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venerdì 5 agosto 2011

Come deve essere la musica sacra moderna?

Continuiamo con la lettura dell'Istruzione Musicam Sacram, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, approfondendo oggi quello che essa espressamente raccomanda a proposito della musica sacra nella celebrazione della Messa riformata. Infatti devo sottolineare che, benché sia opinione diffusa che non esista un pronunciamento chiaro e definitivo della Chiesa a proposito della musica sacra dopo il Concilio Vaticano II, l'Istruzione in esame è, invece, costituita da una serie di articoli molto chiari ed altrettanto chiaramente disattesi nell'attuazione pratica della riforma liturgica post conciliare; e ciò specialmente da parte di quella corrente che pensa che il Concilio abbia incentivato chissà quali rivoluzioni rispetto al passato, che non si trovano affatto nei suoi documenti ma bensì compendiati in un fantomatico "spirito del Concilio", atteggiamento che papa Benedetto XVI ha adeguatamente indicato come "ermeneutica della discontinuità e rottura". A rafforzare la tesi del papa, il quale afferma che non vi è stato alcun rinnegamento del passato e che la liturgia riformata non doveva porsi come obiettivo la contrapposizione con l'antico bensì riformare nella continuità, leggiamo proprio l'articolo 59 della Musicam Sacram, che insegna ai compositori di musica sacra della nostra epoca moderna il modo in cui essi devono lavorare:

«59. I compositori si accingano alla nuova opera con l’impegno di continuare quella tradizione musicale che ha donato alla Chiesa un vero patrimonio per il culto divino. Studino le opere del passato, i loro generi e le loro caratteristiche, ma considerino attentamente anche le nuove leggi e le nuove esigenze della sacra Liturgia, così che "le nuove forme risultino come uno sviluppo organico di quelle già esistenti", e le nuove opere formino una nuova parte del patrimonio musicale della Chiesa, non indegne di stare a fianco del patrimonio del passato.»

Due dei problemi principali nell'ambito della musica sacra che si sono posti innanzi alla Congregazione dei Riti dopo la riforma liturgica, sono stati l'utilizzo delle lingue volgari e la composizione di nuove melodie che accompagnassero i nuovi testi, giacché prima (a parte i canti popolari) tutto era scritto in lingua latina. Nel Concilio, infatti, è stato concesso più spazio alle lingue vernacolari; molti, però, hanno interpretato questo come il ripudio del latino, che di fatto in quasi tutte le realtà è stato letteralmente debellato come si fa con una malattia infestante. Se leggiamo quello che la Costituzione conciliare per la Sacra Liturgia prevedeva ci si rende conto che non è affatto così:

«36. L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.
Dato però che, sia nella messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi.
»
Costituzione Sacrosanctum Concilium

Il latino, quindi, rimane la lingua sacra della liturgia romana, non è affatto stato abolito e nemmeno giudicato dannoso; resta anche oggi la lingua in cui sono scritti tutti i testi originali della Chiesa (dal Messale al Breviario e alle preghiere). Oggi, più che negli anni Settanta, tempo in cui la riforma doveva ancora essere diffusa, si pone però il problema dei danni che questa opera di demolizione ai danni del latino e di tutto ciò che è antico ha causato; non di rado si trovano persone che, non conoscendo nemmeno il significato, la simbologia e la ricchezza del canto gregoriano, vi si scagliano contro a priori solo perché giudicato retaggio di un passato da rinnegare, un vecchiume da abbandonare, una malattia da sconfiggere. E la motivazione che si adduce ad un tale modo di vedere le cose è spesso questa: "Ormai nessuno sa più cantare (o pregare) in latino". L'osservazione non è falsa, forse è solo un po' troppo pessimistica; ma d'altra parte la soluzione non è certo quella di eliminare il gregoriano ed il latino dalla liturgia. E' come, lo dico sempre, se si risolvesse il problema degli studenti, che oggi sembrano non amare più la matematica come un tempo, eliminando l'insegnamento della matematica dalle scuole. Con singolare lungimiranza, sia l'istruzione in esame che l'introduzione al Messale Romano, consci del baratro in cui la Tradizione liturgica della Chiesa stava per essere spinta, ammoniscono:

«Curino i pastori d’anime che, oltre che in lingua volgare, "i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti che loro spettano dell’Ordinario della Messa.
Là dove è stato introdotto l’uso della lingua volgare nella celebrazione della Messa, gli Ordinari del luogo giudichino dell’opportunità di conservare una o più Messe in lingua latina, specialmente in canto, in alcune chiese, soprattutto delle grandi città, ove più numerosi vengono a trovarsi fedeli di diverse lingue".
»

In sostanza, dice il Magistero della Chiesa: se la gente non sa più cantare o pregare in latino glielo si insegni; non si dica "è meglio buttarlo via definitivamente". Spetta dunque ai sacerdoti ed ai vescovi, quali liturghi della comunità loro affidata, il compito di preservare l'immenso patrimonio tramandatoci dai nostri padri, specialmente in questo momento in cui dobbiamo patire le conseguenze di un'errata applicazione dei dettami del Concilio; non devono rassegnarsi alla situazione attuale ma, anzi, devono cominciare a ricostruire e a ricondurre sulla strada giusta i propri fedeli.
Se da una parte il latino non va abbandonato, dall'altra l'introduzione della lingua vernacolare richiede un'adeguata traduzione dei testi originali; il compito non è facile, poiché i nuovi testi devono essere fedeli al testo latino e nel contempo, per i testi destinati alla musica liturgica, adatti al canto. Finché ci si limita, per così dire, alla traduzione dei testi il problema appare abbastanza superabile, anche se, a dire la verità, molti dei canti che si sentono oggi in vare chiese d'Italia non hanno nulla né del testo sacro né della traduzione dell'originale latino. Ma quando ci si rivolge alla composizione di nuove melodie per i nuovi testi il problema si rende evidente in tutta la sua complessità. Si tratta infatti di fare in modo che le nuove musiche siano degne della liturgia, espressioni di vera arte destinate ad essere elevate a Nostro Signore.
Che cosa sia l'arte, la bellezza e la bontà delle forme, al giorno d'oggi è diventata una mera opinione, in accordo con la mentalità relativista che attanaglia tutti i campi della vita dell'uomo post-moderno; e, d'altra parte, è facile rendersi conto (basta fare quattro passi a Venezia durante la biennale) che il concetto d'arte ha valicato il confine del comune buonsenso e della decenza, se c'è chi si ostina a chiamare "opera d'arte" anche gli escrementi umani o cose ben peggiori. E' chiaro che il pericolo di questo aberrante metro di giudizio artistico si pone anche per la musica sacra e per le altre forme d'arte sacra, così come è chiaro che in tutti i modi bisogna evitare di far entrare in chiesa forme d'espressione offensive e volgari, anche contro un intero mondo che le propina a tutti come bellezza. Per questo è necessario additare un modello, uno stilema, al quale tutti i compositori e gli esecutori di musica sacra devono attingere e sottomettersi. Tale modello, lo ha più volte ribadito dal magistero, è sempre il canto gregoriano, come indicava papa San Pio X e riprendenva il beato papa Giovanni Paolo II. La vera musica sacra non può prescindere dalla Tradizione della Chiesa, e quindi dal gregoriano: deve imitarlo, rispettarlo ed attenersene. Per questo leggiamo nella Musicam Sacram:

«56. Tra le melodie da prepararsi per i testi in volgare, hanno particolare importanza quelle proprie del sacerdote celebrante e dei ministri, sia che le debbano cantare da soli o insieme all’assemblea o in dialogo con essa. Nel comporle, i musicisti vedano se le melodie tradizionali della liturgia latina, usate a questo scopo, possano suggerire delle melodie anche per i testi in lingua volgare.
60. Le nuove melodie per i testi in lingua volgare hanno certamente bisogno di un periodo di esperienza per poter raggiungere sufficiente maturità e perfezione. Tuttavia si deve evitare che, anche soltanto con il pretesto di compiere degli esperimenti, si facciano nelle chiese tentativi che disdicano alla santità del luogo, alla dignità dell’azione liturgica e alla pietà dei fedeli.
»

Concludiamo con la scelta degli strumenti musicali: anche qui sappiamo bene, già dalla costituzione conciliare sulla sacra liturgia, che lo strumento musicale per eccellenza della liturgia romana è l'organo a canne, il quale deve essere tenuto "in grande onore", poiché "in grado di aggiun­gere una notevole grandiosa solennità alle cerimonie della Chiesa e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti" (SC § 120). Ma le correnti moderniste di fine anni Sessanta, che in qualche misura hanno indubbiamente fatto breccia anche all'interno della Chiesa, hanno messo in dubbio questa predominanza in favore di altri strumenti più "al passo con i tempi", fino a sfociare nella tristemente famosa "Messa beat", con batterie, chitarre elettriche e musiche alla Rolling Stones. E' bene ricordare, invece, che la Chiesa ha da sempre voluto mettere un freno a queste tendenze, riaffermando il Magistero immutabile; nell'Istruzione che stiamo esaminando, ad esempio, troviamo scritto:

«63. Nel permettere l’uso degli strumenti musicali e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell’indole e delle tradizioni dei singoli popoli. Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio e l’uso comune, sono propri della musica profana, siano tenuti completamente al di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi. Tutti gli strumenti musicali, ammessi al culto divino, si usino in modo da rispondere alle esigenze dell’azione sacra e servire al decoro del culto divino e alla edificazione dei fedeli.»

Anche nel caso degli strumenti utilizzati durante la Messa è facile sentirsi obiettare che "costano troppo", oppure che "non ci sono persone in grado di suonarli"; ma, come nel caso del latino, è un problema a cui si può porre rimedio senza dover eliminare l'organo, magari finanziando parzialmente gli studi musicali dei ragazzi con un piccolo incentivo economico per il servizio liturgico che svolgono. E, anche nella difficoltà più seria, è opportuno chiedersi: non è meglio una musica non accompagnata da strumenti, piuttosto che una liturgia inquinata da musiche profane e di dubbio valore artistico? Sarebbe come se, a causa della scarsità di minestra nel piatto dei figli, la madre la allungasse con dell'acqua; anche se così pare di mangiare di più, tuttavia a quel pasto non si è aggiunto nulla di sostanzioso. Anzi, in questo modo si corre anche il rischio di far perdere completamente il gusto di quella poca minestra che c'era prima, con il risultato che, magari, i figli non vorranno nemmeno più mangiarla quella minestra. D'altra parte l'istruzione dice:

«67. È indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti, oltre a possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro strumento, conoscano e penetrino intimamente lo spirito della sacra liturgia in modo che, anche dovendo improvvisare, assicurino il decoro della sacra celebrazione, secondo la vera natura delle sue varie parti, e favoriscano la partecipazione dei fedeli

Quindi non è solo necessario, ma addirittura indispensabile che i musicisti di chiesa conoscano bene la musica e sappiano usare bene lo strumento, cosa che non si può certo improvvisare, ma si raggiunge soltanto con l'applicazione e lo studio metodologico. E conoscano altrettanto bene la liturgia; a questo dovranno sempre essere i pastori d'anime ad introdurli, nello spirito delle parole citate in apertura: «Studino le opere del passato, i loro generi e le loro caratteristiche, ma considerino attentamente anche le nuove leggi e le nuove esigenze della sacra Liturgia, così che "le nuove forme risultino come uno sviluppo organico di quelle già esistenti"».

Di seguito i collegamenti ai documenti utilizzati per questo articolo:

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