Natale di crisi e di speranza
Intervista di Cristina Pagnin e Giorgio Malavasi
È Natale, ma per moltissime persone questo è un Natale difficile; stiamo vivendo, Eminenza, una crisi pesante, una crisi dolorosa, guardando a quello che sta succedendo nel nostro paese e in Europa. Sentiamo ogni giorno notizie difficili dai telegiornali e dalle radio, ma cominciamo anche ad avvertire dai discorsi delle persone che ci stanno vicine e dai nostri parenti la difficoltà di questo momento. Allora è difficile non sentirci un po' scossi e spaventati da queste difficoltà: la crisi, infatti è economica ma non solo economica.
Su questa crisi quale luce può gettare il Natale?
Un Natale tribolato, una situazione tribolata e credo anche di grande sofferenza, da noi in Italia per la crisi e nel mondo per le guerre, per le ingiustizie e per la fame. Però il Natale ci porta una grande verità: che Dio è presente in questo mondo; e che Dio è Padre, Lui ci ha fatti e noi siamo suoi. Dio è Padre e quindi prende in mano questa situazione, e certamente la apre alla speranza per tutti i cuori che cercano speranza, che si aprono a questo messaggio che il Natale ci porta. Perché il Natale ci dice non solo che Dio è presente, che Dio è Padre, ma che Dio ci ha mandato il Figlio, che si è fatto carne, dice Giovanni; carne vuol dire “uomo fragile”, “uomo debole”, uomo che è capace di soffrire, che conosce il soffrire. E Gesù è passato attraverso tutta la sofferenza umana, l'ha fatta propria; per dirci che cosa? Che il nostro soffrire non è estraneo a Dio, che Dio è presente, è vicino in queste situazioni, e porta con noi queste situazioni. E se Dio porta con noi queste situazioni non dobbiamo disperare.
Il Natale ci dice un'altra cosa: che il Figlio di Dio incarnandosi, facendosi uomo, si è in qualche modo misteriosamente ma realmente unito a tutti gli uomini, credenti e non credenti; e quindi Dio ci ha fatti fratelli, Dio ha creato una grande solidarietà fra tutti gli uomini: la solidarietà dei figli di Dio, della famiglia dei figli di Dio. E questo ci dice che a Natale, mentre dobbiamo guardare al Figlio di Dio che si fa uomo, dobbiamo guardarci anche fra di noi, vedendo nel volto dell'altro il fratello: in Cristo noi siamo diventati fratelli. Quindi dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri, come Dio, a Natale, si è preso cura di noi. Un messaggio, quindi, di speranza ma anche di solidarietà.
Eminenza, a questo proposito, il fatto che Dio si sia fatto prossimo a noi, familiare a noi, nell'incarnarsi, nel suo venire nella grotta di Betlemme, il fatto che in questo modo noi siamo familiari gli uni gli altri, fratelli gli uni gli altri, perché vale la pena di vivere concretamente, in prima persona, nella propria carne, questa esperienza di familiarità a Dio che si è fatto uomo e perché conviene questa esperienza di fratellanza con gli altri uomini?
Non solo perché personalmente ci dà speranza e ci dà fiducia, ci apre gli orizzonti, ma perché ci dice che se vogliamo essere fedeli a questa solidarietà che il Natale crea in noi, solidarietà in Cristo, noi dobbiamo condividere questo dono con i nostri fratelli. Il Natale è un messaggio di amicizia con e di familiarità con Dio, ma è anche un grande messaggio di condivisione fra di noi. È un dono e una grazia che non va consumata ciascuno per sé, come un bambino viziato che mangia da solo la caramella che ha ricevuto, è un dono che noi fratelli dobbiamo condividere, dobbiamo spezzare con gli altri. Questa è un'urgenza che a Natale si fa presente: gli altri sono il volto di Cristo. Nel Vangelo è scritto: Avete dato un pane all'affamato, avete vestito l'ignudo, avete accolto l'estraneo... tutto quello che voi avete fatto al più piccolo l'avete fatto a me. Non dice a chi condivide la tua fede, ma al più piccolo, al più bisognoso dei miei fratelli. Il Natale è questo grande messaggio di fraternità e di condivisione; di impegno a prendersi cura gli uni degli altri.
Purtroppo, dicevamo Eminenza, la crisi non è più solo economica, ma è anche una crisi degli affetti e delle relazioni; lei che continua, per esempio, a guidare e a incontrare moltissime persone e moltissime famiglie, anche durante gli esercizi spirituali che tiene a Cavallino, può vedere, forse, e toccare con mano le difficoltà che moltissime famiglie, anche coppie, o fratelli e sorelle, hanno oggi nel ritrovarsi. C'è una crisi delle relazioni umane che forse è ancora più dolorosa della crisi economica e che la crisi economica a volte aggrava, perché la perdita del lavoro, per esempio, ma anche la difficoltà nel pagare un mutuo o l'affitto, rende le persone più dure, forse, più insensibili agli altri. Allora a queste persone, a un marito e a una moglie che stanno vivendo una difficoltà, a un fratello e a una sorella, a un genitore e a un figlio lei che cosa potrebbe dire oggi?
Oggi c'è tanta sofferenza nelle famiglie. C'è tanto bene, io facendo gli esercizi e accostando molte persone devo dire che trovo tante cose belle, direi veramente la santità cristiana è condivisa tra tante persone, una santità che non si vede ma che è reale, vera, autentica: la santità del quotidiano, del sacrificio quotidiano, dell'amore quotidiano e del prendersi cura quotidiano. Quindi c'è tanto bene nelle persone; ma c'è anche tanta sofferenza. Accostando le famiglie, accostando i genitori e accostando gli anziani io trovo tanta sofferenza, che è provocata dalla fragilità, oggi diffusa, degli affetti familiari, per cui le famiglie spesso si dividono; la sofferenza della perdita di lavoro o del fatto dei giovani che sono in casa e che non trovano lavoro e i genitori e i nonni soffrono. Ebbene, a queste persone che cosa puoi dire? Io, prete, posso farci poco; però vedo che le parole della fede scendono nel cuore e portano la pace. Questo Gesù, che un giorno ci ha detto, alla fine della vita, “voi mi lasciate solo, ma io non sono solo perché il Padre è con me” ci insegna che nelle nostre solitudini, anche affettive, che Lui ha condiviso – perché Gesù è passato attraverso la solitudine affettiva, attraverso il rifiuto: “Venne in mezzo ai suoi e i suoi non l'hanno accolto”, non dimentichiamo che il figlio di Dio a Betlemme non ha trovato un luogo conveniente per nascere, è nato in un luogo di animali, e sua Madre avvoltoLo in fasce lo ha deposto in una mangiatoia, cosa per noi impensabile, e che durante la sua passione e morte è stato solo – la parola della fede, la solidarietà di Gesù che è passato attraverso questa sofferenza, questa solitudine della persone, è un olio, un balsamo che apre alla speranza e consente alle persone non soltanto di durare, ma anche di continuare a cercare, di continuare a impegnarsi di trovare una soluzione a questa situazione.
Gesù ci dice una grande cosa: che il male non è ineluttabile, non è il senso ultimo della nostra vita, che la storia non va per le sue strade, la storia è nelle mani di Dio. Esemplare è la pagina del Natale: il Figlio di Dio, il Messia, secondo le profezie dell'Antico Testamento, deve nascere a Betlemme, la città di Davide, perché è un discendente di Davide – anche nell'Annunciazione il Figlio di Dio, dall'Angelo, viene presentato come discendente di Davide, per cui eredita la realtà e la regalità di Davide – ma la famigliola di Giuseppe e di Maria è a Nazareth; per spostare questa umilissima famiglia di carpentieri, questi due giovani umili e poveri, e far sì che il Bambino nasca a Betlemme interviene addirittura l'imperatore di Roma che indice un censimento per tutto il mondo. Quindi il filo della storia è nelle mani di Dio; nel rispetto delle libertà Dio sa muovere la storia perché vada verso quell'approdo di salvezza a cui lui la chiama e per la quale manda suo Figlio. Quindi la visione di un credente e la parola che il Natale offre a tutti, anche a un credente, è una parola di speranza, anche come sguardo sulla storia.
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