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domenica 27 marzo 2011

Benedetto XVI e l'Ars celebrandi

«L'ars celebrandi è la migliore condizione per l'actuosa participatio. L'ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa.»

Continuiamo l'approfondimento del Magistero del papa in ambito di liturgia in vista della sua visita ad Aquileia e Venezia ormai vicina. Come si può evincere dal trafiletto riportato in apertura di questo articolo, tratto dall'esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, vorrei approfondire gli aspetti che Benedetto XVI chiama Ars celebrandi (che letteralmente si traduce "arte del celebrare") e dell'Actuosa participatio (ovvero della "partecipazione attiva"). Il primo aspetto trova una definizione completa anche in questa esortazione apostolica, dove si legge che l'Ars celebrandi è "l'arte di celebrare rettamente" (Sacramentum Caritatis n. 38). Al giorno d'oggi pare quasi un controsenso l'accostamento della parola "arte" ad un aggettivo che ne connota una fisionomia in qualche modo oggettiva come "retto", giusto, corretto; bisogna dire che nell'arte, specialmente in quella moderna, sembra essere sparita l'oggettività, anche qui si è fatto largo fino a dominare il relativismo. Invece il papa ci fa capire che esiste un criterio oggettivo, qualcosa che ci consente di dire quando la liturgia è celebrata rettamente, e quindi diventa essa stessa "arte"; e il criterio è il seguente: «L'ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza». Forse non tutti i lettori sanno che ogni liturgia (a partire dalla Santa Messa, ma poi anche l'Adorazione Eucaristica, la Liturgia delle Ore etc.) è regolata da principi e norme, contenuti nel breviario o nell'introduzione al Messale, e stabilite anche dagli atti Magisteriali del papa e della Chiesa (come le già molte volte citate Sacrosanctum Concilium, Redemptionis Sacramentum...). Perché, viene da chiedersi, c'è bisogno di dare una normativa alla liturgia? Non si rischia forse di inquadrare la preghiera in fredde leggi e rubriche? La giusta chiave di lettura ci giunge dal numero 40 dell'esortazione che stiamo approfondendo:

«La celebrazione eucaristica trova giovamento là dove i sacerdoti e i responsabili della pastorale liturgica si impegnano a fare conoscere i vigenti libri liturgici e le relative norme [...]. Sono testi in cui sono contenute ricchezze che custodiscono ed esprimono la fede e il cammino del Popolo di Dio lungo i due millenni della sua storia.»

Quindi, in primo luogo, questi principi e norme non sono dei burocratici codici che raccolgono articoli e commi, ma contengono la ricchezza della liturgia, e sono il mezzo con il quale esprimere la Fede in continuità con tutti i duemila anni di storia del Popolo di Dio. D'altra parte, quale essere umano, laico o sacerdote, può avanzare la pretesa di decidere da sè a proposito della liturgia, nella quale Nostro Signore Gesù Cristo torna a vivere in maniera incruenta il suo Supremo Sacrificio? Non da solo l'uomo può celebrare il Signore facendo cosa a Lui gradita, ma solo con il Suo aiuto può riuscirci; ecco perché è la Chiesa, con il suo Magistero, a promulgare le norme che rendono valida, vera ed autentica la litrugia. E, se noi siamo cattolici, sappiamo che la Chiesa, pur costituita di uomini peccatori, è Santa (lo troviamo nel Credo tutte le domeniche), e che a Pietro e ai suoi successori lo stesso Signore Nostro Gesù Cristo ha dato il potere di sciogliere e legare ogni cosa. Quindi seguire le norme contenute nei libri liturgici non è una forma di controllo quasi "politico" che la Chiesa esercita sui fedeli, ma è un atto d'amore e d'obbedienza nei confronti di Colui che ci ha amati per primo. E solo essendo obbedienti ai comandi del Signore, che Egli vuole trasmetterci tramite il Magistero, capiamo anche che la liturgia non è una cosa nostra, che possiamo manipolare, tagliare o allungare come più ci aggrada, quasi a costringere Gesù Cristo a venire a noi alle nostre condizioni.
Già in queste cose si capisce come dall'Ars celebrandi discenda quella che già dal Concilio Vaticano II è chiamata Actuosa participatio, cioè viva, attiva partecipazione dei fedeli. Già in altre occasioni abbiamo avuto modo di vedere come si siano date diverse interpretazioni, talvolta errate, della parola "partecipazione" riferita alla Santa Messa; alcuni dicono che ciò sia colpa del Concilio, i cui testi non sarebbero chiari a sufficienza, e non è da escludere che in parte sia dovuto anche a quello, ma io credo che sia principalmente dovuto al fatto che il post-Concilio si è trovato a svilupparsi in un'epoca di fermento sociale e morale (la famosa Contestazione). Così, secondo alcuni, "partecipazione attiva" dei fedeli significa che essi devono svolgere una "parte" durante la Santa Messa, come gli attori durante una commedia, percui la ritualità della celebrazione deve in qualche senso piegarsi al particolare tipo di pubblico che il prete ha di fronte; l'assemblea deve cantare tutto, poiché se accade che uno o più canti siano proposti dalla sola schola cantorum, questo significherebbe privare l'assemblea della possibilità di partecipare. Si pensa, cioè, che i fedeli siano tanto più motivati alla frequenza della Santa Messa quanto più abbiano un ruolo importante; ma questo va inevitabilmente nella direzione di appiattire le differenze tra il prete e l'assemblea, che diventano entrambi attori, con pari dignità, in questo grande "spettacolo" che diventa la Messa. Ci accorgiamo, quindi, di correre il rischio, denunciato anche da papa Giovanni Paolo II, di una clericalizzazione dei laici e laicizzazione del clero. Da questo ci mettono in guardia il papa e i vescovi nella Sacramentum Caritatis, dove ai numeri 52 e 53 leggiamo:

«Non dobbiamo nasconderci il fatto che a volte si è manifestata qualche incomprensione precisamente circa il senso di questa partecipazione. Conviene pertanto mettere in chiaro che con tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l'attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l'esistenza quotidiana.[...] È utile ricordare che la partecipazione attiva ad essa non coincide di per sé con lo svolgimento di un ministero particolare. Soprattutto non giova alla causa della partecipazione attiva dei fedeli una confusione che venisse ingenerata dalla incapacità di distinguere, nella comunione ecclesiale, i diversi compiti spettanti a ciascuno. In particolare, è necessario che vi sia chiarezza riguardo ai compiti specifici del sacerdote. Egli è in modo insostituibile, come attesta la tradizione della Chiesa, colui che presiede l'intera Celebrazione eucaristica, dal saluto iniziale alla benedizione finale. In forza dell'Ordine sacro ricevuto, egli rappresenta Gesù Cristo, capo della Chiesa e, nel modo suo proprio, anche la Chiesa stessa.»

Dunque "partecipazione" non significa svolgere una "parte", ma piuttosto "prendere parte"; e se, come dice l'esortazione apostolica, siamo consapevoli del mistero che viene celebrato, ossia il Sacrificio di Nostro Signore sulla Croce, ci rendiamo conto di quanto sia profonda ed esigente la partecipazione actuosa che ci è richiesta: ci è chiesto di prendere anche noi parte al Sacrificio di Cristo, come san Giovanni e la Vergine Santa ai piedi della Croce. Così, se si ha la fortuna di assistere ad una Santa Messa dove la schola cantorum canta (bene) alcune parti ad essa proprie, il fedele, ascoltando, potrà partecipare molto più attivamente che se si trovasse a battere o agitare le mani, a inneggiare con il canto a non si sa bene quale pace prima dell'Agnello di Dio (distraendosi, quindi, da quello che sta avvenendo sull'altare) o a pronunciare direttamente parti della Messa che per natura spettano solo al sacerdote. Qui, per concludere, si apre la consueta parentesi sulla dignità del canto litrugico; quale forma d'arte, la musica ha un ruolo predominante nel contribuire all'Ars celebrandi. Al numero 42 dell'esortazione troviamo il chiaro desiderio del papa in merito al canto sacro:

«Davvero, in liturgia non possiamo dire che un canto vale l'altro. A tale proposito, occorre evitare la generica improvvisazione o l'introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia. In quanto elemento liturgico, il canto deve integrarsi nella forma propria della celebrazione. Di conseguenza tutto – nel testo, nella melodia, nell'esecuzione – deve corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici. Infine, pur tenendo conto dei diversi orientamenti e delle differenti tradizioni assai lodevoli, desidero, come è stato chiesto dai Padri sinodali, che venga adeguatamente valorizzato il canto gregoriano, in quanto canto proprio della liturgia romana.»


Di seguito il link all'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis da cui ho preso alcuni stralci per questo articolo:
Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis

4 commenti:

  1. Uniamoci nel sacramento dell'EUCARESTIA, affinchè questo desiderio che sento urlare in queste righe, possa al più presto realizzarsi!
    Seguiamo diligentemente quello che ci suggeriscono i Padri sinodali!
    Pensaci tu Gesù, Figlio di Dio abbi pietà di noi!

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  2. Anche se non è il luogo migliore per chiederlo puoi andare a leggere l'articolo scritto sul papa a questo indirizzo http://www.croponline.org/videovaticano.htm
    e se possibile potresti fare un commento su questo sito


    Grazie

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  3. Rispondo ad un commento (probabilmente cancellato dall'autore) che mi chiedeva a mia volta un commento su un sito ove era presente un articolo sul papa.

    Rispondo che tale sito non merita un post su questo blog, si tratta di sciocchezze farcite di un linguaggio misterioso per dare una parvenza di verità nella teoria del complotto (basta guardare il nome del sito). Nell'articolo segnalato, ad esempio, si parte dalla descrizione del pallio del papa (ma proprio anche di tutti gli arcivescovi metropoliti), e si interpretano le "aciculae" (ornamento di origine medievale che ricorderebbero i tre chiodi usati per la Crocifissione di Cristo) come simboli esoterici. Credo che una fandonia così grande non costituisca un pericolo di confusione nemmeno per le menti più deboli.

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