Qualcuno dei fedeli che quotidianamente o settimanalmente frequentano la propria parrocchia avrà senz'altro per lo meno sentito parlare di quello che potremmo definire un
meeting dei cattolici impegnati nel sociale, in corso a Reggio Calabria: la settimana sociale dei cattolici italiani. Si tratta di una sorta di convegno in cui si fa il punto su quello che è e che dovrà essere l'impegno dei cattolici in politica, nelle istituzioni di solidarietà e in qualsiasi organismo socialmente utile. In particolare uno degli interventi di rilievo, all'apertura di questa settimana sociale, è stato quello di Benedetto XVI, letto dal Nunzio apostolico in Italia, mons. Giuseppe Bertello, discorso che ha avuto come perno la difesa di quelli che la Chiesa chiama
valori non negoziabili. In sostanza, se per un cattolico che agisce nel sociale, specialmente in politica, è consentito discutere e dialogare su alcuni argomenti, come l'incidenza nel Paese dei flussi migratori, la consistenza della pressione fiscale, la linea economica da seguire, finanche la costituzione dello stato, su certi temi, invece, non è libero di pensarla come vuole. Questa affermazione potrebbe sembrare drastica e censoria; in realtà, ragionandoci un po' sopra, ci si rende conto che è del tutto naturale che la Chiesa la pensi in questo modo. Non si intende, infatti, limitare la libertà di pensiero di una persona; il politico (nell'esempio in questione) potrà avere, su questi valori non negoziabili, una veduta diametralmente opposta a quella della Chiesa, semplicemente non potrà dire che questo pensiero sia cattolico, né che lui, pensandola in codesta maniera, sia un esponente della cattolicità. L'adesione al cattolicesimo è una scelta individuale, assolutamente libera (è e deve esserlo); pensandola in maniera opposta sui temi non negoziabili additati dalla Chiesa (che, ricordiamolo, è l'organismo tra gli uomini che stabilisce che cos'è la cattolicità) prenderà atto di non essere in linea con la Chiesa, forse metterà in dubbio la sua stessa cattolicità.
Ma veniamo a quali sono in effetti questi temi non negoziabili, ribaditi anche dal papa e ripresi dal presidente CEI card. Angelo Bagnasco alla settimana sociale:
- aborto: la Chiesa afferma la dignità della vita umana fin dal concepimento;
- famiglia: la famiglia, per il cattolico, deve essere fondata sul matrimonio sacramentale dell'uomo e della donna, che hanno il dovere, ma anche il diritto, di educare i propri figli in piena libertà;
- dignità della vita: che significa curarsi delle condizioni di vita di tutti gli uomini, in particolare assicurare una vita dignitosa ai più poveri;
- fine vita: la Chiesa riconosce che la vita umana termina con la morte naturale; il tentativo di far credere che si possa, per qualsiasi motivo, porre fine alla vita di un uomo significa arrogarsi il diritto di decidere quando la vita di un uomo finisce.
Negli ultimi tempi si è molto parlato del primo di questi valori, ossia di quello che riguarda l'inizio della vita umana, in particolare dopo l'assegnazione del premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, definito il "padre" della fecondazione in vitro. Siamo chiari: molti di coloro che si definiscono "cattolici", non solo in politica, ma anche e soprattutto nella gente comune, anche quella che frequenta la chiesa regolarmente, hanno dei forti dubbi (per non dire che non sono d'accordo) nel condannare la pratica odierna della fecondazione in vitro. Si pensa, infatti, che questa tecnica sia sostanzialmente positiva, perché ha dato e continua a dare la possibilità a molte coppie di avere un figlio loro. In quest'ultima frase vi sono spunti per una discussione etica (anche non necessariamente cattolica, un filosofo ateo potrebbe cavarsela benissimo) che potrebbe durare pagine e pagine. Innanzitutto si pensa al figlio come un diritto dei genitori (molto spesso, oggi, un diritto della donna), non come un dono; con la differenza che un dono si accoglie, un diritto si esige. Poi ho scritto volutamente "un figlio
loro", ponendo seriamente in dubbio l'amore che molte coppie riservano ai propri figli adottati (e siamo sicuri che questo dubbio non assalga gli stessi bambini adottati?). Infine, ma non per importanza, l'attuale tecnica della fecondazione in vitro presuppone il congelamento di numerosi embrioni, per eventuali ulteriori tentativi, che bene o male sono destinati in gran parte alla soppressione. E questo si collega ad altri aspetti della bioetica, come ad esempio l'aborto, o la ricerca sulle cellule staminali embrionali; non è possibile compiere una adeguata ricerca sulle cellule staminali embrionali senza uccidere decine e decine di embrioni. Anche qui molti tra i cattolici si chiedono perché possa essere sbagliato; in fondo si cerca di curare il cancro con questa ricerca. L'interrogativo che lo studioso cattolico o il filosofo ateo si pongono qui è ancora più inquietante e terribile: è lecito curare la vita di una persona creando
ad hoc nuovi esseri umani da uccidere? Non voglio addentrarmi in questi ragionamenti, propri di chi per anni studia morale. Ma c'è chi mette in dubbio il fatto stesso che l'embrione sia "vivo". Dal punto di vista genetico è però ben chiaro che quando i due gameti si fondono per formare la prima cellula (dalla quale si formeranno poi testa, gambe e braccia) lì è l'inizio di un essere nuovo, che non è più né la madre né il padre, che, se gliene sarà lasciato il tempo, crescerà fino ad invecchiare e a morire, mentre, se lo si fermerà prima, smetterà di evolvere esattamente come quando si uccide un uomo con testa, gambe e braccia. C'è da chiedersi: per quale motivo la vita deve essere considerata tale solo quando la vediamo con testa, gambe, braccia, capacità di comunicare, di parlare? Eppure un neonato non sa leggere né parlare, ma siamo tutti concordi nel dire che è vivo; un uomo può non avere le braccia o le gambe, ma è vivo; un uomo malato può non riuscire più a comunicare o parlare, ma è sempre vivo.
Preghiamo affinché i cattolici sappiano non conformarsi alla mentalità di questi giorni, cercando di discernere in profondità la verità, non semplicemente credendo alle parole di quelli che oggi vengono presentati come gli unici scienziati, e, soprattutto, difendendo gli indifesi. Ricordava il servo di Dio papa Giovanni Paolo I, in una delle quattro udienze generali che tenne durante il suo breve pontificato, che noi abbiamo il privilegio di sapere già le domande che ci saranno poste al processo che ci vedrà protagonisti quando giungeremo al cospetto di Dio: "Avevo fame, mi hai dato da mangiare? Ero nudo, mi hai vestito? Ero forestiero, malato o in carcere, mi hai visitato?"; e questo processo si concluderà: "ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40).
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