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sabato 18 dicembre 2010

18 dicembre - O Adonai

«O Adonai,
et dux domus Israël,
qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti,
et ei in Sina legem dedisti:
veni ad redimendum nos
in brachio extento.
»

«O Adonai, guida della casa d’Israele,
che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto,
e sul monte Sinai gli hai dato la legge:
vieni a liberarci con braccio potente.»


Terzo giorno della Novena di Natale e seconda antifona in O; il titolo che oggi è dato al Cristo che viene è Adonai. Il nome Adonai è quello con cui viene nominato Dio più diffusamente nella Bibbia, anche e soprattutto per non pronunciare il tetragramma YHWH, troppo sacro per essere pronunciato, al quale storicamente furono assegnate proprio le vocali di Adonai perché fosse letto in questo modo. Sempre così è chiamato Dio nella preghiera che ogni giorno l'ebreo osservante doveva pronunciare per scandire i vari momenti della giornata: «Shema' Ysrael, Adonai Eloheinu, Adonai ehad», che significa: «Ascolta Israele, il Signore è Dio, il Signore è uno».
Il primo riferimento al nome di Dio nella Bibbia si trova nel libro dell'Esodo, dove il tetragramma biblico è interpretato con "Io sono":

«Mosè disse a Dio: "Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Mi diranno: 'Qual è il suo nome?'. E io che cosa risponderò loro?". Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". E aggiunse: "Così dirai agli Israeliti: 'Io-Sono mi ha mandato a voi'".»
(Es 3,13-14)

Questa seconda antifona in O riconosce quindi la piena e totale divinità di Cristo; a sottolineare ancora una volta il legame che c'è con l'Esodo, l'antifona si rivolge ad Adonai, che apparve nel roveto ardente a Mosè, che scrisse con il suo dito le tavole della legge. Conclude invocandolo: Vieni a redimerci "con braccio teso", richiamandosi ancora una volta all'Esodo:

«Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai lavori forzati degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi riscatterò con braccio teso e con grandi castighi.»
(Es 6,6)

Viene quindi messa in stretta relazione la liberazione degli ebrei, operata da "Io sono", dalla schiavitù in Egitto con la liberazione dal peccato, operata da Cristo con la sua morte e Risurrezione. In effetti anche nel Vangelo, specialmente in quello dell'Evangelista Giovanni, troviamo alcuni passi in cui Gesù si riferisce a se stesso direttamente con l'appellativo di "Io sono", quello che, potremmo dire, fa anche questa antifona:

«Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati. Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato.»
(Gv 8, 24.28)

E ancora, durante il racconto della sua gloriosa Passione:

«Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: "Chi cercate?". Gli risposero: "Gesù, il Nazareno". Disse loro Gesù: "Sono io!". Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro "Sono io", indietreggiarono e caddero a terra.»
(Gv 18, 4-6)

Di certo il Messia che il popolo si aspetta non è quello che "spoglia se stesso assumendo la condizione di servo" (Fil 2,7). Questo crea ancora oggi scandalo, malgrado, dopo duemila anni, potremmo quasi dirci preparati; infatti nei due brani del Vangelo citati, alle parole di Gesù segue l'interrogativo della folla, che non capisce: "Tu chi sei?", chiede a Gesù, oppure indietreggiano e cadono, ma perseverano nel volerlo arrestare e condannare. Ma chi di noi, uomini post-moderni, ricchi di intelligenza e di ragione, riconoscerebbe il Salvatore, l'Adonai, in quel bambino nella stalla, in quell'uomo che ha apparentemente terminato la sua esistenza con il fallimento (agli occhi umani) della Croce? Che anche ognuno di noi possa cadere a terra di fronte al Signore, ma cadere prostrato in preghiera, in adorazione di fronte all'umiltà del Presepe. Come ieri, con le parole del papa, chiediamogli che ci doni l'umiltà del cuore, per poter essere piccoli nello spirito e così poterlo riconoscere.
Ascoltiamo anche oggi l'antifona e lasciamoci pervadere dalla soave semplicità del canto gregoriano; esso, più di tutti i canti che l'uomo abbia mai scritto (e specialmente di molti canti che oggi, durante la Messa, ci trascinano più nella baldanza del mondo che nella letizia degli umili) è piccolo e umile come i pastori, le pecore, il bue e l'asinello che adorano Gesù Bambino nel Presepe.



Acrostico: A S

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