Effettivamente questa affermazione appare inappellabile, e lascia poco spazio ad interpretazioni che siano in qualche modo comprensive dei motivi della legge italiana e della Chiesa, che con tale legge concorda. Ma fermiamoci un attimo, ed analizziamola bene: "Privare le coppie omosessuali di avere un figlio significa non riconoscere loro gli stessi diritti delle coppie eterosessuali". In questo modo è fuori d'ogni dubbio che si intende il figlio come un diritto della coppia; il bambino "è" un diritto. Purtroppo una tale affermazione non suscita immediatamente la reazione da parte di chi la legge o ascolta, poiché il nostro mondo quotidiano è ormai intriso di questa mentalità (bambino = diritto) anche e soprattutto tra le coppie eterosessuali, non solo omosessuali. E' vero che l'assenza di un figlio può essere fonte di grande sofferenza per una coppia; ma questo non deve indurre a pensare che a tutti coloro che desiderano un bambino debba essere concesso a tutti i costi. Questo perché il bambino non è un oggetto, un bene materiale; è una persona umana, e come tale ha la sua dignità individuale, che deve essere garantita e rispettata. Il bambino, più che "essere" un diritto, "ha" dei diritti, proprio in quanto persona.
Alcuni obiettano: talvolta le persone omosessuali hanno maggiore sensibilità e si comportano meglio degli eterosessuali nei confronti dei bambini (dato del tutto privo di prove, tra le altre cose, e forse figlio di quel modus cogendi "gay è meglio" di cui parlavo nel precedete post); ciò non è sufficiente, tuttavia, per il bambino. Al bambino non basta "essere trattato bene", nemmeno essere amato come se avesse due genitori eterosessuali; egli ha bisogno di due genitori, un padre ed una madre, maschio e femmina: "ha" il diritto di crescere in una famiglia di questo tipo, e questo prevalica ogni altro preteso diritto degli adulti su di lui. Lo scrive oggi, su La Bussola Quotidiana, lo psicanalista Claudio Risè, intervistato da Antonio Giuliano. Nell'articolo intitolato Bimbi con due padri, ecco perché no argomenta, studi alla mano, la tesi che, per la crescita del bambino, siano necessari entrambi gli aspetti, maschile e femminile.
Bimbi con due padri, ecco perchè no
Di Antonio Giuliano
Per chi da anni denuncia la crisi della figura paterna suona quasi beffarda la grancassa mediatica e culturale di chi vorrebbe famiglie con due padri (come Repubblica del 23 maggio “I figli di due padri”). Ma lo psicanalista Claudio Risè ormai non si scompone più: «Nel nostro orizzonte culturale l’essere umano non viene più considerato come una persona con un suo corpo, ma solo come un oggetto prefabbricato. Qui si sta organizzando la produzione di bambini come adorabili oggetti di consumo». Sulla scia di sponsor del calibro di Elton John o Ricky Martin anche in Italia sarebbero un centinaio le coppie omosessuali che ricorrono all’estero (da noi è vietata) alla maternità “surrogata”: in pratica nell’utero di una donatrice che offre a pagamento il proprio utero viene inserito un embrione formato dall’ovocita di una donatrice e il seme di uno dei due padri. E la campagna mediatica si rianima mentre è in corso in parlamento il dibattito sulla legge sull’omofobia.
Professore perché per un bimbo è importante avere un padre e una madre?
In assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio.
Qualcuno le obietterebbe che uno dei due padri (o una delle madri nel caso di coppie lesbiche) potrebbe benissimo svolgere il ruolo della figura materna (o paterna nell’altro caso).
No. La vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare. Nei paesi anglosassoni e del nordeuropea da tempo ci sono casi di coppie omosessuali con figli: studi sul campo hanno provato che la mancanza di genitori di sesso diverso è fonte di problemi, il più evidente dei quali (quando i genitori sono del sesso opposto al tuo), è la formazione delle tua immagine sessuale profonda.
Quali sono i rischi che corre un bambino/a che cresce senza un genitore di sesso femminile? Tanto più che nella fecondazione assistita eterologa padre e madre sono spesso sconosciuti…
L’esperienza del contatto fisico con la madre, nella cui pancia si è stati, è riconosciuta dalla psichiatria e dalle psiconalisi come fondativa della personalità, e della stessa corporeità…
Nei libri come Il padre l’assente inaccettabile o Il mestiere di padre (entrambi pubblicati dalla San Paolo) denunciava la scomparsa della figura paterna. Ora invece sembra a rischio la figura materna.
Anche quei libri sono stati scritti per dimostrare che servono entrambi i genitori, entrambi gli aspetti, quello maschile e quello femminile. La verità è che ormai non c’è solo una crisi della paternità. Ma dell’umanità in generale. L’essere umano, attraverso acquisti e affitti di parti del corpo e elementi generativi è diventato un “prodotto fabbricato”, nel senso in cui ne parlava Michel Foucault. Siamo ormai all’interno di un modello culturale “materialista” (ma in realtà molto mentale, perché passa dalla negazione del corpo “naturale”) fondato sulla soddisfazione narcisistica dei bisogni indotti dal sistema di consumo. Il bimbo “fabbricato” è uno di questi nuovi bisogni. È l’effetto del processo di secolarizzazione che ha tagliato anche i rapporti con il padre celeste, Dio: non c’è posto per l’Altro, tanto meno per la dimensione verticale. Ma negando l’ordine naturale e simbolico siamo costretti a negare anche la nostra corporeità (iscritta in essi) come spiego nel mio ultimo libro Guarda tocca vivi. Riscoprire i sensi per essere felici (Sperling & Kupfer, pp. 210, euro 16,50). Altro che superinvestimento nei sensi. L’ideologia consumista, le mode, i media dettano i nostri comportamenti, perfino nell’innamoramento: ci si incontra e ci si lascia in base ai suggerimenti della moda e delle “tendenze”. La sapiente teologia dell’amore di Giovanni Paolo II è stata spazzata via da una sessualità staccata dalla sensualità della persona umana, e consumista. Non stupiamoci, allora, se sono sempre di più quelli che vogliono evadere dal proprio corpo: magari con le droghe o coi disturbi alimentari come l’anoressia. La sacralità del corpo del cristianesimo è stata negata, e i consumi divinizzati. Ma solo riappropriandoci della nostra corporeità potremo relazionarci con gli altri. E con Dio.
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