La giornata mondiale contro l'AIDS si è trasformata per l'ennesima volta in una grande menzogna; perché in effetti l'ostinata sponsorizzazione dell'uso del preservativo sembra proprio, dati scientifici alla mano, favorire, e non combattere, la diffusione del contagio. E' il caso dell'Uganda: nel 2009 il dottor Rand Stoneburner, medico dell'agenzia di cooperazione americana USAID, ha descritto la metodologia di lotta contro l'AIDS intrapresa dal governo ugandese nella cosiddetta metodologia AB, dall'inglese Abstain e Be faithful, tradotto Astieniti e Sii fedele. I risultati, pubblicati anche sulla rassegna stampa dell'associazione Medicina e Persona, furono i seguenti: con una riduzione del 65% del "casual sex" si assistette ad una riduzione della prevalenza dell'HIV del 75% tra i ragazzi dai 15 ai 19 anni, del 60% dai 20 ai 24 anni e del 54% nel complesso. Numeri che, secondo le più importanti riviste scientifiche tra cui The Lancet, devono essere attribuiti all'educazione volta ad una drastica diminuzione dei rapporti casuali fra giovani.
Per quanto invece riguarda l'uso del preservativo, la metodologia C, da diversi anni si sta discutendo sulla sua effettiva efficacia nel prevenire il contagio. Molti studi condotti dalle stesse case di produzione già negli anni '90 hanno infatti dimostrato che a partire dallo scopo primario, che è quello della contraccezione, il preservativo fallisce intorno al 15% dei casi in cui viene usato "correttamente". Ciò significa che parte degli spermatozoi, che hanno un diametro massimo di 2,5 micron (cioè 250 milionesimi di centimetro), passano ugualmente oltre il lattice. Ora il diametro del virus dell'HIV è stato misurato intorno a 0,1 micron, 25 volte più piccolo di uno spermatozoo; e se il preservativo lascia passare gli spermatozoi lascerà passare maggiormente il virus dell'HIV. Norman Hearst, della University of California San Francisco, ha affermato che, nella prevenzione dal contagio HIV, "le più recenti metanalisi parlano di un’efficacia del preservativo attorno all’80%"; quindi ci sono circa il 20% di probabilità che, pur usando il preservativo (e in maniera corretta), si contragga la malattia: più o meno la stessa probabilità che si ha, giocando alla roulette russa con una rivoltella da 6 colpi, di lasciarci le penne. Tutto questo discorso, poi, vale se il preservativo viene usato "correttamente"; e cosa significhi correttamente non può certo essere valutato caso per caso. Diceva il presidente Ugandese Yoveri Museveni nel 1992 al congresso Mondiale sull’ AIDS a Firenze: “In paesi come i nostri, dove una madre spesso deve camminare per 40 km per ottenere un’aspirina per il figlio malato o 10 km per raggiungere l’acqua, la questione pratica di garantire una costante disponibilità di preservativi o il loro uso corretto non potrà mai essere risolta”. Quindi le stime della probabilità di successo sopra citate vanno senza dubbio corrette al ribasso.
Alle orecchie dei più inesperti, questi dati possono comunque sembrare incoraggianti: sarà sempre meglio proteggersi per l'80% in più rispetto al non proteggersi affatto, si pensa (ed è proprio quello che gli autori di queste campagne puntano a fare). Tutto ciò dando per scontato che l'astinenza e la riduzione dei rapporti occasionali (la metodologia AB usata in Uganda) non siano nemmeno da tenere in considerazione. Ma il problema è un altro: questa vera e propria campagna pubblicitaria a favore dell'uso del preservativo, che anche ieri abbiamo potuto sentire in ogni dove, ha effetti a dir poco devastanti. Diffondere la mentalità che usare il preservativo è il metodo più sicuro per difendersi dal contagio dà l'avvallo, specie presso le popolazioni dell'Africa che sono le più colpite, per poter continuare a praticare condotte sessuali disordinate, anzi, per poterle addirittura incrementare, dato che il preservativo costituisce una difesa "pressoché infallibile"; cosa, come abbondantemente dimostrato, niente affatto vera. Sarà pur vero che c'è l'80% delle possibilità di successo, usando il preservativo, di non contrarre il virus, ma se, forti di questa falsa speranza, gli uomini e le donne si sentono autorizzati ad aumentare il numero di rapporti a rischio è normale che il numero dei contagi, invece che diminuire, aumenterà, e questo proprio a causa della massiccia campagna pubblicitaria a favore dei condom. Per questo motivo la "Giornata mondiale contro l'AIDS", per come si è svolta ieri e in tutte le ventiquattro edizioni passate, è diventata paradossalmente il miglior mezzo per la diffusione del morbo che si intendeva sconfiggere.
E' osservando i numeri dei contagi proprio presso le popolazioni dell'Africa, che la maggior parte dei sostenitori del preservativo vorrebbero difendere, che ci si rende conto che questa metodologia di prevenzione dell'AIDS ha fallito; lo stesso presidente ugandese Yoweri Museveni, più recentemente, ha attaccato la distribuzione di preservativi ai bambini delle scuole elementari descrivendola pericolosa e disastrosa: “Non bisogna insegnare ai bambini come usare i preservativi. Aprirò una guerra sui venditori di condom. Invece di salvare vite umane promuovono la promiscuità tra i giovani. La promiscuità è la maggiore causa di diffusione dell’HIV/AIDS. I bambini a scuola dovrebbero essere educati alla ricerca di un partner per una relazione stabile per tutta la vita”. Ed è in effetti la metodologia AB sopra illustrata, ovvero quella di un'educazione dei giovani all'astinenza, all'autocontrollo ed al sacrificio, che ha dimostrato il maggior incremento di successi a partire dal 2004: Stoneburner ebbe modo di definirla un autentico "vaccino sociale". Se, quindi, invece di fare pubblicità al condom ieri si fosse parlato di più di educazione dei giovani ad una sessualità più responsabile e matura (anche cristiana, sì), si sarebbe certamente fatto molto di più contro l'AIDS.
Concludo con le parole che il Santo Padre Benedetto XVI ebbe modo di esprimere durante il suo primo viaggio in Africa, nel 2009, per le quali fu aspramente criticato da governi ed organizzazioni, e tacciato addirittura di essere un assassino: alla domanda:
“Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio?”
il Papa ha rispose:“Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno”.
Dati scientifici alla mano, chi è, allora, il vero assassino di africani malati di AIDS?Fonte primaria: http://www.zenit.org/article-17620?l=italian.
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