14. È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, [...] ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia.
L'espressone "partecipazione attiva" ha dato adito, nel periodo post-conciliare, alle interpretazioni più disparate, che nella maggior parte dei casi poco avevano che fare con il suo reale significato. Ed è forse questa divergenza tra quello che intende la Chiesa e quello che si vuole che la Chiesa intenda l'esempio più lampante del relativismo in campo religioso, della contrapposizione fra ermeneutiche del concilio (rottura e riforma nella continuità) che tante volte il Papa ci ricorda nei suoi discorsi.La tendenza, oggi, è quella di considerare la partecipazione attiva dei fedeli come una conquista del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica ad esso seguita, merito esclusivo di un certo modo di intendere la Santa Messa in netta contrapposizione con quanto accadeva prima del concilio. Inevitabilmente, per promuovere questa idea (sbagliata, come avremo modo di vedere), si finisce per contrappore la Messa cosiddetta "tridentina", dove (si insinua) i fedeli erano costretti a stare zitti e fermi, come degli spettatori ad uno spettacolo non gradito, alla Messa "moderna", dove cade ogni barriera e freno e si può finalmente cantare, parlare, a volte ballare, dando all'assemblea la libertà di fare un po' ciò che vuole. A poco servono le indicazioni dei Papi, specialmente il beato Giovanni Paolo II e il pontefice regnante, Benedetto XVI, a cercare quasi di raddrizzare certe situazioni ormai fuori controllo e a far capire che queste interpretazioni sono del tutto errate e dannose.
Tuttavia le cose non stanno esattamente come oggi la maggior parte di noi considera; sembrerà paradossale, ma il tema della partecipazione dei fedeli era vivo e attuale da molto prima del Concilio Vaticano II, in un periodo in cui quella "tridentina" era l'unica Messa per tutto il mondo. Per fare alcune citazioni, nel motu proprio "Tra le sollecitudini" di san Pio X, del 1903, troviamo:
In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi.
O ancora, in maniera più esauriente, troviamo spiegato nella "Instructio de Musica Sacra et Sacra Liturgia" del Missale Romanum, datata 3 settembre 1958:22. La Messa richiede, per sua natura, che tutti i presenti vi partecipino nel modo proprio a ciascuno.
a) Questa partecipazione deve essere in primo luogo interna, attuata cioè con devota attenzione della mente e con affetti del cuore, attraverso la quale i fedeli «strettissimamente si uniscano al Sommo Sacerdote... e con Lui e per Lui offrano [il Sacrificio] e con Lui si donino».
b) La partecipazione però dei presenti diventa più piena se all’attenzione interna si aggiunge una partecipazione esterna, manifestata cioè con atti esterni, come sono la posizione del corpo (genuflettendo, stando in piedi, sedendo), i gesti rituali, soprattutto però le risposte, le preghiere e il canto. [...]
25. Nella Messa solenne dunque, l’attiva partecipazione dei fedeli può essere di tre gradi:
a) Il primo grado si ha, quando tutti i fedeli danno cantando le risposte liturgiche: Amen; Et cum spiritu tuo; Gloria tibi, Domine; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo; Deo gratias. Si deve cercare con ogni cura che tutti i fedeli, di ogni parte del mondo, possano dare cantando queste risposte liturgiche.
b) Il secondo grado si ha quando tutti i fedeli cantano anche le parti dell’Ordinario della Messa: Kyrie, eleison; Gloria in excelsis Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei. Si deve poi cercare di far sì che i fedeli imparino a cantare queste stesse parti dell’Ordinario della Messa, soprattutto con le melodie gregoriane più semplici. Se d’altra parte non sapessero cantare tutte le singole parti, nulla vieta che i fedeli ne cantino alcune delle più facili, come il Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei, riservando il Gloria e il Credo alla «schola cantorum».
Si deve cercare inoltre di far sì che in tutte le parti del mondo i fedeli imparino queste più facili melodie gregoriane: Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus, e Agnus Dei secondo il numero XVI del Graduale Romano; il Gloria in excelsis Deo con Ite, Missa est-Deo gratias, secondo il numero XV; il Credo poi secondo il num. I o III. In questo modo si potrà ottenere quel risultato tanto desiderabile, che i fedeli in tutto il mondo possano manifestare, nell’attiva partecipazione al sacrosanto Sacrificio della Messa, la loro fede comune anche con uno stesso festoso concento.
c) Il terzo grado finalmente si ha quando tutti i presenti siano talmente preparati nel canto gregoriano da poter cantare anche le parti del Proprio della Messa. Questa piena partecipazione alla Messa in canto si deve sollecitare soprattutto nelle comunità religiose e nei seminari.
La "scoperta" che di partecipazione attiva si parlava anche e soprattutto per la Messa nel rito antico porge immediatamente una serie di considerazioni: innanzitutto che la partecipazione attiva di cui si parla nel Concilio Vaticano II non è una scoperta degli anni 70 e della riforma post-conciliare, ma un aspetto di cui la Chiesa si è sempre occupata (possiamo dire che "si partecipava" anche nella Messa antica); poi, non avendo il Concilio Vaticano II inventato nulla di nuovo, che la partecipazione attiva che esso raccomanda è la stessa raccomandata anche prima dal Magistero della Chiesa; infine, che aggiungere significati rivoluzionari alla partecipazione attiva, e bocciare per questo la Messa nel rito antico, è non solo privo di fondamento, ma contrario al Concilio Vaticano II e al Magistero immutabile della Chiesa. Non dimentichiamoci, infatti, che i padri conciliari non scrivevano di liturgia sulla base della Messa nel rito post-conciliare (oggi detto forma ordinaria), ma avevano sempre visto e celebrato nel rito pre-conciliare (oggi detto forma extraordinaria).
Leggendo, dunque, il concilio in continuità con il Magistero precedente, viene naturale spiegarsi perché esso non abolisca, ma raccomandi che i fedeli imparino a cantare ed ascoltare il canto gregoriano, definito "il canto proprio della liturgia romana", e perché l'organo a canne è raccomandato come lo strumento per eccellenza nell'accompagnamento del canto o anche da solo. Viene naturale leggere il motu proprio Summorum Pontificum e la recente istruzione Universae Ecclesiae come la maniera con cui il Santo Padre cerca di correggere per tutta la Chiesa le visioni errate, in materia liturgica, sulle diverse forme del rito della Santa Messa, e non come il contentino dato a quattro nostalgici di pizzi e merletti. Risultano altresì inspiegabili le ragioni di chi, in nome di chissà quale concilio (a questo punto), predica che la lingua latina, il canto gregoriano, il contegno proprio della devozione dei fedeli, la bellezza dell'arte a servizio di Dio, siano aspetti retrogradi, superati, da sostituire con urgenza e da rigettare con odio.
Concludo ricordando una delle finalità con cui il papa ha "liberalizzato" la Messa nella forma extraordinaria del rito romano; egli vuole che ovunque, nella Chiesa, il rito antico aiuti i fedeli a vivere il nuovo con la devozione, l'amore e il rispetto che si deve a Gesù Cristo nelle sacre specie consacrate (cose che, a ben guardare, oggi viviamo piuttosto con monotonia o meccanicità distaccata, anche a causa del modo improprio di intendere la partecipazione attiva di cui sopra). D'altra parte, grazie al nuovo rito, i fedeli possono introdursi e capire quello antico in maniera più profonda, rispetto a quanto facevano i nostri padri o nonni fino a cinquant'anni fa, affinché esso non sia solamente una sorta di rievocazione storica, ma un'autentica espressione di fede e devozione.
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