La croce astile patriarcale, il leone di san Marco, una stella, una cinta muraria, il mare con un'ancora: sono i principali elementi che compongono lo stemma del Patriarca Francesco Moraglia, opera di Enzo Parrino (che l'ha disegnato) e Giorgio Aldrighetti (che l'ha ideato e ne ha fatto l'esegesi). Il cappello, i cordoni e le nappe verdi che timbrano lo scudo indicano, per il colore e il numero delle nappe (30), che si tratta di un patriarca (i cardinali usano il rosso). L’origine e l’uso dei cappelli di verde, per i patriarchi, arcivescovi e vescovi, si vuole derivato dalla Spagna, dove, nel Medioevo, i prelati usavano un cappello prelatizio di quel colore.
Lo stemma è suddiviso in due campi. Quello inferiore è costituito da una cinta muraria, di colore grigio. Ricordo delle antiche fortificazioni, simboleggia l’animo forte che resiste ai pericoli e alle avversità della vita, mentre i mattoni che la compongono evocano il riferimento alle "pietre vive della Chiesa". Si tratta di un velato richiamo al cognome: Moraglia. La porta, in oro, è simbolo di Cristo, mentre i merli guelfi sono simbolo della Chiesa. Il mare rappresenta la clemenza, la generosità e la Grazia divina, mentre l’ancora è simbolo di costanza e di fermezza. Il campo superiore dello stemma è costituito dal cielo azzurro con stella a otto punte; il numero otto, secondo la mentalità dei Padri della Chiesa, rappresenta sia la cifra del mondo risorto sia della vita eterna; infine la stella, di metallo oro, è simbolo di Maria. E non poteva mancare il leone, a rappresentare l'evangelista Marco.
Il motto episcopale è costituito dal versetto 14 del primo capitolo degli Atti degli Apostoli: “Hi omnes erant perseverantes unanimiter in oratione cum mulieribus et Maria matre Iesu et fratribus eius”; vale a dire: tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera con alcune donne e Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui. E' un versetto che presenta l’icona più vera della Chiesa, ossia l’evento della Pentecoste in cui la Chiesa si è manifestata al mondo; Maria, la madre di Gesù, è circondata dagli apostoli e dai discepoli, nell’attesa del compimento della promessa del Signore: il dono dello Spirito Santo.
Maria “madre di Gesù e della Chiesa” è titolo strettamente legato al Concilio Ecumenico Vaticano II; infatti il beato Giovanni XXIII, nella costituzione apostolica d’indizione del Concilio, ne affidava i lavori alla Vergine Maria e faceva riferimento proprio a questo testo degli Atti (cfr EV I, 23). In seguito il Concilio nella costituzione dogmatica Lumen gentium, presentava l’intera dottrina sulla Chiesa, dedicando l’intero ottavo capitolo alla Vergine Maria, contemplata nel mistero di Cristo e della Chiesa. Inoltre, il servo di Dio, Paolo VI, nel giorno in cui veniva promulgata la costituzione sulla Chiesa, nel discorso di chiusura del terzo periodo – il 21 novembre 1964 – proclamava Maria “Madre della Chiesa”, vale a dire, madre di tutto il popolo di Dio: dei fedeli e dei pastori, che la chiamano Madre amorosissima (EV I, 306).
Alla luce di quanto detto, rivestono particolare significato le parole di Paolo VI: “Quanto a Noi, come siamo entrati nell’aula conciliare dietro l’invito di Giovanni XXIII, l’11 ottobre 1961, insieme “cum Maria, Matre Iesu”, così al termine della terza sessione, usciamo da questo stesso tempio nel nome santissimo e soavissimo di Maria Madre della Chiesa (EV I, 313). E’ quindi a Maria, madre della Chiesa, che il Vescovo – sulla scorta della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero – intende affidare se stesso e il suo ministero a favore della Chiesa.
Fonte: patriarcatovenezia.it.
che Dio lo benedica con tutta la Chiesa Veneziana.
RispondiEliminaCiao
Nella Scrittura le acque marine potevano rappresentare anche il caos primordiale.
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