«O Rex Gentium,
et desideratus earum,
lapisque angularis,
qui facis utraque unum:
veni, et salva hominem,
quem de limo formasti.»
«O Re delle genti,
atteso da tutte le nazioni,
pietra angolare
che riunisci i popoli in uno,
vieni, e salva l’uomo
che hai formato dalla terra.»
Nel settimo giorno della Novena di Natale il Cristo è presentato con il titolo di Rex gentium (Re delle genti); viene cioè professata la piena regalità di Gesù Cristo. Nell'antico testamento, infatti, il Messia è presentato come Re: nelle promesse fatte a Davide, come abbiamo avuto più volte modo di vedere negli scorsi approfondimenti, ma anche altrove in più punti. Per questo i contemporanei di Gesù Cristo faticavano a credere che Lui fosse il compimento della promessa di Dio; si attendevano un Re potente, che avrebbe condotto Israele alla vittoria. Ma quale vittoria? C'è da dire che la Palestina al tempo della nascita di Cristo era stata assoggettata da Roma; ci si aspettava quindi che il Messia di Dio avrebbe liberato il suo popolo dalla schiavitù dei romani. Lo stesso Giovanni il Battista, incarcerato, mandò a chiedere a Gesù dai suoi se Egli fosse davvero il Messia che doveva venire o se sarebbe stato necessario aspettare un altro.
Ancora una volta il disegno di Dio si mostra ben lontano dalle aspettative degli uomini; un Re che nasce nell'umiltà del presepe, non circondato da cortigiani e adagiato su un giaciglio regale, ma scaldato dal fiato di un bue e di un asino, ed adagiato sul fieno di una mangiatoia. Non un potente signore vestito di tessuti preziosi, con lo scettro in mano e la corona sul capo, ma un uomo umiliato, vestito di un manto di porpora e di sangue, con in mano una canna e sul capo una corona di spine. Non un governante intransigente col nemico e seduto sul trono, ma un uomo agonizzante inchiodato alla Croce, e che prega per chi lo uccide.
Eppure Gesù è davvero Re; lo troviamo più volte nel Vangelo, a cominciare dal racconto della Natività: esso pone in contrapposizione il re degli uomini, Erode, potente e geloso del potere, e Gesù Cristo, il Re di Dio, umile e bambino. I Magi gli offrono doni preziosi: l'oro per la regalità, l'incenso per la divinità e la mirra per colui che deve morire. Al contrario di Erode, Cristo non vuole la notorietà: quando le folle vedono il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, vorrebbero fare di Gesù il re che essi si immaginano, un re dell'uomo. Egli, però, si sottrae a quella che è un'altra tentazione del diavolo, alla stregua di quelle che patì nel deserto:
«Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.»
(Gv 6,15)
«Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.»
(Gv 18,37)
Le dinamiche della "proclamazione regale" di Gesù sono vive e attive anche ai giorni nostri; noi certamente non pensiamo di fare di Gesù un re con la corona, come avrebbe voluto la folla. Ma quante volte pensiamo di fare di Gesù quello che ci immaginiamo: ogni volta che si dice "La Chiesa insegna una cosa, ma Gesù, fosse qui oggi, insegnerebbe tutt'altro" non si fa altro che incoronare Gesù di una corona mondana, la stessa che egli rifuggì il giorno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ed Egli si ritira "tutto solo". Quando anche durante la Messa pensiamo che i gesti, le parole, i canti che si devono rivolgere a Cristo sono quelli più vicini alla sensibilità di oggi, quella delle danze e delle musiche da discoteca o da cd, perché a noi e all'assemblea piace così; non facciamo che rivestire il Cristo del manto della regalità di questo mondo. Anche nella liturgia, dunque, possiamo essere tentati; ma possiamo vincere questa tentazione rimanendo fedeli agli insegnamenti della Chiesa, che col suo Magistero e la sua Tradizione ci indica la strada da seguire.
Tra queste vi è il canto gregoriano, a cui dovrebbe essere riservato il posto principale, secondo quanto ha detto il Concilio: (Musicam Sacram n. 50a); invece vediamo bene che nella maggior parte dei casi non è così, esso è in moltissime parrocchie dimenticato e, dove è rimasto, lo si vorrebbe relegare ad una tantum: abbiamo sacrificato l'insegnamento della Chiesa per quello del mondo. Preghiamo il Signore, specialmente noi, che nella nostra parrocchia abbiamo la fortuna di averlo mantenuto malgrado i tempi difficili, perché tutte le Chiese del mondo possano riscoprire questo tesoro, e possano offrirlo come l'oro dei Magi al Signore per riconoscerne la regalità divina.
Acrostico: R O C R A S
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