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giovedì 24 novembre 2011

Il dialogo religioso e le richieste di perdono

Voglio proporre all'attenzione dei lettori un articolo di Gianfranco Trabuio, pubblicista, già professore universitario a Padova e Venezia, che affronta il tema del dialogo religioso tra la Chiesa Cattolica e l'Islam e un tema particolarmente sentito al giorno d'oggi: le richieste di scuse della Chiesa Cattolica. Infatti, nella nostra società sempre più marcatamente anti-cattolica, accanto ai consueti e demagogici inviti al Papa da parte di molti sedicenti cattolici e atei (che magari sono appena tornati da una bella crociera, indossano vestiti firmati od ostentano con fierezza gioielli e preziosi) a disfarsi dei suoi "numerosi anelli" per sfamare l'intera Africa, un altro ritornello che si sente spesso è quello delle scuse che il papa (ed in particolare l'attuale pontefice) dovrebbe continuamente rivolgere al mondo intero e all'Islam in particolare per le Crociate. Come se le Crociate fossero state la guerra di invasione dei cristiani dell'epoca contro indifesi e pacifici uomini di religione musulmana, durante la quale i primi si avventavano e massacravano senza pietà i secondi. Non si può nemmeno dire che tutto, nella storia cristiana, sia stato regolare, come lo stesso papa Benedetto XVI ha avuto modo di sottolineare durante l'ultimo incontro interreligioso di Assisi: «Sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna». Tuttavia, osserva Trabuio, perché soltanto il papa e la Chiesa Cattolica devono chiedere scusa? Ed elenca una serie di massacri per i quali oggi nessuno, stranamente, invoca le scuse, nemmeno durante le numerose marce della pace di Assisi organizzate da varie comunità, tra le quali sant'Egidio, che dà l'impressione di impegnarsi molto nel dialogo interreligioso. Eppure questi drammi, elencati da Trabuio, hanno per protagonisti proprio dei frati francescani, che in quelle marce della pace sembrano essere stati completamente dimenticati. Non è necessario né vitale per il cristiano esigere le scuse da parte dei suoi torturatori; finisce per esserlo, invece, per chi si fa paladino della pace e della verità, e che invece si ostina a voler vedere il marcio sempre e soltanto da parte della Chiesa, oltraggiando, in questo modo, anche la memoria dei martiri che gloriosamente hanno preferito la morte al rinnegare Gesù Cristo in favore di Maometto.

Perché solo il Papa deve chiedere perdono?
Francesco, i martiri francescani e l'Islam

Di Francesco Trabuio

Non si può analizzare la attuale situazione sul dialogo religioso tra Chiesa Cattolica e Islam se non si parte dalla storia. Tutti i tentativi di impostare il dialogo tra questi due mondi come se non ci fosse il passato, è come pulire il pavimento nascondendo la polvere sotto il tappeto: è inutile e dannoso per tutti e due, e per le sorti del mondo.

Purtroppo quando le fedi religiose si identificano con la politica degli Stati e con la gestione del potere economico, non è facile intraprendere un percorso virtuoso che possa portare al rispetto reciproco e alla convivenza pacifica.

Il recente incontro mondiale di Assisi tra i capi religiosi, voluto da Benedetto XVI, ha fatto segnare ancora una volta il coraggio della Chiesa Cattolica nel convocare le religioni a parlare della pace nel mondo. Cosa dovrebbero fare gli uomini di fede votati alla santità se non costruire la pace? Il Papa cattolico ancora una volta ha chiesto perdono per le violenze del passato perpetrate dagli uomini della Chiesa cattolica. Giustamente. Chiedere perdono, da un punto di vista pedagogico e psicologico, è sempre un’operazione vincente. Riconoscere i propri peccati fa parte della pedagogia della dottrina della Chiesa e del Vangelo.

Il Papa Benedetto XVI, però, doveva fare anche un’altra operazione culturale: invitare gli altri capi religiosi a chiedere perdono alla Chiesa cattolica per tutte le violenze attuate dai loro fedeli contro i fedeli della Chiesa cattolica e di tutte le altre confessioni religiose. SOLO E SOLTANTO quando tutti avranno il coraggio di domandare perdono reciprocamente si potrà avviare la conversione dei cuori, e da questa passare al rispetto e alla convivenza, diversamente questi incontri rimangono eventi giornalisticamente importanti ma poco utili per l’obiettivo finale, che è quello della pace nel mondo e della giustizia economica tra le nazioni.

Oggi è quanto mai urgente arrivare a questa consapevolezza. Purtroppo in un recente incontro romano tra i volontari che operano in Terra Santa e per la Terra Santa, si è avuta la percezione che fare presente ai musulmani e agli ebrei la necessità di percorrere la strada del perdono reciproco sia politicamente scorretto. È politicamente corretto e accettato solo se è la Chiesa cattolica a chiedere perdono, gli altri possono tranquillamente continuare a esercitare la violenza che più gli conviene contro i seguaci di Gesù Nazareno. Lo vediamo a Betlemme e nei territori palestinesi, lo vediamo in India, lo vediamo in Egitto, lo vediamo in Indonesia, lo vediamo in Iraq e in Libano. Di quanti martiri ha ancora bisogno la Chiesa cattolica per poter affermare nei riguardi di questi violenti che nessuna violenza ha mai portato alla pace?

I violenti non sono dei pazzi isolati, hanno sempre dietro di loro un potere religioso e politico che li spinge verso la violenza e che li protegge. Ecco perché è quanto mai attuale ritornare a parlare della figura di Francesco di Assisi e della sua Regola. Come è stato scritto in precedenza in una mia relazione al XXI Congresso degli Amici di Terra Santa del Triveneto, Francesco non è mai stato un pacifista, come lo dipingono i miti politicamente corretti delle marce della pace che ad Assisi ogni anno raccolgono migliaia di persone: ecologisti, cattolici di varie sfumature, sindacalisti, politici dichiaratamente appartenenti alla nebulosa della sinistra marxista, e persone di orientamento politico che propongono la negazione dei famosi valori non negoziabili tanto cari alla dottrina di Benedetto XVI, come il diritto alla vita e il diritto alla famiglia come voluta da Dio Creatore. Francesco è stato un uomo di pace ed è andato al seguito della quinta Crociata nel 1219 per convertire il Sultano Malek el Kamil, e per convincere i crociati a fermarsi di fronte all’inutile guerra. Francesco era andato dal Sultano consapevole che rischiava la vita, ma il suo obiettivo era più grande della sua stessa vita: portare la parola di Gesù, quella del Vangelo. Gesù ha insegnato il perdono e la misericordia e non la violenza contro gli uomini di altre religioni. Che Dio sarà mai quello che invita a uccidere i credenti di altre fedi? Quale paradiso può aspettarsi un omicida?

Ecco, a queste domande ancor oggi dobbiamo tentare di dare una risposta, e non c’è esperienza storica che ci possa aiutare meglio delle storie dei martiri francescani, assassinati dai seguaci del profeta Muhammad, a partire dai famosi cinque protomartiri del Marocco.

È necessario evidenziare con insistenza che Francesco era arso dal desiderio del martirio, lui voleva morire martire per Cristo, e questa sua aspirazione era maturata ancora nel 1211 quando era partito, per predicare il Vangelo nella Siria dei monaci stiliti, e dove i musulmani avevano come sommo impegno quello di uccidere chi avesse tentato di convertire al Vangelo qualche credente in Allah. Però la nave si incagliò sulle coste della Croazia.

Un’altra volta, ancora, il nostro Francesco aveva tentato di raggiungere la Terra di Gesù, inutilmente.

Nonostante i due insuccessi patiti, organizzato l’Ordine in province (1217), egli provvide a mandare missionari in tutte le principali nazioni d’Europa. Nel famoso Capitolo generale delle stuoie, celebrato alla Porziuncola, nella Pentecoste del 1219, diede licenza ai frati Ottone sacerdote, Berardo suddiacono, e ai conversi Vitale, Pietro, Accursio, Adiuto, di andare a predicare il Vangelo ai saraceni del Marocco, mentre egli si sarebbe recato con i crociati in Palestina per visitare i Luoghi santi e convertire gl’infedeli, pur ignorandone la lingua. È molto bello ricordare che per Francesco la Provincia di Oltremare, la Terra di Gesù e dei suoi apostoli, era considerata la Perla delle Province.

Dopo aver ricevuto la benedizione del santo fondatore, i sei missionari si diressero a piedi verso la Spagna. Giunti nel regno di Aragona, Vitale, superiore della spedizione, cadde malato, ma ciò non impedì agli altri cinque figli di S. Francesco di proseguire il loro cammino sotto la guida di Berardo. Dopo diverse peripezie e patimenti subiti dai musulmani di Spagna, riuscirono ad arrivare nella capitale del Marocco, dove iniziarono a predicare nelle piazze col crocifisso in mano. Il sultano del Marocco immediatamente li fece imprigionare e dopo violenze di ogni tipo e vista la loro determinazione a non abiurare la loro fede in Cristo Gesù, il sultano stesso tagliò loro la testa, lasciando i poveri corpi al ludibrio dei fanatici musulmani. Era il 16 gennaio 1220.

Don Pietro Fernando, Infante del re del Portogallo, che si trovava a Marrakech, fece costruire due casse d’argento di diversa grandezza. Si servì della più piccola per deporvi le teste, della più grande per deporvi i corpi degli uccisi in odio alla fede cattolica. Quando ritornò in Portogallo, egli portò con sé le preziose reliquie dei cinque protomartiri francescani e le depose nella chiesa di Santa Croce a Coimbra, dove sono ancora venerate. Fu in quella occasione che Ferdinando da Lisbona si sentì talmente acceso dall’amor di Dio che decise di abbandonare l’Ordine dei Canonici Regolari per abbracciare quello dei Frati Minori. Diventerà il grande sant’Antonio da Padova, il taumaturgo e teologo che tanto lustro darà all’Ordine di Francesco di Assisi.

Alla notizia del martirio dei cinque suoi figli, Frate Francesco, che si trovava al seguito della quinta Crociata, disse in un trasporto di riconoscenza verso Dio: “Ora posso dire che ho veramente cinque fratelli minori”. Il Papa Sisto IV li canonizzò nel 1481.

Nessuno finora ha chiesto perdono, neanche ai frati Francescani, per questo massacro, regolarmente compiuto obbedendo ai canoni dell’Islam.


L'articolo non è finito: per leggere l'intero articolo di Gianfranco Trabuio vi rimando al seguente link:
http://www.ioamolitalia.it/2011/11/perche-solo-il-papa-deve-chiedere-perdono/#more-19768.

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