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venerdì 17 dicembre 2010

17 dicembre - O Sapientia

«O Sapientia,
quae ex ore Altissimi prodisti,
attingens ad finem usque ad finem fortifer,
suaviter disponensque omnia:
veni ad docendum nos
viam prudentiae

«O Sapienza,
che esci dalla bocca dell'Altissimo,
ed arrivi ai confini della terra con forza,
e tutto disponi con dolcezza:
vieni ad insegnarci la via della prudenza

Il 17 dicembre segna per la liturgia l'inizio della seconda parte del tempo di Avvento, caratterizzato dalle sette antifone gregoriane che precedono il canto del Magnificat nei Vespri, dette anche "Antifone in O". Esse, infatti, cominciano tutte con l'invocazione "O", seguite da un titolo assegnato a Gesù Cristo. Il primo titolo, quello di oggi, è Sapienza. Papa Benedetto XVI, nell'incontro con gli universitari dello scorso anno, diceva che «quella che nasce a Betlemme è la Sapienza di Dio». Può sembrare strano, addirittura paradossale, agli occhi dell'uomo di oggi (specialmente ai professori, ai ricercatori, agli studenti) parlare di sapienza in relazione alla Fede; il cristiano, addirittura, arriva ad identificare la Sapienza divina incarnata in Gesù Cristo. Sempre durante la Messa del 18 dicembre 2009, il papa rispondeva: «Non c'è soluzione a questo paradosso se non nella parola 'Amore', che in questo caso va scritta naturalmente con la 'A' maiuscola, trattandosi di un Amore che supera infinitamente le dimensioni umane e storiche». Ed in fondo è proprio questo il più grande paradosso: l'Amore per il cristiano non è, come si direbbe oggi, un'"emozione" o un puro e semplice "sentimento": Dio è Amore (1Gv 4, 8.16), anzi, Dio è l'Amore, cioè non vi può essere Amore lontano da Dio. E nella pienezza dei tempi, nella notte di Natale, l'Amore si è personificato.
Continuando a seguire il discorso del pontefice, egli si chiede: chi ha accolto la Sapienza nella notte di Betlemme? I dottori della legge? Scribi o sapienti? No, un falegname ed una ragazza di umili origini, un bue ed un asinello, le pecore e i pastori reietti dalla società. Potremmo dire oggi: dagli umili; parafrasando così quanto troviamo scritto nel Vangelo: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli". La Sapienza si riveste di carne per essere visibile, tangibile con tutti i sensi, non a coloro che pensano di possederla, ma ai piccoli e agli umili. Chi ha avuto l'onore e la fortuna di avere dei genitori o dei nonni che hanno vissuto la loro giovinezza prima della guerra ha sperimentato di persona cosa significa; spesso intrisi di una fervente e profonda religiosità (che molti del nostro tempo si ostinano testardamente ed erroneamente ad indicare come superstizione), essi ci appaiono sapienti anche se non hanno avuto la possibilità di studiare, preparati alla vita anche se vivevano nella povertà e nella fame molto più di quanto noi possiamo anche lontanamente immaginare, nonostante la crisi.
Ciò non significa affatto che "non serve studiare" o "addirittura è nocivo, controproducente per conoscere la verità", osserva il papa. Piuttosto "si tratta di studiare, di approfondire le conoscenze mantenendo un animo da 'piccoli', uno spirito umile e semplice, come quello di Maria": un professore o uno studente cristiano, ha ricordato il pontefice, "porta dentro di sé l'amore appassionato per questa Sapienza".
Di seguito possiamo ascoltare l'antifona gregoriana; è scritta sul secondo tono, un tono che suscita sentimenti di attesa e di supplica, come scritto da eminenti esecutori e studiosi gregorianisti del passato; segno ancora una volta di come il gregoriano sia davvero l'essenza del canto liturgico e dell'intera musica sacra, il riferimento dal quale alcun canto che si proponga durante la liturgia dovrebbe mai discostarsi (S. Pio X, M.P. Tra le sollecitudini 1903, Giovanni Paolo II Chirografo per il centenario del M.P. Tra le sollecitudini 2003). In esso musica e testo sono inscindibili; non a caso la Tradizione della Chiesa ce lo propone come direttamente ispirato dallo Spirito Santo.
Un'ultima osservazione; già in epoca medievale è stato notato come, accostando la prima lettera di ciascuno dei titoli dati al Redentore (la prima dopo la O) si ottenga un acrostico, che letto al contrario ci darà, il 23 dicembre, come la risposta del Nostro Signore alle invocazioni che in questi giorni Gli rivolgeremo.



Acrostico: S

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