In quest'ottica, ha proseguito il cardinale Scola, viviamo anche questo momento di distacco; cioè se siamo effettivamente risorti con Cristo, benché questa risurrezione ora si manifesti in uno stato ancora germinale e sarà completa soltanto dopo la morte del nostro corpo, allora siamo oggettivamente orientati, incanalati a questo destino della presenza vivente di Gesù Cristo. Percui ogni cosa, compreso il distacco, è ordinato in Cristo per il nostro bene, ci fa avanzare lentamente e superare ciò che di noi, con il nostro dolore, appartiene ancora alla dimensione terrena, perché possiamo orientarci tutti verso il Cielo. La distanza ed il distacco, quindi, ordinano ogni aspetto della nostra vita personale e relazionale; il dolore e lo sconforto che da essi possono provenire sono il viatico per giungere a questa risurrezione di cui Nostro Signore ci ha fatti partecipi, soffrendo Lui stesso per primo, attraverso i Sacramenti. Tuttavia, sottolinea il cardinale, questo distacco non è una vera separazione: quasi dieci anni di vita insieme come guida della Chiesa di Venezia e l'affetto reciproco tra lui ed i veneziani (testimoniato dal fervore con cui è stato accolto nel corteo acqueo sul canal grande che lo ha condotto fino in piazza san Marco) sono un legame che non potrà essere sciolto facilmente, specialmente se noi insieme con lui siamo incamminati sulla stessa strada che conduce a Cristo, nostra vita.
Sono seguite parole di gratitudine e ringraziamento per questo decennio alla guida del patriarcato: ai sacerdoti, un presbiterio solido, unito nella sua pluriformità, ben radicato attorno al proprio pastore; ai religiosi e alle religiose; a tutti i fedeli laici, che con la loro numerosa presenza in Basilica ieri, hanno testimoniato la loro vicinanza al padre che parte. Ripercorrendo rapidamente le tappe del suo episcopato veneziano, ha confessato che quest'esperienza personale l'ha cambiato, specialmente vedendo la fede che molti ammalati, anche quelli sulla soglia della morte, gli hanno dimostrato nelle visite che egli compiva durante la visita pastorale. Ha ricordato il rapporto amichevole con i rappresentanti della società civile che si sono succeduti in questo periodo (e che due giorni fa gli hanno offerto un concerto al Gran Teatro La Fenice), e con i rappresentati della chiesa ortodossa e delle altre confessioni cristiane presenti in Venezia.
«Che bella Chiesa è la Chiesa di Venezia», ha esclamato il cardinale Scola: una chiesa viva e ben radicata in San Marco e nei suoi successori, e in tutti i santi che hanno vissuto nella nostra terra, a partire da San Lorenzo Giustiniani, suo primo patriarca. Una Chiesa che il cardinale trovò già viva, ricca e solida al suo arrivo e che, forse con un eccesso di umiltà, si augura di non aver rovinato troppo. Un grazie che il cardinale Scola ha affidato alla Serenissima città di Venezia, alle acque delle nostre lagune, da Caorle fino a tutto l'entroterra.
Non ha mancato di ricordare l'amicizia più che fraterna che l'ha legato per tutto questo tempo al patriarca emerito cardinale Marco Cè, il quale, nel suo indirizzo di saluto finale, provato dal peso degli anni, ha ricambiato con tenerezza. Ha infine esortato i fedeli a pregare incessantemente per il nuovo patriarca, assicurando la sua personale preghiera per questa intenzione.
L'arcivescovo eletto di Milano ha lasciato Venezia con un pensiero di Santa Caterina da Siena, una preghiera allo Spirito Santo; una sorta di dono finale ed un augurio:
«O Spirito Santo, vieni nel mio cuore, tiralo a te per la tua potenza, Dio vero. Concedimi carità e timore. Custodiscimi da ogni mio pensiero. Riscaldami, infiammami con il tuo amore, sì che ogni mio peso appaia leggero. Spirito di Dio Padre, dolce mio Signore, ora aiutami in ogni mio ministero. Cristo amore, amen».
Video dell'omelia tratto dal sito angeloscola.it:Foto di Giorgia dalla Ore, tratte dal sito angeloscola.it.
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