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mercoledì 14 dicembre 2011

Tesori d'arte sacra: l'affresco di Santa Lucia

Data la vicinanza con la memoria di Santa Lucia vergine e martire, celebrata proprio ieri, per l'appuntamento mensile con i tesori d'arte sacra del nostro Duomo abbandoniamo temporaneamente le opere d'arte della navata sinistra per spostarci all'affresco che raffigura la santa di Siracusa, sulla parete della navata destra, vicino alla porta che dà sulla sacrestia. Si tratta di un affresco Trecentesco, costituito da una parte centrale principale e da una cornice di dieci riquadri. La parte predominante è quella in cui è rappresentata Santa Lucia, secondo i criteri iconografici che la contraddistinguono tradizionalmente: regge con la mano sinistra il ramo di palma e porta sulla testa la corona, simboli del martirio che troviamo anche nel libro dell'Apocalisse. La corona può voler altresì indicare le nobili origini della santa, nata nel terzo secolo da una nobile famiglia, come conferma anche il suo vestimento. Con la mano sinistra, accostata alla palma, regge un piatto contenente gli occhi, altro elemento molto comune nelle raffigurazioni di questa santa, invocata come patrona dei non vedenti; tuttavia, al contrario di quanto si potrebbe credere, ciò non ha a che fare con le vicende della sua vita o del suo martirio: tale fama le deriva infatti dal suo nome, Lucia, che ha come radice la parola luce. L'intera figura della santa si staglia su uno sfondo molto particolare, nel quale è riconoscibile la città di Caorle, col suo caratteristico campanile cilindrico e quello quadrangolare della chiesa dell'Angelo, sul quale sta sorgendo il sole: l'affresco è realizzato, infatti, affinché l'osservatore guardi verso oriente (la prospettiva dalla quale è possibile vedere il panorama dipinto alle spalle di Santa Lucia è visibile soltanto guardando verso est), ed il cielo si sta progressivamente rischiarando, passando dal classico colore rosso dell'alba a quello ancora scuro del cielo mattutino. L'oriente è chiaramente il simbolo di Gesù Cristo, rappresentato già nel cantico di Zaccaria (Lc 1, 68-79) come Oriens ex alto (sole che sorge dall'alto), usato soprattutto nella costruzione delle chiese (un tempo tutte posizionate lungo l'asse ovest-est, con l'entrata principale ad ovest e l'altare maggiore ad est, come le chiese più antiche di Caorle), di modo che i fedeli ed il sacerdote potessero, durante la Messa e le altre funzioni, guardare ad Orientem, cioè simbolicamente verso Cristo. Il panorama caorlotto alle spalle di Santa Lucia, quindi, ha non solo la funzione di far sentire la santa più vicina ai suoi devoti, alludendo al fatto che ella protegge la città, ma ha anche quest'altro scopo, più nascosto, di voler indicare l'Oriente, tramite anche il colore del cielo; ed il fatto di aver contestualizzato la figura della santa nel paesaggio illuminato dal sole che sorge vuole indicare che la vita dei santi, nella fattispecie di Santa Lucia, è nascosta nella vita e nel martirio di Gesù Cristo. Non solo; il devoto, che guarda alla rappresentazione della santa, guarda contemporaneamente a Gesù Cristo, del quale la sua patrona ha ricalcato le orme. Ecco una risposta (datata 1300) agli ateisti e laicisti, detrattori del culto dei santi nella Chiesa cattolica: essi non sono come tanti "dei", ma piuttosto come degli esempi, che hanno saputo vivere come Gesù Cristo, e guardare a loro significa guardare a Lui. Non dimentichiamo, poi, che la prassi di dipingere le figure dei santi in panorami il più possibile riconducibili alla realtà osservabile è dovuta in particolare a Giotto, di poco precedente all'artista che ha realizzato questo affresco, il quale sostituì il fondo oro tipico tipico delle icone precedenti, che aveva la funzione di indicare la realtà ultraterrena del paradiso. In questo affresco, quindi, abbiamo forse uno dei primi esempi dell'utilizzo anche dello sfondo e della realtà terrena per comunicare dei messaggi teologici a chi osserva l'opera.
Veniamo ora ai dieci riquadri che incorniciano la parte centrale, e che rappresentano le scene della vita di Santa Lucia, così come le racconta la tradizione agiografica. Partendo dal riquadro in basso a sinistra e procedendo in senso orario, scorgiamo dapprima la scena della nascita di Lucia a Siracusa; è rimasta, in questo caso, anche traccia della didascalia, che in altri riquadri è purtroppo andata perduta. Subito sopra si passa alle vicende che hanno portato al martirio: vediamo la madre di Lucia adagiata sul letto, poiché colpita da una grave emorragia, e la figlia che la convince a far visita al corpo di sant'Agata, cui erano entrambe molto devote, custodito a Catania. Nella scena soprastante, infatti, le vediamo in cammino, come ci conferma la didascalia. Durante la Santa Messa a cui assistettero udirono il Vangelo della guarigione da parte di Gesù della donna emorroissa, e Lucia invitò la madre a sfiorare con fede la pietra del sepolcro, certa dell'intercessione della santa; lei stessa, invece, cadde in un sonno estatico, durante il quale le apparve sant'Agata, come mirabilmente rappresentato nel riquadro in alto a sinistra: la santa le preannuncia il martirio, come pochi anni prima era toccato anche a lei. Di questa vicenda Lucia rimase profondamente entusiasta, e confidò alla madre di voler consacrarsi totalmente al Signore, con la verginità del corpo e donando la cospicua parte di patrimonio paterno che le spettava ai poveri; la madre, dapprima riluttante all'idea di negare al promesso sposo di Lucia la ricca dote, si lasciò convincere, anche a motivo della guarigione ottenuta presso sant'Agata, e nel secondo riquadro in alto la vediamo mentre tenta di placare la veemenza del promesso sposo di Lucia, dicendogli che la dote è stata impegnata in un cospicuo investimento. Egli, però, esacerbato dai continui rinvii delle nozze, si rivolse al governatore Pascasio (terzo riquadro in alto), denunciando Lucia come cristiana. Lucia venne dunque arrestata e condotta dinnanzi al governatore, il quale, come si vede nel riquadro in alto a destra, tentò dapprima di corrompere il suo spirito con la divinazione; quindi, visto il rifiuto di Lucia ad abiurare la fede cristiana, per farla desistere dal proposito di mantenersi casta nel corpo e nello spirito, la costrinse ad andare in un lupanare; ma ella, pregando il Signore e certa del suo voto di castità, fu resa così pesante che nemmeno un carro trainato da innumerevoli buoi (il secondo riquadro in alto a destra) riuscì a smuoverla. Vista la fede incrollabile di Lucia, Pascasio la condannò a morte, bruciandola sul rogo (penultimo riquadro), dal quale ella, però, uscì miracolosamente illesa; nell'ultimo riquadro la vediamo con la gola trafitta da una spada, con la quale il governatore le procurò la morte; ma non la vediamo inerte, bensì viva mentre riceve la Santa Comunione dal sacerdote, in ginocchio e sulla lingua.
Questo affresco ci testimonia, dunque, come l'autentica arte sacra abbia sempre avuto nella Chiesa non solo un compito decorativo, ma anche pratico; attraverso di essa il popolo dei fedeli poteva conoscere la vita dei santi loro patroni, e procedere così confermati alla sequela di Cristo. C'è da augurarsi che sempre l'arte sacra conservi questo ruolo, o meglio lo recuperi, visti i recenti esempi ormai dilaganti di opere d'arte volte soprattutto a celebrarne l'autore piuttosto che in umile atteggiamento di servizio a Gesù Cristo.

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