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martedì 17 maggio 2011

Tesori d'arte sacra: frammenti di iconostasi

Torna l'appuntamento mensile con la scoperta dei tesori conservati tra il nostro Duomo, il museo parrocchiale ed il Santuario. Questo mese ci concentriamo sulle sei icone, conservate nel museo, e raffiguranti le figure di sei degli apostoli, attribuite a san Pietro, sant'Andrea, san Bartolomeo, san Matteo, san Giacomo (il minore) e san Filippo . Si tratta di sei dipinti su tavola di epoca trecentesca, ed attribuiti alla scuola di Paolo Veneziano, pittore veneto vissuto tra il 1300 ed il 1365; essi sono i superstiti di una collezione più ampia di tavole, che in antichità dovevano costituire l'iconostasi della Cattedrale. Il critico e storico dell'arte Rodolfo Pallucchini scrisse dell'autore, nel suo libro "La pittura veneziana del Trecento": «Si tratta di una personalità, legata ai modi di Paolo del tempo della pala feriale marciana e del polittico bolognese di San Giacomo, che proporrei di chiamare il Maestro di Caorle. E' certo un pittore che conosce le regole bizantine paleologhe (dal punto di vista tipologico si pensi all'Icone con i dodici "Apostoli" del Museo Puskin di Mosca), ma con un incupimento espressivo quasi macedone ed al tempo stesso con una grandiosità d'impianto che fa pensare che il suo autore fosse pratico di affresco».
L'elemento architettonico dell'iconostasi era entrato a far parte della costruzione degli edifici di culto già in epoca paleocristiana; si tratta di una barriera, solitamente in marmo e legno, che separava il presbiterio dal resto della navata. Se ne annoverano sostanzialmente di due tipi, riconducibili alla maniera occidentale (piuttosto bassa, una sorta di balaustra) e a quella orientale (molto più slanciata). Quella della cattedrale di Caorle, dagli studi effettuati in passato e di recente, doveva senza dubbio essere nello stile delle chiese orientali, a testimonianza degli intensi rapporti commerciali e culturali tra l'Oriente ed Aquileia e poi Venezia.
Il ruolo per il quale nasce l'iconostasi è quello di creare una divisione tra il luogo destinato ai fedeli e quello destinato all'altare, al quale soltanto il clero poteva accedere durante le sacre funzioni. Inizialmente, nelle iconostasi di stile orientale, tale divisione era creata da semplici drappi o arazzi; solo successivamente, tra gli spazi lasciati vuoti dalla struttura in legno o marmo, fecero la loro comparsa raffigurazioni sacre, quali dipinti od anche statue, da cui deriva il nome, di radice greca, «Iconostasi», che significa letteralmente "posto destinato alle immagini". Per avere un'idea della forma che poteva avere l'iconostasi del nostro Duomo basta visitare la basilica di Santa Maria Assunta a Torcello, dove l'iconostasi è stata conservata.
Una recentissima ricerca pervenutaci dal dott. Fabio Luca Bossetto, dell'Università di Padova, ha gettato una luce nuova sulla storia di questo elemento artistico-architettonico, ora smantellato. Con puntuali riferimenti alle fonti storiche, specialmente dall'archivio storico patriarcale di Venezia, il dott. Bossetto ha ricostruito la struttura che doveva avere l'iconostasi, e che molto probabilmente doveva constare di quindici tavole simili alle sei a noi pervenute, a differenza delle dodici che, fino a qualche anno fa, si pensava. Infatti, scrive nel suo studio, pensando alla forma consueta delle iconostasi bizantine (che avevano sempre nel mezzo la Deesis, ossia l'insieme delle figure del Cristo, la Santa Vergine e san Giovanni evangelista), già nelle prime ricognizioni della Sovrintendenza si era avanzata l'ipotesi della presenza di quindici icone (dodici apostoli più le tre figure della deesis). Tale ipotesi fu poi confermata dagli scritti lasciati dopo la prima visita pastorale dal vescovo di Caorle Francesco Andrea Grassi; ma il presule, che parlava dei dodici apostoli e del Santissimo Salvatore, citava l'Arcangelo Michele e Santo Stefano, piuttosto che le figure della Vergine e dell'Evangelista della Deesis. Tali inserti necessariamente scompaginavano l'intero ordine delle figure, poiché è chiaro che, se vicino al Salvatore non vi erano la Madonna e san Giovanni dovevano essercene altre due, e non era indifferente la scelta di quali figure scegliere; nota il dott. Bossetto che, se si ammetteva che la Deesis fosse sostituita dall'Arcangelo e Santo Stefano, il Protomartire, sebbene patrono della Cattedrale, avrebbe sopravanzato in importanza gli apostoli. Il problema è in qualche modo risolto dalla numerazione rinvenuta sul retro di alcune delle tavole superstiti, di cui parla Maria Elisa Avagnina: si trova il numero IIII dietro a san Bartolomeo, il IX dietro a sant'Andrea, l'XI a san Matteo e il XIII a san Giacomo. Il fatto che la numerazione si spinga oltre il XII conferma la presenza di quindici tavole; pensando poi che il posto centrale (cioè l'VIII) doveva essere riservato al Cristo, e osservando la posizione dei soggetti, che dovevano essere rivolti tutti verso il centro, subito a destra del Salvatore doveva esser posto sant'Andrea, e quindi a sinistra, a rigore di logica, san Pietro, primo tra gli apostoli e fratello di Andrea. Per un coerente posizionamento delle icone dell'Angelo e di Santo Stefano citate dal vescovo Grassi, dunque, esse non potevano che essere poste agli estremi della composizione, probabilmente in ordine di importanza al primo posto a sinistra l'Arcangelo e a destra il Protomartire. Il fatto abbastanza certo che alla destra del Cristo ci fosse sant'Andrea, per Bossetto, significa verosimilmente che non doveva essere rappresentato san Paolo, associato a san Pietro come patroni della Chiesa romana, e la posizione di san Matteo fa pensare alla presenza dei quattro evangelisti, quindi san Marco e san Luca in sostituzione degli apostoli Simone e Giuda, come era consueto in alcune tradizioni.
Dagli scritti lasciati all'epoca, fu il vescovo Giuseppe Maria Piccini, il cui stemma campeggia sulla parete sinistra del presbieterio, a rivoluzionarne l'intera struttura, smantellando l'iconostasi e sostituendola con la più bassa balaustra in marmo ancora presente in Cattedrale, ed inoltre spostando l'altare maggiore ed aprendo due finestroni in corrispondenza dell'abside centrale. Da altre informazioni ricavate dalle visite pastorali dei vescovi Francesco Andrea Grassi e Domenico Minio, il dott. Bossetto ha concluso che sopra l'iconostasi dovevano essere presenti un Crocifisso (lo stesso che campeggia sopra l'altare oggi, sulla croce moderna) e due statue lignee della Vergine e di San Giovanni Evangelista, che dovevano così costituire la Deesis non riprodotta a livello delle icone.
Di seguito la disposizione delle icone nella ricostruzione di Fabio Luca Bossetto; le immagini sono copie fedeli ricostruite (le originali sono conservate nel museo parrocchiale), tratte dal libro "Caorle. Il Duomo e il Museo" a cura di Alessandro Mozzambani e Giulia Pavesi, 1982.


1. San Michele Arcangelo, 2. San Taddeo, 3. San Tommaso, 4. San Bartolomeo, 5. San Luca, 6. San Marco, 7. San Pietro, 8. Santissimo Salvatore, 9. Sant'Andrea, 10. San Giovanni, 11. San Matteo, 12. San Giacomo Maggiore, 13. San Giacomo Minore, 14. San Filippo, 15. Santo Stefano

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