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giovedì 6 ottobre 2011

L'Europa combatte la vita

Questo è il titolo dell'articolo di apertura dell'ultimo opuscolo dell'associazione Voglio Vivere, associazione cristiana in difesa della vita. E non sembra nemmeno un titolo troppo duro, se analizziamo i fatti di cronaca che si sono verificati nei mesi scorsi; certo, non possiamo pretendere che ne abbiano parlato i giornali e i telegiornali, avendo altro di meglio da fare, come ad esempio riempirci la testa delle presunte abitudini trasgressive dei nostri governanti. Quello di cui sto parlando è la coraggiosa presa di posizione del governo ungherese nei confronti dell'Unione Europea, un atteggiamento che, secondo il mio personale parere, servirebbe da esempio anche per i nostri politici, spesso troppo sudditi di quel che si decide sopra le loro teste. Il 30 giugno scorso, infatti, il premier ungherese Viktor Orban, nel congedarsi dalla presidenza di turno della Commissione europea, non ha fatto inchini troppo pronunciati, ma ha detto chiaramente: "Difenderò sempre l'Ungheria dai rilievi e dalle critiche, di Bruxelles o altrui. [...] Nessun paese, nessun governo ha il diritto di dire quale debba essere la costituzione ungherese, spetta al popolo ungherese decidere. [...] Non potete dirci quel che dobbiamo dire". Che cosa giustifica una tale uscita da parte di un uomo politico e nei confronti di un'istituzione così ossequiata come quella di Bruxelles? E' da sapere che, lo scorso aprile, è entrata in vigore la nuova costituzione ungherese, approvata dal governo Orban con una maggioranza dei due terzi del parlamento; la Commissione di Venezia, un organo istituito dall'Unione europea, ha duramente criticato il testo, giudicandolo gravemente contrario ai diritti fondamentali, ed adducendo l'ulteriore motivazione che tale costituzione renderebbe troppo potente l'attuale capo del governo, poiché avrebbe stabilito che una futura riforma dell'attuale testo possa avvenire soltanto con un'altra maggioranza dei due terzi del parlamento. Quest'ultima obiezione lascia un po' il tempo che trova e noi italiani dovremmo saperlo bene, dato che anche nel nostro Paese le modifiche della Carta Costituzionale necessitano di una tale maggioranza del parlamento; eppure non mi pare di ricordare alcun pronunciamento dell'UE, né tantomeno di questa Commissione di Venezia (malgrado la vicinanza alla città lagunare), che criticasse questo sistema come antidemocratico. La vera ragione delle critiche alla costituzione ungherese, quindi, deve essere di natura diversa; ed andando a leggere la cronaca (devo dire dopo averla trovata con una certa difficoltà), si viene a sapere che le parti più contestate della costituzione in questione sono il preambolo ed i suoi primi articoli. All'inizio si legge:

«Noi siamo orgogliosi del fatto che mille anni fa il nostro re, Santo Stefano (Santo Stefano d'Ungheria, vissuto nell'XI secolo, ndr), ha fondato lo stato ungherese su solide fondamenta, e reso il nostro paese parte dell'Europa cristiana. [...] Riconosciamo il ruolo che il cristianesimo ha svolto nella conservazione della nostra nazione».

E gli articoli successivi sono i seguenti:

«La vita del feto sarà protetta dal momento del concepimento. [...] L'Ungheria proteggerà l'istituzione del matrimonio inteso come l'unione coniugale di un uomo e di una donna».

Dopo aver letto le "righe incriminate" il concetto sembra dunque essere più chiaro; già il preambolo aveva infatti indisposto le democratiche gerarchie europee, inserendo nella costituzione di uno stato membro quegli stessi richiami, anche decisi come abbiamo letto, a quelle radici cristiane che il parlamento di Strasburgo aveva rifiutato per principi di laicità. Ma ciò che ha decisamente colmato la misura è la dichiarazione che lo stato ungherese intende garantire i diritti dei nascituri fin dal concepimento; una cosa inaccettabile per una istituzione, l'UE, che l'8 marzo scorso ha richiamato gli Stati membri a garantire il cosiddetto "diritto all'aborto". Leggiamo infatti, all'articolo 25 della Risoluzione sulla riduzione delle disuguaglianze sanitarie della UE, approvata dal parlamento europeo, che "l'UE e gli Stati membri devono garantire alle donne un accesso agevole ai metodi contraccettivi il diritto all'aborto sicuro", e, nell'articolo 53, che " l'UE e gli Stati membri devono sostenere la società civile e le organizzazioni delle donne che promuovono i diritti umani delle donne, compresi i loro diritti sessuali e riproduttivi, il diritto ad uno stile di vita sano e il diritto al lavoro, al fine di garantire che le donne abbiano voce in capitolo nelle questioni inerenti alle politiche sanitarie nazionali ed europee". Come si evince da questi estratti, i diritti degli embrioni e dei feti vanno inevitabilmente a contrastare il diritto delle donne ad avere uno stile di vita sano: la gravidanza, care donne, è una malattia, lo dice il parlamento europeo. I diritti dei figli contrastano i "diritti sessuali" delle donne; e poi, diciamocelo, se la donna viene licenziata perché incinta è colpa del figlio che porta in grembo, non certo dei mascalzoni che la licenziano: o almeno così si capisce dalla risoluzione, quando tira fuori, a favore dell'aborto, il "diritto al lavoro" delle donne. Sarcasmo a parte, sono evidenti le ragioni per le quali la costituzione dello stato ungherese è stata considerata inaccettabile dalla UE. Non parliamo, infine, del matrimonio fondato sull'unione tra uomo e donna, considerato ormai uno schiaffo inaccettabile dalle associazioni omosessualiste.
Alla luce di questi fatti c'è da augurarsi che tutti gli stati abbiano il coraggio e dimostrino l'onore che ha dimostrato il governo ungherese, nella persona del suo primo ministro, nel rigettare e rispedire al mittente le critiche dell'UE; critiche e modi di pensare che, a ben guardare lo scenario mondiale, stanno fortunatamente per diventare fuori moda. Negli Stati Uniti d'America la Camera dei deputati di Washington ha accolto la proposta di legge denominata "The Protect Life Act", che riforma parzialmente la riforma sanitaria del 2010 con il chiaro riconoscimento, ai medici, del diritto all'obiezione di coscienza, e la negazione, se non in casi specifici, dell'uso di fondi pubblici per finanziare le pratiche abortive. Inoltre, alla Camera federale, è stato proposto ed approvato un emendamento con il quale vengono bloccati i fondi al Planned Parenthood, il programma che promuove politiche abortive e attraverso il quale si controlla la rete delle cliniche in cui si effettuano le interruzioni di gravidanza.
Naturalmente notizie come queste faticano a prendere il largo sulla stampa europea ed italiana in particolare. Spesso si sente dire che l'informazione in Italia è a livelli di libertà simili a quelli degli stati dittatoriali, e che i diritti umani in Italia sono addirittura meno garantiti che in Cina; a vedere la scarsa diffusione di queste notizie sembrerebbe proprio così, ma non nel senso che intendono coloro che propongono questi fantomatici sondaggi, per i quali libertà significa anarchia e i diritti umani sono i diritti di tutti tranne che dei più deboli, quali embrioni e malati terminali.

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