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giovedì 14 aprile 2011

Ancora problemi con Youcat

Nei giorni scorsi abbiamo appreso la notizia (ripresa nel post di ieri) del grossolano errore di traduzione nel numero 420 del catechismo pensato per accompagnare i giovani che parteciperanno alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid nel prossimo agosto, errore che creava ambiguità sulla vera dottrina della Chiesa sull'utilizzo degli anticoncezionali. Il primo annuncio era stato quello del ritiro dalle librerie della versione errata del sussidio, in attesa di una revisione; ma in tarda mattinata è arrivata la notizia che Youcat sarebbe rimasto nelle librerie, e vi si sarebbe aggiunto un foglio di Errata corrige, dove si cassava la domanda errata e si proponeva una traduzione più fedele all'originale, che allontanasse ogni pericolo di fraintendimento. Nel frattempo si teneva la conferenza stampa di presentazione di Youcat, già prevista da tempo, alla quale partecipavano, tra gli altri, il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, e monsignor Salvatore Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, nonché già presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
Proprio ieri, in conferenza stampa, le domande dei giornalisti non sono state solamente per l'errore nella traduzione italiana, ma per un altro errore, che appare addirittura peggiore, poiché lambisce il campo dei temi etici e dei valori non negoziabili per i cattolici, cioè l'eutanasia; e questo non è un problema di traduzione, ma è presente nella versione originale del Catechismo pensato per i giovani, in lingua tedesca. Infatti, traggo dal blog Settimo Cielo del vaticanista Sandro Magister, il numero 382 chiede e risponde:

L’eutanasia è permessa?

Provocare attivamente la morte è sempre una violazione del comandamento: ‘non uccidere’ (Es 20, 13); al contrario, assistere una persona durante il processo di morte è addirittura un dovere di umanità.
Spesso le definizioni di eutanasia attiva ed eutanasia passiva rendono poco chiaro il dibattito; la questione dirimente è propriamente se si uccide o se si lascia morire la persona. Chi aiuta a morire una persona nel senso dell’eutanasia attiva viola il quinto comandamento; chi invece aiuta una persona durante la morte nel senso di un’eutanasia passiva obbedisce invece al comandamento dell’amore del prossimo. Si intende con questo che, essendo la morte del paziente ormai sicura, si rinuncia a procedure mediche straordinarie, onerose o sproporzionate rispetto ai risultati attesi. Questa decisione spetta al paziente stesso, oppure deve essere messa per iscritto in anticipo. Se il paziente non è più cosciente, una persona delegata deve soddisfare le volontà dichiarate o presumibili del morente. La cura di un morente non può mai essere interrotta, trattandosi di un dovere di carità e di misericordia; in questo senso può essere legittimo e corrispondere alla dignità umana l’uso di palliativi, anche col rischio di abbreviare la vita del paziente; è però decisivo che la morte non sia ricercata né come fine né come mezzo

In questo campo ogni discorso è molto delicato, anche perché solo chi ha fatto studi approfonditi sulla morale può dare risposte esaurienti. Ma non sono necessari molti studi per capire che, nel testo sopra menzionato, qualcosa che non va deve esserci; in pratica scopriamo che esistono due tipi di eutanasia, una attiva (da condannare perché con essa materialmente si uccide una persona, se pure consenziente), ed una "passiva", di cui non si è sentito molto parlare nemmeno durante le drammatiche ore dell'agonia di Eluana Englaro, quando tutti i telegiornali e i giornali si occupavano di queste cose. Innanzitutto l'incipit della risposta ("Provocare attivamente la morte è sempre una violazione del comandamento") lascia intendere che, al contrario, provocare passivamente la morte può non essere violazione del comandamento; tant'è vero che, di seguito, si parla di questa "eutanasia passiva", nella quale entrerebbero a far parte "procedure mediche straordinarie, onerose o sproporzionate rispetto ai risultati attesi". E non è tutto: la decisione "spetta al paziente stesso", ad esempio "messa per iscritto in anticipo", oppure "se il paziente non è più cosciente, una persona delegata deve soddisfare le volontà dichiarate o presumibili del morente".
Basta fare un parallelo proprio col caso Eluana Englaro: se si parla di "procedure mediche" che, dato lo stato del malato, appaiono "onerose e sproporzionate" rispetto ai risultati attesi, e si aggiunge il fatto che il padre e alcuni dei conoscenti parlavano insistentemente di una decisione della paziente tale da autorizzare la "persona delegata" a soddisfare le volontà dichiarate o "presumibili" del morente, dove si è sbagliato, nel caso di Eluana? Perché la Chiesa fece tanto rumore, in quei giorni?
C'è quindi da ammettere che il testo, così come è scritto, e, ripeto, non è una questione di traduzione italiana questa volta, dà adito a diverse interpretazioni, e anche qui può arrivare a far credere ad alcuni che l'eutanasia sia, in qualche forma, permessa. E' veramente così? Anche oggi andiamo ad attingere dal Catechismo completo, ai numeri 2277, 2278, 2279:

2277. Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.
Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere.
2278. L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'« accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
2279. Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.

In questo caso non si parla di "eutanasia passiva", ma si mette chiaramente in evidenza che quello a cui ci si riferisce dicendo "interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie e sproporzionate", ossia la rinuncia all'accanimento terapeutico. Eutanasia, infatti, attiva o passiva che sia, significa procurare volontariamente la morte di una persone, anche se questa è consenziente; rinunciare all'accanimento terapeutico, come precisa il Catechismo della Chiesa Cattolica, significa invece accettare la morte come inevitabile, ma non volontà di procurarla dall'esterno. Non a caso, infatti, il Catechismo completo non usa la parola eutanasia passiva. Infatti, quando poi si dice che "Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto", si fa chiaramente riferimento alla rinuncia all'accanimento terapeutico, e non ad alcuna forma di eutanasia.
Interrogato su questo punto, durante la conferenza stampa di ieri, il cardinale Schönborn ha dichiarato che nella versione tedesca non si è apposta voluto usare la parola "Euthanasie", ma "Sterbehilfe", che significa aiuto alla morte. Ma monsignor Fisichella ha invece rigettato in blocco le formule di "Eutanasia attiva" ed "Eutanasia passiva", anche nell'accezione che si è dato al termine della versione originale tedesca, proprio per il pericolo di ambiguità di cui ho parlato sopra, precisando che "non dovrebbero essere più usate". Su questo punto, il vaticanista Sandro Magister ricorda l'enciclica di papa Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, nella quale si fa riferimento ad un'eutanasia non tanto "passiva", quanto di "omissione" che nell'intenzione procura la morte; questo basta, dice il papa in questa enciclica, a definire l'eutanasia in senso vero e proprio. Da questa è ben distinta la rinuncia all'accanimento terapeutico, poiché nelle intenzioni non vuole procurare la morte, ma la accetta quale naturale termine della vita:

«65. Per un corretto giudizio morale sull'eutanasia, occorre innanzitutto chiaramente definirla. Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. «L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati».

Da essa va distinta la decisione di rinunciare al cosiddetto «accanimento terapeutico», ossia a certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza «rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi». Si dà certamente l'obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte.
»

Dunque l'eutanasia, scriveva Giovanni Paolo II, è una questione di intenzioni e di metodi; anche se distinguiamo l'eutanasia passiva da quella attiva, restano le intenzioni di procurare la morte. E dobbiamo concludere che parlare di eutanasia passiva in un sussidio catechistico è quantomeno fuorviante ed improprio, se non del tutto errato. Sarebbe stato sufficiente, conclude Magister (ed io concordo con lui), accennare all'accanimento terapeutico, anziché usare il termine "eutanasia passiva", dicendo un "doppio no" molto chiaro, all'eutanasia in tutte le sue forme da un lato e all'accanimento terapeutico dall'altro; questo avrebbe evitato le grosse ambiguità che nascono dalla formulazione del testo nello stato attuale.
In conclusione: io ribadisco la mia opinione che l'idea della realizzazione di un sussidio catechistico per i giovani della GMG sia molto buona ed importante; non considero Youcat come il Catechismo "in versione giovani", più che altro un concentrato di quello che dice il Catechismo sui temi a cui i giovani d'oggi sono più sensibili (quali la morale sessuale della Chiesa, i temi etici etc.). E' chiaro, però, che la formulazione deve essere chiarissima, non deve prestarsi ad alcun fraintendimento e deve riferirsi sempre al Catechismo completo, l'unico Catechismo della Chiesa Cattolica (non esiste la versione "per giovani", "per bambini", "per adulti", "per anziani"...). Per questo, io credo, di fronte ad uno scopo così nobile come quello che si era proposto Youcat, serve un lavoro minuzioso e paziente, con analisi e controanalisi, per evitare che proprio i giovani che si volevano in questo modo aiutare non siano indotti in errori da formulazioni poco chiare, ambigue e, talvolta, errate. Forse nella stesura di questo sussidio e delle sue traduzioni, data l'imminenza della giornata mondiale, la fretta ha giocato dei brutti scherzi. Lo stesso arcivescovo di Vienna, nota Sandro Magister, ha dichiarato che sarà organizzato un gruppo di lavoro presso la Congregazione per la Dottrina della Fede atto a rivedere nuovamente l'originale e le traduzioni di Youcat per correggere gli errori. Ecco, un lavoro del genere, tenendo conto di chi sono i destinatari e in quali situazioni emotive e sociali spesso si trovano oggi, secondo me andava fatto prima della messa in vendita.
Torno a ribadire, dunque, il mio invito a pregare affinché questi errori non contribuiscano a creare confusione nei giovani, una generazione oggi più che mai già abbastanza indotta alle false dottrine dai mezzi di comunicazione di massa. Anche per questo motivo, dunque, credo sia necessario che di questi errori nella stesura di Youcat non si abbia paura di parlare, anzi, si enuncino e si spieghino con grande forza, affinché la spiegazione arrivi a tutti i giovani, anche a quelli che magari hanno già comprato Youcat e, leggendolo, hanno scelto la strada sbagliata nel bivio creato dalle ambiguità presenti nel testo.

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