«… Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6,11). Con san Paolo lo diciamo, questa sera, anzitutto ai nostri fratelli catecumeni adulti che fra poco riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma con un energico atto di volontà lo ricordiamo a ciascuno di noi. Guardiamo bene in faccia a quello che siamo, fratelli e sorelle. È veramente il caso di dire: «O cristiano conosci te stesso!».
E’ proprio per questi misteri dell’iniziazione che il mistero pasquale della salvezza non resta, per così dire, chiuso e confinato in Cristo, ma viene comunicato a noi uomini, resi così partecipi della realtà effettiva del Suo patire, del Suo morire, del Suo risorgere. In un’omelia pasquale del III secolo rivolta ai catecumeni si legge: «Cristo offertosi vittima per la nostra salvezza, aveva annullato la loro vita di prima, e attraverso la rinascita dall’acqua, viva imitazione della sua morte e risurrezione, aveva loro dato il dono di cominciare una vita diversa» (Ps. Crisost., Sulla Pasqua, 7).
Sant’Agostino, ricordando la notte di Pasqua del 387, in cui egli all’età di 33 anni, insieme con il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevette il Battesimo dalle mani di sant’Ambrogio a Milano, sintetizza in un’affermazione potente quel che provò: «Fummo battezzati. E da noi caddero via tutte le preoccupazioni della vita di prima» (Agostino, Conf. 9,6). Il cammino del popolo ebraico, che le letture bibliche della madre di tutte le veglie ci hanno fatto ripercorrere, ci ha resi più consapevoli e grati del dono della salvezza che il Crocifisso Risorto ci ha propiziato. «Per mezzo del Battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, affinché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6, 4). È veramente una vita nuova la nostra. Siamo fatti creature nuove.
«Nella resurrezione è avvenuto un salto ontologico che tocca l’essere come tale, è stata inaugurata una dimensione che ci interessa tutti e che ha creato per tutti noi un nuovo ambito della vita, dell’essere con Dio” (J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, CdV 2011, 304). All’uomo, che lungo tutta la sua esistenza, dal concepimento alla morte, è sempre immerso in relazioni, viene donata una Compagnia senza fine. Egli è liberato definitivamente dal pungiglione della morte, il peccato (cfr. 1Cor 15,56). Ed il peccato è la morte più radicale, quella dello spirito e distrugge la vita individuale e collettiva.
Quale è, alla fine, il significato di ogni nuovo traguardo di progresso che scienza e tecnica, audacemente, spostano sempre più avanti? Sconfiggere la paura della morte, con tutti i suoi “anticipi”. Eppure, anche se non sempre lo ammette, l’uomo post-moderno sa che, contando sulle sole sue forze, sarebbe in questa sfida irrimediabilmente sconfitto.
Per questa ragione resiste indomabile nel cuore di ogni uomo e di ogni donna di tutti i tempi la speranza che oggi il Vangelo conferma: siamo destinati a durare per sempre. «L’angelo disse alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto”» (Mt 28, 5-6). L’esplosione di gioia che erompe da tutta la liturgia pasquale deriva dall’annuncio della nostra resurrezione nel nostro vero corpo. È questo il destino che ci ha meritato il crocifisso Risorto. «O uomini… che paura avevate di morire? Ecco, muoio io; ecco, patisco io; ecco, quel che temevate non temetelo più, perché io vi faccio vedere quel che dovete sperare» (Agostino, Sermo 229/H, 1.3).
La resurrezione è un seme fecondo che entra nel mondo, silenziosamente attecchisce per poi fiorire attraverso la catena dei testimoni. «E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10, 38-41).
Perché Dio volle che si manifestasse non a tutto il popolo ma a testimoni prescelti? Qual è la ragione di questo metodo con cui il Risorto sceglie di manifestarsi al mondo? Perché dobbiamo fidarci di un piccolo gruppo di discepoli? Benedetto XVI ci offre una convincente risposta. Scrive il Papa: «La domanda riguarda, però, non soltanto la risurrezione, ma l’intero modo in cui Dio si rivela al mondo. … non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore» (J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 305-306).
Emerge qui il grande valore del nostro essere in relazione. Il Risorto ci fa comprendere che la vera, più profonda conoscenza passa attraverso l’altro, anzi attraverso l’amore dell’altro. Solo l’amore è credibile e dà ragione di ogni cosa. Dal dono amoroso dei testimoni passa l’evidenza della fede. La loro esperienza è contagiosa, proprio come quella che ogni uomo sperimenta nei rapporti di autentico amore: «Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande le donne corrono a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (Mt 28, 8). L’amore è fonte privilegiata di evidenza.
Come non riconoscere con umiltà, colmi di gioia pasquale, che da questo continuo rinnovarsi di rapporti non possiamo più prescindere? Se siamo soltanto un poco sinceri con noi stessi non è di questo che abbiamo ogni giorno bisogno? Anzitutto ognuno di noi, singolarmente preso, ha sete di buone relazioni a cominciare da chi gli è prossimo. Ma anche nella società civile in tutte le sue espressioni, massimamente in ambito politico, sentiamo la necessità di rapporti rinnovati costruttivi e reciprocamente rispettosi.
«Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Se siete risorti, non se sarete risorti… Con la resurrezione di Gesù l’incolmabile fossato tra lassù e quaggiù è stato colmato.
Non ci sono due vite: la vita dell’al di qua e la vita dell’al di là. C’è un’unica vita, secondo un Disegno i cui contorni – tempi e modi – ci sfuggono, ma che è certamente un disegno buono. Si manifesta nel quotidiano accompagnarsi dello Spirito del Risorto a ciascuno di noi, in ogni circostanza ed in ogni rapporto. A cominciare dall’Eucaristia, la sublime azione attraverso la quale Dio si coinvolge e ci coinvolge come Chiesa nel sacrificio offerto in nostro favore dal Figlio Amato.
La Risurrezione di Gesù «salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi» (Exultet). Per essere confermati in questa fede e resi più consapevoli dei preziosi frutti di cui il Risorto ci fa dono ci prepariamo con gioia e vigile attesa all’ormai prossima Visita del Santo Padre.
Domenica 8 maggio celebreremo con Benedetto XVI la Santa Messa con tutte le genti latine, slave e germaniche del Nordest, nel parco di San Giuliano a Mestre.
Il grande poeta inglese Gerard Manley Hopkins (1844-1889), in una poesia giovanile intitolata “Comunione pasquale”, apre all’umanità una speranza infinita: «Le ossa male inguainate sono stanche di star curve:/ ecco Dio rafforzerà quelle fragili ginocchia». Poi erompe in questo stupendo invito: «Respirate Pasqua ora». Sia questo il nostro reciproco augurio. Buona Pasqua!
Dal sito angeloscola.it
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