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lunedì 12 marzo 2012

Omelia di congedo del Patriarca dalla Spezia

Ieri il Patriarca eletto mons. Francesco Moraglia ha celebrato nella Cattedrale della Spezia la Santa Messa di congedo per salutare sacerdoti, fedeli ed autorità prima del suo ingresso a Venezia. Questa l'omelia da lui tenuta.

Eccellenza, reverendi confratelli e diaconi, consacrati/e, fedeli laici, vi ringrazio della presenza che è segno di vicinanza e gentilezza; il mio grazie innanzitutto va alle Autorità.
Il momento che stiamo vivendo, il saluto del Vescovo alla propria Chiesa, è per il pastore e per la comunità un evento particolarissimo che tocca l’intimo della persona; è un momento che siamo chiamati a vivere sotto lo sguardo paterno e misericordioso del Signore che, quattro anni fa, ci ha fatto incontrare e ha disposto che camminassimo insieme per un tratto di strada che, alla fine, si è rivelato breve, anzi a me è parso brevissimo e del quale ringrazio Lui e voi. Sì, Lui, il Signore, e voi siete stati i riferimenti costanti della mia vita quotidiana in questi quattro anni. Tutta la persona - dicevo - è coinvolta nell’evento che viviamo ma, qui, ora, prendono il sopravvento i ricordi e i sentimenti.
Come discepoli del Signore sappiamo d’esser chiamati a vivere il momento della separazione - come ogni altro momento della vita -, a partire da ciò che ci costituisce discepoli, ossia la fede; se no, che discepoli saremmo? Così la fede - che ho sempre cercato di annunciare in questi quattro anni - innanzitutto ci ricorda che tutto quello che accade non capita a caso, fa parte di un preciso progetto divino che Dio ha su ciascuno di noi; e se noi uomini non ci opponiamo, Dio è il vero regista della storia, dei suoi piccoli e grandi avvenimenti. Dio è il regista che tutto muove secondo la sua sapienza; e per divina sapienza intendo l’unione di un “amore intelligente” e di un bene “capace di senso”.
La vita, allora, è per il cristiano un “lasciarsi portare”. “Lasciarsi portare” sembra la cosa più facile e comoda della vita, in realtà “lasciarsi portare” richiede grande distacco da se stessi; e tale distacco è quanto di più alto possa giungere una persona e una comunità. Il “lasciarsi portare” comporta, nella storia della salvezza - Antico e Nuovo Testamento - dir di sì a Dio, acconsentire a quello che Egli chiede attraverso le situazioni, i disguidi, le concomitanze, gli imprevisti che di volta in volta caratterizzano la nostra vita. Così, l’operaio che lavora nella vigna del Signore crede, non perché le cose procedono secondo i suoi desideri o secondo i suoi piani ma, piuttosto, perché sa che la sua vita - e tutto ciò che in essa accade - è espressione certa di un amore intelligente e una sapienza più grande che lo precedono; e questo vale, sempre, anche quando ciò contrasta col proprio modo di sentire, con la propria sensibilità, coi propri sentimenti.
Al sì di Abramo corrisponde, nella pienezza dei tempi, il sì di Maria, la prima discepola, la madre del Signore. Traduce in modo felice tale fede biblica Teresa d’Avila; questa santa esprime, in modo incisivo e vivo, l’atteggiamento del credente: «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi, tutto passa. Dio non cambia. La pazienza tutto ottiene. Nulla manca a chi possiede Dio, Dio solo basta». La nostra vita - col passare lento o tumultuoso dei giorni - è importantissima, perché è proprio nel tempo che noi scriviamo l’eternità, e in parte contribuiamo con la nostra testimonianza di vita a scrivere l’eternità delle persone che incontriamo. Nello stesso tempo il cristiano sa che la sua vita terrena non è la realtà ultima, la meta, ma luogo di transito, e deve comportarsi di conseguenza; per capire serviamoci dell’immagine tratta dalla storia d’Israele; è l’immagine della tenda che esprime bene la nostra situazione di pellegrini per cui in ogni momento dobbiamo sempre esser pronti a smontare la nostra tenda e ad andare oltre.
Carissimi, oggi, per voi e per me, è uno di questi momenti, in cui, lo ripeto, sotto lo sguardo amorevole e sapiente di Dio - che nulla fa a caso - siamo chiamati a smontare la nostra tenda e a incamminarci là dove il Signore ci vuole. Questi pensieri sono semplici ma fondamentali per il cristiano - sia esso pastore, sia fedele - e tali pensieri devono ispirare la nostra vita momento dopo momento, ma soprattutto devono sostenerci ed essere la nostra bussola nei tempi che segnano i differenti capolinea della nostra vita; ci sono dei momenti in cui si è chiamati non solo a voltar pagina, ma a cambiare il quaderno dove, fino a quel momento, si era scritta la nostra storia. Sono, questi, tempi di vera grazia, nei quali si può, anzi si deve, guardare la propria vita - fatti, cose, persone - secondo un punto prospettico nuovo, in cui la nostra storia personale e comunitaria si salda in un disegno più grande del nostro e siamo condotti dove neppure immaginavamo; questa è la realtà e il senso della vita sia del singolo credente, sia della comunità di cui fa parte.
Oggi per noi si compie qualcosa di significativo; allora è essenziale che come discepoli del Signore - chiamati a fare tale esperienza - poniamo in campo tutta la nostra fede. La fede non è qualcosa di consolatorio, un auspicio o un desiderio impossibile che, proprio perché impossibile, viene consegnato alla fede. No, la fede è sapere certo, per cui la vita è qualcosa che va oltre il momento presente e si proietta verso il mondo realissimo della risurrezione. Dobbiamo vivere di più il nostro battesimo; qui pastore e fedeli sono sullo stesso piano; con linguaggio teologico preciso ma non a tutti comprensibile si parla di “riserva escatologica”, intendendo le ultime cose.
Quindi il momento presente non è fatto solamente da avvenimenti che, ormai accaduti, tutto al più rimangono chiusi nella memoria fintanto che funziona; no, per il discepolo del Signore tutti i fatti e gli eventi della vita devono ancora svelare il loro ultimo significato, la loro ultima fecondità che, un po’ sorpresi, scopriremo, commossi, in Paradiso, dove tutti gli enigmi, i misteri e le domande cui non sappiamo ora dar risposta si chiariranno, svelandoci quanto Dio ci ha amati durante la vita terrena, dandoci un infinito numero di grazie; qui, per i laici presenti, traduco il termine grazia con opportunità, possibilità, incontri. Siamo incamminati verso il mondo della risurrezione, il mio augurio e la mia preghiera è che tutti là, un giorno, ci possiamo ritrovare col Signore.
Questa consapevolezza di vivere, qui e ora, la dimensione penultima e non ultima dell’esistenza ci doni una più grande libertà; la libertà che nasce dalla consapevolezza di non essere costretti a perseguire, oggi, a tutti i costi, il proprio appagamento personale, altrimenti tutta la vita rimarrebbe incompiuta, disattesa, frustrata; non sottovalutiamo ciò in vista di una vera libertà dalle cose e dalle persone. Con questo sguardo, sul tempo e l’eternità, soprattutto sulla paternità di Dio, viviamo il momento che il Signore oggi ci chiede di vivere, e viviamolo con quella libertà che ci dona la fede.
Carissimi, ora voglio ringraziare il Signore per voi, perché quattro anni fa Lui mi mandava a questa Chiesa che io non conoscevo e dalla quale mi sono sentito accolto fin dal primo momento. Ringrazio il Signore perché mi ha dato la gioia di potermi spendere, anche se con le mie poche risorse e doti, per questa Chiesa. Lo ringrazio per tutte le volte che, in questi quattro anni, sono giunto, a sera, stanco per l’intenso lavoro. Lo ringrazio anche perché qualche notte di fronte a problemi e difficoltà non sono riuscito a prendere sonno. Lo ringrazio ancora, e soprattutto, per coloro che con fierezza e forse un po’ d’orgoglio - e di questo chiedo perdono al Signore - ho chiamato “i miei preti”. Molti di loro camminano con passo spedito, altri addirittura corrono, sulla via della perfezione evangelica; per tutti ho sempre cercato d’essere - come Vescovo -, amico, fratello e padre; e se qualcuno non l’ha compreso l’affido in modo particolare al Signore e alla sua grazia; Dio può fare tutto e arrivare dove gli uomini non riescono.
Ringrazio il Signore perché ho incontrato in questi anni consacrati - religiosi e religiose - che, col loro silenzioso operare e occupando i posti più umili del loro Istituto, hanno detto, non a parole ma con i fatti, cosa è la verginità, l’obbedienza e la povertà secondo il Vangelo. Ringrazio il Signore per i tanti laici e laiche cristiani che amano la Chiesa e la servono, là dove essa concretamente si manifesta, nelle parrocchie, nei vicariati, nelle associazioni, nei movimenti, nella pastorale d’ambiente e negli offici diocesani.
A tutti presbiteri, diaconi, consacrati, laici, dico: vi ho voluto bene e non mi è stato difficile volervi bene, vi porterò sempre nella mia preghiera, non dimenticherò mai questi quattro anni, per me così importanti. Anni in cui con voi sono stato cristiano, per voi sono stato Vescovo. Chiedo a tutti perdono dei miei limiti e delle mie insufficienze. Ringrazio il mondo del lavoro e soprattutto gli operai per come mi hanno accolto e per la fiducia che mi hanno concesso; grazie per gli incontri che abbiamo avuto anche in momenti non facili per voi e per le vostre famiglie.
Infine ringrazio il Signore per alcune cose che abbiamo fatto insieme. Penso alla Visita Pastorale, ai pellegrinaggi del primo sabato del mese, all’Adorazione Perpetua di recente istituzione; non manchino mai adoratori, soprattutto negli orari notturni di fronte al Santissimo Sacramento; vi raccomando, poi, il Seminario diocesano affinché possa ancora crescere in qualità e numero di vocazioni.
E ora, carissimi, guardate al mio successore, perché è passando attraverso di Lui che incontrerete Gesù, il Signore, il vero, sommo ed eterno Sacerdote. Incominciate a guardare a colui che il Signore vi ha destinato come padre nella fede, pregando per Lui; chiunque esso sia, accoglietelo come amico, fratello e Padre, ossia Vescovo. Ricordate, infine, che il Vescovo è la tenerezza del Signore Gesù per la sua Chiesa, siate sempre degni di tale tenerezza del Signore verso di voi.
Tutti vi affido, come sempre ho fatto ogni giorno in questi anni, alla Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, ossia madre di tutti i pastori e di tutti fedeli.


 + Francesco Moraglia


Fonte: Diocesi della Spezia-Sarzana-Brugnato.
Foto: sfidaeducativalaspeziablog.wordpress.com.

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