«Gli Apostoli "si prostrarono davanti a Lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia" (Lc 24,53). Questa conclusione, continua Benedetto XVI, ci stupisce. Ci aspetteremmo il contrario: "che essi fossero rimasti sconcertati e tristi" perché Gesù se n’era definitivamente andato. Insiste il Papa. "Ogni addio lascia dietro di sé un dolore". Come facevano allora i Suoi ad essere in una grande gioia? "Non si sentirono abbandonati". Sono certi che "il Risorto è presente in mezzo a loro in una maniera nuova e potente"»
Continua il patriarca, parlando dell'Ascensione e dei distacchi che ognuno di noi vive nella propria vita di relazione:«Se siamo risorti con Cristo, come dice Paolo ai Colossesi, dobbiamo abituarci a vivere ogni avvenimento della nostra vita terrena come un segno che manifesta efficacemente la vita definitiva, l’eternità.»
L'episodio narrato dagli Atti degli Apostoli si proietta verso l'eternità con le parole degli Angeli, una volta che la visione del Signore ascendente al Cielo fu sottratta agli occhi degli Apostoli. Queste parole costituiscono anche l'introito della Santa Messa di oggi:Viri Galilaei, quid admiramini aspicientes in caelum? Alleluia: quemadmodum vidistis Eum ascendentem in caelum, ita veniet, alleluia, alleluia, alleluia. | Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo con meraviglia? Alleluia: allo stesso modo in cui Lo avete visto ascendere al cielo, così verrà, alleluia, alleluia, alleluia. |
Queste parole degli Angeli sono rivolte oggi anche a noi, e ci spingono ad interrogarci. Gli Apostoli, infatti, guardavano in alto, verso il cielo; guardiamo noi in alto quando la domenica ci rechiamo alla Santa Messa? Siamo disposti a superare quello che è apparentemente incomprensibile alle nostre orecchie e ai nostri animi di uomini, per farci condurre da Gesù Cristo ai misteri celesti? Se il messaggio angelico è rivolto anche a noi oggi, così come agli Apostoli duemila anni fa, significa che siamo chiamati al loro stesso sacrificio, come dice il patriarca, a "vivere ogni avvenimento della nostra vita terrena come un segno che manifesta efficacemente la vita definitiva, l’eternità". Questo si applica a maggior ragione alla Santa Messa; malgrado la società secolarizzata di oggi ci porti a viverla come un momento prettamente umano, tanto che vorremmo organizzarla, regolarla da noi stessi, secondo il nostro gusto e arbitrio, la Santa Messa è invece un momento di eternità, che si pone nel mondo ma allo stesso tempo non appartiene al mondo. Lo stesso Signore nostro Gesù Cristo ci dice:
«Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia»
(Gv 15, 19)
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