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giovedì 15 settembre 2011

Beata Vergine Maria Addolorata

Il giorno successivo a quello dell'Esaltazione della Santa Croce la Chiesa ricorda il dolore della Beata Vergine Maria, che ha accompagnato il suo Divin Figlio lungo la via del Calvario ed ha assistito alla sua morte in Croce. Ella, che già si era fatta parte della Redenzione con il suo sì all'Angelo nell'Annunciazione, docile ed obbediente, viene intimamente unita al Sacrificio della Croce dall'avverarsi della profezia del vecchio Simeone, che le aveva profetizzato: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2, 35). Per questo motivo la devozione popolare ha spesso raffigurato la Vergine Addolorata, vestita a lutto, trafitta da una spada o, ancor più, da sette spade, che raffigurano i suoi Sette Dolori, narrati nei Vangeli: oltre alla profezia di Simeone, la fuga in Egitto, il ritrovamento di Gesù nel tempio tra i dottori, l'incontro col suo Figlio sulla via del Calvario, la sofferenza ai piedi della Croce, il pianto sul Corpo di Cristo deposto dalla Croce e il commiato dal Figlio nel Sepolcro in attesa della Risurrezione. Ritroviamo oggi il tema del dolore e della sofferenza che già ieri abbiamo contemplato nella Croce del nostro Salvatore, ma che questa volta hanno per soggetto la Vergine Maria. Con la sua piena adesione alle sofferenze del suo Figlio, fino a spingersi ai piedi del patibolo ove Egli era stato ingiustamente appeso, la Madonna è resa corredentrice, non nel senso che opera al disegno della Redenzione in maniera parallela o indipendente a Cristo, ma perché vi partecipa intrinsecamente con la sua obbedienza a Dio fino al dolore più grande, che è quello di veder morire atrocemente il Figlio sotto orribili torture. Perciò la Vergine Addolorata, che sempre intercede presso Gesù Cristo Signore nostro per noi ed è mediatrice delle sue grazie, diventa per noi uomini un appiglio a cui aggrapparci per sfuggire alla corrente furiosa dei dolori e delle sofferenze. Così come il Figlio suo, che ha patito ogni genere di dolore per inchiodarli alla Croce e sconfiggerli con la Morte e Risurrezione, così Ella ci può consolare nei nostri patimenti più grandi, come ad esempio la perdita dei propri familiari o delle persone care. La Madonna sa cosa vuol dire il nostro soffrire; se nel nostro pianto ci affideremo a Lei possiamo essere certi che non potremmo riceverne che forza e bene, poiché Ella intercede presso la Santissima Trinità affinché lo Spirito Santo, che è Consolatore, ci sussurri nell'animo parole di conforto. Affidiamo a Lei, dunque, tutti i nostri familiari, amici, conoscenti e noi stessi, perché attraverso la sua mediazione, le nostre sofferenze possano comunicare alla Passione del nostro Signore Gesù Cristo per poter essere da Lui portate alla gioia della Risurrezione.
Nella splendida e venerabile Tradizione della Santa Chiesa, alla ricorrenza dell'Addolorata è associata una delle cinque "Sequenze" sopravvissute nei secoli: lo Stabat Mater. Si tratta di una sorta di poesia che esprime i sentimenti di un uomo pio che assiste alla cruenta scena del Calvario; egli vuole quasi affiancare il suo cuore a quello della Vergine, già provato dall'indicibile sofferenza, perché possa servirle di sostegno nel momento della morte in Croce e della deposizione del suo Figlio adorato. Da questa sequenza è stato tratto anche il famoso ritornello che cantiamo al termine di ogni Stazione della Via Crucis: "Santa Madre, deh, Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore!". Le parole esprimono dunque tutta quella pietà, anche popolare, di cui la Chiesa è stata dispensatrice e destinataria in tutti i secoli della sua storia; potessimo ritornare anche oggi a questo modo di comporre anche i canti liturgici più semplici, con l'umiltà e l'amore che esprime questo componimento e che sono la firma della sua ispirazione divina.
Ne propongo l'ascolto di una versione in canto gregoriano, le cui note in maniera sublime ed esclusiva sono legate alle parole del testo in maniera viscerale, tanto da non poter essere separate; quindi, in varie parti, nella famosa versione di Giovanni Battista Pergolesi, splendido esempio del settecento musicale italiano. Inoltre potete trovare il testo, da seguire, con una traduzione.

Stabat Mater (Gregoriano)


Stabat Mater (G.B. Pergolesi)
 


Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius.

Cuius ánimam geméntem,
contristátam et doléntem
pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
fuit illa benedícta
Mater Unigéniti !

Quae moerébat et dolébat,
pia mater, cum vidébat
nati poenas íncliti.

Quis est homo, qui non fleret,
Christi Matrem si vidéret
in tanto supplício?

Quis non posset contristári,
piam Matrem contemplári
doléntem cum Filio ?

Pro peccátis suae gentis
vidit Jesum in torméntis
et flagéllis subditum.

Vidit suum dulcem natum
moriéntem desolátum,
dum emísit spíritum.

Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum
in amándo Christum Deum,
ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,
crucifíxi fige plagas
cordi meo válide.

Tui Nati vulneráti,
tam dignáti pro me pati,
poenas mecum dívide.

Fac me vere tecum flere,
Crucifíxo condolére
donec ego víxero.

Iuxta crucem tecum stare,
te libenter sociáre
in planctu desídero.

Virgo vírginum praeclára,
mihi iam non sis amára,
fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,
passiónis fac me sortem
et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,
cruce hac inebriári
et cruóre Fílii.

Flammis urar ne succénsus,
per te, Virgo, sim defénsus
in die iudícii.

Fac me cruce custodíri
morte Christi praemuníri,
confovéri grátia.

Quando corpus moriétur,
fac, ut ánimae donétur
paradísi glória. Amen.
La Madre addolorata stava
in lacrime presso la Croce
su cui pendeva il Figlio.

E il suo animo gemente,
contristato e dolente
una spada trafiggeva.

Oh, quanto triste e afflitta
fu ella, benedetta
Madre dell'Unigenito!

Come si rattristava e si doleva
la pia Madre vedendo
le pene dell'inclito Figlio!

Chi non piangerebbe
al vedere la Madre di Cristo
in tanto supplizio?

Chi non si rattristerebbe
al contemplare la pia Madre
dolente accanto al Figlio ?

A causa dei peccati del suo popolo
Ella vide Gesù nei tormenti,
sottoposto ai flagelli.

Vide il suo dolce Figlio
che moriva, desolato,
mentre esalava lo spirito.

Oh, Madre, fonte d'amore,
fammi provare lo stesso dolore
perché possa piangere con te.

Fa' che il mio cuore arda
nell'amare Cristo Dio
per fare cosa a lui gradita.

Santa Madre, fai questo:
imprimi le piaghe del crocifisso
fortemente nel mio cuore.

Del tuo figlio ferito
che si è degnato di patire per me,
dividi con me le pene.

Fammi piangere intensamente con te,
condividendo il dolore del Crocifisso,
finché vivrò.

Accanto alla Croce, stare con te,
con piacere in tua compagnia,
nel compianto, io desidero.

O Vergine gloriosa fra le vergini
non essere aspra con me,
fammi piangere con te.

Fa' che io porti la morte di Cristo,
avere parte alla sua passione
e che mi ricordi delle sue piaghe.

Fa' che sia ferito delle sue ferite,
che mi inebri con la Croce
e del sangue del tuo Figlio.

Che io non sia bruciato dalle fiamme,
che io sia, o Vergine, da te difeso
nel giorno del giudizio.

Fa' che io sia protetto dalla Croce,
fortificato dalla morte di Cristo,
consolato dalla grazia.

E quando il mio corpo morirà
fa' che all'anima sia donata
la gloria del Paradiso. Amen.

9 commenti:

  1. In ferie a Caorle fin da bambino, ho scoperto l'esistenza di questo blog dagli opuscoli lasciati all'ingresso del duomo che mi hanno lasciato piuttosto perplesso.
    Non riesco però a capire perché il fil rouge che intreccia tra loro i diversi post non sia il Vangelo di Gesù, morto e risorto per noi, ma, quale che sia l'argomento trattato, la liturgia nella sua forma "preconciliare": non saranno certo questa, come nemmeno quella "postconciliare" (se ne apprezzino o meno le espressioni più recenti), a conquistare all'amore di Gesù chi incontriamo ogni giorno.

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  2. Grazie per il commento.

    Tuttavia mi permetta di replicare; non capisco cosa intenda dicendo che il fil rouge non è il Vangelo di Cristo, tanto più che in questo, come nel precedente post, vi sono anche delle citazioni dal Vangelo e dalle Sacre Scritture. In altri casi ci sono citazioni del Magistero della Chiesa, che non può esistere senza il Vangelo di Cristo. Vorrei capire com'è per lei un blog i cui post sono intrecciati dal fil rouge del Vangelo di Cristo e in che termini questo blog se ne discosta.

    In secondo luogo non riesco a capire dove, in questo post o in altri, l'argomento trattato sia la liturgia "nella sua forma preconciliare". E' vero che in qualche caso (se non vado errato 4 o 5 post) ho trattato esplicitamente il tema della liturgia di San Pio V (il che d'altra parte non è affatto una cosa negativa), ma in questo come in moltissimi altri post, dove sono proposti temi gregoriani, non si tratta affatto di liturgia preconciliare, anzi, come ho detto molte volte altrove, è molto post-conciliare, dati tutti i documenti che raccomandano e valorizzano il latino ed il canto gregoriano. Che poi la liturgia post-conciliare e quella pre-conciliare non differiscano di molto è solo la prova della veridicità di quello che afferma il nostro papa Benedetto XVI, ossia che la corretta chiave di lettura del Concilio Vaticano II non è quella di una rottura, ma di una riforma nella continuità.

    Infine vorrei concludere con una battuta: lei sembra convinto che la liturgia non abbia ruolo nel conquistare all'amore di Gesù chi incontriamo ogni giorno. Ma la divina liturgia, in particolar modo la Santa Messa, è proprio il ripetersi sull'altare del Sacrificio di Gesù Cristo sulla Croce. Lo dice tutta la tradizione della Chiesa, sia pre-conciliare che post conciliare (basta leggere i documenti del Concilio di Trento per l'una e la lettera Mysterium Fidei di Paolo VI per l'altra). Che cosa, più del Sacrificio del Figlio di Dio sulla Croce, è più conforme al Vangelo e più capace di attirare all'amore di Gesù l'anima di qualsivoglia fedele? Lo stesso Signore Nostro dice, proprio nel Vangelo: "Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me". Nell'Eucarestia, che è Gesù Cristo stesso, è compiuta tutta la Scrittura, non solo il Vangelo; per questo la liturgia è definita dai padri conciliari "il culmine e la fonte" della vita della Chiesa (SC §10). E, per continuare con le parole dei padri conciliari, "la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio santo nel Signore, un'abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo, nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le loro energie perché possano predicare il Cristo" (SC §2). Non crediamo che il Vangelo possa vivere da solo senza la liturgia, in particolare della Santa Messa; d'altra parte chi cura molto la liturgia non sbaglia, poiché da essa promana tutta grazia della Parola di Dio.

    Mi scuso se sono stato un po' lungo.

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  3. Grazie per la risposta.
    Parto dall'ultima considerazione: ha pienamente ragione e probabilmente mi sono espresso male; l'Eucarestia è senza dubbio il centro della vita cristiana: intendevo invece dire che se la liturgia può certo attirare all'amore di Gesù chiunque, non sarà certo una forma o un'altra forma o un'altra ancora (nei limiti consentiti dalla Chiesa), il latino o il non latino, il gregoriano o il non gregoriano, ad attirare o meno, o meglio, lo faranno secondo la sensibilità di ciascuno. Mi viene alla mente un'espressione cara al nostro (purtroppo ex) Patriarca, "la pluriformità nell'unità": alle volte, e mi scuso fin da subito se ciò non era nelle sue intenzioni, rimango ferito quando mi pare di scorgere la difficoltà di accettare questa "pluriformità" o l'intenzione di far prevaricare una forma sull'altra (sia in una direzione che nell'altra). Le pratiche devozionali per alcuni démodé, il canto (talora sguaiato) di alcuni gruppi giovanili, la sobria bellezza del gregoriano, l'entusiasmo musicale dei fratelli neocatecumenali, il sapore di alcune preghiere in latino: ecco la "pluriformità" nella "unità"; compito delle nostre comunità parrocchiali promuoverla, coltivarla e valorizzarla.
    Grazie per l'ascolto e complimenti per il lavoro!

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  4. Forse ho capito quello che intende dire, e la ringrazio anche per la citazione del Cardinale Scola sulla pluriformità nell'unità. Ma facciamo attenzione a non confondere sotto il nome di "pluriformità" l'idea che "tutto è concesso", anche gli errori; qui sconfineremo abbondantemente nel relativismo. Nel caso della liturgia, ed in particolar modo della Santa Messa, ciò è ancora più evidente; poiché essa è dono di Dio, eterna ed immutabile come eternamente ed immutabilmente si perpetua il Sacrificio di Cristo incruentemente sopra i nostri altari, da sempre la Chiesa se ne è occupata, per dare ai fedeli le linee da seguire per rendere un autentico culto a Dio e non cadere nella tentazione di idolatrarsi da soli (l'ha detto molto bene il cardinale Burke lo scorso dicembre in una sua omelia a cui tra l'altro ho dedicato un post). Per focalizzarci sul canto che, come mi pare di vedere, sta a cuore anche a lei, la Chiesa è molto chiara, ne ha parlato il Concilio, ne hanno parlato coloro che si sono occupati di riformare il rito e ne hanno parlato per ultimi (ma non per importanza) il beato papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI. Dai padri Conciliari leggiamo: "La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica" (SC §116); l'istruzione Musicam Sacram precisa, a proposito di questi "altri generi": "Si abbia però molta cura nell’evitare che, sotto le apparenze della solennità, si introduca nelle celebrazioni alcunché di puramente profano o di meno conveniente al culto divino [...]. Gli strumenti che, secondo il giudizio e l’uso comune, sono propri della musica profana, siano tenuti completamente al di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi" (MS §43 e §63). Veniamo poi a Giovanni Paolo II, che riprendendo il suo predecessore san Pio X ci ribadisce il criterio unico e sempre valido per giudicare sacro un componimento musicale: "A riguardo delle composizioni musicali liturgiche faccio mia la “legge generale”, che san Pio X formulava in questi termini: “Tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell'andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”" (Chirografo 22 novembre 2003 §12).
    Continua...

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  5. Quindi mi pare di aver spiegato in maniera esaustiva che considerare il canto gregoriano come predominante e come modello per tutti gli altri canti non è affatto una ingiusta prevaricazione nei confronti di altri generi. Quando io propongo all'ascolto, dunque, brani del repertorio gregoriano o brani di polifonia che ad esso si accostano intendo proprio questo, indicare il modello, su insegnamento dei grandi papi San Pio X ed il beato Giovanni Paolo II. Al contrario, si capisce altrettanto chiaramente che vi sono generi musicali troppo profani, che rispecchiano la sensibilità dell'uomo più che essere rivolti a Dio, e che sono inequivocabilmente in errore. Non è possibile, quindi, indicare come legittima pluriformità l'indulgere in questi errori; su questo il patriarca (glielo posso assicurare perché ne discutemmo direttamente proprio durante la visita pastorale a Caorle) la pensa così, come la Chiesa insegna, e d'altra parte non potrebbe essere altrimenti. Lo diceva ancora una volta papa Giovanni Paolo II: "Sulla scia degli insegnamenti di san Pio X e del Concilio Vaticano II, occorre innanzitutto sottolineare che la musica destinata ai sacri riti deve avere come punto di riferimento la santità: essa di fatto, “sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica”. Proprio per questo, “non indistintamente tutto ciò che sta fuori dal tempio (profanum) è atto a superarne la soglia”, affermava saggiamente il mio venerato Predecessore Paolo VI, commentando un decreto del Concilio di Trento e precisava che “se non possiede ad un tempo il senso della preghiera, della dignità e della bellezza, la musica - strumentale e vocale - si preclude da sé l’ingresso nella sfera del sacro e del religioso”" (Chirografo 2003 §4). Quando si parla di pluriformità si intende piuttosto la diversità dei carismi all'interno della stessa comunità, una diversità che va nella direzione di arricchire la comunità intera: c'è chi si occupa di liturgia, chi della pastorale, della dottrina, della scienza, anche della politica, ma tutti cooperano per il fine comune che è Gesù Cristo. E che cosa è capace di dare a questo superstrato pluriforme un'autentica unità, se non una liturgia unica ed autentica, come quella che ci insegna ad offrire la Chiesa?
    Sperando di aver offerto alcuni spunti di riflessione (e scusandomi ancora per la lunghezza), la saluto e la ringrazio ancora per i commenti, molto interessanti.

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  6. Anch'io seguivo in tutto il Patriarca, anche se non ho mai capito i suoi discorsi, ma sapevo che erano densi di fede, di dottrina e di scienza. Concordo con quanto detto da Anonimo, mi sento di dire che la fraternità cui appartengo ha molto a cuore la liturgia e noi viviamo la liturgia su noi stessi, e rendiamo grazie a volte perfino con alte urla ma questo è gioia per quanto insieme celebriamo. Viva la liturgia e viva coloro che vi partecipano.

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  7. Grazie ancora per la conversazione, pur virtuale, che mi ha offerto molti spunti di riflessioni. Mi chiedo, e non solo quali provocazioni: 1. forse che le liturgie eucaristiche dei primi decenni dell'era cristiana non erano sufficientemente dignitose solo perché il gregoriano non era codificato in quanto tale (pur esistendone le radici)?; 2. i nostri vescovi e i nostri presbiteri assistono quotidianamente a liturgie eucaristiche in cui si fa uso di strumenti 'profani' (chitarre, percussioni, etc.): dato che non possiamo certamente permetterci di affermare (e spero che nessuno lo faccia) che essi sbaglino nell'assecondare questo uso, è lecito pensare che questo uso sta conducendo/condurrà di fatto a una revisione del magistero della chiesa in proposito e a una revisione delle norme in materia? Il che, a mio parere, non sarebbe né positivo né negativo: non è certo relativismo ipotizzare che una tradizione musicale sia solo un accidente culturale e non vada confuso con le verità di fede che si trasmettono eguali a sé stesse nei secoli. Nella speranza che queste non siano le "questioni oziose" e le "discussioni inutili" di cui parla oggi S. Paolo.

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  8. Sono lieto di rispondere ancora. Sulle liturgie eucaristiche dei primi decenni, e addirittura sui primi 2 secoli, dell'era cristiana sappiamo poco; questo perché i primi cristiani vivevano nella persecuzione e dovevano rimanere nascosti, anche se ultimamente stanno emergendo studi che cercano di far luce su quell'epoca. Come ha detto lei stesso "il gregoriano non era codificato pur esistendone le radici"; ma in realtà possiamo dire di più. La struttura modale del canto gregoriano, infatti, lo collega direttamente alla musica greca, mentre dall'altra parte, le prime liturgie cristiane dovevano attingere molto da quella ebraica. Così, anche nei canti, la salmodia, il melisma, ed altre forme di canto che già sono presenti nella tradizione ebraica, si ritrovano anche nel canto gregoriano, ove lo strumento principale ed unico era la voce stessa. La forma di una liturgia e di un canto propriamente cristiani si deve anche alla commistione di elementi classici, come troviamo anche nell'architettura degli edifici sacri: le prime chiese dopo la libertà di culto non hanno la forma dei templi pagani, ma nemmeno dei templi ebraici, bensì della basilica, edificio propriamente classico. Essa, tuttavia, veniva purificata da ogni elemento profano abbattendo una delle due esedre e ponendo al suo posto l'entrata principale; poi l'orientazione Ovest-Est dell'edificio faceva il resto, consentendo ai fedeli di entrare da Occidente (legato al tramonto del Sole e quindi all'oscurità/peccato) e di guardare a Oriente (legato al sorgere del Sole e quindi a Cristo). Così anche nella musica; essa viene purificata da ogni elemento pagano (gli strumenti musicali come le cetre degli aedi greci) e "sacralizzata" utilizzando soltanto la voce degli uomini. Poi la codifica si ebbe effettivamente ad opera, secondo molti, di San Gregorio Magno attorno al VI secolo (non dimentichiamo che la libertà ai cristiani arriva soltanto verso la metà del IV secolo); ma questo non significa che prima la tradizione liturgica si discostasse, e di molto, da quella codificata, anzi: è un elemento che fa piuttosto pensare che la liturgia ed il canto sacro dei cristiani dovessero essere effettivamente quelli che poi ci sono stati tramandati. Poi abbiamo il discorso sugli strumenti e sulla lingua; è indubbio che il latino abbia preso piede per il fatto che, subito dopo la testimonianza dei Santi Pietro e Paolo, Roma era il centro oltre che culturale e civile, anche della cristianità per tutto il mondo che oggi definiamo occidentale. Per lo stesso motivo in Oriente la liturgia si è basata sulla lingua greca; ed in altri territori sono sorti riti pluriformi (il discorso di ieri), come quello Copto, Gallicano, Ambrosiano e così via. Ma non dobbiamo pensare che la scelta della lingua fosse stata effettuata semplicemente a favore dell'idioma più diffuso; se ricordiamo infatti che la prima liturgia cristiana origina in qualche modo da quella ebraica, la lingua aveva essa stessa un carattere di "lingua sacra", ieratica, immutabile e comune (basti pensare ad alcune liturgie ebraiche di oggi, ancora in ebraico antico). Per quanto riguarda l'organo, infine, anch'esso era utilizzato già nelle culture greca e romana per solennizare le festività, quindi è plausibile che, laddove si volesse introdurre qualcosa che esulasse dalla sola voce umana (un tempo, come ho detto, l'unico "strumento" permesso), si scegliesse l'organo, il cui suono meglio si avvicina alla voce umana. Come vede, è vero che della liturgia degli antichi cristiani non si sa molto; tuttavia si sbaglia molto meno a pensare che organo e gregoriano fossero alla base anche della liturgia antica che non pensando il contrario, come spesso qualcuno ci porterebbe a credere, ma senza darci delle prove storiche certe (per inciso, delle cose che ho scritto io potrà avere riscontro cercando nei libri di storia della musica).
    Continua...

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  9. Mi sto rendendo conto di essere troppo prolisso, ma cerco di spiegarmi al meglio.
    Sul discorso dei vescovi, ora cercherò di essere più breve; lei dice che non possiamo permetterci di affermare che essi sbagliano. Innanzitutto devo dire che bisognerebbe analizzare caso per caso cosa vuol dire che "assecondano" certi usi; tuttavia esistono degli orientamenti, e molto più che orientamenti, che la Chiesa indica a tutti: vescovi, presbiteri, diaconi e laici. E lo dice a chiare lettere il Catechismo della Chiesa Cattolica: il Magistero della Chiesa è costituito dai pronunciamenti del Papa e dei Vescovi in comunione con lui, specialmente se riuniti in Concilio. Ora il Concilio ha dato delle direttive ben precise, e così anche le istruzioni e le lettere emanate dai vari pontefici. Se un vescovo trasgredisse palesemente a queste direttive non si tratta di permettersi di affermare che ha sbagliato, ma più che altro di una questione di coscienza: chi devo ascoltare, quello che dice la Chiesa o il vescovo che mi dice di fare una cosa contraria al Magistero? Ripeto che, comunque, il fatto che vi siano vescovi che celebrano con la presenza di percussioni ed altri strumenti chiaramente di uso profano, non significa che ne abbiano dato l'assenso.
    Sull'ultimo punto, ossia sulla revisione del Magistero, questo direi che non spetta a noi; tuttavia anche quando si tratta di rivedere il Magistero, se crediamo all'infallibilità del Magistero della Chiesa, esso non potrà dire una cosa che è esattamente l'opposto di quella precedente, altrimenti o non era infallibile prima o non lo è adesso. D'altra parte, se guardiamo i documenti del Concilio che le ho citato anche ieri, essi dicono una cosa ben precisa sulla liturgia e sulla musica sacra; l'istruzione Musicam Sacram, nata appunto per correggere abusi quali gli strumenti profani (messa beat ed altre cose simili) conferma la stessa cosa, i papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI dicono sempre la stessa cosa. Si tratta sempre di riforma nella continuità, e non di discontinuità, come ci insegna papa Benedetto. Ancora, l'immutabilità è ancora una volta un segno della presenza di Dio nella liturgia; la caducità, invece, è segno della presenza dell'uomo. Se il Magistero cambiasse secondo le mode, come una bandiera secondo il vento, sarebbe segno che in quel magistero vi è solo l'uomo; il fatto che il Magistero rimanga immutabile in sè, pur cambiando il modo in cui è spiegato, è segno della presenza di Dio.
    Ancora una volta mi scuso per la lunghezza, e spero di essere stato esauriente.

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