«O Sapientia,
quae ex ore Altissimi prodisti,
attingens ad finem usque ad finem fortifer,
suaviter disponensque omnia:
veni ad docendum nos
viam prudentiae.»
«O Sapienza,
che esci dalla bocca dell'Altissimo,
ed arrivi ai confini della terra con forza,
e tutto disponi con dolcezza:
vieni ad insegnarci la via della prudenza.»
Continuando a seguire il discorso del pontefice, egli si chiede: chi ha accolto la Sapienza nella notte di Betlemme? I dottori della legge? Scribi o sapienti? No, un falegname ed una ragazza di umili origini, un bue ed un asinello, le pecore e i pastori reietti dalla società. Potremmo dire oggi: dagli umili; parafrasando così quanto troviamo scritto nel Vangelo: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli". La Sapienza si riveste di carne per essere visibile, tangibile con tutti i sensi, non a coloro che pensano di possederla, ma ai piccoli e agli umili. Chi ha avuto l'onore e la fortuna di avere dei genitori o dei nonni che hanno vissuto la loro giovinezza prima della guerra ha sperimentato di persona cosa significa; spesso intrisi di una fervente e profonda religiosità (che molti del nostro tempo si ostinano testardamente ed erroneamente ad indicare come superstizione), essi ci appaiono sapienti anche se non hanno avuto la possibilità di studiare, preparati alla vita anche se vivevano nella povertà e nella fame molto più di quanto noi possiamo anche lontanamente immaginare, nonostante la crisi.
Ciò non significa affatto che "non serve studiare" o "addirittura è nocivo, controproducente per conoscere la verità", osserva il papa. Piuttosto "si tratta di studiare, di approfondire le conoscenze mantenendo un animo da 'piccoli', uno spirito umile e semplice, come quello di Maria": un professore o uno studente cristiano, ha ricordato il pontefice, "porta dentro di sé l'amore appassionato per questa Sapienza".
Di seguito possiamo ascoltare l'antifona gregoriana; è scritta sul secondo tono, un tono che suscita sentimenti di attesa e di supplica, come scritto da eminenti esecutori e studiosi gregorianisti del passato; segno ancora una volta di come il gregoriano sia davvero l'essenza del canto liturgico e dell'intera musica sacra, il riferimento dal quale alcun canto che si proponga durante la liturgia dovrebbe mai discostarsi (S. Pio X, M.P. Tra le sollecitudini 1903, Giovanni Paolo II Chirografo per il centenario del M.P. Tra le sollecitudini 2003). In esso musica e testo sono inscindibili; non a caso la Tradizione della Chiesa ce lo propone come direttamente ispirato dallo Spirito Santo.
Un'ultima osservazione; già in epoca medievale è stato notato come, accostando la prima lettera di ciascuno dei titoli dati al Redentore (la prima dopo la O) si ottenga un acrostico, che letto al contrario ci darà, il 23 dicembre, come la risposta del Nostro Signore alle invocazioni che in questi giorni Gli rivolgeremo.
Acrostico: S
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