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venerdì 27 aprile 2012

Visita del Patriarca - L'omelia alla Messa

Sia lodato Gesù Cristo.

E' una gioia quella di poter incontrare una comunità numerosa, una comunità che esprime la gioia di trovarsi intorno all'altare col proprio vescovo. Questa è la vera forza della Chiesa: il vescovo con il suo popolo. Ed è bello che ci si trovi di fronte a un popolo che è fatto di bambini, che è fatto di adolescenti, che è fatto da papà e mamma, che è fatto da anziani; perché la prima caratteristica di una comunità deve essere quella della presenza di tutti. Se avessimo solo i bambini sarebbe una ricchezza, ma mancherebbero i genitori; se avessimo solo gli anziani - quanto sono preziosi gli anziani, pensiamo ai nonni: certe volte, in certi periodi, sono addirittura degli ammortizzatori sociali, altre volte no, altre volte gli anziani debbono essere accuditi - però, quello che voglio sottolineare è questo, è importante che nella comunità ci siano tutti. E' chiaro che i membri della comunità possono essere anche feriti; e siamo in un momento in cui tante cose, anche dal punto di vista religioso, della Fede, non ci vengono semplici, ci possono essere delle fratture; ma la Chiesa accoglie tutti, la Chiesa vuole che tutti si sentano accolti. Allora è importante che, nella comunità ecclesiale, ci sia accoglienza, ci sia spazio, ci sia la presenza di tutti. Vedete, molte volte noi, sbagliando, ci poniamo di fronte alle situazioni in questo modo: ma se vado, che cosa dico? Non so cosa dire! Ma se vado a questo incontro ho qualche ferita da nascondere! Guardate, la cosa più importante è vincere queste paure; la cosa più importante, in un incontro, non è quello che io dico, non è la bella figura che io faccio, ma è esserci: perché con la mia presenza, col mio silenzio, col mio sorriso, posso aiutare gli altri; qualche volta li posso aiutare con qualche parola.
Vi dico, siete la prima comunità parrocchiale che io incontro da Patriarca di Venezia in questi incontri infrasettimanali per conoscere la comunità; sì, qualche Cresima l'ho già data, sia a Venezia sia a Mestre, ma voi siete, la comunità di Caorle di Santo Stefano, la prima comunità che io incontro per fare amicizia, per non essere estranei, per poter iniziare confortati reciprocamente un cammino di Chiesa. E la prima cosa che vi voglio dire è proprio questo: guardate che bella chiesa che avete! Vedete, quando si hanno le belle cose ci si abitua e non si percepiscono più come belle. Voi sapete che io sono genovese; il seminario di Genova è sulle alture di Genova, si domina tutta la città; pensate che, addirittura, dall'ultimo piano, nelle giornate particolarmente terse, al mattino presto si vede la Corsica. Io, la prima volta che sono andato in seminario, perdevo tempo dalla finestra; gli ultimi anni di seminario non mi accorgevo neanche più del panorama stupendo che avevo. Voi avete una bella chiesa; voi siete anche una bella comunità, perché siete tanti, perché ci sono i bambini, dicevo, perché ci sono gli adulti, perché ci sono anche dei volti segnati da delle rughe, perché ci sono dei capelli bianchi: questa è la bellezza della comunità. In chiesa sono a casa mia; certo, c'è il parroco, che celebra l'Eucarestia, che è insostituibile, ma la chiesa è la mia casa. Ecco, io vorrei che i momenti importanti della vita ecclesiale - la preparazione alla prima Confessione, la preparazione alla Comunione, la preparazione alla Confermazione - siano proprio momenti in cui la comunità si riscopre. Che dei bambini si accostino per la prima volta alla Comunione è una cosa che tocca: sono i bambini della mia parrocchia, si stanno preparando. E lo stesso per la Confermazione, lo stesso per i Battesimi: ecco, io vorrei veramente una comunità che si lascia prendere, intrigare dalla vita parrocchiale. Perché, vedete, la cosa triste è che si ragioni così, e molte volte succede: finché non hai cose importanti da fare vai in chiesa, poi iniziano le cose importanti della vita e allora Dio non esiste più; se va bene c'è l'età della pensione. Allora in chiesa abbiamo i bambini e i vecchi: questo no, questo non lo dobbiamo accettare. Allora la prima cosa per cambiare, se ci fosse, questa tendenza è proprio esserci: non è importante quello che io dico, è importante che io ci sia, con la mia presenza; poi, ripeto, da cosa nasce cosa.
Ecco, io vi do un brevissimo pensiero sulla prima lettura e il Vangelo. Abbiamo ascoltato, nella prima lettura, che un diacono, Filippo, è mosso dallo Spirito Santo e va a incontrare un uomo, un etiope, un ministro della regina Candace, un uomo importante, che era curioso delle cose di Dio. Qui c'è l'immagine dell'evangelizzazione di sempre: un papà, una mamma, un sacerdote, un catechista che evangelizzano sono sempre dei mandati. Io non sono qui per caso: se ci crediamo, alla fine qui mi ha mandato il Signore. E il Signore suscita nel cuore di ogni uomo la curiosità; quell'etiope leggeva il libro di Isaia e non capiva, ma era curioso tanto che Filippo gli chiede: "Ma capisci?". "Ma come posso capire se non c'è nessuno che mi spiega". Ecco la comunità: noi siamo dei mandati; quando noi prendiamo le nostre iniziative di catechesi, di pastorale, quando una mamma insegna a un bambino i rudimenti della Chiesa, come fa? Lo porta in chiesa e gli dice: "Quello è il Crocifisso". E, per un po', il bambino ha altro per la testa; però, intanto, nel bambino c'è l'immagine della mamma che entra in chiesa e che gli fa vedere il Crocifisso. Quante volte mi è capitato, quando ero vice-parroco, vedere delle mamme che, prendendo il bambino all'asilo, lo portavano in chiesa e assistevo a delle scene ridicole, a degli accucciamenti che erano la genuflessione; però, vedete, si dà la Fede in questo modo. Quante volte, parlo a chi è un pochino più anziano, abbiamo imparato la preghiera del Rosario perché la nonna, o la mamma, la sera ci radunava; magari lo si diceva un po' in fretta, magari non lo si diceva benissimo, ma lo si diceva! Ecco, noi dobbiamo capire che siamo mandati agli altri; e che gli altri sono sostenuti da quella Grazia di Dio che è quella curiosità. Questo etiope: "Come potrei capire? Nessuno me lo spiega". Quante volte certe persone hanno quella curiosità di Gesù, del Signore, di Dio, ma non hanno una persona che spieghi: ecco, la nostra comunità deve sentirsi impegnata; se ci fossero anche tutti ma mancassi io c'è una nota stonata. "Ma io sono stanco, ma io non ne ho voglia, ma non questa domenica"... no, vacci! Da cosa nasce cosa, e certe volte degli incontri a cui non davamo importanza segnano e cambiano la nostra vita.
Allora noi accompagniamo la Comunità con la nostra presenza e, soprattutto, cogliamo le occasioni dei grandi avvenimenti liturgici e sacramentali della nostra comunità. Questa è la festa della Fede.

Sia lodato Gesù Cristo.

2 commenti:

  1. Grazie per aver postato l'omelia!
    Immagino che il Patriarca avrà apprezzato la croce e i candelieri sull'altare e la vostra sensibilità liturgica!
    Ad maiora, un saluto!

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    Risposte
    1. Prego, grazie a te per il commento.
      Il Patriarca ha avuto modo, al termine della celebrazione, di ringraziare in particolar modo i chierichetti, che ha trovato molto preparati (e ha detto che si vede quando sono preparati) ed il coro per i canti.
      Spero di avere occasione di postare anche l'intervento del Patriarca nella successiva assemblea parrocchiale, una vera e magistrale lezione di Catechismo su Matrimonio ed altri Sacramenti.

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