrosanctum Concilium, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità. Ma dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività.»

Il fatto, cioè, che il gregoriano unisca tutti i cattolici del mondo (perché è chiaro che resta un canto uguale per tutti) è espressione della cattolicità (che significa appunto universalità) della Chiesa. Durante la Messa non deve esserci la distinzione del singolo o del gruppo; così come è da evitare un canto esclusivo di un solista, è dunque egualmente deprecabile un canto che si caratterizzi in sè come proprio di un determinato gruppo di persone. Esistono, nella Chiesa, diversi gruppi con determinati carismi, per i quali ringraziamo continuamente il Signore; ma l'offerta che essi compiono durante la Messa che celebrano deve essere un unicum con la Chiesa intera, non differenziarsene (ad esempio) con la particolare musica. Vi sono nutriti gruppi di giovani in seno alle diverse parrocchie; ma quando essi partecipano alla Santa Messa essi sono parte dell'unico Corpo mistico di Gesù Cristo, che è la Chiesa, e non è bene che si elaborino liturgie (caratterizzate da particolari musiche) esclusivamente per giovani (ed altre esclusivamente per anziani).
In questo senso, dunque, il papa ci esorta a recuperare l'universalità della Chiesa nella Santa Messa, attraverso il segno tangibile del canto gregoriano. Preghiamo il Signore affinché ci dia la forza per attuare gli insegnamenti del suo Vicario in terra.

Di seguito il link al quale leggere l'intero messaggio di Papa Benedetto XVI al cardinale Grocholewski:
Lettera del Santo Padre al Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra in occasione del 100° anniversario di fondazione dell'Istituto

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