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martedì 25 ottobre 2011

Quella Madonnina distrutta che sorrideva

Lo scorso 15 ottobre, come tutti abbiamo avuto modo di constatare a mezzo stampa ed internet, si è tenuto a Roma, come in molte altre città del mondo, il corteo degli indignati. Un movimento nato a causa della recente crisi economica, per far sentire la voce del popolo che non vuole pagare di tasca propria gli errori che vengono attribuiti ai propri governanti e al mondo della finanza; un movimento nato in Spagna per protestare contro un governo progressista e socialista, ma che paradossalmente è stato rivendicato proprio dai movimenti e dai partiti di matrice progressista, socialista e comunista. E così si è presentato anche in Italia, dove ha potuto alimentarsi della consueta carica di odio che nel nostro Paese è il tratto caratteristico di quello che dovrebbe essere il confronto politico.
Il risultato è ancora sotto gli occhi di tutti noi, specialmente dei romani: vetrine in frantumi, persone che uscendo per la strada trovano un relitto annerito al posto della propria automobile, cartelli stradali divelti e strade smontate per poter tirare i sanpietrini addosso ai poliziotti. Ed infine, ma non certamente per importanza, una chiesa con il Crocifisso martoriato e privata della statua della Santa Madre di Dio, distrutta da una furia quasi assassina. Quella Madonnina Immacolata, che certamente avrà accolto centinaia di anime in preghiera con un amorevole e materno sorriso, e che non ha smesso di sorridere quando, distrutta tra le bestemmie, veniva ammirata dai partecipanti al corteo, qualcuno indifferente, qualcuno imbarazzato, qualcuno incuriosito fino al punto di scattare una fotografia e forse, speriamo, qualcuno addolorato.

Quasi tutti i commentatori e i giornalisti si sono affrettatti a condannare le violenze di quel giorno, additando in questi famigerati black-bloc i responsabili di ogni male, come se i disordini e le violenze fossero sempre opera di extra-terrestri di cui si ignora la provenienza, di capri espiatori a cui addossare ogni colpa, con la quasi certezza che resteranno pressoché impuniti. Con una visione ostinatamente politically correct, si ha quasi paura di indagare più a fondo quelli che sono i legami tra manifestazioni di questo tipo e la presenza dei violenti; perché, è innegabile, i black-bloc non compaiono come funghi nelle giornate tranquille, quando le casalinghe sono occupate a fare la spesa e i ragazzini sono a scuola; essi vengono allo scoperto sempre e soltanto all'interno di manifestazioni che gli stessi organizzatori non rifiutano di etichettare come disobbedienti. E, malgrado il nome in inglese (sempre per far pensare che questi loschi personaggi provengano come da un'altra dimensione), sono entrati in azione solo in Italia: sia in questo mese come anche nel dicembre dello scorso anno. Quando poi costoro si manifestano, si assiste al solito acquazzone umano di gente che cade dalle nuvole: chi se lo sarebbe mai aspettato che in quella tale manifestazione vi sarebbero stati dei violenti? Chi si sarebbe mai aspettato che, in una manifestazione infarcita di odio anticapitalistico qualcuno si sarebbe messo in testa di spaccare le vetrine di qualche banca o di bruciare qualche SUV? Chi si sarebbe mai aspettato che qualcuno avrebbe fatto irruzione in una chiesa, avrebbe preso la statua della Beata Vergine tra le bestemmie, e l'avrebbe con violenza gettata a terra e calpestata? Diciamoci la verità: forse non avremmo creduto che qualcuno sarebbe arrivato a tanto, per un'idea del rispetto e della buona educazione che ancora molti di noi hanno, ma sicuramente, se ci avessero detto il giorno prima che qualcuno avrebbe profanato un luogo sacro, non avremmo certo pensato ad una moschea o ad una sinagoga, e nemmeno ad una chiesa valdese o luterana, ma ad una chiesa cattolica.

I fatti di Roma mettono in luce ancora una volta che, se è vero che la partecipazione a queste manifestazioni non vuol dire automaticamente che il partecipante sia violento, è vero anche che è l'ambiente nel quale queste manifestazioni nascono, intriso di ideologia relativista, di disobbedienza e di indignazionismo fine a se stesso, a creare il terreno fertile per la violenza. Lo dimostra il fatto (cito un articolo di Daniele Fazio apparso sul blog Associazione "Maria SS. dell'Elemosina") che il nome di Indignados trae origine da un testo francese dal combattente Stéphane Hessel, tradotto in Italia col titolo Indignatevi; in esso troviamo i "comandamenti" del buon indignado: attaccare i politici, gli industriali e la Chiesa, definendoli "caste", quindi sostituirli con altri uomini che si definiscono leali e generosi secondo gli ideali della rivoluzione francese (e che, guarda caso, allora come oggi, sono i leaders di questi movimenti), con l'illusione che per superare le crisi politiche ed economiche non sia necessario alcun sacrificio. Questi movimenti si basano su un substrato di rimostranze giuste, come ad esempio la richiesta di un mondo della politica e della finanza che siano più rispettosi del resto del mondo, ad esempio diminuendo i propri privilegi soprattutto in questi momenti critici; ma poi finiscono per sfruttare le grandi masse, facilmente allettate da questi argomenti accettabili, mettendo loro in bocca slogan anarchici, femministi, omosessualisti e, soprattutto, anti-cattolici. Il povero partecipante, che crede di stare ancora combattendo per una causa giusta, finisce per fare il ruolo dell'utile idiota, fornendo alla fin fine l'adeguata copertura a gesti di violenza inaudita come quelli di Roma. Ma Roma, e l'Italia, non sono le sole "pecore nere": un chiaro esempio del funzionamento di questo meccanismo lo abbiamo avuto proprio in Spagna, dove il movimento degli Indignados è nato e cresciuto. Prima il sit in davanti ai palazzi del potere, per far sentire la propria voce dinanzi ai governanti, e poi la trasformazione in quell'odioso movimento anticlericale, anch'esso di violenza inaudita, anche se non si è arrivati alle mani (o meglio agli estintori e ai sanpietrini), che si è espresso in tutto il suo odio contro i pellegrini della GMG.

Se ora proviamo a guardare alle nostre spalle, che cosa ha effettivamente cambiato la manifestazione del 15 ottobre? Oltre alla violenza che ha generato nel suo stesso alveo, ha offerto soluzioni efficaci alla crisi? Anche qui siamo onesti con noi stessi e tra di noi se riconosciamo che né le manifestazioni né gli ideali dei movimenti che le organizzano offrono una via d'uscita che non sia fatta solo di parole, anzi: finiscono per aggravare i già ingenti problemi degli stessi manifestanti. Proviamo allora a rivolgere, per l'ultima volta, lo sguardo a quella Madonnina distrutta, rimasta sull'asfalto di una città ferita; a quella statua che, pur irriconoscibile per la tanta violenza subita, non ha perso il sorriso, anche nei confronti del suo stesso profanatore, di coloro che erano d'accordo con lui e di quelli che, di fronte a quella scena, non se la sono sentita di abbandonare un corteo ormai degenerato. Essa identifica lo stesso amore della Madre di Dio che rappresenta, la quale ha dovuto sopportare le ben più atroci sofferenze che noi infliggiamo al suo Figlio sulla Croce, e che, malgrado ciò, ancora ci viene in soccorso. Ella ci offre la via d'uscita da tutte le nostre crisi e sofferenze: ci mostra che, con l'odio, nessuna situazione potrà mai essere risolta; ci invita a rimettere al centro la dignità della vita dell'uomo, dal suo inizio alla sua fine naturali, ci mostra il diritto naturale, firma di Dio sul gran disegno della Creazione, che si coniuga ai doveri dell'uomo e alla responsabilità di tutti. L'amore comporta sempre sacrificio; prendiamo esempio da Lei, la cui statua ha dovuto essere distrutta e deturpata dalle bestemmie, insieme a quella del suo Figlio, per farci fermare un attimo e guardare a quello che l'odio può trasformarci.

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